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La natura privilegiata del credito del fondo di garanzia per le PMI

Le problematiche giuridiche conseguenti alla novella ex articolo 8-bis, comma 3, Legge 24 Marzo 2015, numero 33 e al più recente orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza numero 2664 del 29 gennaio 2019
mediazione
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Abstract
Il presente scritto si propone di analizzare il funzionamento del Fondo di garanzia per le PMI e le problematiche giuridiche relative alla natura (erratamente) privilegiata che acquisisce il credito del Fondo in dipendenza dell’escussione della garanzia da parte del soggetto finanziatore. Infine, in una prospettiva de iure condendo, si tenterà altresì di indagare se il c.d. “mutuo di scopo” permetta la configurazione di un privilegio di tipo speciale.

This paper aims to analyze the functioning of the Guarantee Fund for SMEs and the legal problems relating to the (improperly) privileged nature acquired by the Fund’s credit as a result of the guarantee being called on by the lender. Finally, in a de iure condendo perspective, we will also try to investigate whether the “loan purpose” allows the configuration of a special kind of privilege.

Sommario
1. Introduzione
2. Il fondo di garanzia per le PMI (cenni)
3. La disciplina normativa e la natura privilegiata credito del fondo di garanzia per le PMI: individuazione delle problematiche di diritto generate dall’articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo numero 123/98 e dall’articolo 8-bis, comma 3 della Legge numero 33/2015
4. L’ inapplicabilità di un’interpretazione estensiva al privilegio di cui all’articolo 9, comma 5
5. Il più recente orientamento della Suprema Corte (Cassazione, Sezione I, 29 Gennaio 2019, numero 2664 - Presidente Di Virgilio, Relatore Dolmetta)
6. Le ragioni di non condivisibilità dell’orientamento adottato dalla Cassazione con sentenza numero 2664 del 29.1.2019
7. La novella legislativa di cui all’articolo 8-bis, comma 3: norma d’interpretazione autentica o semplice regola innovativa?
8. La «specificità» dei beni acquistati grazie al finanziamento garantito dal fondo per le PMI quale causa di riconoscimento di un privilegio di tipo “speciale

 

1. Introduzione

Il Fondo di garanzia per le PMI[1]– istituito dal MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) ai sensi dell’articolo 2, comma 100, lettera a) della Legge 23 dicembre 1996, numero 662[2] e dell’articolo 15 della Legge 7 agosto 1997, numero 266[3] – è uno strumento finanziario a tutela della posizione creditoria che riducendo in modo significativo il livello di rischio in capo al soggetto finanziatore – di norma un Istituto di Credito) consente al soggetto richiedente un accesso agevolato al credito. 

Ai fini del presente scritto ciò che interessa non è tanto la figura del Fondo quale strumento di garanzia per le PMI che intendono ottenere un accesso facilitato al credito, bensì un’attenta disamina delle peculiarità proprie della specifica – e del tutto sui generis – tipologia di garanzia che attraverso l’intervento del Fondo per le PMI viene attuata.

Nel proseguo della trattazione si cercherà, infatti, di indagare la problematiche relative al suo funzionamento – con particolare riferimento ai suoi presupposti applicativi e ai suoi effetti –, nonché i risvolti pratici derivanti dalla novella di cui all’articolo 8-bis, comma 3, L. numero 33/2015.

 

2. Il fondo di garanzia per le PMI (cenni)

Il Fondo di garanzia per le PMI fu istituito sul finire del secolo scorso con il precipuo scopo di permettere a quelle imprese che non dispongono di sufficienti ed idonee garanzie di poter ugualmente accedere a procedure finanziarie presso istituti di credito, società o intermediari finanziari al fine di ottenere il sostentamento economico necessario per effettuare gli investimenti di cui l’impresa abbisogna. Sapendo di poter contare sulla garanzia del Fondo, le imprese che necessitano di capitali per i propri investimenti possono, dunque, chiedere alla Banche un finanziamento senza la necessità di dover presentare le garanzie reali o personali generalmente richieste.

I soggetti che possono beneficiare della garanzia del Fondo sono:

(i) le PMI situate sul territorio nazionale (anche qualora si tratti di investimenti esteri), appartenenti a qualsiasi settore (ad eccezione di quelli “sensibili” esclusi dall’UE, come ad esempio il settore agricolo primario, quello dei trasporti, della cantieristica navale, etc…) e in possesso dei requisiti dimensionali di cui alla vigente disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato alle PMI (decreto MAP del 18 Aprile 2005) ed alla Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE del 6 Maggio 2003. Più nello specifico cioè le PMI valutate “economicamente e finanziariamente sane” sulla base di appositi modelli contabili capaci di tener conto dei dati di bilancio relativi agli ultimi due esercizi dell’impresa e della relativa situazione finanziaria aggiornata;

(ii) i professionisti iscritti agli ordini professionali o aderenti ad associazioni professionali iscritte nell’apposito elenco del Ministero dello Sviluppo Economico;

(iii) i consorzi e le società consortili costituiti tra piccole e medie imprese di cui agli articoli 17, 18, 19 e 23 della Legge 5 Ottobre 1991, numero 317 e le Società consortili miste di cui all’articolo 27 della medesima legge.

Il Fondo di garanzia per le PMI attualmente è gestito per conto del MISE, ex Decreto Ministeriale 20 Giugno 2005, numero 18456 avente ad oggetto la “Rideterminazione delle caratteristiche degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese”, da un raggruppamento di istituti di credito di cui è mandataria la Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale S.p.A. (di seguito più brevemente “BDM-MCC”).

L’intervento in garanzia del Fondo non viene mai prestato a copertura integrale del finanziamento erogato, ma al massimo in misura pari all’80% del finanziamento stesso ed entro il limite complessivo di 2,5 milioni di Euro. 
In accordo con la normativa del Fondo, la garanzia da esso prestata può essere di tre tipi distinguibili in base ai soggetti ammessi a richiederla e alle qualità della tutela accordata al soggetto finanziatore in caso di inadempimento. 

La prima tipologia di garanzia offerta dal Fondo per le PMI è la c.d. “garanzia diretta[4]”: essa può essere richiesta esclusivamente dalle Banche iscritte all’albo di cui all’articolo 13 del Decreto Legislativo 1 Settembre 1993, numero 385, da intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 17 del Decreto Legislativo 1 Settembre 1993, numero 385, da S.F.I.S. (Società Finanziarie per l’Innovazione e lo Sviluppo) iscritte all’albo di cui all’articolo 2, comma 3 del Decreto Legislativo 5 Ottobre 1991, numero 317 e da SGR e Società di gestione armonizzate, ma solamente per le operazioni sul capitale di rischio. 

La garanzia diretta, a differenza delle altre tipologie di garanzia (di cui si dirà infra), ha la peculiarità di essere sempre a prima richiesta, esplicita, incondizionata ed irrevocabile. Ciò significa che una volta concessa, essa corrobora e “protegge” la posizione del creditore-finanziatore per l’ipotesi in cui il debitore-finanziato si dimostri inadempiente dell’obbligo restitutorio che grava in capo ad esso. 

In altri termini, se a seguito dell’inadempimento della PMI beneficiaria del finanziamento garantito la Banca decida di escutere la garanzia concessa dal Fondo per le PMI, il Fondo, per il tramite della BDM-MCC, sarà sempre tenuto a procedere immediatamente alla liquidazione della garanzia, salvo il diritto di agire in regresso contro la PMI inadempiente. Invero, ai sensi dell’articolo 2, comma 4 del Decreto Ministeriale 20 Giugno 2005, numero 18456 l’escussione della garanzia determina la surrogazione ex lege (articolo 1203 Codice Civile) del Fondo per le PMI – e dunque della BDM-MCC in qualità di suo rappresentante – nei diritti del soggetto finanziatore.

In secondo luogo, la prestazione di garanzia del Fondo può, altresì, assumere i connotati della c.d. “controgaranzia[5]” che, diversamente da quella diretta, viene concessa a favore di confidi e di altri fondi aventi scopo di garanzia gestiti da banche o intermediari finanziari. 

L’ultimo tipo di garanzia è la c.d. “co-garanzia”: in questo caso, il Fondo garantisce il credito del finanziatore congiuntamente ai confidi o ad altri fondi di garanzia sulla base una convenzione tra essi stipulata e finalizzata a regolamentare criteri, modalità e procedure di concessione ed attivazione della garanzia stessa.

Per completezza, va altresì precisato che tutti gli interventi del Fondo di Garanzia per le PMI sono assistiti dalla garanzia di ultima istanza dello Stato italiano. Ciò a significare che in ipotesi di inadempimento del Fondo, il soggetto-finanziatore che ha agito per l’escussione della garanzia, ma che non ha trovato in essa il ristoro del proprio credito a causa dell’inadempimento o dell’incapienza del Fondo, potrà direzionare la propria pretesa agendo contro le casse statali.

 

3. La disciplina normativa e la natura privilegiata credito del fondo di garanzia per le PMI: individuazione delle problematiche di diritto generate dall’articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo numero 123/98 e dall’articolo 8-bis, comma 3 della legge numero 33/2015

Comprese le caratteristiche essenziali del Fondo di garanzia per le PMI, si tratta ora di iniziare a comprendere più precisamente il fulcro del problema che il presente scritto vuole indagare e, per ciò che è possibile, tentare di risolvere.

Si premette sin d’ora che le problematiche che si affronteranno nel proseguo avranno ad oggetto esclusivamente la garanzia c.d. diretta, atteso il suo diffuso impiego nella prassi dei finanziamenti richiesti dalle PMI. 

Ebbene, come già anticipato, l’escussione della garanzia del Fondo per le PMI a seguito della mancata restituzione del prestito genera, per espressa previsione dell’articolo 2, comma 4 del Decreto Ministeriale 20 Giugno 2005, numero 18456, nonché secondo quanto ribadito dalla circolare BDM-MCC del 12 Maggio 2012, numero 620, un diritto di surrogazione legale ex articolo 1203 Codice Civile (si veda quanto indicato sub nota [3]) del Fondo nei diritti del soggetto che ha erogato il finanziamento. 

Tale situazione ha generato un problema di non poco conto nel momento in cui il Fondo di garanzia, in forza dell’avvenuta surrogazione, rivendicava il diritto a veder soddisfatto il proprio credito in via privilegiata ai sensi del disposto del quinto comma dell’articolo 9 del Decreto Legislativo numero 123/98, il quale testualmente prevede che “per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi. Al recupero dei crediti si provvede con l'iscrizione al ruolo, ai sensi dell'articolo 67, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, numero 43, delle somme oggetto di restituzione, nonché' delle somme a titolo di rivalutazione e interessi e delle relative sanzioni”.

Il primo problema riguarda, quindi, la possibilità o meno che un determinato credito nascente come chirografario si “trasformi”, per effetto di un mutamento soggettivo dal lato attivo del rapporto obbligatorio, in un credito privilegiato.

Stante questo primo ordine di problemi, il quadro generale risulta però essere ulteriormente aggravato da un secondo snodo problematico sopravvenuto a seguito della novella di cui all’articolo 8-bis del Decreto Legislativo numero 3/2015 poi convertito con modificazioni in Legge numero 33/2015.

Invero, l’articolo 8-bis, comma 3 prevedendo che “Il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, numero 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di  prelazione  spettanti a terzi. La costituzione e l'efficacia del privilegio non sono subordinate al consenso delle parti. Al recupero del predetto credito si procede mediante iscrizione a ruolo, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, numero  46, e successive modificazioni” sembra riconoscere al Fondo, per il solo operare dell’articolo 1203 Codice Civile, la natura privilegiata del proprio credito verso il debitore finanziato, ponendo perciò in essere un duplice ordine di problemi:

(i) il primo, relativo alla necessità di comprendere la correttezza, in termini di uguaglianza ed equità sostanziale, di una previsione che attribuisce ad un credito natura privilegiata, non in base alla causa del credito stesso, ma bensì sulla base di un mero fatto verificatosi ex post rispetto alla nascita del credito e peraltro regolato dalle parti (sul punto si veda Cassazione, SS.UU., 17 Maggio 2010, numero 11930, in IlCaso.it,  nella quale la Corte Suprema ha spiegato come “[…] le cause di prelazione previste dal codice civile rispondono ad un criterio di equità discendente dallo stesso articolo 3 della Costituzione, il quale esclude che costituiscano un’eccezione sfavorevolmente restrittiva rispetto al principio generale della par condicio creditorum, essendo voluto dal legislatore quale rimedio di giustizia alternativa, distributiva e commutativa, per esigenze di parità sostanziale (e non solo formale) dei cittadini davanti alla legge”; cfr. Cassazione, numero 17396/2005; Cassazione, numero 8743/1992; Cassazione, numero 7684/1994; Cassazione, numero 2271/1991; Cassazione, numero 2163/1991);

(ii) il secondo, riguardante la portata intertemporale della novella legislativa, ovverosia la possibilità di una sua applicazione immediata, quindi retroattiva, anche in situazione aventi ad oggetto crediti sorti in data anteriore all’entrata in vigore della Legge numero 33/2015.

In definitiva, dunque, si tratta di comprendere se la tutela privilegiata che assiste il credito del Fondo relativo alle somme liquidate a titolo di perdite sia una tutela ammissibile e se sì, se sia retroattiva o meno.

 

4. L’ inapplicabilità di un’interpretazione estensiva al privilegio di cui all’ articolo 9, comma 5

Connotato in questi termini il problema appare, dunque, composto da due micro-problemi (se così li si può definire) che, sebbene interconnessi, necessitano di essere risolti separatamente.

Il primo di essi, a parere di chi scrive, va risolto in senso negativo.

Pare, infatti, allo scrivente che non vi siano fondati motivi per ritenere applicabile al diritto di credito del surrogante (BDM-MCC) un trattamento differenziato rispetto a quello che sarebbe stato riconosciuto al creditore originario (Finanziatore/Banca)

Le motivazioni su cui si fonda tale affermazione risiedono anzitutto nel preferire una lettura restrittiva del disposto ex articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo 123/98, in accordo anche con la migliore giurisprudenza di merito (ex multis, Tribunale di Milano, 22 Febbraio 2018, in IlCaso.it; Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, in FallimentieSocietà.it; Tribunale di Pistoia, 21 Maggio 2015, in IlCaso.it[6]; Tribunale di Milano, 2 Luglio 2014, in IlCaso.it; Tribunale di Torino, 2 Luglio 2014, in IlCaso.it; Tribunale di Tolmezzo, 14 Marzo 2013, in IlCaso.it)[7] che si è occupata della tematica de qua, oltre ad una constatazione più concreta che trae origine dal principio civilistico secondo cui il privilegio viene accordato in considerazione della causa del credito.

In particolare, si può notare come l’articolo 9, comma 5 attribuisca il privilegio di cui si va discutendo “per le restituzioni di cui al comma 4”, quindi, esclusivamente per l’ipotesi in cui i finanziamenti erogati e garantiti del Fondo siano stati successivamente parzialmente od interamente revocati. Il privilegio de quo potrebbe perciò operare solo nei casi in cui il credito da restituzione sia conseguente ad un provvedimento amministrativo di revoca del finanziamento per le specifiche ipotesi previste e non anche nel caso di inadempimento da parte dell’impresa finanziata dell’obbligo di restituzione delle somme mutuate. 

L’inadempimento, infatti, proprio perché tale non provoca la revoca del finanziamento, ma solamente la risoluzione del contratto secondo le regole generali (cfr. Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione; Tribunale di Milano, 2 Luglio 2014, citazione; Tribunale di Tolmezzo, citazione)[8]. 

A ben guardare, inoltre, il Legislatore nel testo dell’articolo 9, comma 5 parla, avendo cura di precisarlo, di “finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo” (ex multis, Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione; Tribunale di Milano, 2 Luglio 2014, citazione; Tribunale di Tolmezzo, 27 Febbraio 2013 citazione; Cassazione, 2 Marzo 2012, numero 3335). Tale espressione è stata specificata dal Tribunale di Milano, il quale nel decreto del 2.7.2014 ha ritenuto che per “finanziamento possono intendersi esclusivamente le erogazioni dirette di denaro, escludendosi tutte le altre tipologie di intervento (anche se rientranti nella previsione ex articolo 7 del Decreto Legislativo numero 123/98) tra cui le prestazioni di garanzia” (si vedano Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione; Tribunale di Milano, 2 Luglio 2014, citazione).

Successivamente, anche il Tribunale di Pistoia con pronuncia del 21.5.2015 ha sostenuto l’orientamento interpretativo adottato dal Tribunale meneghino precisando altresì che “se il legislatore avesse voluto estendere il privilegio anche ad altre tipologie di interventi di sostegno alle imprese avrebbe fatto genericamente riferimento ai «benefici» di cui agli articoli 1 e 2 del Decreto Legislativo 123/98” (così, Tribunale di Pistoia, 21 Maggio 2015, citazione; in senso analogo si veda anche Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione; Tribunale di Milano, 2 Luglio 2014, citazione).

Oltre a questi due motivi, ciò che però fa definitivamente propendere per un’interpretazione restrittiva dell’articolo 9, comma 5 risiede nell’ulteriore argomentazione secondo cui riconoscere una tutela privilegiata al credito del Fondo di garanzia per le PMI determinerebbe inevitabilmente un immotivato squilibrio tra la tutela accordata al Fondo e quella di cui invece avrebbe potuto beneficiare il creditore originario.

Permettere l’operare di un simile meccanismo, stante ciò che si è detto in precedenza sulla costruzione letterale del comma quinto dell’articolo 9 e senza un’espressa previsione legislativa, significherebbe non solo violare l’articolo 1203 Codice Civile, ma anche – e senza alcun dubbio – i principi della par condicio creditorum (articolo 2741 Codice Civile) e quello secondo cui il privilegio non può che accordarsi in ragione della (sola) causa del credito (articolo 2745 Codice Civile) (cfr. Tribunale di Milano, 22 Febbraio 2018, citazione; Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione; Tribunale di Pistoia, 21 Maggio 2015, citazione; Tribunale di Milano, 2 Luglio 2014, citazione). Invero, far sì che il surrogante potesse beneficiare di una tutela poziore rispetto al titolo di creditore chirografario del finanziatore surrogato comporterebbe la necessità di giustificare tale effetto intendendo la causa del credito come causa (necessariamente) proteiforme.

Di fatto, però, essa non muta in seguito all’escussione della garanzia visto che da ciò si genera solamente una modificazione soggettiva dal lato attivo dell’obbligazione e nulla più.

Rebus sic stantibus, assai impervia appare agli occhi del giurista sensato la strada capace di condurre ad un’interpretazione estensiva della norma de quo permettendo, a contrariis, di poter affermare l’assoluto buon senso di chi propende per una visione rigorosamente restrittiva.

 

5. Il più recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, Sezione I, 29 Gennaio 2019, numero 2664 - Presidente Di Virgilio, Relatore Dolmetta)

Sul tema che ci occupa è intervenuta molto recentemente la Corte di Cassazione che con sentenza numero 2664 del 29 Gennaio 2019 ha stabilito che, ai fini del riconoscimento del privilegio previsto dall’articolo 9, comma 5, Decreto Legislativo numero 123/98, nell’alveo del termine “finanziamenti” di cui al medesimo articolo deve essere ricompresa la totalità degli interventi di cui al precedente articolo 7, comma 1 e, dunque, anche la concessione di garanzia

Nel silenzio della legge sul perimetro applicativo del lemma “finanziamenti”, la Suprema Corte ha ricostruito sistematicamente la portata del termine de quo rilevando che ad esso sono riconducibili, insieme ad operazioni di mutuo e di erogazione diretta di denaro, anche attività di rilascio di garanzie e di impegni di firma (articolo 1, comma 2, lettera f) e 47 T.U.B.); strutture negoziali di stampo partecipativo e operazioni di finanza strutturata (articolo 2447-decies Codice Civile); operazioni di acquisto di crediti a titolo oneroso, di apertura di credito documentaria, di avallo e di girata (articolo 106 T.U.B.).

La Corte ha poi rilevato che la formulazione di cui all’articolo 9, comma 5, discorrendo di “finanziamento” in senso generico e non in un’accezione specifica, è oggettivamente più ampia di quella di cui all’articolo 7, comma 1, che fa, invece, riferimento al finanziamento agevolato. Secondo la Cassazione, dunque, il Decreto Legislativo numero 123/98 muove da un richiamo atipico di species a uno di genus, non intendendo limitare gli interventi protetti del privilegio ad una singola tipologia di operazione.

In particolare, con riferimento alle concessioni di garanzia, la Corte ha specificato che la diversità strutturale tra le concessioni di garanzia e le concessioni dirette di denaro non comporta ricadute applicative di particolare rilevanza dal momento che l’assunzione di un impegno diretto da parte del garante nei confronti del terzo viene a determinare una posizione di rischio omologa a quella della consegna diretta di una somma di denaro nelle mani del mutuatario.

Altresì, non costituisce un ostacolo al riconoscimento del privilegio ex articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo numero 123/1998 il fatto che di tale privilegio non beneficia il creditore che ha erogato il mutuo e che è avvantaggiato dalla garanzia. Solo quest’ultima, infatti, insieme alle altre forme di intervento di cui all’articolo 7, comma 1 del Decreto Legislativo numero 123/98, in quanto aventi la propria causa nel sostegno pubblico delle attività produttive, costituiscono una ragione di credito portatrice di interessi particolarmente meritevoli di tutela e protezione[9].

 

6. Le ragioni di non condivisibilità dell’orientamento adottato dalla Cassazione con sentenza numero 2664 del 29.1.2019

Il summenzionato intervento della Cassazione, sebbene tranchant, non appare in alcun modo condivisibile. 

Invero, il Decreto Legislativo numero 123/1998 individua i principi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive effettuati dalle amministrazioni pubbliche; interventi che secondo l’articolo 7 possono consistere “in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale, secondo i criteri e le procedure previsti dall'articolo 1 del decreto-legge 23 giugno 1995, numero 244, convertito, con modificazioni dalla legge 8  agosto  1995, numero 341, concessione di  garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato”.

Dunque, la “concessione di garanzia” costituisce, al pari dei “finanziamenti”, una delle “forme” per attuare le attività di sostegno pubblico oggetto della normativa, attività che il Legislatore del 1998 raggruppa nell’ambito della categoria generale di “interventi” o “benefici”.

Il successivo articolo 9 disciplina, invece, la “revoca” dei suddetti benefici e la misura delle restituzioni in conseguenza della revoca, prevedendo i casi in cui opera il privilegio. 

In particolare, la revoca dei benefici è prevista: 
(i) in caso di “assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili” (comma 1); 
(ii) nel caso in cui “i beni acquistati con l’intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all’intervento” (comma 3); 
(iii) nel caso di “azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria” (comma 4). In particolare, il comma 5 dell’articolo 9 dispone che “per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi. […]”.

Alla luce della breve analisi della normativa de qua, sussistono molteplici argomentazioni – oltre a quelle di cui si è già fatta menzione nel § 4 - per escludere la natura asseritamente “privilegiata” del credito vantato dal Fondo per le PMI in dipendenza della surrogazione nei diritti del soggetto finanziatore. 

Anzitutto, va considerato che la sussistenza o meno della natura privilegiata del credito va valutata tenendo conto del principio di tassatività dei privilegi così come delineato dalla Corte di Cassazione, secondo la quale le norme che stabiliscono privilegi in favore di determinati crediti costituiscono norme eccezionali e non sono suscettibili di interpretazione analogica, ma solo di interpretazione estensiva (cfr. Cassazione, SS.UU., 6 Maggio 1993, numero 5246 e Cassazione, SS.UU., 17 Maggio 2010, numero 11930).

Nel caso di specie, in virtù di un’interpretazione letterale e sistematica della normativa in questione, il privilegio di cui all’articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo numero 123/98, troverà applicazione esclusivamente in relazione ai crediti derivanti da “finanziamenti erogati” e poi “revocati nelle ipotesi espressamente previste dalla norma, vale a dire per le restituzioni conseguenti alla revoca degli interventi di sostegno ai sensi del comma 3 o comunque per azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria.

In altri termini, il riferimento contenuto nell’articolo 9, comma 5 ai “finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo” deve essere interpretato come operante soltanto nelle ipotesi di erogazioni dirette di denaro e non di rilascio di garanzie (cfr. Cassazione, 2 Marzo 2012, numero 3325 e Tribunale di Pistoia, 21 Maggio 2015, citazione).

Peraltro, anche a non voler considerare che il privilegio invocato è istituito da una norma di settore e non dal codice civile, l’articolo 9, comma 5 non è comunque suscettibile di una interpretazione diversa da quella restrittiva qui prospettata, né tenendo conto dell’intenzione del Legislatore né della causa del credito.

Infatti, l’espressione letterale utilizzata nella norma “finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo” è ben diversa da quella contenuta nell’articolo 7, comma 1, laddove si parla di “benefici” che possono consistere anche in una “concessione di garanzia”. Se il Legislatore avesse voluto estendere il privilegio anche ad altre tipologie di intervento di sostegno alle imprese avrebbe fatto genericamente riferimento ai benefici previsti dagli articoli 1 e 2 del Decreto Legislativo numero 123/1998, anziché ai “finanziamenti erogati”.

Al riguardo, la giurisprudenza di merito ha precisato che “se il legislatore avesse voluto estenderlo [il privilegio, n.d.r.] anche ad altre tipologie di intervento di sostegno alle imprese avrebbe fatto genericamente riferimento ai “benefici” di cui agli articoli 1 e 2 del decreto” (così Tribunale di Pistoia, 21 Maggio 2015, citazione), considerato che per “«finanziamento» possono intendersi, oltre alle erogazioni finanziarie a titolo di mutuo, anche tutte le contribuzioni dirette di denaro in favore del soggetto beneficiario (quali i contributi in conto capitale e i contributi in conto interessi di cui all’articolo 7 del Decreto Legislativo 123/98, ma non le garanzie” prestate a favore del soggetto finanziatore (così Tribunale di Milano, 2.7.2014, citazione). 

Tale ricostruzione è conforme, oltre che al principio di tassatività dei privilegi ex articolo 2745 Codice Civile e, quindi, di eccezionalità delle norme che li prevedono, anche ai principi generali in tema di surrogazione e di par condicio creditorum (cfr. Cassazione, 5 Marzo 2009, numero 5297), ma sul punto si tornerà infra.

Parimenti, una recente sentenza del Tribunale di Roma (ci si riferisce a Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione) ha evidenziato che: “la legge in discussione quando ha voluto riferirsi a tutte le possibili attività di sostegno pubblico le ha puntualmente indicate in modo omnicomprensivo con il termine “benefici” o “interventi”, mentre quando ha voluto sottolineare la diversità delle diverse forme di sostegno le ha specificamente indicate con la propria peculiare denominazione.

Invero, non può sottovalutarsi la circostanza che nella disposizione in esame, al momento di prevedere il privilegio in discussione il Legislatore non ha utilizzato il termine omnicomprensivo “benefici” ovvero “interventi”, ma abbia limitato la previsione ai soli “crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo”.

Va rilevato, quindi, che se per “finanziamenti” possono estensivamente intendersi (oltre che alle erogazioni finanziarie a titolo di mutuo) tutte le contribuzioni dirette in denaro in favore del soggetto beneficiario, quali (per rimanere alle fattispecie di beneficio previste dall’articolo 7) i contributi in conto capitale e i contributi in conto interessi, resta comunque esclusa la diversa fattispecie della garanzia prestata a favore del soggetto finanziatore (che comporta un concreto esborso solo in caso di inadempimento dell’impresa agli obblighi restitutori assunti nei confronti dei terzi finanziatori).

Pertanto, dovendosi ritenere che il legislatore avesse ben chiaro il rapporto di genus a species intercorrente tra la categoria generale dei “benefici” o “interventi” e le diverse “forme” di sostegno pubblico (per esempio nello stesso articolo 9, comma tre, quando disciplina la misura dei tassi applicabili in caso di obbligo restitutorio in conseguenza della revoca del beneficio, la norma fa ancora una volta riferimento generico alla restituzione “dell’intervento” proprio per ricomprendere il caso di revoca di qualsiasi tipo di aiuto pubblico), ove avesse voluto attribuire il privilegio a tutti i tipi di “interventi” possibili, e quindi anche ai crediti derivanti dall’obbligo di restituzione di interventi diversi dai “finanziamenti”, avrebbe evitato di fare riferimento espresso solo a quest’ultima forma di beneficio.

Conseguentemente il riferimento contenuto nel quinto comma dell’articolo 9 ai “finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo” deve essere inteso come circoscritto alle sole ipotesi di erogazioni dirette di denaro all’impresa beneficiaria.

Né si ritiene che il significato dell’espressione “finanziamenti” indicata nella normativa in oggetto possa essere desunta facendo riferimento ad altre normative”.
Compresi, dunque, i motivi per cui il più recente orientamento di legittimità circa la tematica in esame non pare condivisibile e ribadita, di conseguenza, la necessarietà di un’impostazione restrittiva al problema che ci occupa, proseguiamo oltre.

 

7. La novella legislativa di cui all’articolo 8-bis, comma 3: norma di interpretazione autentica o semplice regola innovativa? 

Chiarito, dunque, il limen, nonché l’effettiva portata della regula iuris di cui si è sin qui discorso, va dato atto che nel 2015 è intervenuto, prima il Decreto Legislativo numero 3/2015 e, successivamente, la legge di conversione con modifiche numero 33/2015 che ha novellato, con conseguenti problematiche interpretative la disciplina sul tema in oggetto.

La nuova regola di cui all’articolo 8-bis, comma 3 della predetta legge è parsa sin da subito un evidente tentativo del conditor legis di superare l’impasse generatosi dalla propensione della dottrina e della giurisprudenza maggioritaria verso un approccio nettamente restrittivo circa l’applicazione del privilegio di cui all’articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo numero 123/98 (si richiama quanto detto ai § 4 e 6).

La disposizione normativa in esame ha permesso, infatti, l’accesso del credito del Fondo di garanzia ad una tutela privilegiata eliminando ogni riferimento testuale rispetto alla dinamica che sta a monte della ripetizione; in altri termini, la norma dell’articolo 8-bis, a differenza di quanto previsto dall’articolo 9, comma 5 in cui il riconoscimento della natura privilegiata del credito può avvenire solo a condizione che si tratti di un finanziamento in denaro successivamente revocato, riconosce al credito del Fondo di garanzia lo status di credito privilegiato semplicemente in forza del fatto che si tratti di un credito facente capo alla titolarità del Fondo stesso e, dunque, di natura pubblica.

Avendo, dunque, il Legislatore operato una estensione generale (e generalizzata) circa le ipotesi in cui il credito del Fondo può acquisire ex post natura privilegiata, ne consegue che in tutti i casi in cui venga escussa la garanzia da parte del finanziatore a causa dell’inadempimento del debitore garantito, il Fondo, surrogatosi nei diritti del primo, potrà ottenere in via privilegiata la restituzione delle somme liquidate a titolo di garanzia.

Come già detto, la novella in esame è stata guardata sin da subito con diffidenza in quanto pone all’attenzione del giurista e dello studioso almeno due interrogativi. 
Il primo di essi consiste nel comprendere la portata applicativa della nuova norma
; si tratta cioè di capire se essa sia mera regola innovativa idonea a produrre effetti solo pro futuro, ovvero se sia, invece, norma di interpretazione autentica rispetto alla lettera dell’articolo 9, comma 5 e come tale dotata di efficacia ex tunc.

Un primo orientamento giurisprudenziale, affermatosi già a partire dal 2015, sembra proprio deporre in quest’ultimo senso (cfr. Tribunale di Monza, 16 Novembre 2017, citazione; Tribunale di Ravenna, 10 Novembre 2016, citazione; Tribunale di Como, 28 Settembre 2016, citazione). 

Tale orientamento, a parere di chi sta scrivendo, desta perplessità per un duplice ordine di ragioni. 

In via preliminare, pare difficile ritenere la norma di cui all’articolo 8-bis, comma 3 norma di interpretazione autentica visto che secondo la communis opinio due sono requisiti che necessariamente devono essere soddisfatti affinché sia possibile affermare il carattere interpretativo di una norma. Secondo l’elaborazione giuridica più accreditata (cfr. ex multis, Corte Costituzionale 22 Novembre, 2000, numero 525; Cassazione, SS.UU., 20 Marzo 2015, numero 5685), tali requisiti (essenziali) consistono nell’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa un precetto antecedente e nell’espressa previsione del carattere di interpretazione autentica. Elemento quest’ultimo che, nel caso di specie, difetta in maniera palese.

In secondo luogo, anche ponendo la sussistenza di entrambi i requisiti, i problemi riscontrati nel paragrafo precedente relativi alla struttura e agli effetti della disciplina individuata non sembrano essere stati risolti, ma piuttosto solamente oscurati.

La tesi dell’interpretazione autentica non sembra pertanto convincere.

Nello stesso senso sembra andare formandosi un nuovo filone giurisprudenziale capeggiato dal Tribunale di Milano (Tribunale di Milano, 22 Febbraio 2018, citazione; nello stesso senso anche Tribunale di Roma, 2 Marzo 2017, citazione). 

Il Giudice milanese, infatti, a supporto della natura non interpretativa dell’articolo 8-bis, comma 3, ha riscontrato che alcuna necessità di una norma di interpretazione autentica sussisteva prima del 2015, visto che l’interpretazione da attribuirsi all’articolo 9, comma 5 era pacifica in giurisprudenza e conforme all’atteggiamento restrittivo che sin qui si è andati sostenendo.

Peraltro, l’entrata in vigore nell’ordinamento dell’articolo 8-bis, comma 3 ha creato una ulteriore impasse di diritto intertemporale

In quanto norma di ius superveniens ci si è chiesti, infatti, se la disciplina da esso dettata fosse solo regola innovativa, oppure se avesse efficacia retroattiva essendo quindi idonea ad essere applicata direttamente ai contenziosi già pendenti. La risposta, stante l’assenza di un orientamento pacifico dei giudici di merito sulla questione relativa alla natura (interpretativa) della norma, dipende inevitabilmente dalla posizione soggettiva che si intende assumere.

Con l’intento di non lasciare la risposta al mero arbitrio del lettore, pare utile effettuare alcune precisazioni.

Inizialmente, va sottolineato l’intervento chiarificatore compiuto recentemente dalla pronuncia numero 176 del 13 Luglio 2017[10], con la quale la Corte Costituzionale ha espressamente affermato che le disposizioni che introducono nuovi privilegi non possono avere carattere retroattivo

La sentenza, confermando un orientamento consolidato da tempo nella giurisprudenza della Corte (si veda quanto indicato sub nota [12]), è intervenuta a breve distanza dall’approvazione della Legge introduttiva del nuovo privilegio e si è pronunciata precisamente sul punto di diritto caratterizzante lo ius controversum che sin qui ci ha impegnato. Argomento questo di per sé affatto decisivo, ma certamente non trascurabile vista la cadenza temporale con cui il Giudice Costituzionale è intervenuto. 

In secondo luogo, non può non menzionarsi il fatto che l’ordinamento italiano conosca una norma di principio di fondamentale valore come è l’articolo 11, comma primo delle Preleggi

Tale principio, poiché privo di rango costituzionale, può certamente essere derogato dal Legislatore, il quale, quindi, promulgare una norma anche con effetti rivolti al passato o a partire da un determinato momento nel passato. 

Di fatto però, la Corte Costituzionale ha precisato che tale scelta per essere legittima deve trovare la sua ragion d’essere nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (cfr. Corte Costituzionale 26 Gennaio 2012, numero 15; sul punto si veda anche Corte Costituzionale 17 Dicembre 1985, numero 349). 

Anche sotto questo profilo, la propensione verso un’interpretazione di tipo restrittivo appare la più consona per un approccio corretto al problema. La norma di cui all’articolo 8-bis, comma 3, infatti, non pare fondarsi su un’esigenza così rilevante da poter giustificare la retroattività nell’attribuzione del privilegio al credito (“divenuto” - senza alcuna ragione - di natura pubblica) del Fondo di garanzia per le PMI. 

In verità, la ratio sottesa all’attribuzione del privilegio al credito del Fondo va ravvisata nell’(evidente) interesse dello Stato, quale garante di ultima istanza, nonché quale finanziatore del patrimonio del Fondo, di evitare il concorso con altri creditori – in particolare nell’ipotesi del fallimento dell’imprenditore finanziato – al fine di permettere che i crediti del Fondo stesso vengano soddisfatti interamente, evitando così una perdita di denaro pubblico. In questi termini, dunque, la mera finalità economico-finanziaria della norma non pare idonea a giustificarne la portata retroattiva.

Ad abundantiam, va altresì precisato che la prospettata retroattività della norma ex articolo 8-bis, comma 3 viene sostenuta in forza di una propensione (palese, ma espressamente mai dichiarata), verso la tesi processualistica[11] delle norme istitutive di privilegi. Secondo tale tesi la norma attributiva o istitutiva di un privilegio è norma che vive necessariamente in una dimensione processuale: ciò in quanto, essendo il privilegio causa legittima di prelazione, presuppone che per produrre i propri effetti sia necessaria la pendenza di una procedura espropriativa. 

Tale prospettiva ha come corollario che il regime intertemporale delle norme istitutive di un privilegio risulta regolato dal principio di immediata applicabilità da parte del giudice procedente. 

A parere di chi scrive, tuttavia, la teoria processualistica non appare condivisibile. Sebbene, infatti, non si possa negare che il privilegio viva in una prospettiva certamente processuale, è nel mondo sostanziale che esso nasce e affonda le proprie radici. Tale convinzione è incentrata sull’innegabile assunto per cui la norma attributiva di un privilegio non regola aspetti processuali, ma modifica concretamente il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore in forza della causa del credito vantato (cfr. Corte d’App. di Milano, 15 Dicembre 2009, in IlCaso.it).

La deroga ad un principio cardine del sistema di diritto sostanziale e il fatto che il privilegio sia ancorato alla causa del credito non possono non essere intesi come indici ineludibili della natura sostanziale del privilegio stesso: pertanto, la preferenza accordata al creditore privilegiato deve essere determinata e valutata solo in relazione al momento dell’insorgenza del rapporto debito/credito.

Alla luce di quanto sin qui esposto, sembra lecito poter affermare che la novella de quo non è norma di interpretazione autentica e come tale, dunque, non ha capacità retroattive
Da ciò la possibilità di configurare, quindi, un doppio regime di disciplina secondo cui la data di entrata in vigore della legge 33/2015 (26 Marzo) segna la cesura per stabilire se l’eventuale credito del Fondo mantenga natura chirografaria o divenga idoneo ad essere soddisfatto in via preferenziale: se il finanziamento è stato erogato prima di tale data esso resterà chirografario, in caso contrario si tramuterà in credito privilegiato.

 

8. La «specificità» dei beni acquistati grazie al finanziamento garantito dal fondo per le PMI quale causa di riconoscimento di un privilegio di tipo “speciale”

Ebbene, alla luce di tutte le conclusioni sin qui rassegnate, si vuole tentare di proporre – in un prospettiva de iure condendo - un ulteriore spunto di riflessione. In particolare, attesa la conclusione secondo cui il credito del Fondo di garanzia è credito privilegiato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 8-bis, comma 3, Legge numero 33/2015 solo con riferimento ai finanziamenti erogati verso le PMI successivamente al 26 Marzo 2015 e posto che secondo l’opinione maggioritaria la disposizione di cui all’articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo numero 123/98 – e, dunque, (erroneamente) anche l’articolo 8-bis, comma 3 della Legge numero 33/2015, nella sua veste (poco calzante) di norma di interpretazione autentica – è regola che attribuisce un privilegio generale (si veda Tribunale Mantova, 8 Maggio 2012, in IlCaso.it, ove il Giudice lombardo ha motivata la scelta a favore del privilegio generale sostenendo che la norma 
(i) fa salvi i diritti preesistenti dei terzi e ciò si pone in piena analogia con la lettera di cui all’articolo 2747, comma 1, Codice Civile e 
(ii) non si riferisce a beni specificamente individuati. Ad analoga conclusione pervengono anche Tribunale di Treviso, 4 Gennaio 2017, citazione; Tribunale di Roma, 29 Dicembre 2015, citazione; Tribunale di Padova, 12 Novembre 2015, IlCaso.it.), c’è da chiedersi se esso rimanga di tipo generale anche nell’ipotesi in cui il finanziamento richiesto da una PMI sia finalizzato all’acquisto di «beni specifici» espressamente indicati nell’accordo in base al quale il finanziamento garantito viene erogato.

Invero, nell’ipotetico caso di specie, ci si chiede, più precisamente, se il credito privilegiato in capo al Fondo di garanzia sia configurabile come privilegio generale, oppure come privilegio speciale.

Come noto, la differenza tra i due tipi di privilegi previsti dall’ordinamento civilistico riguarda i beni sui quali il privilegio si esercita: quello generale si esercita su tutti i beni mobili del debitore; quello speciale, invece, solo in relazione a “determinati” beni, mobili o immobili, con prevalenza, salvo che la Legge non disponga diversamente, sulle ragioni del creditore ipotecario (per quanto riguarda i beni immobili).

Procediamo però con ordine.

I privilegi trovano la loro ragione d’essere nella causa del credito[12]. Le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, SS.UU., 17 Maggio 2010, numero 11930), anche alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. Corte Costituzionale, 4 Marzo 1992, numero 84; Corte Costituzionale, 23 Febbraio 1996, numero 40; Corte Costituzionale, 6 Aprile 2004, numero 113), hanno stabilito che la causa del credito, ai sensi dell’articolo 2745 Codice Civile, rappresenta la ragione giustificatrice della creazione di qualsiasi privilegio, valendo perciò a determinarne l’ambito oggettivo e soggettivo che viene così ad assumere l’ulteriore ruolo di limite alla portata espansiva delle relative disposizioni.

Pertanto, costituiscono sicuramente ius singulare le norme settoriali istitutive di singoli privilegi, con tutte le conseguenze interpretative connesse, laddove “le norme del codice civile che stabiliscono i privilegi in favore di determinati crediti possono essere oggetto di interpretazione estensiva, la quale costituisce il risultato di un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo esatto ambito di operatività anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale e di identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore e, soprattutto, della causa del credito, che, ai sensi dell’articolo 2745 Codice Civile, rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio” (così, Cassazione, SS.UU., 17 Maggio 2010, numero 11930).

D’altronde, la previsione di una specifica destinazione dei denari mutuati configura una fattispecie speciale e diversa rispetto a quella di cui all’articolo 1813 Codice Civile, in quanto lo scopo andrebbe ad incrementare il profilo causale del contratto stesso. In altre parole, mentre nel contratto di mutuo ex articolo 1813 Codice Civile la causa consiste nel prestito di denaro e nella conseguente restituzione incrementata del valore degli interessi, nel caso del mutuo di scopo il profilo causale potrebbe dirsi integrato solo nel momento in cui venga rispettato lo scopo pattuito.

Nel caso (ipotetico) che ci occupa, il contratto concluso tra la PMI e la Banca è a tutti gli effetti un mutuo di scopo poiché – come detto in apertura di paragrafo – la PMI ha richiesto un finanziamento alla Banca per finalità specifiche espressamente indicate nel contratto di finanziamento.

Trattandosi, quindi, di un mutuo di scopo in cui la causa del contratto è più complessa rispetto a quella di un semplice contratto di mutuo ex articolo 1813 Codice Civile stante l’essenzialità del vincolo di destinazione della somma mutuata nel complessivo panorama negoziale, se ne evince che la causa del credito è proprio l’acquisto dei “beni specifici. 

Da ciò l’ulteriore conseguenza per cui, nell’ipotesi in cui la BDM-MCC, surrogatasi al finanziatore originario per effetto dell’escussione della garanzia prestata, procedesse al recupero del proprio credito contro la PMI inadempiente, potrebbe vantare una causa legittima di prelazione nei confronti degli altri eventuali creditori solo in relazione al ricavato della vendita dei beni specificamente acquistati dalla PMI con i denari provenienti dal finanziamento concessole

Pertanto, nel caso che ci occupa, è da ritenersi che l’affermato privilegio del Fondo per le PMI abbia solo natura di privilegio speciale, con l’evidente conseguenza che laddove il ricavato della vendita dei “beni specifici” fosse insufficiente a soddisfare l’intero credito del Fondo, il credito residuo degraderebbe inevitabilmente al rango di chirografo.

Ragionare diversamente garantirebbe, ancora una volta, al credito del Fondo per le PMI una tutela maggiore rispetto a quella del creditore originario, a tutto discapito degli altri creditori, nonché in evidente contrasto con i principi che permeano il codice civile in materia di privilegi. Peraltro nel caso considerato il fatto che lo scopo sia elemento essenziale del contratto è un particolare di non poco momento che, dunque, non può non essere degnamento considerato ovvero considerato impropriamente all’interno dello schema di funzionamento del mutuo ex articolo 1813 Codice Civile.

Le due possibili soluzioni, come si è può intuire, sono totalmente contrapposte e difficile pare l’individuazione di un tertium capace di contemperarle.

Pertanto, a parere di chi scrive, la soluzione giuridicamente corretta non può che essere la prima e ciò – si ribadisce – perché se il privilegio speciale viene fondato su una caratteristica del finanziamento stesso (lo scopo), esso non ha più ragione di sussistere nel momento in cui ciò che ha realizzato detto fine (l’acquisto dei beni specifici) viene meno (vendita coatta dei beni e ripartizione del ricavato). D’altro canto, tale soluzione conferma, inoltre, la teoria per cui il privilegio ha natura sostanziale e non processuale: se il privilegio viene accordato in forza di una causa specifica tale specificità della causa costituisce il proprium del privilegio stesso, proprium dal quale non si può prescindere.

 

Note

[1] https://www.mise.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa/fondo-di-garanzia-per-le-pmi

[2] Si riporta integralmente l’articolo 2, comma 100, lettera a) della Legge 23 dicembre 1996, numero 662 il quale dispone quanto segue: “Nell'ambito delle risorse di cui al comma 99, escluse quelle derivanti dalla riprogrammazione delle risorse di cui ai commi 96 e 97, il CIPE può destinare:

a) una somma fino ad un massimo di 400 miliardi di lire per il finanziamento di un fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale Spa allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese […]”

[3] L’articolo 15 rubricato “Razionalizzazione dei fondi pubblici di garanzia” dispone che:

1. Al fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, numero 662, sono attribuite, a integrazione delle risorse già destinate in attuazione dello stesso articolo 2, le attività' e le passività del fondo di garanzia di cui all'articolo 20 della legge 12 agosto 1977, numero 675, e successive modificazioni, e del fondo di garanzia di cui all'articolo 7 della legge 10 ottobre 1975, numero 517, e successive modificazioni, nonché' un importo pari a 50 miliardi di lire a valere sulle risorse destinate a favore dei consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi ai sensi dell'articolo 2 del decreto legge 20 maggio 1993, numero 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, numero 237.

2. La garanzia del fondo di cui al comma 1 del presente articolo può essere concessa alle banche, agli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, numero 385, e successive modificazioni, e alle società finanziarie per l'innovazione e lo sviluppo iscritte all'albo di cui all'articolo 2, comma 3, della legge 5 ottobre 1991, numero 317, a fronte di finanziamenti a piccole e medie imprese, ivi compresa la locazione finanziaria, e di partecipazioni temporanee e di minoranza, al capitale delle piccole e medie imprese. La garanzia del fondo e' estesa a quella prestata dai fondi di garanzia gestiti dai consorzi di garanzia collettiva fidi di cui all'articolo 155, comma 4, del citato decreto legislativo numero 385 del 1993 e dagli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del medesimo decreto legislativo.

3. I criteri e le modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del fondo nonché' le eventuali riserve di fondi a favore di determinati settori o tipologie di operazioni sono regolati con decreto del ministro dell'Industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il ministro del Tesoro, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Apposita convenzione verrà stipulata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, tra il ministero dell'Industria, del commercio e dell'artigianato e il Mediocredito centrale, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, del decreto legislativo 1 settembre 1993, numero 385. La convenzione prevede un distinto organo, competente a deliberare in materia, nel quale sono nominati anche un rappresentante delle banche e uno per ciascuna delle organizzazioni rappresentative a livello nazionale delle piccole e medie imprese industriali e commerciali. […]”.

[4] La garanzia diretta è disciplinata come segue dall’articolo 2 del Decreto Ministeriale 20 Giugno 2005, numero 18456:

“1. La garanzia diretta è concessa alle banche iscritte all'albo di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 1° settembre 1993, numero 385, agli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del medesimo decreto legislativo numero 385 ed alle Società finanziarie per l'innovazione e lo sviluppo (SFIS) di cui all'articolo 2, comma 3, della legge 5 ottobre 1991, numero 317.

2. La garanzia è esplicita, incondizionata ed irrevocabile ed è concessa nella misura massima variabile, ai sensi della normativa vigente, tra il 60% e l'80% di ciascuna operazione finanziaria. Nei limiti della copertura massima di ciascuna operazione, la garanzia diretta copre in misura variabile tra il 60% e l'80% dell'importo dell'esposizione dei soggetti richiedenti nei confronti delle piccole e medie imprese.

3. La garanzia è inoltre diretta, nel senso che si rivolge ad una singola esposizione.

4. In caso di inadempimento delle piccole e medie imprese, i soggetti richiedenti possono rivalersi sul Fondo per gli importi da esso garantiti, anziché' continuare a perseguire il debitore principale. Ai sensi dell'articolo 1203 del codice civile, nell'effettuare il pagamento, il Fondo acquisisce il diritto a rivalersi sulle piccole e medie imprese inadempienti per le somme da esso pagate. Nello svolgimento delle procedure di recupero del credito per conto del Fondo di gestione applica, così come previsto dall'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, numero 123, la procedura esattoriale di cui all'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, numero 43, così come sostituita dall'articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, numero 46.

[5] La controgaranzia risulta disciplinata dall’articolo 3 del Decreto Ministeriale 20 Giugno 2005, numero 18456 che prevede:

“1. La controgaranzia é concessa ai consorzi di garanzia collettiva fidi di cui all'articolo 13 del decreto-legge 30 settembre 2003, numero 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, 326, di seguito confidi, ed ai fondi di garanzia gestiti da intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, numero 385, di seguito altri fondi di garanzia.

 2. Nella sola fattispecie in cui la garanzia dei Confidi o degli altri Fondi di garanzia sia stata concessa con i requisiti operativi della garanzia diretta sull'esposizione di cui all'articolo 2, commi 2 e 3, del presente decreto, la controgaranzia è escutibile, in caso di inadempimento delle piccole e medie imprese, a semplice richiesta dei confidi e degli altri fondi di garanzia ammessi all'intervento che abbiano pagato il creditore garantito.

 3. Nel caso in cui, a seguito dell'inadempimento delle piccole e medie imprese, i confidi o gli altri fondi di garanzia ammessi all'intervento del Fondo non abbiano effettuato il pagamento in garanzia ai soggetti finanziatori, la controgaranzia e' escutibile direttamente dai soggetti finanziatori. Ai sensi dell'articolo 1203 del codice civile, a seguito della liquidazione della perdita al soggetto finanziatore, il Fondo acquisisce il diritto a rivalersi sulle piccole e medie imprese inadempienti per le somme da esso pagate. Nello svolgimento delle procedure di recupero del credito per conto del Fondo il gestore applica, così come previsto dall'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, numero 123, la procedura esattoriale di cui all'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, numero 43, così come sostituita dall'articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, numero 46.

4. Qualora la garanzia dei confidi o degli altri fondi di garanzia non sia stata concessa con i requisiti operativi della garanzia diretta sull'esposizione di cui all'articolo 2, commi 2 e 3, del presente decreto, rimangono ferme le previsioni di cui al decreto ministeriale 31 maggio 1999, numero 248 e successive integrazioni e modificazioni.”

[6] Con riferimento alla sentenza del Tribunale di Pistoia si veda anche la nota di Mancini e Stanghellini, L’ambito di applicazione del privilegio di cui all’articolo 9, comma 5 del Decreto Legislativo 123/98: le garanzie rilasciate da Sace S.p.a., in IlCaso.it e [banca dati] Leggi d’Italia.

[7] Contrarie rispetto alle pronunce appena citate e, dunque, favorevoli al riconoscimento del privilegio sono invece i provvedimenti del Tribunale Monza, 10 Novembre 2017, in IlCaso.it; Tribunale di Treviso, 4 Gennaio 2017, in IlCaso.it; Tribunale di Ravenna, 10 Novembre 2016, in IlCaso.it; Tribunale di Como, 28 Settembre 2016, in IlCaso.it; Tribunale Roma, 29 Dicembre 2015, in IlCaso.it; Tribunale di Mantova, 8 Maggio 2012, in IlCaso.it. Per lo studio di alcuni profili in tema di privilegi si vedano anche le pronunce di legittimità Cassazione, 24 Agosto 2015, numero 17111; Cassazione, 2 Marzo 2012, numero 3335.

[8] Va precisato che contrariamente all’impostazione più rigorosa resiste una posizione minoritaria: si vedano, ex multis, Tribunale di Treviso, 4 Gennaio 2017, in DeJure; Tribunale di Roma, 29 Dicembre 2015, in DeJure, secondo cui il credito da restituzione godrebbe del privilegio ex articolo 9, comma 5 “sia in caso di risoluzione del contratto verificatasi ai sensi dell’articolo 1456 Codice Civile sia in caso di revoca del finanziamento, in considerazione della natura sostanzialmente equivalente del credito di restituzione”, poiché in entrambe le ipotesi la causa del credito “è quella della restituzione allo Stato del denaro che, tramite i soggetti abilitati, viene dato agli imprenditori per finalità pubbliche precisate” nel decreto legislativo in esame.

[9] Nello stesso senso anche Bolognese, Finanziamento agevolato: la concessione di garanzia rientra tra i crediti privilegiati (commento a sentenza), in DirittoBancario.it.

[10] Il principio espresso dalla citata pronuncia era già stato sostenuto da altre precedenti sentenze del giudice costituzionale, si vedano, ex multis, Corte Costituzionale., numeri 291/2003; 347/2002; 419/2000; 416/9199; 229/1999; 432/1997.

[11] Per l’analisi della teoria processualistica in tema di privilegi si leggano ex multis TUCCI, voce «Privilegi» 1) Diritto Civile, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 2000; PATTI, I Privilegi, Milano, 2003; M. DE CRISTOFARO, Sul regime intertemporale della modifica legislativa all’articolo 2751-bis, numero 2, Codice Civile relativa al riconoscimento del privilegio sugli accessori del credito professionale, in IlCaso.it.

[12] Sul punto si legga il classico ANDRIOLI, Dei privilegi, in Comm. Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1958, sub articolo 2745, p. 61.