La legittimazione processuale attiva della società estinta in merito ai crediti non compresi nel bilancio finale di liquidazione

legittimazione processuale
legittimazione processuale

La legittimazione processuale attiva della società estinta in merito ai crediti non compresi nel bilancio finale di liquidazione

 

Nel presente documento viene affrontata la questione relativa alla sussistenza della legittimazione dei soci, pur dopo la cancellazione della società dal registro imprese e quindi dopo l’estinzione della stessa, ad agire in giudizio per ottenere il pagamento di crediti sociali non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con particolare riguardo all’ipotesi in cui tali crediti siano ancora “illiquidi”.

La suddetta legittimazione appare sussistere in base agli artt. 2492, 2495, 2440 c.c., 310 c.p.c. e 154 del D.lgs. 14/2019

 

This document addresses the issue relating to the existence of the legitimacy of the shareholders, even after the cancellation of the company from the business register and therefore after its extinction, to take legal action to obtain the payment of social credits not included in the final balance sheet of liquidation, with particular regard to the hypothesis in which such credits are still "illiquid".

The aforementioned legitimation appears to exist on the basis of articles. 2492, 2495, 2440 c.c., 310 c.p.c. and 154 of the Legislative Decree. 14/2019

 

La questione

La Cassazione Sezione Prima civile, con ordinanza interlocutoria n. 16477 del 13.06.2024, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, sulla quale esiste contrasto, circa la possibilità di configurare una tacita rinuncia a crediti della società, sub iudice e illiquidi, non compresi nel bilancio finale di liquidazione, ove questa venga cancellata dal registro delle imprese in pendenza di lite, con conseguente estinzione e impossibilità di trasferimento ai soci anche ai fini dell’art. 110 c.p.c. .

Una società, ed i suoi fideiussori, avevano agito giudizialmente contro la Banca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate per l’illegittima applicazione di interessi sui conti correnti bancari accesi dalla società.

Il Tribunale aveva preso atto che nel frattempo la società era stata cancellata dal registro delle imprese, e pertanto aveva dichiarato cessata la materia del contendere.

La Corte d’Appello aveva respinto l’impugnazione della società in quanto inammissibile, e ciò proprio a causa della suddetta cancellazione, ma, al tempo stesso, aveva comunque condannato la Banca al pagamento della somma in favore del socio unico della società estinta, dichiarando assorbita la domanda dei fideiussori.

La banca impugnava in cassazione la sentenza della Corte d’Appello, fondando il ricorso su due motivi:

- il ricorso in appello era stato proposto dalla società in base all’art. 2033 c.c., ossia a titolo di ripetizione d’indebito, ma tale azione avrebbe dovuto essere respinta per difetto del presupposto essenziale, e cioè a causa della chiusura del conto della società;

- in base alle pronunce a Sezioni Unite n. 6070, 6071 e 6072 del 2013, deve essere esclusa la successione dei soci delle società estinte nelle mere pretese, anche ove già azionate, e nei crediti incerti o illiquidi;

 

La persistenza della legittimazione processuale attiva della società anche dopo la cancellazione dal registro delle imprese

In merito alla prima questione, la domanda è: la cancellazione dal registro imprese configura una rinuncia tacita della società all’azione giudiziale avente ad oggetto credito da questa vantato?

A norma dell’art. 2495 c.c., la società viene cancellata dal registro imprese una volta che il bilancio finale di liquidazione sia stato approvato, e tale bilancio, ex art. 2492 c.c., viene redatto dopo che i creditori sociali siano stati soddisfatti. Esso, infatti, è finalizzato a stabilire quale parte eventualmente spetti, sulla somma che residua dopo il pagamento dei creditori sociali, a ciascun socio.

Ai sensi dell’art. 2492 c.c., il bilancio finale deve indicare “la parte spettante a ciascun socio nella divisione dell’attivo”. La norma stabilisce che “nei novanta giorni successivi all'iscrizione dell'avvenuto deposito, ogni socio può proporre reclamo davanti al tribunale in contraddittorio dei liquidatori”.

Cosa si evince da ciò? Che il mancato reclamo nei riguardi del bilancio finale di liquidazione determina l’impossibilità per i soci di far valere i diritti ad essi spettanti nella divisione di quel che residua dopo il soddisfacimento dei creditori sociali, ma non anche l’impossibilità di esercitare un’azione giudiziale nei confronti dei terzi debitori.

Se la società è stata cancellata dal registro imprese prima ancora che essa, mediante l’azione giudiziale intrapresa contro la banca, potesse vedersi riconosciuta la somma richiesta a titolo di rimborso degli interessi da quest’ultima illegittimamente applicati, ciò è accaduto perché, evidentemente, l’ottenimento della suddetta somma non era necessario a pagare i creditori sociali: la società era già nella condizione di poter soddisfare questi ultimi.

Ma questo non vuol dire che la società la quale, pur dopo la sua estinzione, vanti ancora un credito nei riguardi di un terzo, debba rinunciare all’azione giudiziale volta ottenere l’accertamento del credito e la conseguente condanna del debitore al pagamento del medesimo.

La persistenza, in capo alla società estinta, della legittimazione ad agire in giudizio può essere fondata sul fatto che, ai sensi dell’art. 2495 comma 3 c.c., anche dopo che la società si è estinta, “i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”. Quindi la cancellazione dal registro imprese, e la conseguente estinzione della società, non comporta l’impossibilità, per i creditori sociali, di agire per il soddisfacimento dei loro crediti.

Si potrebbe, quindi, sostenere quanto segue: come l’azione dei creditori sociali (ossia di “terzi”) nei riguardi dei soci non è impedita dall’avvenuta cancellazione della società (e dalla conseguente estinzione della stessa), allo stesso modo la cancellazione non dovrebbe impedire neanche l’azione dei soci nei riguardi dei terzi debitori.

Inoltre, l’art. 2492 c.c. prevede che i soci hanno diritto di prelevare, dall’attivo del patrimonio sociale, ciò che resta dopo il pagamento fatto ai creditori sociali. Dell’ “attivo patrimoniale” fanno parte anche i crediti che la società vanta verso terzi (art. 2424 c.c.). Quindi i soci, anche dopo che la società si sia estinta, hanno il diritto di agire giudizialmente per ottenere il pagamento di un qualcosa (il credito) che faceva (e fa) comunque parte dell’attivo patrimoniale, sul quale essi possono soddisfare i loro diritti, ex art. 2492 c.c., dopo che i creditori sociali siano stati soddisfatti.

Di conseguenza, l’esercizio dell’azione giudiziale volta all’accertamento del credito è uno strumento con il quale i soci possono, ancor più efficacemente, esercitare il diritto, loro riconosciuto dall’art. 2492 c.c., di soddisfarsi sull’attivo: infatti, maggiore sarà l’attivo (a seguito del pagamento, ottenuto per via giudiziale, del credito), più grande sarà il loro grado di soddisfacimento. 

Quindi, l’estinzione della società, ed il conseguente venir meno della qualità di “socio”, non comporta il venir meno dell’ “interesse ad agire” da parte dei soci, in quanto, una volta che i creditori sociali siano stati soddisfatti e che quindi la finalità essenziale del bilancio finale di liquidazione sia stata conseguita, i soci mantengono la piena legittimazione a far valere nei confronti dei terzi i loro diritti di “soci”.

A ciò si aggiunga che, in base all’art. 2440 c.c., un credito personale di un socio, anche se non ancora riscosso, può essere utilizzato per aumentare il capitale sociale (fermo restando che, ai sensi dell’art. 2255 c.c., il socio conferente risponderà dell’eventuale insolvenza del debitore). Quindi, se il credito che un socio ha verso terzi, di qualunque tipo esso sia, può essere utilizzato per l’attività sociale, non si capisce perché un credito della società non possa essere fatto valere giudizialmente dopo che questa si è estinta, ossia dopo che l’attività sociale si è conclusa. Si consente che l’attività sociale venga esercitata in base ad un “credito” del socio, ossia ad un qualcosa che non si è ancora tradotto in un bene concretamente fruibile, con tutti i rischi che ciò comporta per i creditori sociali (ossia mancata esazione del credito stesso e conseguente attivazione della responsabilità del socio) e per la società stessa (ossia impossibilità, sia pur solo temporanea, di continuare l’attività sociale proprio a causa della mancata esazione), e però non si permette alla società di esercitare un’azione giudiziale per ottenere l’accertamento di un credito della stessa e la conseguente condanna del debitore al pagamento del medesimo. Tutto ciò appare quanto meno “contraddittorio”.

A norma dell’art. 310 c.p.c., “l'estinzione del processo non estingue l'azione”.

Il processo si estingue a seguito di rinuncia alla prosecuzione del giudizio: la parte ha deciso di non avere più interesse a restare in quest’ultimo. Ebbene, nonostante ciò, tale rinuncia non determina la definitiva impossibilità di esercitare nuovamente l’azione giudiziale.

Nel caso di cui all’art. 2492 c.c., si è verificata l’estinzione della società, che è cosa ben diversa dall’estinzione del processo: i soci hanno semplicemente deciso di chiudere la società, ma non hanno mai manifestato la volontà di rinunciare ad agire giudizialmente per ottenere il pagamento dei crediti sociali.

Quindi, non si capisce perché l’azione giudiziale debba continuare ad essere consentita anche a chi, avendo già instaurato un giudizio, si è disinteressato al medesimo, determinandone in tal modo la estinzione, e non anche a chi (vedi i soci) hanno invece sempre mostrato interesse ad agire.

 

La possibilità, per la società estinta, di agire giudizialmente anche quando si tratti di crediti “illiquidi

In merito alla seconda questione, se l’ostacolo all’esperibilità di un’azione giudiziale è rappresentato dal fatto che questa ha ad oggetto l’accertamento di crediti che non sono ancora “liquidi”, ossia determinati nel loro ammontare, allora occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 154 comma 3 del D.lgs. 14/2019 (“Codice della crisi d’impresa”), anche i “crediti condizionali” sono ammessi alla procedura concorsuale. Se possono essere fatti valere in giudizio anche i crediti la cui esistenza è subordinata al verificarsi di una condizione la quale non si è ancora verificata (questa è la ragione per la quale essi non sono ancora “certi”), potranno essere azionati in giudizio anche i crediti “illiquidi”, ossia quelli il cui ammontare non è ancora determinato.