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La colpa nell’illecito aquiliano della Pubblica Amministrazione

La colpa nell’illecito aquiliano della Pubblica Amministrazione
La colpa nell’illecito aquiliano della Pubblica Amministrazione

La necessità o meno della colpa nell’accertamento della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione continua a dividere la giurisprudenza.

Nel confronto giurisprudenziale dell’ultimo anno, insorto dopo varie pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha escluso in modo radicale che nell’attribuzione del risarcimento potessero rilevare profili soggettivi, si segnala l’orientamento del Consiglio di Stato. Quest’ultimo organo di giustizia amministrativa ha cercato di armonizzare il sistema interno della responsabilità con quello imposto dalla giurisprudenza comunitaria, aprendo anche la possibilità di costruire il sistema della responsabilità nella settore dell’affidamento degli appalti pubblici secondo regole completamente diverse da quelle della responsabilità civile, ma lasciando scoperte alcune questioni problematiche che continuano ad essere irrisolte.

Costituisce principio generale dell’ordinamento quello per cui l’obbligo risarcitorio per un fatto dannoso può essere ascritto ad un soggetto, solo in presenza del indefettibile presupposto della riferibilità psicologica, in termini di colpevolezza, della condotta lesiva del suo autore articolo (articolo 2043 del codice civile).

Il regime positivo della responsabilità civile risulta, tuttavia, concepito e dettato con riferimento ai danni provocati da persone fisiche, sicché il suo adattamento alla responsabilità di persone giuridiche o, in generale, di soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche, implica rilevanti problemi applicativi.

Con riferimento all’elemento soggettivo, i criteri di individuazione della colpa sono stati definiti dalla giurisprudenza secondo un complesso percorso evolutivo, di cui merita dare conto, anche perché segue l’evoluzione della ricostruzione dogmatica dei caratteri, dei limiti e della natura della responsabilità civile dell’amministrazione.

Occorre, peraltro, chiarire che l’ambito della presente indagine è limitato alla sola colpa connessa all’attività provvedimentale della pubblica amministrazione, posto che per quella materiale (si pensi, per esempio, ai danni provocati da un dipendente pubblico alla guida di un autoveicolo di proprietà dell’amministrazione), non si pongono particolari problemi, applicandosi i criteri ordinari di verifica della colpa.

L’indirizzo giurisprudenziale consolidato prima della Sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione, riteneva la colpa sussistente in re ipsa nella stessa illegittimità processualmente accertata dell’atto amministrativo.

In altri termini, questo orientamento, ai fini della responsabilità dell’amministrazione, riteneva operante una presunzione assoluta di colpa, considerandola implicita nella adozione ed esecuzione del provvedimento illegittimo, ciò indipendentemente dalla natura del vizio che inficiava il provvedimento.

Tale indirizzo è stato poi superato con la storica sentenza citata nelle Sezioni Unite, con cui la Cassazione ha affermato che la responsabilità della pubblica amministrazione debba essere qualificata come extracontrattuale e, in applicazione dei principi generali (articolo 2697 del codice civile), ha ritenuto che sul privato incombesse l’onere della prova anche dell’elemento soggettivo della colpa. Quest’ultima, tuttavia, veniva intesa come “colpa di apparato”, da individuarsi nella stessa organizzazione amministrativa e non già in relazione al singolo funzionario, configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi.

Tale impostazione si scontrava però con l’estrema difficoltà, per il ricorrente, di provare la colpa dell’amministrazione, in considerazione del fatto che, nella specie, non opera il principio di vicinanza della prova, poiché l’onere probatorio è posto a carico della parte che normalmente non dispone degli elementi di prova sufficienti a soddisfare il principio di cui all’articolo 2697 del codice civile.

Per questa ragione, una parte della giurisprudenza, pur rimanendo fedele alla qualificazione come extracontrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione, ha introdotto il cosiddetto principio dispositivo con onere acquisitivo, che prevede l’onere del ricorrente di provare soltanto l’illegittimità del provvedimento, rimettendo all’amministrazione la prova liberatoria della sussistenza di specifiche circostanze, e cioè l’oscurità o la sovrabbondanza della normativa in materia, il repentino mutamento della stessa, l’assenza di orientamenti giurisprudenziali univoci o la speciale complessità della questione.

Secondo un’altra parte della giurisprudenza, la responsabilità della pubblica amministrazione andrebbe qualificata in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, in quanto, il rapporto tra il privato e la amministrazione, non si risolve nell’estraneità reciproca e nella mera violazione del principio del neminem ledere, ma si inquadra in un insieme di norme procedimentali che lo disciplinano e che conformano lo svolgimento del procedimento amministrativo, nonché l’emanazione del provvedimento conclusivo.

In questo senso, il danneggiato è onerato ex articolo 1218 del codice civile, della mera prova del titolo del suo diritto e del danno subito, potendo limitarsi semplicemente ad allegare la colpa dell’amministrazione.

Quest’ultima, per esonerarsi da responsabilità, dovrà fornire la prova, anche per presunzioni (articolo 2727 del codice civile), della mancanza di colpa e, in particolare, dovrà provare la circostanza che l’illegittimità del provvedimento è riconducibile all’oscurità o al repentino mutamento dell’assetto normativo per contrasto giurisprudenziale nella sua interpretazione.

Le due principali impostazioni giurisprudenziali, pertanto, conducono a conclusioni analoghe sotto il profilo del limitato onere probatorio richiesto al ricorrente e della conseguente effettività di tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche lese dal provvedimento illegittimo.

Va richiamata, peraltro, anche una tesi minoritaria, la quale qualifica la responsabilità della pubblica amministrazione in termini di responsabilità precontrattuale, con la conseguenza che sarebbe sufficiente la mera prova, da parte del danneggiato, del comportamento dell’amministrazione che sia stato contrario alla buona fede oggettiva.

Tuttavia, quest’ultima tesi è stata sottoposta a critiche e non è stata accolta dal Consiglio di Stato, sia perché limita il risarcimento al solo interesse negativo, sia in quanto, prima dell’aggiudicazione, non sono ravvisabili trattative tra la pubblica amministrazione ed il privato (articoli 1337 e 1338 del codice civile).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è cristallizzata in maniera dominante sull’orientamento che qualifica la responsabilità dell’amministrazione in termini di responsabilità extracontrattuale, considerando l’illegittimità dell’atto un indice presuntivo della colpevolezza che può, però, essere superato in presenza di un errore scusabile.

Quest’ultimo deve essere ricavato in forza di criteri oggettivi individuati dalla stessa giurisprudenza, quali il grado di maggiore o minore chiarezza della normativa applicabile, la maggiore o minore semplicità della situazione di fatto, il carattere vincolato o meno dell’azione amministrativa.

In particolare, la giurisprudenza maggioritaria del Consiglio di Stato, ha dissentito dalla ricostruzione che fa applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza. Infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha ritenuto che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana.

In proposito, si ritiene che questi ultimi rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione degli interessi legittimi e, ancora, con le connesse esigenze di tutela, utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli articoli 2727 e 2729 del codice civile.

Va, inoltre, osservato come la tesi maggioritaria della responsabilità extracontrattuale sembra essere confermata sul piano normativo dall’articolo 30, comma 2, del Codice del processo amministrativo, il quale, disciplinando l’azione risarcitoria, fa riferimento al “danno ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa.

Questa interpretazione, che si accingeva ormai a consolidarsi, è stata rimessa in discussione dalla progressiva perdita di sovranità dell’ordinamento nazionale in favore delle istituzioni create dai Trattati comunitari, che, nel sistema giurisdizionale, si è risolta nella attribuzione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea del ruolo di interprete del diritto comunitario (articolo 234 TCE, ora articoli 258-260 TFUE) e di giudice dell’inadempimento degli Stati membri (articoli 226-228 TCE, ora articoli 258-260 TFUE).

In questa sua funzione, la Corte di giustizia ha sostenuto che è incompatibile con il diritto dell’Unione sugli strumenti di tutela apprestati in materia di appalti pubblici, una normativa nazionale che subordini il risarcimento alla dimostrazione da parte del danneggiato del dolo o della colpa della pubblica amministrazione.

La Corte di giustizia viene così a sposare un modello di responsabilità oggettiva, diverso sia da quello della responsabilità colpevole (che la Cassazione ha ricavato dai principi generali sulla responsabilità civile), sia da quello della responsabilità presunta (enucleato dal Consiglio di Stato per la responsabilità da attività amministrativa illegittima).

Le elaborazioni successive del giudice amministrativo sono state volte a verificare la compatibilità del proprio orientamento sulla responsabilità presunta con quello della Corte di giustizia sulla responsabilità oggettiva.

In proposito, le conclusioni della giurisprudenza amministrativa, sono state nel senso che, l’indirizzo dei giudici europei, non escludesse la possibilità di consentire comunque all’amministrazione di essere esonerata da responsabilità nel caso in cui essa riuscisse a vincere la presunzione di colpa derivante dall’illegittimità del provvedimento emesso.

Il giudice amministrativo, infatti, ha sostenuto che il diritto comunitario vietava soltanto di condizionare il risarcimento ad una prova della colpevolezza che si rivelasse difficoltosa per il danneggiato. Se, pertanto, il contenuto dell’indirizzo della Corte di giustizia si risolve nella mera impossibilità di imporre al danneggiato l’onere della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità della pubblica amministrazione, allora la giurisprudenza interna sulla responsabilità, che è presunta, ma è superabile mediante ricorso all’errore scusabile, non era in contrasto con la giurisprudenza comunitaria, perché non addossava a carico del danneggiato alcun onere di dimostrare la colpa dell’apparato amministrativo.

Su questo sistema, ridelineato di nuovo secondo il paradigma della responsabilità colpevole ma presunta, e con il rifiuto del ricorso ad una responsabilità oggettiva tout court, ha inciso di nuovo la Corte di giustizia con una pronuncia del 2010 in materia di appalti.

In questa decisione il supremo organo di giustizia dell’Unione Europea ha precisato ulteriormente il proprio indirizzo interpretativo, sostenendo che il diritto europeo osta ad una normativa nazionale che limiti il risarcimento dei danni alla prova della colpa del soggetto agente. La Corte di giustizia ha, inoltre, aggiunto che non sono compatibili con il sistema né presunzioni di colpevolezza in capo all’amministrazione, né la possibilità di far valere in giudizio il difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.

Alla luce degli orientamenti richiamati della giurisprudenza nazionale ed europea, si può affermare che, allo stato, coesisterebbero nel sistema due statuti della responsabilità della pubblica amministrazione.

Da un lato, uno statuto generale, fondato sulla responsabilità colposa con l’onere della prova invertito, in cui all’amministrazione è dato di provare l’errore scusabile.

Dall’altro, uno statuto particolare, esistente solo nel settore degli appalti pubblici, e non esportabile fuori da esso, fondato sulla responsabilità oggettiva.

In conclusione, con riguardo allo stato attuale del regime della responsabilità degli enti pubblici, con particolare riferimento all’elemento soggettivo, si può affermare che nel nostro ordinamento coesistono vari regimi della responsabilità per danni della pubblica amministrazione.

Nonostante le incertezze relative alla catalogazione dogmatica della responsabilità dell’amministrazione ed alla definizione di sicuri indici rivelatori dell’elemento psicologico alla stessa ascrivibile, appaiono, tuttavia, generalmente avvertite ed acquisite le esigenze di superare l’equivalenza illegittimità dell’atto-colpa, di semplificare l’onere probatorio del privato danneggiato mediante il ricorso a parametri presuntivi nell’indagine circa la sussistenza della colpa, e, infine, a riservare all’amministrazione un apprezzabile margine di difesa nell’allegazione di un proprio errore scusabile, sufficientemente connotato nei suoi aspetti essenziali

La necessità o meno della colpa nell’accertamento della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione continua a dividere la giurisprudenza.

Nel confronto giurisprudenziale dell’ultimo anno, insorto dopo varie pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha escluso in modo radicale che nell’attribuzione del risarcimento potessero rilevare profili soggettivi, si segnala l’orientamento del Consiglio di Stato. Quest’ultimo organo di giustizia amministrativa ha cercato di armonizzare il sistema interno della responsabilità con quello imposto dalla giurisprudenza comunitaria, aprendo anche la possibilità di costruire il sistema della responsabilità nella settore dell’affidamento degli appalti pubblici secondo regole completamente diverse da quelle della responsabilità civile, ma lasciando scoperte alcune questioni problematiche che continuano ad essere irrisolte.

Costituisce principio generale dell’ordinamento quello per cui l’obbligo risarcitorio per un fatto dannoso può essere ascritto ad un soggetto, solo in presenza del indefettibile presupposto della riferibilità psicologica, in termini di colpevolezza, della condotta lesiva del suo autore articolo (articolo 2043 del codice civile).

Il regime positivo della responsabilità civile risulta, tuttavia, concepito e dettato con riferimento ai danni provocati da persone fisiche, sicché il suo adattamento alla responsabilità di persone giuridiche o, in generale, di soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche, implica rilevanti problemi applicativi.

Con riferimento all’elemento soggettivo, i criteri di individuazione della colpa sono stati definiti dalla giurisprudenza secondo un complesso percorso evolutivo, di cui merita dare conto, anche perché segue l’evoluzione della ricostruzione dogmatica dei caratteri, dei limiti e della natura della responsabilità civile dell’amministrazione.

Occorre, peraltro, chiarire che l’ambito della presente indagine è limitato alla sola colpa connessa all’attività provvedimentale della pubblica amministrazione, posto che per quella materiale (si pensi, per esempio, ai danni provocati da un dipendente pubblico alla guida di un autoveicolo di proprietà dell’amministrazione), non si pongono particolari problemi, applicandosi i criteri ordinari di verifica della colpa.

L’indirizzo giurisprudenziale consolidato prima della Sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione, riteneva la colpa sussistente in re ipsa nella stessa illegittimità processualmente accertata dell’atto amministrativo.

In altri termini, questo orientamento, ai fini della responsabilità dell’amministrazione, riteneva operante una presunzione assoluta di colpa, considerandola implicita nella adozione ed esecuzione del provvedimento illegittimo, ciò indipendentemente dalla natura del vizio che inficiava il provvedimento.

Tale indirizzo è stato poi superato con la storica sentenza citata nelle Sezioni Unite, con cui la Cassazione ha affermato che la responsabilità della pubblica amministrazione debba essere qualificata come extracontrattuale e, in applicazione dei principi generali (articolo 2697 del codice civile), ha ritenuto che sul privato incombesse l’onere della prova anche dell’elemento soggettivo della colpa. Quest’ultima, tuttavia, veniva intesa come “colpa di apparato”, da individuarsi nella stessa organizzazione amministrativa e non già in relazione al singolo funzionario, configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi.

Tale impostazione si scontrava però con l’estrema difficoltà, per il ricorrente, di provare la colpa dell’amministrazione, in considerazione del fatto che, nella specie, non opera il principio di vicinanza della prova, poiché l’onere probatorio è posto a carico della parte che normalmente non dispone degli elementi di prova sufficienti a soddisfare il principio di cui all’articolo 2697 del codice civile.

Per questa ragione, una parte della giurisprudenza, pur rimanendo fedele alla qualificazione come extracontrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione, ha introdotto il cosiddetto principio dispositivo con onere acquisitivo, che prevede l’onere del ricorrente di provare soltanto l’illegittimità del provvedimento, rimettendo all’amministrazione la prova liberatoria della sussistenza di specifiche circostanze, e cioè l’oscurità o la sovrabbondanza della normativa in materia, il repentino mutamento della stessa, l’assenza di orientamenti giurisprudenziali univoci o la speciale complessità della questione.

Secondo un’altra parte della giurisprudenza, la responsabilità della pubblica amministrazione andrebbe qualificata in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, in quanto, il rapporto tra il privato e la amministrazione, non si risolve nell’estraneità reciproca e nella mera violazione del principio del neminem ledere, ma si inquadra in un insieme di norme procedimentali che lo disciplinano e che conformano lo svolgimento del procedimento amministrativo, nonché l’emanazione del provvedimento conclusivo.

In questo senso, il danneggiato è onerato ex articolo 1218 del codice civile, della mera prova del titolo del suo diritto e del danno subito, potendo limitarsi semplicemente ad allegare la colpa dell’amministrazione.

Quest’ultima, per esonerarsi da responsabilità, dovrà fornire la prova, anche per presunzioni (articolo 2727 del codice civile), della mancanza di colpa e, in particolare, dovrà provare la circostanza che l’illegittimità del provvedimento è riconducibile all’oscurità o al repentino mutamento dell’assetto normativo per contrasto giurisprudenziale nella sua interpretazione.

Le due principali impostazioni giurisprudenziali, pertanto, conducono a conclusioni analoghe sotto il profilo del limitato onere probatorio richiesto al ricorrente e della conseguente effettività di tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche lese dal provvedimento illegittimo.

Va richiamata, peraltro, anche una tesi minoritaria, la quale qualifica la responsabilità della pubblica amministrazione in termini di responsabilità precontrattuale, con la conseguenza che sarebbe sufficiente la mera prova, da parte del danneggiato, del comportamento dell’amministrazione che sia stato contrario alla buona fede oggettiva.

Tuttavia, quest’ultima tesi è stata sottoposta a critiche e non è stata accolta dal Consiglio di Stato, sia perché limita il risarcimento al solo interesse negativo, sia in quanto, prima dell’aggiudicazione, non sono ravvisabili trattative tra la pubblica amministrazione ed il privato (articoli 1337 e 1338 del codice civile).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è cristallizzata in maniera dominante sull’orientamento che qualifica la responsabilità dell’amministrazione in termini di responsabilità extracontrattuale, considerando l’illegittimità dell’atto un indice presuntivo della colpevolezza che può, però, essere superato in presenza di un errore scusabile.

Quest’ultimo deve essere ricavato in forza di criteri oggettivi individuati dalla stessa giurisprudenza, quali il grado di maggiore o minore chiarezza della normativa applicabile, la maggiore o minore semplicità della situazione di fatto, il carattere vincolato o meno dell’azione amministrativa.

In particolare, la giurisprudenza maggioritaria del Consiglio di Stato, ha dissentito dalla ricostruzione che fa applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza. Infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha ritenuto che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana.

In proposito, si ritiene che questi ultimi rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione degli interessi legittimi e, ancora, con le connesse esigenze di tutela, utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli articoli 2727 e 2729 del codice civile.

Va, inoltre, osservato come la tesi maggioritaria della responsabilità extracontrattuale sembra essere confermata sul piano normativo dall’articolo 30, comma 2, del Codice del processo amministrativo, il quale, disciplinando l’azione risarcitoria, fa riferimento al “danno ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa.

Questa interpretazione, che si accingeva ormai a consolidarsi, è stata rimessa in discussione dalla progressiva perdita di sovranità dell’ordinamento nazionale in favore delle istituzioni create dai Trattati comunitari, che, nel sistema giurisdizionale, si è risolta nella attribuzione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea del ruolo di interprete del diritto comunitario (articolo 234 TCE, ora articoli 258-260 TFUE) e di giudice dell’inadempimento degli Stati membri (articoli 226-228 TCE, ora articoli 258-260 TFUE).

In questa sua funzione, la Corte di giustizia ha sostenuto che è incompatibile con il diritto dell’Unione sugli strumenti di tutela apprestati in materia di appalti pubblici, una normativa nazionale che subordini il risarcimento alla dimostrazione da parte del danneggiato del dolo o della colpa della pubblica amministrazione.

La Corte di giustizia viene così a sposare un modello di responsabilità oggettiva, diverso sia da quello della responsabilità colpevole (che la Cassazione ha ricavato dai principi generali sulla responsabilità civile), sia da quello della responsabilità presunta (enucleato dal Consiglio di Stato per la responsabilità da attività amministrativa illegittima).

Le elaborazioni successive del giudice amministrativo sono state volte a verificare la compatibilità del proprio orientamento sulla responsabilità presunta con quello della Corte di giustizia sulla responsabilità oggettiva.

In proposito, le conclusioni della giurisprudenza amministrativa, sono state nel senso che, l’indirizzo dei giudici europei, non escludesse la possibilità di consentire comunque all’amministrazione di essere esonerata da responsabilità nel caso in cui essa riuscisse a vincere la presunzione di colpa derivante dall’illegittimità del provvedimento emesso.

Il giudice amministrativo, infatti, ha sostenuto che il diritto comunitario vietava soltanto di condizionare il risarcimento ad una prova della colpevolezza che si rivelasse difficoltosa per il danneggiato. Se, pertanto, il contenuto dell’indirizzo della Corte di giustizia si risolve nella mera impossibilità di imporre al danneggiato l’onere della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità della pubblica amministrazione, allora la giurisprudenza interna sulla responsabilità, che è presunta, ma è superabile mediante ricorso all’errore scusabile, non era in contrasto con la giurisprudenza comunitaria, perché non addossava a carico del danneggiato alcun onere di dimostrare la colpa dell’apparato amministrativo.

Su questo sistema, ridelineato di nuovo secondo il paradigma della responsabilità colpevole ma presunta, e con il rifiuto del ricorso ad una responsabilità oggettiva tout court, ha inciso di nuovo la Corte di giustizia con una pronuncia del 2010 in materia di appalti.

In questa decisione il supremo organo di giustizia dell’Unione Europea ha precisato ulteriormente il proprio indirizzo interpretativo, sostenendo che il diritto europeo osta ad una normativa nazionale che limiti il risarcimento dei danni alla prova della colpa del soggetto agente. La Corte di giustizia ha, inoltre, aggiunto che non sono compatibili con il sistema né presunzioni di colpevolezza in capo all’amministrazione, né la possibilità di far valere in giudizio il difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.

Alla luce degli orientamenti richiamati della giurisprudenza nazionale ed europea, si può affermare che, allo stato, coesisterebbero nel sistema due statuti della responsabilità della pubblica amministrazione.

Da un lato, uno statuto generale, fondato sulla responsabilità colposa con l’onere della prova invertito, in cui all’amministrazione è dato di provare l’errore scusabile.

Dall’altro, uno statuto particolare, esistente solo nel settore degli appalti pubblici, e non esportabile fuori da esso, fondato sulla responsabilità oggettiva.

In conclusione, con riguardo allo stato attuale del regime della responsabilità degli enti pubblici, con particolare riferimento all’elemento soggettivo, si può affermare che nel nostro ordinamento coesistono vari regimi della responsabilità per danni della pubblica amministrazione.

Nonostante le incertezze relative alla catalogazione dogmatica della responsabilità dell’amministrazione ed alla definizione di sicuri indici rivelatori dell’elemento psicologico alla stessa ascrivibile, appaiono, tuttavia, generalmente avvertite ed acquisite le esigenze di superare l’equivalenza illegittimità dell’atto-colpa, di semplificare l’onere probatorio del privato danneggiato mediante il ricorso a parametri presuntivi nell’indagine circa la sussistenza della colpa, e, infine, a riservare all’amministrazione un apprezzabile margine di difesa nell’allegazione di un proprio errore scusabile, sufficientemente connotato nei suoi aspetti essenziali