x

x

La ricevibilità dei ricorsi per annullamento promossi dai cosiddetti “ricorrenti non privilegiati”

Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 03 ottobre 2013 - Causa C-583/11P
La ricevibilità dei ricorsi per annullamento promossi dai cosiddetti “ricorrenti non privilegiati”
La ricevibilità dei ricorsi per annullamento promossi dai cosiddetti “ricorrenti non privilegiati”

1. Premessa

La legittimazione attiva dei singoli rispetto agli atti dell’Unione europea di portata generale[1] rappresenta una sorta di cartina di tornasole dell’incidenza e dell’attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale nell’ordinamento europeo.

Il diritto a un ricorso effettivo, riconosciuto a livello dell’Unione quale principio giuridico generale, è assurto infatti al rango di diritto fondamentale dell’Unione nell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali[2]. Tale diritto fondamentale è di cruciale importanza nell’interpretare e applicare i requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche e giuridiche, con riguardo alla previsione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

In proposito, a partire della sentenza Plaumann[3], la Corte di giustizia ha dato vita – prima in riferimento all’articolo 173 C(E)E e, successivamente, all’articolo 230 CE – ad un’interpretazione tendenzialmente restrittiva della legittimazione diretta ad agire delle persone fisiche e giuridiche[4].

Come reazione a questa giurisprudenza, nel Trattato di Lisbona si è pervenuti ad una nuova disciplina della legittimazione ad agire dei singoli, entrata in vigore il 1° dicembre 2009.

Con l’articolo 263, quarto comma, TFUE è stata ampliata la legittimazione ad agire delle persone fisiche e giuridiche. L’articolo 263, quarto comma, TFUE consente infatti alle persone fisiche e giuridiche anche di proporre un ricorso d’annullamento «contro gli atti regolamentari che le riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

Controversa è, tuttavia, l’entità di tale ampliamento e la corretta interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE[5] per le ragioni che si esporranno nel prosieguo del presente elaborato. In proposito, con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi proprio sulla suddetta questione controversa e, in tale ambito, ad esprimersi soprattutto sull’interpretazione della nozione di «atto regolamentare». In particolare, la questione controversa è soprattutto se anche gli atti legislativi dell’Unione europea possano essere annoverati nella categoria degli atti regolamentari.

2. Il caso su cui interviene la Corte

All’origine della controversia decisa dalla Corte con sentenza del 03 ottobre 2013 - Causa C–583/11P è stato il regolamento (CE) n. 1007/2009 sul commercio dei prodotti derivati dalla foca, adottato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 16 settembre 2009[6]. Il suddetto regolamento ha disposto un divieto di immissione in commercio sul mercato interno europeo dei prodotti derivati dalla foca, contro cui la Inuit Tapiriit Kanatami, in quanto rappresentante degli interessi degli Inuit canadesi[7], nonché numerose altre parti – soprattutto produttori o commercianti di prodotti derivati dalla foca – i quali hanno proposto ricorso per annullamento davanti alla Corte.

In primo grado il ricorso d’annullamento proposto dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti è stato respinto dal Tribunale dell’Unione europea con ordinanza in quanto irricevibile. Il Tribunale ha motivato la sua decisione sostenendo che il regolamento n. 1007/2009 è un atto legislativo che non può essere inteso come atto regolamentare nell’accezione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

La Inuit Tapiriit Kanatami e altri ricorrenti hanno impugnato la suddetta ordinanza. I ricorrenti hanno presentato complessivamente tre motivi per impugnare l’ordinanza del Tribunale, di cui il primo riguarda il disposto dell’articolo 263, quarto comma, TFUE in quanto tale, mentre il secondo ha per oggetto il diritto fondamentale ad un ricorso effettivo e il terzo affronta la questione se il Tribunale abbia interpretato correttamente la domanda presentata dai ricorrenti in prime cure.

3. La nozione di atto regolamentare e i motivi dell’irricevibilità del ricorso per annullamento dei c.d. “ricorrenti non privilegiati”

Il primo motivo del ricorso proposto rappresenta il baricentro della controversia decisa dalla Corte di Giustizia con la sentenza in commento.

In proposito, il problema sottoposto all’attenzione della Corte è la corretta interpretazione e applicazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, che, nella sua versione ancora in vigore, è basata sul Trattato di Lisbona e statuisce quanto segue: «qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

Le ipotesi in cui i ricorrenti non privilegiati possono proporre il ricorso di legittimità sono le seguenti: a) contro atti di cui sono destinatari; b) contro atti che (anche se non indirizzati a loro) li riguardino direttamente ed individualmente (c.d. atti provvedimentali); c) ovvero ancora – ipotesi di recente introduzione – contro atti regolamentari che li riguardino direttamente e che non necessitino di misure di esecuzione.

I ricorrenti hanno contestato l’interpretazione e l’applicazione della locuzione «atto regolamentare» prevista nella terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE data dal Tribunale di primo grado, secondo cui la nozione di “atto regolamentare” ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi. Tale tesi sostiene pertanto che un atto legislativo può formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica unicamente se la riguarda direttamente e individualmente.

In proposito, la scelta operata si presta a considerazioni di natura critica in quanto la nuova formulazione dell’art. 263, comma 4, TFUE, non determina un ampliamento dei casi in cui è possibile il ricorso al Tribunale, dando così vita ad una riforma solo parziale.

L’art. 263, comma 4, si caratterizza per l’ambiguità della formula “atti regolamentari che (…) riguardino direttamente [il privato] e che non comportano alcuna misura di esecuzione”.

Il problema che la Corte di Giustizia è chiamata ad affrontare è infatti quello di capire quali siano gli “atti regolamentari”[8] richiamati dalla norma, atteso che essi non trovano rispondenza nella tipologia delle fonti elencata nel Trattato di Lisbona, né sono citati in alcuna altra norma dello stesso[9].

Al riguardo, a fronte di un orientamento che sostiene sulla base di una ricostruzione storica e teleologica della disposizione richiamata che la locuzione “atti regolamentari” sia sinonimo di “atti non legislativi”; altra dottrina, muovendo dalla considerazione che la nuova formulazione dell’articolo dovrebbe ampliare e favorire l’impugnazione diretta degli atti dell’Unione, hanno, invece,  ritenuto che la nozione di “atto regolamentare” si sostanzia in qualunque atto dell’Unione di portata generale e produttivo di effetti giuridici, sia esso legislativo che non legislativo, delegato o esecutivo[10]. Secondo il primo orientamento interpretativo la ricevibilità dei ricorsi per annullamento promossi dai c.d. “ricorrenti non privilegiati” ai sensi dell’art. 263 TFUE è esclusa con riferimento a tutti gli atti legislativi, e, pertanto, la nozione di “atto regolamentare” ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi[11]; di conseguenza, un atto legislativo può formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica unicamente se la riguarda direttamente e individualmente». Per coloro che sostengono il secondo indirizzo, invece, ne sarebbero esclusi tutti gli atti legislativi per cui non è prevista alcuna misura d’esecuzione[12].

Il dubbio interpretativo su cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dovuto pronunciarsi nella Causa C–583/11P, si fonda, secondo alcuni autori[13], soprattutto sui lavori preparatori del progetto di Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa, mai entrato in vigore, il quale definiva una nozione di “atti regolamentari” opposta a quella di atti legislativi[14].

Gli atti giuridici dell’Unione Europea, disciplinati nel titolo V (art. I-32/I-43) della Parte I del Trattato costituzionale del 2004, c.d. Costituzione europea, si distinguevano in atti legislativi, rappresentati dalla legge europea e dalla legge quadro europea, e, in posizione subordinata, atti non legislativi[15]. Questi ultimi erano rappresentati da regolamenti europei e decisioni europee, adottati direttamente sulla base della Costituzione (artt. I-33 e I-35); regolamenti europei delegati, emanati dalla Commissione nei casi di delegazione di potere del legislatore (art. I-36); e atti esecutivi, che potevano consistere in regolamenti europei di esecuzione o decisioni europee di esecuzione (art. I-37)[16].

Il vigente Trattato ha mantenuto la distinzione fra atti legislativi e atti non legislativi[17], distinguendoli però sulla base di un criterio puramente formale: non sono né la denominazione, né la struttura, né la portata dell’atto a qualificarne la natura “legislativa”, ma le sue modalità di adozione (ex art. 289, par. 3, TFUE). Inoltre, discostandosi dal precedente Trattato costituzionale, il Trattato di Lisbona ha reinserito la denominazione originaria delle fonti derivate (a norma dell’art. 288 TFUE ss.). A ciò va aggiunto che anche gli atti non legislativi, se di esecuzione, possono rivestire la forma di regolamenti, direttive o decisioni; se delegati, di regolamenti o direttive[18].

A fronte di una chiarezza legislativa trascurata, con il fine di dirimere le controversie e gli equivoci insorti nel tempo in merito alla tutela dei c.d. ricorrenti non privilegiati rispetto agli atti legislativi dell’Unione europea, i giudici comunitari hanno dovuto spendere non poche parole per trovare una soluzione interpretativa che garantisse il principio di effettività[19] della tutela giurisdizionale senza trascurare altre esigenze.

La Corte di giustizia dell’Unione europea sul tema conferma una lettura restrittiva della norma, respingendo il ricorso proposto dall’organizzazione canadese ed altri ricorrenti volto all’annullamento del regolamento (CE) n. 1007/2009, concernente l’immissione sul mercato dei prodotti derivati dalla foca. La Corte per potersi pronunciare sulla ricevibilità del ricorso, ha dovuto preliminarmente esaminare la nozione di “atto regolamentare”[20], giungendo alla conclusione che è tale qualunque atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi.

Diverse sono le argomentazione richiamate a sostegno della pronuncia di irricevibilità nei confronti dei c.d. ricorrenti non privilegiati.

La Corte fa leva innanzitutto sull’interpretazione letterale della norma considerata nel suo contesto di riferimento (anche alla luce del raffronto tra il comma 1 ed il comma 4 dell’art. 263 TFUE).

In secondo luogo, assume rilevanza secondo il giudice europeo il procedimento di formazione previsto la elaborazione di detta disposizione.

Infine, un ultimo argomento risulta decisivo al fine di ritenere che gli atti regolamentari consistono in definitiva negli atti non legislativi. Tale elemento è rappresentato dalla ratio della disposizione, che è quella di legittimare i ricorrenti non privilegiati alla proposizione del ricorso contro gli atti di portata generale diversi dagli atti legislativi che li riguardano direttamente e non comportano alcuna misura di esecuzione).

Alla luce delle superiori argomentazioni, la Corte ha affermato che i presupposti per la ricevibilità di un ricorso di annullamento contro un atto legislativo risultano più restrittivi di quanto non lo siano nel caso di un ricorso contro un “atto regolamentare”, giacché ancor oggi una persona fisica o giuridica può presentare un ricorso contro un regolamento solo qualora essa sia interessata non solo direttamente ma anche individualmente da tale atto. In altri termini, la formulazione dell’art. 263, quarto comma, TFUE non consente di proporre un ricorso contro tutti gli atti rispondenti ai criteri dell’incidenza diretta e dell’assenza di misure di esecuzione, né contro tutti gli atti di portata generale rispondenti a tali criteri, ma solo contro una specifica categoria di questi ultimi, gli atti regolamentari[21].

Un secondo motivo su cui si basa l’interpretazione restrittiva della nozione di atto regolamentare richiamata dall’art. 263, quarto comma, TFUE, si ricava secondo la Corte dall’esame della struttura della norma: il comma 1, richiamato poi nel comma 4, prima parte, riguarda gli “atti legislativi”, mentre il comma 4, nella sua seconda parte, fa riferimento ad “atti regolamentari”.

Tale scelta terminologica, infatti, non sarebbe casuale, ma espressione del fatto che, ai sensi dell’art. 263 TFUE, alle differenti categorie di ricorrenti corrisponde una legittimazione a proporre il ricorso diretto di portata diversa: i ricorrenti privilegiati, ai sensi dell’art. 263, comma 2, TFUE e i ricorrenti semi-privilegiati ai sensi dell’articolo 263, comma 3, TFUE sono legittimati a proporre ricorso contro tutti i tipi di atti dell’Unione previsti dal comma 1, ivi compresi gli atti legislativi, mentre la legittimazione attiva diretta delle persone fisiche e giuridiche di cui all’art. 263, comma 4, TFUE è limitata a determinati tipi di atti dell’Unione.

In particolare, le persone fisiche e giuridiche, definiti ricorrenti non privilegiati, possono proporre un ricorso in primo grado dinanzi al Tribunale e in secondo grado, per motivi di diritto, dinanzi alla Corte, solo nell’ipotesi in cui gli atti di cui si chiede di dichiarare l’illegittimità li riguardino “direttamente ed individualmente” (art. 263, c. 4, TFUE)[22].

Infine, l’art. 263, comma 4, TFUE prevede una ulteriore ipotesi di legittimazione alla proponibilità del ricorso semplificato ma limitatamente agli atti regolamentari e non avverso tutta la categoria degli atti legislativi.

In virtù del sistema disegnato dal Trattato di Lisbona, per l’annullamento degli atti legislativi è prevista una maggiore onerosità. Ciò si spiegherebbe col fatto che essi sono espressione di una maggiore legittimazione democratica (derivante dalla partecipazione del Parlamento europeo nell’iter di approvazione)[23] rispetto agli atti delegati ed esecutivi e dal fatto che essi non sono impugnabili nella maggioranza dei sistemi processuali degli Stati membri.

La Corte infine rileva che l’interpretazione data non viola il diritto fondamentale ad un ricorso effettivo ex articoli 47 dalla Carta dei diritti fondamentali[24] e 6 e 13 della CEDU, poiché il sistema di controllo giurisdizionale del rispetto dell’ordinamento giuridico dell’Unione è completo, in quanto fondato sulla interazione tra giudice di Lussemburgo e giudice interno ex art. 19, par. 1, TUE[25].

L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali non modifica tuttavia il sistema di controllo giurisdizionale relativo alla ricevibilità dei ricorsi proposti direttamente dinanzi al giudice dell’Unione europea come disegnato dai Trattati. Ciò implica secondo la Corte che i requisiti di ricevibilità previsti dall’art. 263, comma 4, TFUE devono essere interpretati alla luce del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, in armonia con i requisiti previsti dal suddetto Trattato.

Alla luce delle superiore orientamento interpretativo, il doppio regime di impugnazione del ricorrente non privilegiato dipende in definitiva dalla scelta di tecnica legislativa posta in essere dal legislatore europeo per la adozione dell’atto, e non dalla sostanza del precetto.

4. Considerazioni conclusive sulla pronuncia

Sotto il profilo della tutela giurisdizionale, la distinzione tra atti legislativi e non legislativi viene fondata su un criterio meramente formalistico, anziché sul contenuto degli atti.

In base alla nuova formulazione della norma di cui all’art. 263, comma 4, TFUE[26], il ricorso diretto di legittimità assume un ruolo residuale rispetto alla tutela nazionale, in quanto diviene esperibile solo in mancanza della possibilità di ottenere una tutela sul piano interno[27].

La nuova disciplina dell’art. 263 comma 4, TFUE sembra aver disegnato un sistema di tutela giurisdizionale fondato su una concezione foriera di incertezze nonché in contrasto con i principi su cui si regge la tutela giurisdizionale in ambito europeo fra cui quello di effettività.

La Corte, tuttavia, nel ribadire che il Trattato ha creato un sistema completo di rimedi giurisdizionali preordinati a garantire il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni, richiama gli strumenti previsti a tutela delle persone fisiche e giuridiche. Tali strumenti prevedono la possibilità, a seconda dei casi, di far valere l’invalidità degli atti ritenuti illegittimi dinanzi al giudice comunitario, o in baseall’art. 263 TFUE, oppure in via incidentale, ex art. 277 TFUE62; a tali possibilità se ne aggiunge una terza esperibile dinanzi ai giudici nazionali, i quali non essendo competenti ad accertare direttamente l’invalidità di tali atti, possono rivolgersi al riguardo alla Corte in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE[28].

L’orientamento espresso dalla Corte in proposito si presta a considerazioni critiche.

Innanzitutto, la Corte riduce – in contrasto con quanto affermato - il rilievo del principio della completezza del sistema dei rimedi giurisdizionali previsti dai Trattati[29].

L’interpretazione dei giudici di Lussemburgo, infatti, esclude la possibilità per gli individui di far valere l’invalidità di atti legislativi che ledano direttamente le proprie posizioni soggettive e non comportino misure di esecuzione. L’assenza di misure di esecuzione esclude la possibilità di avviare un procedimento nei loro confronti e, per tale via, di far valere indirettamente l’invalidità degli atti legislativi che ne costituiscano il fondamento, così pregiudicando o potendo pregiudicare in modo sostanziale i suoi interessi.

Né la Corte ha dà un significativo rilievo nella sentenza in commento al principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali[30].     

Dalla sentenza relativa al caso Inuit qui commentata, emerge invece una valorizzazione del ruolo riconosciuto alla tutela giurisdizionale nazionale – anche alla luce dell’art. 19 TFU – nei casi in cui i presupposti restrittivi previsti dal Trattato non consentano l’impugnazione diretta dell’atto da parte dei privati.

Sotto questo profilo, le condizioni che consentono ai soggetti privati di proporre direttamente l’azione di annullamento di un provvedimento sono tradizionalmente limitate. Del resto, in una prospettiva di riforma del Trattato, sarebbe stato auspicabile estendere in modo più significativo la legittimazione all’impugnazione diretta[31] piuttosto che valorizzare la tutela giurisdizionale nazionale.

In realtà, come rilevato in dottrina, per potere risolvere il problema di una più ampia legittimazione ad agire dei singoli nell’ambito dell’art. 263 TFUE, sarebbe necessaria una modifica del sistema delle fonti[32] e delle dinamiche istituzionali che conducono alla loro adozione[33].

In definitiva, sul piano giurisdizionale non si è ancora raggiunto un punto di equilibrio fra l’esigenza di una tutela giurisdizionale dei ricorrenti non privilegiati e il sistema delle fonti esistente.

In proposito, una gerarchia degli atti comunitari[34] potrebbe assicurare una tutela più razionale ed efficace, in quanto, mentre da una parte potrebbe essere ampliato il diritto di ricorsi dei privati contro quegli atti attraverso cui viene posta in essere la funzione esecutiva e regolamentare, dall’altro, essa potrebbe dare un fondamento alla più ridotta o eventualmente solo indiretta tutela contro le “leggi”, salva la possibilità di azioni dirette in caso di lesione dei diritti fondamentali[35].

 

[1] In materia cfr. r. adam, a. tizzano, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2014; g. tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012; a. adinolfi, La Corte di Giustizia dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Rivista di diritto internazionale, 2010, pp. 45-64; m. condinanzi, r. mastroianni, Il contenzioso dell'Unione europea, Torino, 2009.

[2] Si veda m. borraccetti, Art. 47 della Carta, Corte di giustizia e Tribunale di primo grado, in Le scommesse dell'Europa. Diritti. Istituzioni. Politiche, Roma, 2009, pp. 233 – 248.

[3] Sentenza del 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione, Racc. pp. 195 e ss. 

[4] Alla sentenza Plaumann hanno fatto seguito altre pronunce quali la sentenza del 25 luglio 2002, causa 50/00P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. I, pp. 6677, e la Sentenza del 1° aprile 2004, Causa C-263/02 P, Commissione/Jégo‑Quéré, Racc. p. I-3425.

[5] Si veda b. marchetti, L’impugnazione degli atti normativi da parte dei privati nell’art. 263 Tfue, in Riv. it. dir. pubbl. com, 2010, pp. 1473ess.; e. nieto-garrido e i. martìn delgado, Derecho administrativo europeo, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2010, pp. e 210 ss.

[6] Regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, sul commercio dei prodotti derivati dalla foca (GU L 286, pag. 36).

[7] Gli Inuit sono un’etnia aborigena vivente preminentemente nelle regioni artiche e subartiche nel Canada centrale e nordorientale, in Alaska, in Groenlandia e in parti della Russia.

[8] Sulla nozione di atto regolamentare cfr. m. borraccetti, in l. mezzetti, c. pizzolo, Diritto processuale dei diritti umani, Rimini, 2013, pp. 184 e ss.; m.e. bartoloni, La nozione di “atto regolamentare” nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e i suoi riflessi sul ricorso individuale di invalidità, in Diritti umani e diritto internazionale – 2014, Vol. 8, Fasc. 1, p. 249

[9] La nozione di “atto regolamentare” resta per molti versi oscura. Al riguardo, si rinvia a damaso ruiz-jarabo colomer, La Cour de justice de l’Union européenne après le Traité de Lisbonne, in Gazette du Palais, 2008, p. 23 e ss. ; d. sorasio e b. jesus-gimeno, ibidem, p. 42 e ss.; s. van der jeught, Le traité de Lisbonne et la Cour de justice de l’Union européenne, in Journal de droit européen, 2009, p. 297 e ss.; k. lenaerts, Le traité de Lisbonne et la protection juridictionnelle des particuliers en droit de l’Union, in Cahiers de droit européen, 2009, p. 711 e ss.; a. adinolfi, La Corte di giustizia dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, cit., p. 45 e ss. 

[10] La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona Sul problema, si veda b. de witte, The European Judiciary after Lisbon, in Maastricht JECL, 2008, p. 47; o. porchia, I ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea: le modifiche previste dal Trattato di Lisbona, in p. bilancia, m. d’amico (a cura di), Milano, 2009, p. 229.

[11] Sulla nozione di atti legislativi dell’UE, si veda u. draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Milano, 2009, pp. 145 e ss.

[12] La problematica in esame viene richiamata da e. cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, Torino, 2014, pp. 192 e ss.

[13] La problematica in esame viene richiamata da e. cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, cit. 193.

[14] Secondo a.m. romito, Studi sull’integrazione europea a cura di e. triggiani, u. villani, Anno VIII, n. 3/2013, si tratta di in un malriuscito “copia e incolla” del testo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa nel Trattato di Lisbona.

[15] Sulla distinzione tra legge europea, legge quadro europea e atti non legislativi, si veda s. baroncelli, La partecipazione dell’Italia alla governance dell’Unione europea nella prospettiva del Trattato di Lisbona. Un’analisi sulle fonti del diritto nell’ottica della fase ascendente e discendente, Torino, 2008.

[16] In materia cfr. m. p. chiti, Diritto amministrativo europeo, IV ed., Milano, 2011, pp. 209 e ss. 

[17] In realtà, spiega s. baroncelli, Le fonti del diritto nell’UE dal Trattato di Roma al Trattato di Lisbona: verso un’accresciuta complessità del sistema, in Osservatorio sulle fonti, 3/2008, p. 37, la semplice distinzione fra atti legislativi e non legislativi non è così lineare come sembra implicare il Trattato di Lisbona, poiché gli strumenti normativi non sono istituti indipendenti, bensì collegati gli uni agli altri. Per questo il TFUE, rifacendosi alla distinzione introdotta dal Trattato costituzionale, differenzia fra atti generali di base e atti delegati.  

[18] In argomento cfr. A.M. Romito, Il ricorso per annullamento ed i limiti alla tutela dei ricorrenti non privilegiati, in Studi sull’integrazione europea, 2/2008, p. 535.

[19] In proposito, con riferimento alla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive individuali protette, lese attraverso atti illegittimi delle istituzioni europee, il principio di effettività, inteso nella sua accezione processualistica, non appare ancora pienamente affermato. Cfr. s.m. carbone, Principio di effettività e diritto comunitario, Napoli, 2009, pp. 44 e ss.

[20] Per una ricostruzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia in merito alla definizione di atto regolamentare, u. villani, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, 2013, pp. 335 e ss.

[21] A.M. Romito, Il ricorso per annullamento ed i limiti alla tutela dei ricorrenti non privilegiati, in Studi sull’integrazione europea, cit., p. 536.

[22] Il singolo, tuttavia, non è legittimato ad impugnare tutti gli atti; può impugnare le decisioni a lui specificamente indirizzate (ad es. l’irrogazione di un’ammenda); può, altresì, impugnare atti di cui non sia il formale destinatario e persino regolamenti, sempre che tali atti lo riguardino direttamente ed individualmente, ovvero che sia identificato o identificabile quale destinatario sostanziale dell’atto e che vi sia un nesso di causalità tra la situazione individuale e la misura adottata: occorre, cioè, che l’atto, lungi dall’avere portata normativa o generale, sia stato adottato tenendo specificamente conto della situazione del o dei ricorrenti. Cfr., g. tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit., 242 ss.

[23] Sul profilo della democraticità dei processi legislativi comunitari si veda p. falletta, I procedimenti normativi dell’Unione Europea, in www.amministrazioneincammino.it, 2008.

[24] Con riferimento all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, cfr. l. mezzetti, c. pizzolo, Diritto processuale dei diritti umani, cit., pp. 166 e ss.

[25] L’art. 19, par.1, TUE precisa che gli Stati membri devono provvedere a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, esplicitando così un dovere degli Stati membri già affermato nella stessa prassi giurisprudenziale della Corte e corollario del primato del diritto dell’Unione, ma soprattutto sottolineando la necessaria complementarietà e reciproca interazione fra i sistemi giurisdizionali nazionali e quello europeo, chiamati a cooperare e ad assicurare, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, l’attuazione del diritto dell’Unione (cfr. g. strozzi, r. mastroianni, Diritto dell’Unione Europea: Parte istituzionale, Torino, 2013, pp. 146 e ss.).     

[26]Questa modifica si inserisce nel quadro di una riforma più ampia basata sulla nuova ripartizione delle competenze tra le istituzioni e sulla creazione di una gerarchia degli atti normativi. Si veda o. porchia, I ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea: le modifiche previste dal Trattato di Lisbona, cit., pp. 223 e ss.

[27] In questo senso A.M. Romito, Il ricorso per annullamento ed i limiti alla tutela dei ricorrenti non privilegiati, in Studi sull’integrazione europea, cit., p. 541.

[28]La sussistenza di un sistema di tutele articolato costituisce una prerogativa essenziale del sistema comunitario. Attraverso i mezzi di ricorso, infatti, l’ordinamento europeo prevede un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle posizioni giuridiche soggettive sorte per effetto del diritto dell’Unione Europea. Lo ha ribadito in più occasioni la Corte di giustizia e, sulla scia di questa, la dottrina (si vedano g. della cananea, Diritto amministrativo europeo – principi e istituti, in s. cassese (diretto da), Corso di diritto amministrativo, Milano, 2011, pp. 144 e ss.; boni d., Impugnazione degli atti comunitari, in s. cassese. (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 2970-2980; g. gaja, Identifying the status of general principles in European community law, in Scritti in onore di Giuseppe Federico Mancini, II, Milano, 1998, pp. 445 e ss.).

[29] Cfr. s. lorenzon, Il dopo Trattato di Lisbona: completezza ed effettività dei rimedi giurisdizionali di fronte alla Corte di Giustizia, in Quad. cost., 2010, pp. 136 e ss.

[30] Se pure la Carta dei diritti fondamentali non costituisce un parametro di validità delle norme del Trattato, essa può comunque essere considerata ai fini interpretativi. Nel caso di specie, l’art. 47 poteva assumere rilievo al fine dell’interpretazione dell’ambigua nozione di “atti regolamentari”.

[31] Rileva g. della cananea, Diritto amministrativo europeo – principi e istituti, cit., p. 134, che «il ricorso svolge la funzione di strumento di garanzia degli amministrati, caratterizzato, tuttavia (…) da una assai ristretta e rigida individuazione dei soggetti legittimati a proporlo».

[32] Sull’assenza nell’ordinamento dell’Unione Europea di un criterio formale di regolazione dei rapporti tra fonti, si veda f. bassan, Regolazione e equilibrio istituzionale nell’Unione europea, in Rivista italiana di diritto pubblico, 2003, fasc.5, p. 999, secondo cui «(…) i Trattati originari non prevedevano una ripartizionegerarchica formale tra le fonti comunitarie se non quella fondata sulla distinzione tra diritto primario (dei Trattati,ordinati secondo un criterio di prevalenza) e diritto secondario (gli atti delle istituzioni). Per questi ultimi i Trattatiprevedono non un ordine gerarchico formale che consenta di qualificarli come atti rispettivamente di secondo o di terzogrado, ma tutt’al più una gerarchia sostanziale, funzionale o basata sui contenuti».

[33] Più in generale, circa il collegamento tra la difficoltà di distinguere la natura dell’atto e l’assenza di un ordinato criterio di sistemazione delle fonti, vedi s. peers, m. costa, Accountability for delegated and implementing acts after the Treaty of Lisbon, in European Law Journal, vol.18, n.3, maggio 2012, p. 447.

[34]La prima a delineare un rapporto gerarchico tra le fonti del diritto dell’Unione europea, è stata la Corte di Giustizia. Ciò viene evidenziato da r. bin, p. caretti, Profili costituzionali dell’Unione europea, Bologna, 2008, p. 192, i quali, in merito al principio di gerarchia nelle fonti del diritto dell’Unione europea, rilevano come tale principio fosse «appena abbozzato dalla Corte di giustizia e solo con riferimento agli atti di base e agli atti di esecuzione, ovvero agli atti a portata generale rispetto alle decisioni individuali». Cfr. anche e. cannizzaro, Gerarchia e competenza nel sistema delle fonti dell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2005, fasc.4, pp.652, ove,in riferimento al periodo anteriore all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, rileva che «l’ordinamento attualedell’Unione è, come è noto, ispirato (…) alla frammentazione del sistema istituzionale e di quello normativo, conoscepiù categorie di fonti non ordinate secondo criteri gerarchici, più sistemi e micro-sistemi istituzionali, descritti solosommariamente dalla nota struttura ordinamentale a pilastri. Esso è, per comune opinione, un sistema nel quale dominail criterio della competenza ed è pressoché assente quello della gerarchia»; e a. d’atena, L’anomalo assetto delle fonti comunitarie, in Il diritto dell’Unione europea, 2001, pp.591-604.

[35]Così già alla fine degli anni Novanta a. tizzano, La gerarchia delle norme comunitarie, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1996, pp. 57-87.

1. Premessa

La legittimazione attiva dei singoli rispetto agli atti dell’Unione europea di portata generale[1] rappresenta una sorta di cartina di tornasole dell’incidenza e dell’attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale nell’ordinamento europeo.

Il diritto a un ricorso effettivo, riconosciuto a livello dell’Unione quale principio giuridico generale, è assurto infatti al rango di diritto fondamentale dell’Unione nell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali[2]. Tale diritto fondamentale è di cruciale importanza nell’interpretare e applicare i requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche e giuridiche, con riguardo alla previsione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

In proposito, a partire della sentenza Plaumann[3], la Corte di giustizia ha dato vita – prima in riferimento all’articolo 173 C(E)E e, successivamente, all’articolo 230 CE – ad un’interpretazione tendenzialmente restrittiva della legittimazione diretta ad agire delle persone fisiche e giuridiche[4].

Come reazione a questa giurisprudenza, nel Trattato di Lisbona si è pervenuti ad una nuova disciplina della legittimazione ad agire dei singoli, entrata in vigore il 1° dicembre 2009.

Con l’articolo 263, quarto comma, TFUE è stata ampliata la legittimazione ad agire delle persone fisiche e giuridiche. L’articolo 263, quarto comma, TFUE consente infatti alle persone fisiche e giuridiche anche di proporre un ricorso d’annullamento «contro gli atti regolamentari che le riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

Controversa è, tuttavia, l’entità di tale ampliamento e la corretta interpretazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE[5] per le ragioni che si esporranno nel prosieguo del presente elaborato. In proposito, con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi proprio sulla suddetta questione controversa e, in tale ambito, ad esprimersi soprattutto sull’interpretazione della nozione di «atto regolamentare». In particolare, la questione controversa è soprattutto se anche gli atti legislativi dell’Unione europea possano essere annoverati nella categoria degli atti regolamentari.

2. Il caso su cui interviene la Corte

All’origine della controversia decisa dalla Corte con sentenza del 03 ottobre 2013 - Causa C–583/11P è stato il regolamento (CE) n. 1007/2009 sul commercio dei prodotti derivati dalla foca, adottato congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 16 settembre 2009[6]. Il suddetto regolamento ha disposto un divieto di immissione in commercio sul mercato interno europeo dei prodotti derivati dalla foca, contro cui la Inuit Tapiriit Kanatami, in quanto rappresentante degli interessi degli Inuit canadesi[7], nonché numerose altre parti – soprattutto produttori o commercianti di prodotti derivati dalla foca – i quali hanno proposto ricorso per annullamento davanti alla Corte.

In primo grado il ricorso d’annullamento proposto dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli altri ricorrenti è stato respinto dal Tribunale dell’Unione europea con ordinanza in quanto irricevibile. Il Tribunale ha motivato la sua decisione sostenendo che il regolamento n. 1007/2009 è un atto legislativo che non può essere inteso come atto regolamentare nell’accezione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

La Inuit Tapiriit Kanatami e altri ricorrenti hanno impugnato la suddetta ordinanza. I ricorrenti hanno presentato complessivamente tre motivi per impugnare l’ordinanza del Tribunale, di cui il primo riguarda il disposto dell’articolo 263, quarto comma, TFUE in quanto tale, mentre il secondo ha per oggetto il diritto fondamentale ad un ricorso effettivo e il terzo affronta la questione se il Tribunale abbia interpretato correttamente la domanda presentata dai ricorrenti in prime cure.

3. La nozione di atto regolamentare e i motivi dell’irricevibilità del ricorso per annullamento dei c.d. “ricorrenti non privilegiati”

Il primo motivo del ricorso proposto rappresenta il baricentro della controversia decisa dalla Corte di Giustizia con la sentenza in commento.

In proposito, il problema sottoposto all’attenzione della Corte è la corretta interpretazione e applicazione dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, che, nella sua versione ancora in vigore, è basata sul Trattato di Lisbona e statuisce quanto segue: «qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».

Le ipotesi in cui i ricorrenti non privilegiati possono proporre il ricorso di legittimità sono le seguenti: a) contro atti di cui sono destinatari; b) contro atti che (anche se non indirizzati a loro) li riguardino direttamente ed individualmente (c.d. atti provvedimentali); c) ovvero ancora – ipotesi di recente introduzione – contro atti regolamentari che li riguardino direttamente e che non necessitino di misure di esecuzione.

I ricorrenti hanno contestato l’interpretazione e l’applicazione della locuzione «atto regolamentare» prevista nella terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE data dal Tribunale di primo grado, secondo cui la nozione di “atto regolamentare” ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi. Tale tesi sostiene pertanto che un atto legislativo può formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica unicamente se la riguarda direttamente e individualmente.

In proposito, la scelta operata si presta a considerazioni di natura critica in quanto la nuova formulazione dell’art. 263, comma 4, TFUE, non determina un ampliamento dei casi in cui è possibile il ricorso al Tribunale, dando così vita ad una riforma solo parziale.

L’art. 263, comma 4, si caratterizza per l’ambiguità della formula “atti regolamentari che (…) riguardino direttamente [il privato] e che non comportano alcuna misura di esecuzione”.

Il problema che la Corte di Giustizia è chiamata ad affrontare è infatti quello di capire quali siano gli “atti regolamentari”[8] richiamati dalla norma, atteso che essi non trovano rispondenza nella tipologia delle fonti elencata nel Trattato di Lisbona, né sono citati in alcuna altra norma dello stesso[9].

Al riguardo, a fronte di un orientamento che sostiene sulla base di una ricostruzione storica e teleologica della disposizione richiamata che la locuzione “atti regolamentari” sia sinonimo di “atti non legislativi”; altra dottrina, muovendo dalla considerazione che la nuova formulazione dell’articolo dovrebbe ampliare e favorire l’impugnazione diretta degli atti dell’Unione, hanno, invece,  ritenuto che la nozione di “atto regolamentare” si sostanzia in qualunque atto dell’Unione di portata generale e produttivo di effetti giuridici, sia esso legislativo che non legislativo, delegato o esecutivo[10]. Secondo il primo orientamento interpretativo la ricevibilità dei ricorsi per annullamento promossi dai c.d. “ricorrenti non privilegiati” ai sensi dell’art. 263 TFUE è esclusa con riferimento a tutti gli atti legislativi, e, pertanto, la nozione di “atto regolamentare” ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi[11]; di conseguenza, un atto legislativo può formare oggetto di un ricorso di annullamento da parte di una persona fisica o giuridica unicamente se la riguarda direttamente e individualmente». Per coloro che sostengono il secondo indirizzo, invece, ne sarebbero esclusi tutti gli atti legislativi per cui non è prevista alcuna misura d’esecuzione[12].

Il dubbio interpretativo su cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dovuto pronunciarsi nella Causa C–583/11P, si fonda, secondo alcuni autori[13], soprattutto sui lavori preparatori del progetto di Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa, mai entrato in vigore, il quale definiva una nozione di “atti regolamentari” opposta a quella di atti legislativi[14].

Gli atti giuridici dell’Unione Europea, disciplinati nel titolo V (art. I-32/I-43) della Parte I del Trattato costituzionale del 2004, c.d. Costituzione europea, si distinguevano in atti legislativi, rappresentati dalla legge europea e dalla legge quadro europea, e, in posizione subordinata, atti non legislativi[15]. Questi ultimi erano rappresentati da regolamenti europei e decisioni europee, adottati direttamente sulla base della Costituzione (artt. I-33 e I-35); regolamenti europei delegati, emanati dalla Commissione nei casi di delegazione di potere del legislatore (art. I-36); e atti esecutivi, che potevano consistere in regolamenti europei di esecuzione o decisioni europee di esecuzione (art. I-37)[16].

Il vigente Trattato ha mantenuto la distinzione fra atti legislativi e atti non legislativi[17], distinguendoli però sulla base di un criterio puramente formale: non sono né la denominazione, né la struttura, né la portata dell’atto a qualificarne la natura “legislativa”, ma le sue modalità di adozione (ex art. 289, par. 3, TFUE). Inoltre, discostandosi dal precedente Trattato costituzionale, il Trattato di Lisbona ha reinserito la denominazione originaria delle fonti derivate (a norma dell’art. 288 TFUE ss.). A ciò va aggiunto che anche gli atti non legislativi, se di esecuzione, possono rivestire la forma di regolamenti, direttive o decisioni; se delegati, di regolamenti o direttive[18].

A fronte di una chiarezza legislativa trascurata, con il fine di dirimere le controversie e gli equivoci insorti nel tempo in merito alla tutela dei c.d. ricorrenti non privilegiati rispetto agli atti legislativi dell’Unione europea, i giudici comunitari hanno dovuto spendere non poche parole per trovare una soluzione interpretativa che garantisse il principio di effettività[19] della tutela giurisdizionale senza trascurare altre esigenze.

La Corte di giustizia dell’Unione europea sul tema conferma una lettura restrittiva della norma, respingendo il ricorso proposto dall’organizzazione canadese ed altri ricorrenti volto all’annullamento del regolamento (CE) n. 1007/2009, concernente l’immissione sul mercato dei prodotti derivati dalla foca. La Corte per potersi pronunciare sulla ricevibilità del ricorso, ha dovuto preliminarmente esaminare la nozione di “atto regolamentare”[20], giungendo alla conclusione che è tale qualunque atto di portata generale ad eccezione degli atti legislativi.

Diverse sono le argomentazione richiamate a sostegno della pronuncia di irricevibilità nei confronti dei c.d. ricorrenti non privilegiati.

La Corte fa leva innanzitutto sull’interpretazione letterale della norma considerata nel suo contesto di riferimento (anche alla luce del raffronto tra il comma 1 ed il comma 4 dell’art. 263 TFUE).

In secondo luogo, assume rilevanza secondo il giudice europeo il procedimento di formazione previsto la elaborazione di detta disposizione.

Infine, un ultimo argomento risulta decisivo al fine di ritenere che gli atti regolamentari consistono in definitiva negli atti non legislativi. Tale elemento è rappresentato dalla ratio della disposizione, che è quella di legittimare i ricorrenti non privilegiati alla proposizione del ricorso contro gli atti di portata generale diversi dagli atti legislativi che li riguardano direttamente e non comportano alcuna misura di esecuzione).

Alla luce delle superiori argomentazioni, la Corte ha affermato che i presupposti per la ricevibilità di un ricorso di annullamento contro un atto legislativo risultano più restrittivi di quanto non lo siano nel caso di un ricorso contro un “atto regolamentare”, giacché ancor oggi una persona fisica o giuridica può presentare un ricorso contro un regolamento solo qualora essa sia interessata non solo direttamente ma anche individualmente da tale atto. In altri termini, la formulazione dell’art. 263, quarto comma, TFUE non consente di proporre un ricorso contro tutti gli atti rispondenti ai criteri dell’incidenza diretta e dell’assenza di misure di esecuzione, né contro tutti gli atti di portata generale rispondenti a tali criteri, ma solo contro una specifica categoria di questi ultimi, gli atti regolamentari[21].

Un secondo motivo su cui si basa l’interpretazione restrittiva della nozione di atto regolamentare richiamata dall’art. 263, quarto comma, TFUE, si ricava secondo la Corte dall’esame della struttura della norma: il comma 1, richiamato poi nel comma 4, prima parte, riguarda gli “atti legislativi”, mentre il comma 4, nella sua seconda parte, fa riferimento ad “atti regolamentari”.

Tale scelta terminologica, infatti, non sarebbe casuale, ma espressione del fatto che, ai sensi dell’art. 263 TFUE, alle differenti categorie di ricorrenti corrisponde una legittimazione a proporre il ricorso diretto di portata diversa: i ricorrenti privilegiati, ai sensi dell’art. 263, comma 2, TFUE e i ricorrenti semi-privilegiati ai sensi dell’articolo 263, comma 3, TFUE sono legittimati a proporre ricorso contro tutti i tipi di atti dell’Unione previsti dal comma 1, ivi compresi gli atti legislativi, mentre la legittimazione attiva diretta delle persone fisiche e giuridiche di cui all’art. 263, comma 4, TFUE è limitata a determinati tipi di atti dell’Unione.

In particolare, le persone fisiche e giuridiche, definiti ricorrenti non privilegiati, possono proporre un ricorso in primo grado dinanzi al Tribunale e in secondo grado, per motivi di diritto, dinanzi alla Corte, solo nell’ipotesi in cui gli atti di cui si chiede di dichiarare l’illegittimità li riguardino “direttamente ed individualmente” (art. 263, c. 4, TFUE)[22].

Infine, l’art. 263, comma 4, TFUE prevede una ulteriore ipotesi di legittimazione alla proponibilità del ricorso semplificato ma limitatamente agli atti regolamentari e non avverso tutta la categoria degli atti legislativi.

In virtù del sistema disegnato dal Trattato di Lisbona, per l’annullamento degli atti legislativi è prevista una maggiore onerosità. Ciò si spiegherebbe col fatto che essi sono espressione di una maggiore legittimazione democratica (derivante dalla partecipazione del Parlamento europeo nell’iter di approvazione)[23] rispetto agli atti delegati ed esecutivi e dal fatto che essi non sono impugnabili nella maggioranza dei sistemi processuali degli Stati membri.

La Corte infine rileva che l’interpretazione data non viola il diritto fondamentale ad un ricorso effettivo ex articoli 47 dalla Carta dei diritti fondamentali[24] e 6 e 13 della CEDU, poiché il sistema di controllo giurisdizionale del rispetto dell’ordinamento giuridico dell’Unione è completo, in quanto fondato sulla interazione tra giudice di Lussemburgo e giudice interno ex art. 19, par. 1, TUE[25].

L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali non modifica tuttavia il sistema di controllo giurisdizionale relativo alla ricevibilità dei ricorsi proposti direttamente dinanzi al giudice dell’Unione europea come disegnato dai Trattati. Ciò implica secondo la Corte che i requisiti di ricevibilità previsti dall’art. 263, comma 4, TFUE devono essere interpretati alla luce del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, in armonia con i requisiti previsti dal suddetto Trattato.

Alla luce delle superiore orientamento interpretativo, il doppio regime di impugnazione del ricorrente non privilegiato dipende in definitiva dalla scelta di tecnica legislativa posta in essere dal legislatore europeo per la adozione dell’atto, e non dalla sostanza del precetto.

4. Considerazioni conclusive sulla pronuncia

Sotto il profilo della tutela giurisdizionale, la distinzione tra atti legislativi e non legislativi viene fondata su un criterio meramente formalistico, anziché sul contenuto degli atti.

In base alla nuova formulazione della norma di cui all’art. 263, comma 4, TFUE[26], il ricorso diretto di legittimità assume un ruolo residuale rispetto alla tutela nazionale, in quanto diviene esperibile solo in mancanza della possibilità di ottenere una tutela sul piano interno[27].

La nuova disciplina dell’art. 263 comma 4, TFUE sembra aver disegnato un sistema di tutela giurisdizionale fondato su una concezione foriera di incertezze nonché in contrasto con i principi su cui si regge la tutela giurisdizionale in ambito europeo fra cui quello di effettività.

La Corte, tuttavia, nel ribadire che il Trattato ha creato un sistema completo di rimedi giurisdizionali preordinati a garantire il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni, richiama gli strumenti previsti a tutela delle persone fisiche e giuridiche. Tali strumenti prevedono la possibilità, a seconda dei casi, di far valere l’invalidità degli atti ritenuti illegittimi dinanzi al giudice comunitario, o in baseall’art. 263 TFUE, oppure in via incidentale, ex art. 277 TFUE62; a tali possibilità se ne aggiunge una terza esperibile dinanzi ai giudici nazionali, i quali non essendo competenti ad accertare direttamente l’invalidità di tali atti, possono rivolgersi al riguardo alla Corte in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE[28].

L’orientamento espresso dalla Corte in proposito si presta a considerazioni critiche.

Innanzitutto, la Corte riduce – in contrasto con quanto affermato - il rilievo del principio della completezza del sistema dei rimedi giurisdizionali previsti dai Trattati[29].

L’interpretazione dei giudici di Lussemburgo, infatti, esclude la possibilità per gli individui di far valere l’invalidità di atti legislativi che ledano direttamente le proprie posizioni soggettive e non comportino misure di esecuzione. L’assenza di misure di esecuzione esclude la possibilità di avviare un procedimento nei loro confronti e, per tale via, di far valere indirettamente l’invalidità degli atti legislativi che ne costituiscano il fondamento, così pregiudicando o potendo pregiudicare in modo sostanziale i suoi interessi.

Né la Corte ha dà un significativo rilievo nella sentenza in commento al principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali[30].     

Dalla sentenza relativa al caso Inuit qui commentata, emerge invece una valorizzazione del ruolo riconosciuto alla tutela giurisdizionale nazionale – anche alla luce dell’art. 19 TFU – nei casi in cui i presupposti restrittivi previsti dal Trattato non consentano l’impugnazione diretta dell’atto da parte dei privati.

Sotto questo profilo, le condizioni che consentono ai soggetti privati di proporre direttamente l’azione di annullamento di un provvedimento sono tradizionalmente limitate. Del resto, in una prospettiva di riforma del Trattato, sarebbe stato auspicabile estendere in modo più significativo la legittimazione all’impugnazione diretta[31] piuttosto che valorizzare la tutela giurisdizionale nazionale.

In realtà, come rilevato in dottrina, per potere risolvere il problema di una più ampia legittimazione ad agire dei singoli nell’ambito dell’art. 263 TFUE, sarebbe necessaria una modifica del sistema delle fonti[32] e delle dinamiche istituzionali che conducono alla loro adozione[33].

In definitiva, sul piano giurisdizionale non si è ancora raggiunto un punto di equilibrio fra l’esigenza di una tutela giurisdizionale dei ricorrenti non privilegiati e il sistema delle fonti esistente.

In proposito, una gerarchia degli atti comunitari[34] potrebbe assicurare una tutela più razionale ed efficace, in quanto, mentre da una parte potrebbe essere ampliato il diritto di ricorsi dei privati contro quegli atti attraverso cui viene posta in essere la funzione esecutiva e regolamentare, dall’altro, essa potrebbe dare un fondamento alla più ridotta o eventualmente solo indiretta tutela contro le “leggi”, salva la possibilità di azioni dirette in caso di lesione dei diritti fondamentali[35].

 

[1] In materia cfr. r. adam, a. tizzano, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2014; g. tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012; a. adinolfi, La Corte di Giustizia dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Rivista di diritto internazionale, 2010, pp. 45-64; m. condinanzi, r. mastroianni, Il contenzioso dell'Unione europea, Torino, 2009.

[2] Si veda m. borraccetti, Art. 47 della Carta, Corte di giustizia e Tribunale di primo grado, in Le scommesse dell'Europa. Diritti. Istituzioni. Politiche, Roma, 2009, pp. 233 – 248.

[3] Sentenza del 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione, Racc. pp. 195 e ss. 

[4] Alla sentenza Plaumann hanno fatto seguito altre pronunce quali la sentenza del 25 luglio 2002, causa 50/00P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. I, pp. 6677, e la Sentenza del 1° aprile 2004, Causa C-263/02 P, Commissione/Jégo‑Quéré, Racc. p. I-3425.

[5] Si veda b. marchetti, L’impugnazione degli atti normativi da parte dei privati nell’art. 263 Tfue, in Riv. it. dir. pubbl. com, 2010, pp. 1473ess.; e. nieto-garrido e i. martìn delgado, Derecho administrativo europeo, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2010, pp. e 210 ss.

[6] Regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, sul commercio dei prodotti derivati dalla foca (GU L 286, pag. 36).

[7] Gli Inuit sono un’etnia aborigena vivente preminentemente nelle regioni artiche e subartiche nel Canada centrale e nordorientale, in Alaska, in Groenlandia e in parti della Russia.

[8] Sulla nozione di atto regolamentare cfr. m. borraccetti, in l. mezzetti, c. pizzolo, Diritto processuale dei diritti umani, Rimini, 2013, pp. 184 e ss.; m.e. bartoloni, La nozione di “atto regolamentare” nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e i suoi riflessi sul ricorso individuale di invalidità, in Diritti umani e diritto internazionale – 2014, Vol. 8, Fasc. 1, p. 249

[9] La nozione di “atto regolamentare” resta per molti versi oscura. Al riguardo, si rinvia a damaso ruiz-jarabo colomer, La Cour de justice de l’Union européenne après le Traité de Lisbonne, in Gazette du Palais, 2008, p. 23 e ss. ; d. sorasio e b. jesus-gimeno, ibidem, p. 42 e ss.; s. van der jeught, Le traité de Lisbonne et la Cour de justice de l’Union européenne, in Journal de droit européen, 2009, p. 297 e ss.; k. lenaerts, Le traité de Lisbonne et la protection juridictionnelle des particuliers en droit de l’Union, in Cahiers de droit européen, 2009, p. 711 e ss.; a. adinolfi, La Corte di giustizia dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, cit., p. 45 e ss. 

[10] La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona Sul problema, si veda b. de witte, The European Judiciary after Lisbon, in Maastricht JECL, 2008, p. 47; o. porchia, I ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea: le modifiche previste dal Trattato di Lisbona, in p. bilancia, m. d’amico (a cura di), Milano, 2009, p. 229.

[11] Sulla nozione di atti legislativi dell’UE, si veda u. draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Milano, 2009, pp. 145 e ss.

[12] La problematica in esame viene richiamata da e. cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, Torino, 2014, pp. 192 e ss.

[13] La problematica in esame viene richiamata da e. cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, cit. 193.

[14] Secondo a.m. romito, Studi sull’integrazione europea a cura di e. triggiani, u. villani, Anno VIII, n. 3/2013, si tratta di in un malriuscito “copia e incolla” del testo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa nel Trattato di Lisbona.

[15] Sulla distinzione tra legge europea, legge quadro europea e atti non legislativi, si veda s. baroncelli, La partecipazione dell’Italia alla governance dell’Unione europea nella prospettiva del Trattato di Lisbona. Un’analisi sulle fonti del diritto nell’ottica della fase ascendente e discendente, Torino, 2008.

[16] In materia cfr. m. p. chiti, Diritto amministrativo europeo, IV ed., Milano, 2011, pp. 209 e ss. 

[17] In realtà, spiega s. baroncelli, Le fonti del diritto nell’UE dal Trattato di Roma al Trattato di Lisbona: verso un’accresciuta complessità del sistema, in Osservatorio sulle fonti, 3/2008, p. 37, la semplice distinzione fra atti legislativi e non legislativi non è così lineare come sembra implicare il Trattato di Lisbona, poiché gli strumenti normativi non sono istituti indipendenti, bensì collegati gli uni agli altri. Per questo il TFUE, rifacendosi alla distinzione introdotta dal Trattato costituzionale, differenzia fra atti generali di base e atti delegati.  

[18] In argomento cfr. A.M. Romito, Il ricorso per annullamento ed i limiti alla tutela dei ricorrenti non privilegiati, in Studi sull’integrazione europea, 2/2008, p. 535.

[19] In proposito, con riferimento alla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive individuali protette, lese attraverso atti illegittimi delle istituzioni europee, il principio di effettività, inteso nella sua accezione processualistica, non appare ancora pienamente affermato. Cfr. s.m. carbone, Principio di effettività e diritto comunitario, Napoli, 2009, pp. 44 e ss.

[20] Per una ricostruzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia in merito alla definizione di atto regolamentare, u. villani, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, 2013, pp. 335 e ss.

[21] A.M. Romito, Il ricorso per annullamento ed i limiti alla tutela dei ricorrenti non privilegiati, in Studi sull’integrazione europea, cit., p. 536.

[22] Il singolo, tuttavia, non è legittimato ad impugnare tutti gli atti; può impugnare le decisioni a lui specificamente indirizzate (ad es. l’irrogazione di un’ammenda); può, altresì, impugnare atti di cui non sia il formale destinatario e persino regolamenti, sempre che tali atti lo riguardino direttamente ed individualmente, ovvero che sia identificato o identificabile quale destinatario sostanziale dell’atto e che vi sia un nesso di causalità tra la situazione individuale e la misura adottata: occorre, cioè, che l’atto, lungi dall’avere portata normativa o generale, sia stato adottato tenendo specificamente conto della situazione del o dei ricorrenti. Cfr., g. tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit., 242 ss.

[23] Sul profilo della democraticità dei processi legislativi comunitari si veda p. falletta, I procedimenti normativi dell’Unione Europea, in www.amministrazioneincammino.it, 2008.

[24] Con riferimento all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, cfr. l. mezzetti, c. pizzolo, Diritto processuale dei diritti umani, cit., pp. 166 e ss.

[25] L’art. 19, par.1, TUE precisa che gli Stati membri devono provvedere a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, esplicitando così un dovere degli Stati membri già affermato nella stessa prassi giurisprudenziale della Corte e corollario del primato del diritto dell’Unione, ma soprattutto sottolineando la necessaria complementarietà e reciproca interazione fra i sistemi giurisdizionali nazionali e quello europeo, chiamati a cooperare e ad assicurare, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, l’attuazione del diritto dell’Unione (cfr. g. strozzi, r. mastroianni, Diritto dell’Unione Europea: Parte istituzionale, Torino, 2013, pp. 146 e ss.).     

[26]Questa modifica si inserisce nel quadro di una riforma più ampia basata sulla nuova ripartizione delle competenze tra le istituzioni e sulla creazione di una gerarchia degli atti normativi. Si veda o. porchia, I ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea: le modifiche previste dal Trattato di Lisbona, cit., pp. 223 e ss.

[27] In questo senso A.M. Romito, Il ricorso per annullamento ed i limiti alla tutela dei ricorrenti non privilegiati, in Studi sull’integrazione europea, cit., p. 541.

[28]La sussistenza di un sistema di tutele articolato costituisce una prerogativa essenziale del sistema comunitario. Attraverso i mezzi di ricorso, infatti, l’ordinamento europeo prevede un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle posizioni giuridiche soggettive sorte per effetto del diritto dell’Unione Europea. Lo ha ribadito in più occasioni la Corte di giustizia e, sulla scia di questa, la dottrina (si vedano g. della cananea, Diritto amministrativo europeo – principi e istituti, in s. cassese (diretto da), Corso di diritto amministrativo, Milano, 2011, pp. 144 e ss.; boni d., Impugnazione degli atti comunitari, in s. cassese. (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 2970-2980; g. gaja, Identifying the status of general principles in European community law, in Scritti in onore di Giuseppe Federico Mancini, II, Milano, 1998, pp. 445 e ss.).

[29] Cfr. s. lorenzon, Il dopo Trattato di Lisbona: completezza ed effettività dei rimedi giurisdizionali di fronte alla Corte di Giustizia, in Quad. cost., 2010, pp. 136 e ss.

[30] Se pure la Carta dei diritti fondamentali non costituisce un parametro di validità delle norme del Trattato, essa può comunque essere considerata ai fini interpretativi. Nel caso di specie, l’art. 47 poteva assumere rilievo al fine dell’interpretazione dell’ambigua nozione di “atti regolamentari”.

[31] Rileva g. della cananea, Diritto amministrativo europeo – principi e istituti, cit., p. 134, che «il ricorso svolge la funzione di strumento di garanzia degli amministrati, caratterizzato, tuttavia (…) da una assai ristretta e rigida individuazione dei soggetti legittimati a proporlo».

[32] Sull’assenza nell’ordinamento dell’Unione Europea di un criterio formale di regolazione dei rapporti tra fonti, si veda f. bassan, Regolazione e equilibrio istituzionale nell’Unione europea, in Rivista italiana di diritto pubblico, 2003, fasc.5, p. 999, secondo cui «(…) i Trattati originari non prevedevano una ripartizionegerarchica formale tra le fonti comunitarie se non quella fondata sulla distinzione tra diritto primario (dei Trattati,ordinati secondo un criterio di prevalenza) e diritto secondario (gli atti delle istituzioni). Per questi ultimi i Trattatiprevedono non un ordine gerarchico formale che consenta di qualificarli come atti rispettivamente di secondo o di terzogrado, ma tutt’al più una gerarchia sostanziale, funzionale o basata sui contenuti».

[33] Più in generale, circa il collegamento tra la difficoltà di distinguere la natura dell’atto e l’assenza di un ordinato criterio di sistemazione delle fonti, vedi s. peers, m. costa, Accountability for delegated and implementing acts after the Treaty of Lisbon, in European Law Journal, vol.18, n.3, maggio 2012, p. 447.

[34]La prima a delineare un rapporto gerarchico tra le fonti del diritto dell’Unione europea, è stata la Corte di Giustizia. Ciò viene evidenziato da r. bin, p. caretti, Profili costituzionali dell’Unione europea, Bologna, 2008, p. 192, i quali, in merito al principio di gerarchia nelle fonti del diritto dell’Unione europea, rilevano come tale principio fosse «appena abbozzato dalla Corte di giustizia e solo con riferimento agli atti di base e agli atti di esecuzione, ovvero agli atti a portata generale rispetto alle decisioni individuali». Cfr. anche e. cannizzaro, Gerarchia e competenza nel sistema delle fonti dell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2005, fasc.4, pp.652, ove,in riferimento al periodo anteriore all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, rileva che «l’ordinamento attualedell’Unione è, come è noto, ispirato (…) alla frammentazione del sistema istituzionale e di quello normativo, conoscepiù categorie di fonti non ordinate secondo criteri gerarchici, più sistemi e micro-sistemi istituzionali, descritti solosommariamente dalla nota struttura ordinamentale a pilastri. Esso è, per comune opinione, un sistema nel quale dominail criterio della competenza ed è pressoché assente quello della gerarchia»; e a. d’atena, L’anomalo assetto delle fonti comunitarie, in Il diritto dell’Unione europea, 2001, pp.591-604.

[35]Così già alla fine degli anni Novanta a. tizzano, La gerarchia delle norme comunitarie, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1996, pp. 57-87.