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La Direttiva Europea Servizi 2006/123 CE: la platea dei concorrenti può essere anche solo interna

Libertà di stabilimento
Libertà di stabilimento

1. I casi

2. La motivazione

3. Nota a margine

 

1. I casi

La pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 30 gennaio 2018 nelle cause riunite C-360/15 e C-31/16 chiarisce alcuni punti della Direttiva 2006/123 CE (c.d. Direttiva Servizi) ponendo l’accento sull’applicabilità della stessa Direttiva anche nel caso in cui la platea dei concorrenti risulti interna ad un solo Stato membro.

I due giudizi da cui originano le domande pregiudiziali sono, entrambi, radicati presso i tribunali dei Paesi Bassi ed attengono, quanto al primo (C-360/15), all’autorizzazione ed al relativo pagamento di oneri per la costruzione di una rete di fibre ottiche destinate ad una rete pubblica di telecomunicazione, e, quanto al secondo (C-31/16), all’esercizio di attività di vendita al dettaglio di calzature al di fuori del centro cittadino sulla base del piano regolatore comunale contenente “restrizioni territoriali” in merito alla ubicazione della suddetta attività.

Mentre per il primo contenzioso la Corte ritiene non applicabile la Direttiva sulla scorta del principio per cui le tasse, quando sono collegate a diritti di imprese autorizzate a installare cavi per servizi di comunicazione elettronica, non sono soggette all’ambito applicativo dell’articolo 2 paragrafo 2 lett. c) della Direttiva stessa, per l’altro, avente ad oggetto il piano regolatore comunale con la prescrizione o relativa alla collocazione di determinate attività al di fuori del centro cittadino risulta, la Direttiva, pienamente applicabile.

L’applicazione, nello scrutinio della Corte, discende da più elementi.

 

2. La motivazione

L’attività al dettaglio di un bene è attività non salariata fornita dietro retribuzione ed in quanto tale sussumibile nell’alveo delle “Definizioni” di cui all’articolo 4 della Direttiva; è, inoltre, attività commerciale in quanto tale espressamente inclusa nell’elenco esemplificativo di cui all’articolo 57 del Trattato (TFUE) che indica le “prestazioni” da intendersi quali “servizi”. Inoltre, il piano regolatore comunale contestato dinanzi al giudice dalla società ricorrente è un atto, afferma la Corte, che pone in concreto dei limiti, seppur di tipo territoriale, andando a stabilire le ubicazioni delle diverse attività commerciali. Il piano, infatti, adottato dal Comune di Appingedam, prevede che le attività di vendita di merci voluminose si svolgano al di fuori del centro cittadino presso aree appositamente individuate come nel caso della zona commerciale Woonplein; la Visser, che è società proprietaria di aree commerciali all’interno di tale zona, intende concedere in locazione ad altro operatore una parte delle aree destinandola alla vendita di calzature. Da qui la disputa, che vede la Visser contestare il piano comunale in quanto quest’ultimo non consente lo stabilimento nella Woonplein di esercizi di vendita al dettaglio di calzature.

Secondo la Corte la restrizione operata con il piano incide sulle “condizioni di accesso” all’attività di vendita delle merci e dunque riveste valore ai fini dell’applicazione della Direttiva; in particolare la libertà di stabilimento, che trova la sua definizione nel predetto articolo 4 nel senso di costituire l’esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo 49 TFUE a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi, “rischia” di subire distorsioni o di essere comunque compressa anche nel caso in cui, come quello di specie, tutti gli elementi caratterizzanti la situazione siano collocati all’interno di un solo Stato membro.

Il capo III della Direttiva 2006/123 dedicato alla libertà di stabilimento, deve, infatti, essere inteso quale ambito giuridico applicabile anche nel caso in cui tanto il prestatore quanto i requisiti da valutare non presentino un interesse transfrontaliero ma siano collocati entro il perimetro nazionale.

Ciò, ricorda la Corte, si evince dalle disposizioni di cui all’articolo 9, 14 e 15 paragrafo 1 della Direttiva, ed anche dall’articolo 2 paragrafo 1 del suddetto capo III il quale “non opera alcuna distinzione tra le attività di servizio comprendenti un elemento di carattere estero e le attività di servizio prive di qualsiasi elemento di tal genere”.

In altri termini, la Corte, tenuto conto anche dell’esame dei lavori preparatori della Direttiva, specifica che anche nel caso in cui gli operatori appartengano ad un solo Stato membro e l’attività di servizio da questi prestata risulti, dalle disposizioni interne, ristretta o vietata determinandosi l’impossibilità di esercitare stabilmente all’interno di quello Stato il servizio, la Direttiva Servizi, segnatamente il suo capo III, trova applicazione.

Il potere dell’amministrazione comunale nel definire le zone da destinare ad attività di vendita di merci dell’un tipo piuttosto che dell’altro non viene censurata dalla Corte; è ovvio che tale potere, essendo correlato alla funzione pianificatoria della pubblica amministrazione ed alle scelte effettuate “a monte” assegnando un certo ordine alle attività commerciali dando preferenza, per il centro-città, a quelle con non importino merci voluminose, resta intatto in mano pubblica, appartenendo al governo del territorio a dimensione locale.

Precisa però la Corte al riguardo che tale potere deve comunque “misurarsi” con le condizioni previste all’articolo 15 paragrafo 3 della Direttiva nel senso di soddisfare i requisiti di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Quindi nell’adozione di piani regolatori, come per ogni altra disposizione amministrativa, regolamentare o legislativa, lo Stato membro deve rispettare e soddisfare i suddetti requisiti, “circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.

 

3. Nota a margine

Come noto le sentenze della Corte di Giustizia hanno il compito di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione e producono, rispetto al procedimento da cui traggono origine, un effetto vincolante, essendo il giudice del rinvio tenuto a decidere la controversia in base alle statuizioni della Corte. Ma anche rispetto a “terzi” vi è ormai l’orientamento (CdS sez. IV, 4.3.2014 n. 1020) secondo cui l’interpretazione del diritto adottata dalla Corte di Giustizia ha efficacia ultra partes con conseguente attribuzione alle stesse pronunce di fonte del diritto nei limiti interpretativi suddetti. Risulta, cioè, in capo alla Corte la prerogativa di indicare, con efficacia erga omnes, il significativo ed i limiti di applicazione delle norme europee con conseguente obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la norma interna contrastante.

Dal caso esaminato emerge che i potenziali concorrenti, seppur appartenenti ad uno stesso Stato, possono far valere dinanzi al giudice interno i propri diritti ed interessi correlati al diritto europeo in termini di libertà di stabilimento, secondo quello che deve (dovrebbe) ormai porsi quale mercato unico in cui trasparenza e non discriminazione rifulgono come punti cardinali.