La società a responsabilità limitata: l’evoluzione della sua fisionomia

Matera
Ph. Maria Cristina Sica / Matera

Abstract:

Dal 2012, numerosi interventi legislativi hanno inciso sulla fisionomia della società a responsabilità limitata, che risulta oggi mutata tanto sul piano finanziario quanto su quello organizzativo-corporativo rispetto al tipo legale costruito dalla riforma del diritto societario del 2003. La legge ha, infatti, introdotto deroghe alla disciplina codicistica per agevolare varianti organizzative della S.r.l.: start-up innovative, piccole -medie imprese (PMI) innovative e S.r.l. PMI non innovative.

A partire dal 2012, numerosi interventi legislativi hanno, a più riprese, inciso sulla fisionomia del modello societario capitalistico maggiormente diffuso in Italia, la società a responsabilità limitata, la cui struttura risulta oggi profondamente mutata tanto sul piano finanziario quanto su quello organizzativo-corporativo, specialmente se rapportata al tipo legale costruito dalla riforma del diritto societario del 2003 (decreto legislativo n. 6/2003).

Indubbiamente, per comprendere l’evoluzione e la crescita esponenziale della S.r.l. nel nostro Paese, non può prescindersi da un breve excursus storico che analizzi dapprima il modello-base del tipo societario a responsabilità limitata per poi discorrere delle tre “varianti” organizzative (o “sub-tipi”, come definiti dalla dottrina) introdotte dal legislatore nell’ultimo decennio: (i) le S.r.l. start-up innovative (ii) le S.r.l. piccole e medie imprese (PMI) innovative; (iii) le S.r.l. PMI non innovative.

Solo richiamando la disciplina codicistica è, infatti, possibile comprendere la vera e propria rivoluzione che ha investito la tradizionale struttura della S.r.l. e ha condotto la medesima verso una novità senza precedenti: l’apertura della S.r.l. al mercato del pubblico risparmio. Novità che, peraltro, ha determinato un sensibile avvicinamento tra il modello a responsabilità limitata e quello azionario tanto a struttura finanziaria, quanto ad assetti partecipativi e architettura di governance.

Analizzando per gradi l’evoluzione del tipo societario in esame, si ricordi come la tradizionale S.r.l. di diritto comune, la cui disciplina codicistica è stata riscritta dalla riforma del diritto societario del 2003, per le caratteristiche tipologiche che la connotano, si differenzia in modo netto dalla società per azioni. Infatti, sebbene rientri nel novero delle società capitalistiche, tale modello organizzativo è fortemente caratterizzato dall’intuitu personae dei singoli soci e da una spiccata autonomia statutaria.

Nello specifico, agli albori del nuovo millennio, il legislatore aveva inteso plasmare un tipo societario che, a differenza di quello azionario, più si attagliasse e fosse congeniale alle piccole e medie realtà imprenditoriali italiane, fondandone l’efficiente funzionamento della struttura sulle relazioni fiduciarie nonché sull’affinità dei pochi soci componenti la compagine sociale con l’effettivo esercizio d’impresa.

Per questa ragione, si è dato vita ad un tipo societario caratterizzato da un vero e proprio sistema di “pesi e contrappesi”, finalizzato ad un duplice scopo: da un lato, fornire adeguati strumenti di agevolazione, controllo ed informazione ai soci e, contemporaneamente, strumenti di tutela e di garanzia ai creditori. Dall’altro lato, rispettare rigide limitazioni normative attinenti, inter alia, ad una totale chiusura del suo capitale sociale al pubblico dei risparmiatori, cioè dal divieto alla s.r.l. di offrire le proprie quote e da una limitazione della loro circolazione e, quindi, da una ristretta compagine sociale.

Tuttavia, a seguito della crisi esplosa nella prima decade degli anni 2000, che ha duramente colpito il sistema economico nazionale e internazionale, il legislatore è intervenuto sul modello della S.r.l. proprio in considerazione del notevole successo che tale forma organizzativa ha riscosso nel panorama imprenditoriale italiano, allo scopo di creare un assetto normativo propizio allo sviluppo di nuove imprese e di tecnologie innovative e, al contempo, di favorire l’impiego, soprattutto giovanile.

Per questo, nell’arco di cinque anni, è stato intrapreso un vero e proprio processo normativo di scomposizione e ricomposizione della S.r.l. in differenti varianti organizzative, quali S.r.l. start-up innovative, S.r.l. piccole e PMI innovative e S.r.l. PMI non innovative, che hanno scosso nelle sue fondamenta il rigido regime codicistico, comportando un mutamento dell’assetto endosocietario del tradizionale tipo societario a responsabilità limitata, caratterizzato ora – alla presenza di determinate condizioni – non più da un accentuato intuitu personae, bensì da un intuitu rei che ne ha modificato le regole di governance.

La distinzione tra queste varianti organizzative, la cui forma societaria prediletta è proprio quella a responsabilità limitata, dipende sostanzialmente dal ricorrere di specifici requisiti o talune peculiarità che attengono al tempo di avvio della società, alla tipologia di attività svolta nonché la dimensione dell’impresa in termini di termini di numero di occupati nell’organico e di fatturato (o totale di bilancio).

Procedendo in ordine cronologico, le start-up innovative, introdotte dal Decreto Sviluppo bis (decreto-legge n. 179/2012, anche detto “Decreto Crescita 2.0”) sono qualificate come tali al ricorrere di tutti e tre gli anzidetti requisiti, essendo infatti delle società che hanno iniziato la propria attività da un tempo pressoché breve e limitato (sessanta mesi); svolgono un’attività innovativa ad alto valore tecnologico; non superano una determinata soglia dimensionale in termini di numero di occupati nell’organico e di fatturato (o totale di bilancio).

Le S.r.l. piccole e medie imprese (PMI) innovative, disciplinate dal c.d. Decreto Investment Compact (decreto-legge n. 3/2015), avendo già superato l’iniziale fase di start-up, sono definite tali quando, invece, integrino i soli requisiti dimensionali fissati per le PMI dalla normativa europea (Regolamento della Commissione Europea n. 361 del 2003) e quelli inerenti alla specifica tipologia di attività d’impresa svolta.

Infine, ad esse si sono affiancate, con il decreto-legge n. 50/2017, le S.r.l. PMI non innovative che, pur non esercitando un’attività a carattere innovativo, soddisfano le soglie dimensionali quanto a numero di occupati e di fatturato o di totale di bilancio annuo sancite dalla normativa europea sulle piccole e medie imprese.

E proprio a tali varianti organizzative, il Decreto Sviluppo bis (decreto-legge n. 179/2012) ha dedicato uno statuto normativo di agevolazione, approntato sotto forma di eccezione o deroga al regime codicistico (art. 26, commi dal 2 al 6), originariamente fruibile dalle sole imprese innovative, start-up e PMI, ma successivamente esteso ad una più ampia platea di destinatari dal decreto-legge n. 50/2017.

Oggi, infatti, tutte le S.r.l. che, a prescindere dal loro carattere innovativo, soddisfano i criteri dimensionali della piccola e media impresa possono facoltativamente avvalersi delle deroghe al diritto societario.

Tali deroghe, quando facoltativamente apposte allo statuto societario di S.r.l. PMI, non solo esentano la società dai tradizionali vincoli imposti dal regime codicistico, ma soprattutto risultano funzionali all’apertura della società stessa alla raccolta di capitali di rischio, rendendola così una S.r.l. suscettibile di offrire le proprie quote al pubblico dei risparmiatori e di essere caratterizzata da una compagine sociale potenzialmente allargata, nella quale convivano soci-imprenditori e soci meramente investitori, interessati anche solo al profitto economico e non alla governance della società.  

La prima deroga, definita al comma 2 dell’articolo 26, decreto-legge n. 179/2012, permette alle S.r.l. PMI di creare categorie di quote standardizzate e non standardizzate, suscettibili di essere offerte al pubblico dei risparmiatori e fornite di diversi diritti: tale emissione può avvenire in deroga all’articolo 2468, comma 3, c.c. che, invece, nel più rigido regime ordinario della S.r.l. ordinaria, permette l’attribuzione a singoli soci di diritti particolari inerenti all’amministrazione della società o alla distribuzione degli utili.

Strettamente collegata alla prima, è l’esenzione definita al comma successivo che permette, infatti, la creazione di categorie di quote fornite di diritti (diversi) che vadano a limitare o addirittura ad escludere il diritto di voto normalmente riconosciuto ai soci di s.r.l., in deroga al principio di proporzionalità del voto rispetto alla quota di partecipazione posseduta (articolo 2479, comma 5, c.c.). A tal proposito, nel silenzio della legge, dottrina e prassi notarile concordano nel senso di legittimare qualsiasi meccanismo di assegnazione e modulazione, sia in melius che in peius, del diritto di voto riconosciuto ai soci di categoria, ammettendone tanto un potenziamento quanto un depotenziamento.

La terza esenzione dal diritto societario consiste, invece, nella possibilità per la S.r.l. PMI di effettuare operazioni sulle proprie partecipazioni, in deroga al divieto sancito ex art. 2474 c.c. (articolo 26, comma 6, d.l. n. 179/2012), quando l’organo amministrativo della società autorizzi preventivamente un piano di incentivazione, attuabile proprio mediante l’esecuzione di operazioni sulle proprie partecipazioni e predisposto in favore di specifiche categorie di destinatari come dipendenti, collaboratori, prestatori d’opera e di servizi operanti nella società medesima.

Da ultimo, l’eccezione che ha avuto un impatto più dirompente sulla fisionomia della s.r.l. tradizionale è sicuramente quella che, in deroga al divieto previsto dall’articolo 2468, comma 1, c.c., consente alle quote di partecipazione di S.r.l. PMI di costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari destinati a circolare sul mercato del pubblico risparmio anche attraverso i portali per la raccolta di capitali (articolo 26, comma 5, decreto-legge n. 179/2012).

L’utilizzo della congiunzione ‘anche’ nel dato letterale della norma segnala la duplice possibilità per la società di ricorrere sia ai sistemi tradizionali che a diverse modalità di reperimento dei capitali, prima fra tutte le campagne di c.d. equity crowdfunding.

Quest’ultimo consiste, infatti, in uno strumento alternativo di finanziamento particolarmente diffuso in Italia e finalizzato allo sviluppo di modeste realtà imprenditoriali, mediante il quale più persone (investitori-crowdfunders), attraverso appositi portali on-line, effettuano conferimenti o acquistano partecipazioni di una società per subentrare nella sua compagine sociale in qualità di meri soci-investitori, al fine di finanziare un determinato progetto.

Dunque, all’esito di questo processo normativo di de-strutturazione del tradizionale tipo a responsabilità limitata, la S.r.l. e la S.p.a. sembrano muoversi in una direzione convergente, contrariamente alla rotta tracciata dal legislatore con riforma del diritto societario del 2003, al punto che secondo la dottrina, può oggi parlarsi di vera e propria mutazione genetica o ibridazione della S.r.l. (così in dottrina, Notari), essendo stati i suoi confini ampliati a tal punto da consentire a talune di esse di strutturarsi finanziariamente e corporativamente come una vera e propria società azionaria.