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La responsabilità civile delle società sportive

La crescente attenzione che l’opinione pubblica riserva al fenomeno dello sport e alle competizioni sportive fornisce spunto per alcune riflessioni circa la responsabilità civile della società sportive.Il termine "società sportiva", in se considerato, sintetizza in un’unica espressione diverse realtà associative.Esse, pur caratterizzandosi formalmente per la diversa denominazione usata dai propri consociati ("associazione", "circolo", "centro", "polisportiva" e simili), possono agevolmente essere ricondotte ad un unico genere, che richiama subito alla mente il concetto di "società", nel senso tecnico-giuridico adoperato dal Legislatore nel Codice Civile.

Le società sportive sono soggetti appartenenti sia all’ordinamento statale che all’ordinamento sportivo [1] e, pertanto sono sottoposti a tutti gli obblighi che scaturiscono sia dall’ordinamento sportivo che da quello statale.

Mediante l’affiliazione ad una Federazione Sportiva Nazionale, le società di cui si parla diventano centro di imputazione dei diritti ed obblighi derivanti dalla normativa federale, come avviene per tutti coloro che entrano a far parte di una federazione sportiva ufficiale.

La violazione delle regole federali ad opera delle società sportive comporta l’insorgere a carico delle stesse di una responsabilità sportiva con la conseguente applicazione di sanzioni da parte degli organi di giustizia federali.

La sanzione potrà essere meramente sportiva, qualora vi sia la violazione di regole tecnico-sportive, oppure potrà essere disciplinare qualora vi sia stata la violazione di regole disciplinari.

In alcuni casi, tuttavia, il fatto illecito commesso dalle società potrà essere fonte di responsabilità sia nell’ordinamento sportivo che in quello statale: in tali ipotesi i due procedimenti saranno perfettamente autonomi [2].

Dal punto di vista dell’ordinamento sportivo, la violazione degli obblighi e dei divieti contemplati dalle regole federali configura ipotesi di c.d. illecito sportivo che determina l’insorgere di una responsabilità oggettiva.

Sono ritenute ipotesi di responsabilità oggettiva i casi in cui:

a) il fatto è commesso da chi rappresenta l’ente ai sensi della normativa federale;

b) il fatto è commesso da persone estranee alle società, ma lo stesso risulti per la compagine sociale vantaggioso;

c)in conseguenza di fatti violenti dei propri sostenitori in occasione di competizioni sportive.

Le figure di responsabilità oggettiva che si riscontrano nell’ambito dell’ordinamento sportivo trovano fondamento nella necessità di tutela dei terzi ed hanno quale ratio quella di indurre le società ad adottare tutte le misure idonee ad evitare la realizzazione degli eventi dannosi.

Tuttavia riguardo il fondamento della suesposta forma di responsabilità delle società in dottrina [3] non vi è uniformità di vedute.

Coloro i quali [4] sono favorevoli all’impiego di tale forma di responsabilità prendono le mosse da un ragionamento a matrice comparativa. Secondo il citato orientamento, come nel diritto comune, anche rispetto all’ordinamento sportivo, le ipotesi di responsabilità oggettiva rispondono a scelte di politica legislativa finalizzate alla tutela dei terzi anche nel caso di manifestazioni sportive.

Sempre a sostegno dell’esigenza di prevedere ipotesi di responsabilità oggettiva altra dottrina [5] invoca il principio dell’”ubi commoda ibi et incommoda”: le società sportive, avvalendosi del supporto economico dei tifosi, sarebbero tenute a pagare le conseguenze delle loro intemperanze.

Per altri autori [6], invece, tale prospettazione posta a fondamento della responsabilità di cui trattasi, non dovrebbe trovare accoglimento poiché il principio dell’”ubi commoda ibi et incommoda” non potrebbe trovare applicazione alle società sportive il cui fine consisterebbe nel miglioramento dell’atleta.

In dottrina [7] non manca chi nega qualsivoglia legittimazione giuridica circa la responsabilità in analisi.

Da un indagine [8] concreta della giurisprudenza degli organi di giustizia sportiva è possibile osservare che la maggioranza delle ipotesi di applicazione dell’istituto della responsabilità oggettiva concernono il mantenimento dell’ordine pubblico in occasione dello svolgimento di competizioni sportive, nel senso che le società ne rispondono oggettivamente.

Le società sportive sia dilettantistiche che professionistiche ed in qualunque forma costituite, sono chiamate a confrontarsi con le norme sulla responsabilità civile in relazione ai danni prodotti tra gli atleti o arrecati ai terzi.

Le sanzioni che possono esser comminate nelle ipotesi di cui sopra consistono in provvedimenti riguardanti lo svolgimento delle gare (squalifica del campo, porte chiuse..), la posizione di classifica (penalizzazione nel punteggio, esclusione dal campionato..) o provvedimenti di natura economica (ammenda).

Accanto alla responsabilità derivante dalla violazione dei precetti sportivi sussistono responsabilità di tipo civile o penale.

Per quanto riguarda la responsabilità civile, la disciplina inerente le società sportive non differisce da quella delle società ordinarie.

Sono, infatti, applicabili tutti i principi di diritto comune.

Secondo un linea di pensiero [9] molto accreditata non vi è univocità circa il criterio di imputazione che regola il giudizio di responsabilità.

Dottrina e giurisprudenza a riguardo sono schierate su orientamenti contrapposti.

Il problema della responsabilità civile delle società sportive può esser visto sotto una pluralità di angoli visuali, invocando talvolta la clausola ex art. 2043 c.c. talvolta l’art. 2049 [10] c.c. e, altre volte l’art. 2050 [11] c.c..

La tesi [12] dell’imputazione della responsabilità oggettiva trova le proprie fondamenta sulla difficoltà di individuazione concreta degli autori dell’illecito.

Gli obblighi delle società appaiono particolarmente pregnanti circa il controllo sui tesserati, sulle loro condizioni di salute [13], sulla base di un dovere che scaturisce dall’art 2087 c.c..

I suddetti obblighi [14] trovano maggiore giustificazione soprattutto relativamente alle società sportive professionistiche, per via della sempre maggiore pericolosità dell’attività svolta dagli sportivi.

La giurisprudenza [15], in alcuni casi, ha fatto gravare sulle società sportive una responsabilità ex art. 2051 c.c., relativo al danno da cose in custodia [16], per i pregiudizi subiti dagli atleti in virtù delle cattive condizioni degli impianti di gara, con analoghi approdi in tema di lesioni agli spettatori per incidenti avvenuti nell’ambito degli impianti sportivi qualora essi siano gestiti direttamente dalle società [17]. Per il caso in cui gli impianti sportivi siano gestiti dalla società, si sottolinea che l’attività di gestione dell’impianto sportivo, in talune ipotesi [18], può rivestire i caratteri dell’attività pericolosa, con conseguente applicabilità dell’art 2051 c.c. Naturalmente potrà trovare applicazione nei confronti delle società di cui trattasi la responsabilità ex art 2043 c.c. ed inoltre merita un cenno anche la disposizione di cui all’art 1786 c.c. che estende agli imprenditori di casa di cura, di pubblici spettacoli, balneari, la disciplina del deposito in albergo.

La giurisprudenza equipara a tali imprenditori coloro che esercitano sotto forma di impresa l’attività di palestra, piscina e circolo sportivo.

Inoltre, ai sensi degli art. 10 ed 11 del codice di giustizia sportiva, sussiste in capo alle società sportive una responsabilità oggettiva relativamente a tutti gli eventi dannosi avvenuti in occasione di competizioni agonistiche ed all’interno degli impianti da esse gestiti.

In materia di responsabilità delle società non può non esser citato il c.d. caso Giampà [19].

Il calciatore Domenico Giampà nel corso di una partita ufficiale sbatteva contro un cartellone pubblicitario rotativo posto a bordo campo, con conseguente lesione alla coscia sinistra costatagli 140 punti di sutura.

Il regolamento della F.I.G.C. [20] prevede che i suddetti cartelloni debbano trovarsi ad una distanza di due metri e mezzo dalla linea di demarcazione del rettangolo di gioco.

Tuttavia l’adozione della prescrizione endoassociativa non può derogare ai principi di cautela e salvaguardia dell’incolumità degli atleti [21]: non basta, quindi, rispettare le distanze previste per aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, poiché ben si può sostenere che se le misure adeguate fossero state adottate l’evento dannoso non si sarebbe verificato.

Di conseguenza non può non configurarsi una responsabilità della società sportiva per il danno subito dal calciatore per omessa vigilanza sul corretto posizionamento del supporto pubblicitario nonché per omessa adozione delle misure di sicurezza necessarie a rendere l’insidia del ferro sporgente, visibile e prevedibile.

Nel caso di cui si tratta, infatti, non può farsi applicazione [22] della scriminante dell’accettazione del rischio, poiché il calciatore può esser consapevole e quindi accettare la possibilità di uno scontro con altri giocatori durante la gara, ma non anche con eventi esterni, per i quali non può esserci prevedibilità.

Una parte della dottrina [23], tuttavia, ritiene che il semplice rispetto delle normative regolamentari sia di per sé idoneo ad escludere la responsabilità dell’organizzatore della gara.

Questa dottrina non va condivisa, poiché la stessa dottrina [24] dominante nonché la giurisprudenza [25] maggioritaria hanno sottolineato l’ininfluenza del rispetto dei regolamenti sportivi in punto di giudizio di responsabilità per i danni subiti dai terzi estranei alla gara (come spettatori, fotografi), ragion per cui il distinguo soggettivo effettuato effettuato sulla base della qualificazione formale del danneggiato (atleta o non atleta) appare una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Carta Costituzionale; in secondo luogo il rispetto di un regolamento federale può essere considerato idonea scriminante allorché lo stesso circoscriva l’ambito di riferimento alla pratica dello sport, o prenda in esame le probabilità di eventi il cui verificarsi abbia un legame genetico e funzionale con l’esercizio dello sport.

Di conseguenza è da condividersi l’opinione di quella giurisprudenza [26] che ha ravvisato in capo alle società sportive una responsabilità di tipo oggettivo riconducibile all’art. 2050 c.c., essendo l’attività esercitata, annoverabile tra quelle intrinsecamente pericolose.

Tuttavia, in dottrina taluno in ipotesi quali quella del caso Giampà, non esita a richiamare l’art. 2051 c.c. ai fini di un’attribuzione di responsabilità.

Ad ogni modo le osservazioni svolte circa l’attribuzione della responsabilità dell’evento dannoso alle società sportive ai sensi degli artt. 2043, 2050, 2051 c.c., potrebbero trovare mitigazione o una graduazione ponendo l’attenzione su altre circostanze: sussistono infatti anche altri due soggetti sui quali potrebbe incombere un giudizio di responsabilità almeno in via concorrente, ed essi sono la terna arbitrale ed il produttore [27] del cartello pubblicitario.

A riguardo occorre segnalare che ad oggi è ancora aperto il dibattito [28] circa la determinazione della competenza territoriale per il caso di danni subiti dai terzi eventualmente titolari di abbonamento.

[1] Anche se non è questa la sede più opportuna per affrontare la tematica, occorre segnalare che l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale è principio pienamente presente nel nostro diritto positivo. Sulla base del vigente assetto costituzionale infatti la legittimità dell’attuale organizzazione sportiva si desume dal combinato disposto degli artt. 2 e 18 Costituzione. L’ordinamento sportivo può essere considerato come una delle formazioni sociali più importanti della società moderna. L’art. 2 della nostra Carta Costituzionale conferisce piena autonomia e legittimità all’ordinamento sportivo e,conseguentemente, al sistema di giustizia sportiva. Per dovere di completezza occorre tuttavia mettere in luce che, nonostante l’evidenziata autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale, sussiste un contrasto tra i suddetti ordinamenti, in relazione al problema dell’indipendenza di quello sportivo. Riconoscere all’ordinamento sportivo la qualità di ordinamento giuridico di settore, a carattere derivato, riconosciuto dall’ordinamento statale, caratterizzato da un ampio margine di autonomia, implica la necessità di comprendere i limiti di quest’ultima e, di discutere sulle interferenze tra i due ordinamenti. Nonostante dottrina e giurisprudenza enuncino costantemente l’astratta ed intangibile autonomia dell’ordinamento sportivo, in sede di concreta attuazione di tale principio, si sono non di rado configurati episodi di restrizioni di tale autonomia. L’affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non può mai comportare l’abbandono da parte dell’ordinamento statale del nucleo di regole e principi cardine che, proprio in quanto tali, non sopportano limitazioni. La doverosa affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non può far dimenticare la sua natura derivata e settoriale rispetto all’ordinamento statale che, data la sua natura originaria, non sopporta alcun tipo di limitazione. Numerosi sono stati gli interventi della giurisprudenza finalizzati a ribadire questa logica di fondo, poiché gli atti dell’organizzazione sportiva sono, in alcuni casi, idonei a incidere su posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela statale (nell’ambito di questi interventi si veda il primo “caso Catania”: G. Vidiri, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e sportivo, in Foro It., 1994, III, p. 511). Sebbene comunque l’autonomia dell’ordinamento sportivo si desuma dalle norme suesposte, la legge n. 280/2003 effettua una solenne ed esplicita affermazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale confermando a livello legislativo, gli orientamenti giurisprudenziali sul punto che rispondono alla logica sopra richiamata. A riguardo si veda nello specifico: P. D’Onofrio, Sport e giustizia, Rimini, 2004, p. 147 ss.; R. Frau, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza.Profili generali, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1028 ss.; G. Morbidelli, Ordinamento sportivo e ordinamentostatale: una separazione sempre più problematica, in Atti del corso di perfezionamento in diritto edeconomia dello sport, anno accademico 1999/ 2000, Università degli studi di Firenze; G. De Marzo, Ordinamento statale ed ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, in Corriere giuridico, 2003, n. 10, p. 1265 ss.

[2] A riguardo, anche se non è questa la sede più opportuna per affrontare la tematica, occorre mettere in evidenza che i due giudizi trovano autonomia per via della ormai conclamata autonomia tra gli ordinamenti sportivo e statale definitivamente affermata dalla L. 220/2003. Occorre dare atto che sussiste la problematica inerente il c.d. vincolo sportivo. La giustizia sportiva, cd. giustizia domestica, consta al suo interno di quattro aree: tecnica, economica, disciplinare, amministrativa. Nell’ambito della giustizia disciplinare si consuma il più acceso contrasto tra ordinamento statale

ed ordinamento sportivo, in relazione all’autonomia del secondo come esplicitato alla nota 1. Caratteristica importante dell’ordinamento sportivo è la presenza negli statuti e nei regolamenti del cd. Vincolo di giustizia. Questa clausola consta di una importanza capitale ai fini della sussistenza dell’indipendenza dell’ordinamento sportivo e, quindi, della giustizia sportiva, rispetto a quella ordinaria. Essa impone

due obblighi fondamentali: il primo ha ad oggetto l’obbligo di accettazione ed il rispetto delle norme tecniche e dei provvedimenti federali nello svolgimento delle gare, il secondo introduce un meccanismo di risoluzione delle controversie tra i soggetti del diritto sportivo e le federazioni. Il vincolo di giustizia comporta la preclusione per i tesserati di adire, ai fini della risoluzione delle controversie, le autorità giurisdizionali dello stato. Esso, attraverso l’attribuzione delle controversie agli organi interni al sistema sportivo, consente una rapida risoluzione dei contenziosi. La rinuncia al diritto di azione giurisdizionale imposta dal vincolo di giustizia al tesserato è punto di intersezione tra ordinamento sportivo e statale. In dottrina sono stati infatti avanzati forti dubbi circa la legittimità costituzionale del vincolo di giustizia.

[3] Per una rassegna breve ma esaustiva circa le posizioni sul punto si veda Forti V., Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Econ. Sport.,2007,III,2.

[4] Manfredi A., Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l’ordinamento giuridico generale, in Riv. Dir. Sport., 1980, 55.

[5] Manzella B., La responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1980, 153 ss.

[6] Pagliara F., Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1989, 158 ss.

[7] Tortora M., Diritto sportivo, 1998, 106.

[8] Forti V., Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, cit, 3;

[9] Cantamessa-Riccio-Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, 2008, 300

[10] Cass. Civ., 8 gennaio 2003, n. 85, in Guida al dir., 2003,6, 47; in Lavoro e Giur., 2003, 544, con nota di Mannacio, L’obbligo di sicurezza nel rapporto di lavoro; e in Dir. Lavoro, 2003, II, 277, con nota di Laspina, Obbligo di sicurezza e società sportive; In tale pronuncia si afferma che le società sportive possono esser chiamate “ a rispondere in base al disposto degli artt. 1218 e 2049 c.c. dell’operato dei propri medici sportivi e del personale comunque preposto a tutelare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute come datore di lavoro..”. Per quanto riguarda le ipotesi di applicazione dell’art 2049 c.c. quale forma di responsabilità delle società sportive, occorre far riferimento al caso di estensione della responsabilità alle società sportive per illeciti commessi dal sanitario. Il medico ha infatti il dovere di effettuare gli adeguati controlli al fine di valutare ed accertare l’idoneità degli atleti alla partecipazione all’attività sportiva. Qualora il medico non prescriva gli accertamenti necessari nonostante abbia dei fondati sospetti, allora, al verificarsi dell’evento morte sarà chiamato a rispondere di omicidio colposo, gravando su questi una posizione di garanzia. Il D.M. 18 febbraio 1982 impone, infatti, la compilazione di una scheda valutativa medico sportiva, da rilasciare esclusivamente agli atleti ritenuti idonei. Tali adempimenti devono esser effettuati ai fini della tutela della salute di coloro che partecipano alle competizioni sportive. Da quanto esposto, emerge come in tali ipotesi sia pacifica la responsabilità delle società nel caso in cui consentano all’atleta lo svolgimento dell’attività agonistica in mancanza dell’accertamento di idoneità. In tali ipotesi la responsabilità sarà delle società e, non anche del gestore dell’impianto, essendo quest’ultimo tenuto a garantire la generica sicurezza di tutti gli atleti. Sul punto si veda Grassani M., La responsabilità risarcitoria delle federazioni sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, in Riv. Dir. Econ. Sport., 2006, II,fasc. 1. Anche le Federazioni possono incorrere nella medesima responsabilità come affermato da Trib. Vigevano, 9 gennaio 2006, in Riv. Pen., 2006, 451; ed in Riv. Dir. Econ. Sport., 2006, II,fasc. 1, con nota di Grassani M., La responsabilità risarcitoria delle federazioni sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, cit.;

[11] De Marzo G., Organizzazione di partite di calcio e attività pericolosa, in Danno e resp., 1999,234; Buoncristiano M., La responsabilità civile delle società sportive: problemi, limiti e prospettive, in giur. It., IV, 1994,159 ss.; Scognamiglio R., In tema di responsabilità della società sportiva ex art. 2049 c.c. per illecito del calciatore, in Dir. E Giust., 1963, 81.

[12] A riguardo si veda Frau R., La responsabilità civile sportiva, Torino, 1998, 359, il quale definisce “ acrobatica “ la possibilità di una prova liberatoria a carico delle società; Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, in Danno e Resp., 2005, 3, 338.

[13] Afferma la responsabilità datoriale anche Cass. Civ., 8 gennaio 2003, n. 85, cit.; Sul punto, come spiegato alla nota n. 10, l’obbligo che hanno le società di controllo circa la salute degli atleti implica che su di esse venga traslata accanto ad una responsabilità datoriale ex art 2087 c.c., anche la responsabilità ex art 2049 c.c. per l’operato del medico sociale.

[14] Tali obblighi sono esplicitamente messi in rilievo da Cass. Civ., 8 gennaio 2003, n. 85, cit.;

[15] Trib. Roma, 5 febbraio 1992, in Riv. Dir. Sport., 1992, 90

[16] Sulla responsabilità per cose in custodia in ambito sportivo si veda in particolare Franzoni M., La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. Civ., 2009, 11,927

[17] Sotto questo punto di vista accanto all’ipotesi in cui il gestore dell’impianto sia un privato, vi è l’ipotesi in cui tale sia una società ed in particolare una società sportiva. Normalmente le società sportive gestiscono impianti di proprietà pubblica sulla base di rapporti di natura concessoria. In questi casi in capo alle società sportive troverà applicazione la responsabilità ex art. 2051 c.c. normalmente propria del gestore dell’impianto.

[18] Sulla responsabilità per cose in custodia in ambito sportivo si veda in particolare Franzoni M., La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. Civ., 2009, 11,927

[18] Sul punto la giurisprudenza di merito è variegata. Per le ipotesi specifiche della gestione della pista di go kart: Trib. Roma 31 gennaio 1967, in Rep. Giur. It., 1967, 151; per la gestione delle piscine: Trib. Milano 5 settembre 1966, in Riv. Dir. Sport, 1966, 372, nella quale si ritiene attività pericolosa la gestione delle piscine per via dell’attività di immersione dell’uomo nell’acqua, un elemento nel quale normalmente non vive. Tuttavia, in altre ipotesi la suddetta pericolosità è stata negata: App. Roma 23 giugno 1962, in Resp civ.prev., 1963, 176; Trib. Alessandria, 30 dicembre 1967, in Arch. Resp. Civ. 1969,889, nella quale si esclude la pericolosità dell’attività di gestione di una piscina, poiché nel caso di specie la stessa era immune da vizi di costruzione e contenente acqua profonda poco più di un metro. Circa la gestione dei maneggi,la questione circa la possibilità di ricomprendere tale attività nel novero delle attività pericolose è dibattuta. E’ fuori discussione che solo a determinate condizioni e non ad altre l’attività equestre possa essere annoverata tra le attività pericolose con conseguente applicazione dell’art. 2050 c.c.: a riguardo un precedente che effettua tale distinzione è Cass. 1380/94. La giurisprudenza più recente, comunque, tende ad escludere l’applicazione dell’art 2050 c.c., salvo l’accertamento in fatto, di specifiche caratteristiche inerenti il caso concreto, idonee a rendere pericoloso lo svolgimento: Cass. 23 novembre 1998 n. 11861, in Danno e Resp.,1999,651, con nota di Filograna, Il mio regno per ( colpa di ) un cavallo!.Afferma invece la pericolosità dell’attività in questione Cass. 4 dicembre 1998 n. 12307 in Danno e Resp., 1999, 475 per la quale se la caduta da cavallo è avvenuta nel corso di una cavalcata effettuata da cavaliere inesperto mediante cavallo concessogli in uso dal gestore del maneggio, quest’ultimo è chiamato a rispondere ex art. 2052 c.c. E’ stata ritenuta pericolosa l’attività di gestione di un parco divertimenti per le lesioni subite da persone che avevano preso posto su un bob per via della conformazione del tracciato e della velocità del mezzo: Cass., 27 luglio 1990 n.7571, in Resp. Civ. Prev., 1991,458; In un precedente non è stata ritenuta attività pericolosa la gestione di un autoscontro: Trib. Chiavari, 17 gennaio 1997, in Giur. Merito, 1998, 448

[19] Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, cit., 341

[20] Sulla natura giuridica delle federazioni sportive e sul loro funzionamento si veda: Quaranta A., Sulla natura giuridica delle federazioni sportive nazionale, in Riv. Dir. Sport., 1986, 173 ss.

[21] In questi termini si è espressa la giurisprudenza di legittimità che ha statuito che i regolamenti delle federazioni sportive nazionali si configurano come atti di autonomia privata nel disciplinare i rapporti tra le società sportive e tra queste e gli sportivi. Cosi Cass. Civ., 5 aprile 1993, n. 4063, in Foro It., 1994, I, 136 con nota di Vidiri.

[22] Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, cit., 341.

[23] Stipo G., La responsabilità civile nell’esercizio dello sport, in Riv. Dir. Sport., 1961, 42.

[24] Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, cit., 341.

[25] Cass., 16 gennaio 1985, n. 97, in Giur. It., 1985, 1230; Trib. Rovereto, 5 febbraio 1989, in Riv. Dir. Sport., 1990, 502.

[26] Trib. Ascoli Piceno, 13 maggio 1989, in Riv. Dir. Sport., 1989, 496; Trib. Milano 21 settembre 1998, in Danno e Resp., 1999, 234. In senso contrario invece si veda: App. Milano, 30 marzo 1990, in Riv. Dir. Sport., 1990, 495.

[27] Sulla tematica della responsabilità del produttore si vedano: Alpa- Bessone, La responsabilità del produttore, a cura di Toriello, Milano, 1999; Franzoni M., Dieci anni di responsabilità del produttore, in Danno e resp., 1998, 823.

[28] La giurisprudenza è divisa circa l’interpretazione dell’art 3 comma 2 L. 7 ottobre 2003 n. 280, per la quale la competenza territoriale in materia di giustizia sportiva, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali, deve essere devoluta alla cognizione del giudice amministrativo per il primo grado di giudizio. Si discute se sia possibile attribuire al Tar Lazio la competenza anche qualora il giudizio sia promosso da soggetti estranei all’ordinamento sportivo i cui diritto possano esser pregiudicati dai provvedimenti della giustizia sportiva.

La crescente attenzione che l’opinione pubblica riserva al fenomeno dello sport e alle competizioni sportive fornisce spunto per alcune riflessioni circa la responsabilità civile della società sportive.Il termine "società sportiva", in se considerato, sintetizza in un’unica espressione diverse realtà associative.Esse, pur caratterizzandosi formalmente per la diversa denominazione usata dai propri consociati ("associazione", "circolo", "centro", "polisportiva" e simili), possono agevolmente essere ricondotte ad un unico genere, che richiama subito alla mente il concetto di "società", nel senso tecnico-giuridico adoperato dal Legislatore nel Codice Civile.

Le società sportive sono soggetti appartenenti sia all’ordinamento statale che all’ordinamento sportivo [1] e, pertanto sono sottoposti a tutti gli obblighi che scaturiscono sia dall’ordinamento sportivo che da quello statale.

Mediante l’affiliazione ad una Federazione Sportiva Nazionale, le società di cui si parla diventano centro di imputazione dei diritti ed obblighi derivanti dalla normativa federale, come avviene per tutti coloro che entrano a far parte di una federazione sportiva ufficiale.

La violazione delle regole federali ad opera delle società sportive comporta l’insorgere a carico delle stesse di una responsabilità sportiva con la conseguente applicazione di sanzioni da parte degli organi di giustizia federali.

La sanzione potrà essere meramente sportiva, qualora vi sia la violazione di regole tecnico-sportive, oppure potrà essere disciplinare qualora vi sia stata la violazione di regole disciplinari.

In alcuni casi, tuttavia, il fatto illecito commesso dalle società potrà essere fonte di responsabilità sia nell’ordinamento sportivo che in quello statale: in tali ipotesi i due procedimenti saranno perfettamente autonomi [2].

Dal punto di vista dell’ordinamento sportivo, la violazione degli obblighi e dei divieti contemplati dalle regole federali configura ipotesi di c.d. illecito sportivo che determina l’insorgere di una responsabilità oggettiva.

Sono ritenute ipotesi di responsabilità oggettiva i casi in cui:

a) il fatto è commesso da chi rappresenta l’ente ai sensi della normativa federale;

b) il fatto è commesso da persone estranee alle società, ma lo stesso risulti per la compagine sociale vantaggioso;

c)in conseguenza di fatti violenti dei propri sostenitori in occasione di competizioni sportive.

Le figure di responsabilità oggettiva che si riscontrano nell’ambito dell’ordinamento sportivo trovano fondamento nella necessità di tutela dei terzi ed hanno quale ratio quella di indurre le società ad adottare tutte le misure idonee ad evitare la realizzazione degli eventi dannosi.

Tuttavia riguardo il fondamento della suesposta forma di responsabilità delle società in dottrina [3] non vi è uniformità di vedute.

Coloro i quali [4] sono favorevoli all’impiego di tale forma di responsabilità prendono le mosse da un ragionamento a matrice comparativa. Secondo il citato orientamento, come nel diritto comune, anche rispetto all’ordinamento sportivo, le ipotesi di responsabilità oggettiva rispondono a scelte di politica legislativa finalizzate alla tutela dei terzi anche nel caso di manifestazioni sportive.

Sempre a sostegno dell’esigenza di prevedere ipotesi di responsabilità oggettiva altra dottrina [5] invoca il principio dell’”ubi commoda ibi et incommoda”: le società sportive, avvalendosi del supporto economico dei tifosi, sarebbero tenute a pagare le conseguenze delle loro intemperanze.

Per altri autori [6], invece, tale prospettazione posta a fondamento della responsabilità di cui trattasi, non dovrebbe trovare accoglimento poiché il principio dell’”ubi commoda ibi et incommoda” non potrebbe trovare applicazione alle società sportive il cui fine consisterebbe nel miglioramento dell’atleta.

In dottrina [7] non manca chi nega qualsivoglia legittimazione giuridica circa la responsabilità in analisi.

Da un indagine [8] concreta della giurisprudenza degli organi di giustizia sportiva è possibile osservare che la maggioranza delle ipotesi di applicazione dell’istituto della responsabilità oggettiva concernono il mantenimento dell’ordine pubblico in occasione dello svolgimento di competizioni sportive, nel senso che le società ne rispondono oggettivamente.

Le società sportive sia dilettantistiche che professionistiche ed in qualunque forma costituite, sono chiamate a confrontarsi con le norme sulla responsabilità civile in relazione ai danni prodotti tra gli atleti o arrecati ai terzi.

Le sanzioni che possono esser comminate nelle ipotesi di cui sopra consistono in provvedimenti riguardanti lo svolgimento delle gare (squalifica del campo, porte chiuse..), la posizione di classifica (penalizzazione nel punteggio, esclusione dal campionato..) o provvedimenti di natura economica (ammenda).

Accanto alla responsabilità derivante dalla violazione dei precetti sportivi sussistono responsabilità di tipo civile o penale.

Per quanto riguarda la responsabilità civile, la disciplina inerente le società sportive non differisce da quella delle società ordinarie.

Sono, infatti, applicabili tutti i principi di diritto comune.

Secondo un linea di pensiero [9] molto accreditata non vi è univocità circa il criterio di imputazione che regola il giudizio di responsabilità.

Dottrina e giurisprudenza a riguardo sono schierate su orientamenti contrapposti.

Il problema della responsabilità civile delle società sportive può esser visto sotto una pluralità di angoli visuali, invocando talvolta la clausola ex art. 2043 c.c. talvolta l’art. 2049 [10] c.c. e, altre volte l’art. 2050 [11] c.c..

La tesi [12] dell’imputazione della responsabilità oggettiva trova le proprie fondamenta sulla difficoltà di individuazione concreta degli autori dell’illecito.

Gli obblighi delle società appaiono particolarmente pregnanti circa il controllo sui tesserati, sulle loro condizioni di salute [13], sulla base di un dovere che scaturisce dall’art 2087 c.c..

I suddetti obblighi [14] trovano maggiore giustificazione soprattutto relativamente alle società sportive professionistiche, per via della sempre maggiore pericolosità dell’attività svolta dagli sportivi.

La giurisprudenza [15], in alcuni casi, ha fatto gravare sulle società sportive una responsabilità ex art. 2051 c.c., relativo al danno da cose in custodia [16], per i pregiudizi subiti dagli atleti in virtù delle cattive condizioni degli impianti di gara, con analoghi approdi in tema di lesioni agli spettatori per incidenti avvenuti nell’ambito degli impianti sportivi qualora essi siano gestiti direttamente dalle società [17]. Per il caso in cui gli impianti sportivi siano gestiti dalla società, si sottolinea che l’attività di gestione dell’impianto sportivo, in talune ipotesi [18], può rivestire i caratteri dell’attività pericolosa, con conseguente applicabilità dell’art 2051 c.c. Naturalmente potrà trovare applicazione nei confronti delle società di cui trattasi la responsabilità ex art 2043 c.c. ed inoltre merita un cenno anche la disposizione di cui all’art 1786 c.c. che estende agli imprenditori di casa di cura, di pubblici spettacoli, balneari, la disciplina del deposito in albergo.

La giurisprudenza equipara a tali imprenditori coloro che esercitano sotto forma di impresa l’attività di palestra, piscina e circolo sportivo.

Inoltre, ai sensi degli art. 10 ed 11 del codice di giustizia sportiva, sussiste in capo alle società sportive una responsabilità oggettiva relativamente a tutti gli eventi dannosi avvenuti in occasione di competizioni agonistiche ed all’interno degli impianti da esse gestiti.

In materia di responsabilità delle società non può non esser citato il c.d. caso Giampà [19].

Il calciatore Domenico Giampà nel corso di una partita ufficiale sbatteva contro un cartellone pubblicitario rotativo posto a bordo campo, con conseguente lesione alla coscia sinistra costatagli 140 punti di sutura.

Il regolamento della F.I.G.C. [20] prevede che i suddetti cartelloni debbano trovarsi ad una distanza di due metri e mezzo dalla linea di demarcazione del rettangolo di gioco.

Tuttavia l’adozione della prescrizione endoassociativa non può derogare ai principi di cautela e salvaguardia dell’incolumità degli atleti [21]: non basta, quindi, rispettare le distanze previste per aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, poiché ben si può sostenere che se le misure adeguate fossero state adottate l’evento dannoso non si sarebbe verificato.

Di conseguenza non può non configurarsi una responsabilità della società sportiva per il danno subito dal calciatore per omessa vigilanza sul corretto posizionamento del supporto pubblicitario nonché per omessa adozione delle misure di sicurezza necessarie a rendere l’insidia del ferro sporgente, visibile e prevedibile.

Nel caso di cui si tratta, infatti, non può farsi applicazione [22] della scriminante dell’accettazione del rischio, poiché il calciatore può esser consapevole e quindi accettare la possibilità di uno scontro con altri giocatori durante la gara, ma non anche con eventi esterni, per i quali non può esserci prevedibilità.

Una parte della dottrina [23], tuttavia, ritiene che il semplice rispetto delle normative regolamentari sia di per sé idoneo ad escludere la responsabilità dell’organizzatore della gara.

Questa dottrina non va condivisa, poiché la stessa dottrina [24] dominante nonché la giurisprudenza [25] maggioritaria hanno sottolineato l’ininfluenza del rispetto dei regolamenti sportivi in punto di giudizio di responsabilità per i danni subiti dai terzi estranei alla gara (come spettatori, fotografi), ragion per cui il distinguo soggettivo effettuato effettuato sulla base della qualificazione formale del danneggiato (atleta o non atleta) appare una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Carta Costituzionale; in secondo luogo il rispetto di un regolamento federale può essere considerato idonea scriminante allorché lo stesso circoscriva l’ambito di riferimento alla pratica dello sport, o prenda in esame le probabilità di eventi il cui verificarsi abbia un legame genetico e funzionale con l’esercizio dello sport.

Di conseguenza è da condividersi l’opinione di quella giurisprudenza [26] che ha ravvisato in capo alle società sportive una responsabilità di tipo oggettivo riconducibile all’art. 2050 c.c., essendo l’attività esercitata, annoverabile tra quelle intrinsecamente pericolose.

Tuttavia, in dottrina taluno in ipotesi quali quella del caso Giampà, non esita a richiamare l’art. 2051 c.c. ai fini di un’attribuzione di responsabilità.

Ad ogni modo le osservazioni svolte circa l’attribuzione della responsabilità dell’evento dannoso alle società sportive ai sensi degli artt. 2043, 2050, 2051 c.c., potrebbero trovare mitigazione o una graduazione ponendo l’attenzione su altre circostanze: sussistono infatti anche altri due soggetti sui quali potrebbe incombere un giudizio di responsabilità almeno in via concorrente, ed essi sono la terna arbitrale ed il produttore [27] del cartello pubblicitario.

A riguardo occorre segnalare che ad oggi è ancora aperto il dibattito [28] circa la determinazione della competenza territoriale per il caso di danni subiti dai terzi eventualmente titolari di abbonamento.

[1] Anche se non è questa la sede più opportuna per affrontare la tematica, occorre segnalare che l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale è principio pienamente presente nel nostro diritto positivo. Sulla base del vigente assetto costituzionale infatti la legittimità dell’attuale organizzazione sportiva si desume dal combinato disposto degli artt. 2 e 18 Costituzione. L’ordinamento sportivo può essere considerato come una delle formazioni sociali più importanti della società moderna. L’art. 2 della nostra Carta Costituzionale conferisce piena autonomia e legittimità all’ordinamento sportivo e,conseguentemente, al sistema di giustizia sportiva. Per dovere di completezza occorre tuttavia mettere in luce che, nonostante l’evidenziata autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale, sussiste un contrasto tra i suddetti ordinamenti, in relazione al problema dell’indipendenza di quello sportivo. Riconoscere all’ordinamento sportivo la qualità di ordinamento giuridico di settore, a carattere derivato, riconosciuto dall’ordinamento statale, caratterizzato da un ampio margine di autonomia, implica la necessità di comprendere i limiti di quest’ultima e, di discutere sulle interferenze tra i due ordinamenti. Nonostante dottrina e giurisprudenza enuncino costantemente l’astratta ed intangibile autonomia dell’ordinamento sportivo, in sede di concreta attuazione di tale principio, si sono non di rado configurati episodi di restrizioni di tale autonomia. L’affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non può mai comportare l’abbandono da parte dell’ordinamento statale del nucleo di regole e principi cardine che, proprio in quanto tali, non sopportano limitazioni. La doverosa affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non può far dimenticare la sua natura derivata e settoriale rispetto all’ordinamento statale che, data la sua natura originaria, non sopporta alcun tipo di limitazione. Numerosi sono stati gli interventi della giurisprudenza finalizzati a ribadire questa logica di fondo, poiché gli atti dell’organizzazione sportiva sono, in alcuni casi, idonei a incidere su posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela statale (nell’ambito di questi interventi si veda il primo “caso Catania”: G. Vidiri, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e sportivo, in Foro It., 1994, III, p. 511). Sebbene comunque l’autonomia dell’ordinamento sportivo si desuma dalle norme suesposte, la legge n. 280/2003 effettua una solenne ed esplicita affermazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale confermando a livello legislativo, gli orientamenti giurisprudenziali sul punto che rispondono alla logica sopra richiamata. A riguardo si veda nello specifico: P. D’Onofrio, Sport e giustizia, Rimini, 2004, p. 147 ss.; R. Frau, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza.Profili generali, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1028 ss.; G. Morbidelli, Ordinamento sportivo e ordinamentostatale: una separazione sempre più problematica, in Atti del corso di perfezionamento in diritto edeconomia dello sport, anno accademico 1999/ 2000, Università degli studi di Firenze; G. De Marzo, Ordinamento statale ed ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, in Corriere giuridico, 2003, n. 10, p. 1265 ss.

[2] A riguardo, anche se non è questa la sede più opportuna per affrontare la tematica, occorre mettere in evidenza che i due giudizi trovano autonomia per via della ormai conclamata autonomia tra gli ordinamenti sportivo e statale definitivamente affermata dalla L. 220/2003. Occorre dare atto che sussiste la problematica inerente il c.d. vincolo sportivo. La giustizia sportiva, cd. giustizia domestica, consta al suo interno di quattro aree: tecnica, economica, disciplinare, amministrativa. Nell’ambito della giustizia disciplinare si consuma il più acceso contrasto tra ordinamento statale

ed ordinamento sportivo, in relazione all’autonomia del secondo come esplicitato alla nota 1. Caratteristica importante dell’ordinamento sportivo è la presenza negli statuti e nei regolamenti del cd. Vincolo di giustizia. Questa clausola consta di una importanza capitale ai fini della sussistenza dell’indipendenza dell’ordinamento sportivo e, quindi, della giustizia sportiva, rispetto a quella ordinaria. Essa impone

due obblighi fondamentali: il primo ha ad oggetto l’obbligo di accettazione ed il rispetto delle norme tecniche e dei provvedimenti federali nello svolgimento delle gare, il secondo introduce un meccanismo di risoluzione delle controversie tra i soggetti del diritto sportivo e le federazioni. Il vincolo di giustizia comporta la preclusione per i tesserati di adire, ai fini della risoluzione delle controversie, le autorità giurisdizionali dello stato. Esso, attraverso l’attribuzione delle controversie agli organi interni al sistema sportivo, consente una rapida risoluzione dei contenziosi. La rinuncia al diritto di azione giurisdizionale imposta dal vincolo di giustizia al tesserato è punto di intersezione tra ordinamento sportivo e statale. In dottrina sono stati infatti avanzati forti dubbi circa la legittimità costituzionale del vincolo di giustizia.

[3] Per una rassegna breve ma esaustiva circa le posizioni sul punto si veda Forti V., Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Econ. Sport.,2007,III,2.

[4] Manfredi A., Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l’ordinamento giuridico generale, in Riv. Dir. Sport., 1980, 55.

[5] Manzella B., La responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1980, 153 ss.

[6] Pagliara F., Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità oggettiva, in Riv. Dir. Sport., 1989, 158 ss.

[7] Tortora M., Diritto sportivo, 1998, 106.

[8] Forti V., Riflessioni in tema di diritto disciplinare sportivo e responsabilità oggettiva, cit, 3;

[9] Cantamessa-Riccio-Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, 2008, 300

[10] Cass. Civ., 8 gennaio 2003, n. 85, in Guida al dir., 2003,6, 47; in Lavoro e Giur., 2003, 544, con nota di Mannacio, L’obbligo di sicurezza nel rapporto di lavoro; e in Dir. Lavoro, 2003, II, 277, con nota di Laspina, Obbligo di sicurezza e società sportive; In tale pronuncia si afferma che le società sportive possono esser chiamate “ a rispondere in base al disposto degli artt. 1218 e 2049 c.c. dell’operato dei propri medici sportivi e del personale comunque preposto a tutelare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute come datore di lavoro..”. Per quanto riguarda le ipotesi di applicazione dell’art 2049 c.c. quale forma di responsabilità delle società sportive, occorre far riferimento al caso di estensione della responsabilità alle società sportive per illeciti commessi dal sanitario. Il medico ha infatti il dovere di effettuare gli adeguati controlli al fine di valutare ed accertare l’idoneità degli atleti alla partecipazione all’attività sportiva. Qualora il medico non prescriva gli accertamenti necessari nonostante abbia dei fondati sospetti, allora, al verificarsi dell’evento morte sarà chiamato a rispondere di omicidio colposo, gravando su questi una posizione di garanzia. Il D.M. 18 febbraio 1982 impone, infatti, la compilazione di una scheda valutativa medico sportiva, da rilasciare esclusivamente agli atleti ritenuti idonei. Tali adempimenti devono esser effettuati ai fini della tutela della salute di coloro che partecipano alle competizioni sportive. Da quanto esposto, emerge come in tali ipotesi sia pacifica la responsabilità delle società nel caso in cui consentano all’atleta lo svolgimento dell’attività agonistica in mancanza dell’accertamento di idoneità. In tali ipotesi la responsabilità sarà delle società e, non anche del gestore dell’impianto, essendo quest’ultimo tenuto a garantire la generica sicurezza di tutti gli atleti. Sul punto si veda Grassani M., La responsabilità risarcitoria delle federazioni sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, in Riv. Dir. Econ. Sport., 2006, II,fasc. 1. Anche le Federazioni possono incorrere nella medesima responsabilità come affermato da Trib. Vigevano, 9 gennaio 2006, in Riv. Pen., 2006, 451; ed in Riv. Dir. Econ. Sport., 2006, II,fasc. 1, con nota di Grassani M., La responsabilità risarcitoria delle federazioni sportive in caso di incidente o infortunio dell’atleta, cit.;

[11] De Marzo G., Organizzazione di partite di calcio e attività pericolosa, in Danno e resp., 1999,234; Buoncristiano M., La responsabilità civile delle società sportive: problemi, limiti e prospettive, in giur. It., IV, 1994,159 ss.; Scognamiglio R., In tema di responsabilità della società sportiva ex art. 2049 c.c. per illecito del calciatore, in Dir. E Giust., 1963, 81.

[12] A riguardo si veda Frau R., La responsabilità civile sportiva, Torino, 1998, 359, il quale definisce “ acrobatica “ la possibilità di una prova liberatoria a carico delle società; Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, in Danno e Resp., 2005, 3, 338.

[13] Afferma la responsabilità datoriale anche Cass. Civ., 8 gennaio 2003, n. 85, cit.; Sul punto, come spiegato alla nota n. 10, l’obbligo che hanno le società di controllo circa la salute degli atleti implica che su di esse venga traslata accanto ad una responsabilità datoriale ex art 2087 c.c., anche la responsabilità ex art 2049 c.c. per l’operato del medico sociale.

[14] Tali obblighi sono esplicitamente messi in rilievo da Cass. Civ., 8 gennaio 2003, n. 85, cit.;

[15] Trib. Roma, 5 febbraio 1992, in Riv. Dir. Sport., 1992, 90

[16] Sulla responsabilità per cose in custodia in ambito sportivo si veda in particolare Franzoni M., La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. Civ., 2009, 11,927

[17] Sotto questo punto di vista accanto all’ipotesi in cui il gestore dell’impianto sia un privato, vi è l’ipotesi in cui tale sia una società ed in particolare una società sportiva. Normalmente le società sportive gestiscono impianti di proprietà pubblica sulla base di rapporti di natura concessoria. In questi casi in capo alle società sportive troverà applicazione la responsabilità ex art. 2051 c.c. normalmente propria del gestore dell’impianto.

[18] Sulla responsabilità per cose in custodia in ambito sportivo si veda in particolare Franzoni M., La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. Civ., 2009, 11,927

[18] Sul punto la giurisprudenza di merito è variegata. Per le ipotesi specifiche della gestione della pista di go kart: Trib. Roma 31 gennaio 1967, in Rep. Giur. It., 1967, 151; per la gestione delle piscine: Trib. Milano 5 settembre 1966, in Riv. Dir. Sport, 1966, 372, nella quale si ritiene attività pericolosa la gestione delle piscine per via dell’attività di immersione dell’uomo nell’acqua, un elemento nel quale normalmente non vive. Tuttavia, in altre ipotesi la suddetta pericolosità è stata negata: App. Roma 23 giugno 1962, in Resp civ.prev., 1963, 176; Trib. Alessandria, 30 dicembre 1967, in Arch. Resp. Civ. 1969,889, nella quale si esclude la pericolosità dell’attività di gestione di una piscina, poiché nel caso di specie la stessa era immune da vizi di costruzione e contenente acqua profonda poco più di un metro. Circa la gestione dei maneggi,la questione circa la possibilità di ricomprendere tale attività nel novero delle attività pericolose è dibattuta. E’ fuori discussione che solo a determinate condizioni e non ad altre l’attività equestre possa essere annoverata tra le attività pericolose con conseguente applicazione dell’art. 2050 c.c.: a riguardo un precedente che effettua tale distinzione è Cass. 1380/94. La giurisprudenza più recente, comunque, tende ad escludere l’applicazione dell’art 2050 c.c., salvo l’accertamento in fatto, di specifiche caratteristiche inerenti il caso concreto, idonee a rendere pericoloso lo svolgimento: Cass. 23 novembre 1998 n. 11861, in Danno e Resp.,1999,651, con nota di Filograna, Il mio regno per ( colpa di ) un cavallo!.Afferma invece la pericolosità dell’attività in questione Cass. 4 dicembre 1998 n. 12307 in Danno e Resp., 1999, 475 per la quale se la caduta da cavallo è avvenuta nel corso di una cavalcata effettuata da cavaliere inesperto mediante cavallo concessogli in uso dal gestore del maneggio, quest’ultimo è chiamato a rispondere ex art. 2052 c.c. E’ stata ritenuta pericolosa l’attività di gestione di un parco divertimenti per le lesioni subite da persone che avevano preso posto su un bob per via della conformazione del tracciato e della velocità del mezzo: Cass., 27 luglio 1990 n.7571, in Resp. Civ. Prev., 1991,458; In un precedente non è stata ritenuta attività pericolosa la gestione di un autoscontro: Trib. Chiavari, 17 gennaio 1997, in Giur. Merito, 1998, 448

[19] Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, cit., 341

[20] Sulla natura giuridica delle federazioni sportive e sul loro funzionamento si veda: Quaranta A., Sulla natura giuridica delle federazioni sportive nazionale, in Riv. Dir. Sport., 1986, 173 ss.

[21] In questi termini si è espressa la giurisprudenza di legittimità che ha statuito che i regolamenti delle federazioni sportive nazionali si configurano come atti di autonomia privata nel disciplinare i rapporti tra le società sportive e tra queste e gli sportivi. Cosi Cass. Civ., 5 aprile 1993, n. 4063, in Foro It., 1994, I, 136 con nota di Vidiri.

[22] Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, cit., 341.

[23] Stipo G., La responsabilità civile nell’esercizio dello sport, in Riv. Dir. Sport., 1961, 42.

[24] Maietta A., Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, cit., 341.

[25] Cass., 16 gennaio 1985, n. 97, in Giur. It., 1985, 1230; Trib. Rovereto, 5 febbraio 1989, in Riv. Dir. Sport., 1990, 502.

[26] Trib. Ascoli Piceno, 13 maggio 1989, in Riv. Dir. Sport., 1989, 496; Trib. Milano 21 settembre 1998, in Danno e Resp., 1999, 234. In senso contrario invece si veda: App. Milano, 30 marzo 1990, in Riv. Dir. Sport., 1990, 495.

[27] Sulla tematica della responsabilità del produttore si vedano: Alpa- Bessone, La responsabilità del produttore, a cura di Toriello, Milano, 1999; Franzoni M., Dieci anni di responsabilità del produttore, in Danno e resp., 1998, 823.

[28] La giurisprudenza è divisa circa l’interpretazione dell’art 3 comma 2 L. 7 ottobre 2003 n. 280, per la quale la competenza territoriale in materia di giustizia sportiva, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali, deve essere devoluta alla cognizione del giudice amministrativo per il primo grado di giudizio. Si discute se sia possibile attribuire al Tar Lazio la competenza anche qualora il giudizio sia promosso da soggetti estranei all’ordinamento sportivo i cui diritto possano esser pregiudicati dai provvedimenti della giustizia sportiva.