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La sentenza succintamente motivata

Schema di trattazione

Inquadramento sistematico dell’istituto

Contenuto della motivazione della sentenza informa semplificata

L’esigenza di completezza del contraddittorio

Bibliografia

Rassegna giurisprudenziale

Riferimenti normativi: art. 111 Cost.; artt. 112 e 132 c.p.c.; L. 6-12-1971, n. 1034 (artt. 21, 21 bis, 23 bis, 26, 31); L. 21-7-2000, n. 205 (art. 9)

Inquadramento sistematico dell’istituto

La sentenza succintamente motivata (o sentenza in forma semplificata) è stata introdotta nel processo amministrativo, con dignità di istituto generale, ad opera dell’art. 9 della L. 205/2000, che ha sul punto novato l’articolo 26 della L. 1034/1971 (cd. L. T.A.R.; cfr. i nuovi commi 4,5 e 6).

Più precisamente, l’articolo 9 ha previsto, come da rubrica, due tipologie di decisioni in forma semplificata. Nel genere rientrano infatti: le sentenze succintamente motivate, istituto di semplificazione del processo amministrativo attinente alla forma del provvedimento decisorio, nonché i provvedimenti monocratici previsti nella seconda parte del comma l dell’ art. 9; ossia i decreti che pronunciano la rinuncia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l’estinzione del giudizio e la perenzione, istituto di semplificazione che agisce sull’andamento del processo accentuando il principio di concentrazione.

In virtù della novella del T.A.R. e Consiglio di Stato - nei processi di primo e di secondo grado - possono decidere la controversia con sentenza succintamente motivata laddove ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso provvedendo in ogni caso sulle spese di giustizia. Il legislatore, quindi, ha avuto cura di indicare le circostanze riscontrabili nei ricorsi afferenti a tutte le aree delle giurisdizioni di legittimità di merito o esclusivamente attribuite al giudice amministrativo, che legittimano l’applicazione dell’istituto. L’art. 26 in commento viene, altresì, richiamato dall’art. 21, co. 10, della L. 1034/1971, relativamente alla definizione del giudizio nel mento in sede di decisione della domanda cautelare.

Vero carattere di novità della normativa in commento è quello di consentire che questioni che si presentino ictu oculi di agevole soluzione siano definite con un procedimento snellito dalle formalità proprie della pubblica udienza, così da favorire celerità ed effettività di tutela: la sentenza succintamente motivata può essere assunta, nel rispetto della completezza del contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l’ esame dell’istanza cautelare ovvero fissata d’ufficio a seguito di esame istruttorio. Presupposto essenziale perché si proceda con sentenza semplificata, e contemporaneo discrimen tra questa e la sentenza in forma ordinaria, è costituito dalla circostanza che la fondatezza, infondatezza, inammissibilità, improcedibilità o irricevibilità del ricorso appaia manifesta, nel senso di facile percepibilità della evidente soluzione, tale da non comportare l’esame di problematiche complesse.

Le disposizioni concernenti le decisioni in forma semplificata si applicano anche ai giudizi innanzi alla Corte dei conti in funzione di giudice pensionistico, stante il rinvio operato dal comma 3 del citato art. 9. Problematica è apparsa, invece, l’estensione della normativa anche al Tribunale superiore delle acque. Per ragioni di ordine sistematico legate all’uniformità degli strumenti processuali di tutela - attesa la natura di autorità giudiziaria amministrativa speciale del Tribunale superiore delle acque quando giudica in unico grado - si deve, comunque, propendere per l’estensione della norma di semplificazione anche nei giudizi dinanzi al Tribunale superiore.

Facile osservare come l’art. 26 L. TA.R. sia soltanto la spia più manifesta, attesa la formulazione generalizzante, della crescente diffusione di decisioni semplificate (e di sottesi riti speciali o abbreviati) nel processo amministrativo. Diverse forme prevedono ugualmente altre fattispecie, processuali e procedimenti abbreviati, sebbene dissimili fra loro, che si concludono con decisioni semplificate nella forma della sentenza succintamente motivata. Vi rientrano:

- la decisione sul ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione, di cui all’art. 21 bis L. TA.R., introdotto dall’art. 2 della L. 205/2000. Nella fattispecie il procedimento è speciale in quanto tarato su una regolamentazione ad hoc per una ipotesi particolare, ma l’approdo decisorio è analogo a quello ex art. 26, commi 4 e ss., con l’ulteriore particolarità dello sganciamento dal carattere manifesto della questione che rende il ricorso contro il silenzio un ’procedimento speciale rispetto a quello ordinario e la sentenza succintamente motivata l’ ordinaria forma della decisione di tale procedimento;

- la decisione sul regolamento di competenza resa dal tribunale con deliberazione sommaria della manifesta infondatezza dell’eccezione proposta, ai fini di decidere la rimessione a1 Consiglio di Stato della questione di competenza (art. 31, co. 5, L. TA.R., come modificato dalla L. 205/2000). In questa ipotesi, l’aspetto della deliberazione è ugualmente quello del carattere manifesto della questione; differiscono naturalmente il contesto processuale e l’ oggetto della delibazione stessa, come anche (si ritiene pero senza rilievo pratico) il nomen del provvedimento generico di decisione semplificata e non di sentenza succintamente motivata;

- alle suddette ipotesi deve aggiungersi un’altra fattispecie processuale che può avere esito in decisioni semplificate, espressamente richiamando l’applicazione della norma generale in materia: il procedimento speciale ex art 23 bis L. T.A.R., introdotto dall’art. 4 L. 205/2000, riguardante i giudizi aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure tassativamente elencate (affidamento di incarichi di progettazione e di attività tecnico-amministrative connesse; aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di appalti di opere pubbliche o di pubblica utilità - comprese le procedure di occupazione e di espropriazione – aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture; provvedimenti delle autorità indipendenti; procedure di privatizzazione e dismissione di imprese e beni pubblici; provvedimenti di nomina adottati previa delibera del Consiglio dei ministri, ai sensi della L. 400/1988; provvedimenti di scioglimento degli enti locali. In questo caso, accanto ad una regolamentazione del tutto particolare del procedimento, vi è l’espresso richiamo all’applicazione dell’art 26, co. 4. se ricorrono i presupposti ivi previsti.

Una particolare ipotesi di semplificazione della motivazione era già stata, a suo tempo prevista dal combinato disposto degli artt.l8 e 24, L. 87/1953 - così come interpretato nella consolidata prassi applicativa del giudice delle leggi -, con riguardo alle ordinanze della Corte costituzionale, succintamente motivate, che respingano la eccezione di illegittimità costituzionale per manifesta irrilevanza o infondatezza. Più recentemente, uno strumento analogo alla sentenza succintamente motivata (denominato sentenza con motivazione in forma abbreviata) era stato anticipato, ma esclusivamente per la soluzione delle vertenze in particolari materie con riguardo a giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico–amministrative connesse e i provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate, nonché con riguardo a ricorsi avverso i provvedimenti dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (cfr. rispettivamente l’art 19 D.L. 67/1997 e l’art. 1, co.27, L. 249/1997, ora entrambi abrogati).

Contenuto della motivazione della sentenza in forma semplificata

In relazione al contenuto della motivazione del1a sentenza semplificata, la legge sottolinea che essa può consistere in un sintetico riferimento ad un punto - alternativamente, di fatto o di diritto - ritenuto risolutivo ovvero ad un precedente conforme. Ciò consente che questioni identiche, pur complesse in origine,possano essere decise con una sentenza pilota (non abbreviata ), seguita da una serie di sentenze succintamente motivate che facciano ad essa riferimento.

In ordine al primo profilo, si può evidenziare che la differenza con la sentenza ordinaria pare concretarsi sul piano della struttura redazionale della sentenza e della parte motivazionale di essa che, da un lato, sinteticamente richiama gli scritti difensivi per quel che riguarda la narrazione dello svolgimento del giudizio nonchè dei fatti di causa; dall’altro, limita la motivazione all’analisi del profilo di fatto o di diritto della controversia e si ritiene decisivo. La norma può, quindi, apparire una sorta di avallo legislativo ad una prassi pretoria già formatasi sulle decisioni ordinarie, e alla cui diffusione la dottrina ha sempre guardato, con critica diffidenza, che e quella dell’assorbimento dei motivi. Il rischio, però, è quello di decisioni che da semplificate si rivelino pericolosamente monche, ossia che ledano - a fronte di ricorsi che prospettino motivi formali e sostanziali - l’interesse sostanziale delle parti a ottenere una pronuncia esaustiva della lite.

Per quanto riguarda, invece la facoltà che la succinta motivazione possa consistere nel riferimento puntuale ad un precedente giurisprudenziale conforme che ha regolato casi analoghi, siamo di fronte al riconoscimento in via normativa di un’altra prassi giurisprudenziale non estranea ai Tribunali Amministrativi, che sostanzialmente ripropone per il processo quanto affermato in ambito procedimentale, e cioè la sufficienza della motivazione per relationem . Anche in questo caso, è auspicabile che il richiamo al precedente conforme non sia scarno o eccessivamente puntuale, ma venga integrato dalle insopprimibili specificità che il caso concreto, regolato dalla singola decisione, abbia rivelato alla cognizione del giudicante, così da far emergere comunque l’iter logico seguito e la sua autonoma elaborazione.

Si è, comunque, osservato che la sentenza succintamente motivata può essere breve ma non per questo può essere non esaustiva (cfr. anche l’art. 132 c.p.c., relativo al «Contenuto della sentenza»). La giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi sul punto, confermando la coerenza della nuova normativa con i principi generali desumibili dall’art.111 Cost., in tema di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e dall’art. 112 c.p.c. relativo alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La decisione in forma semplificata, quando ne ricorrano i presupposti, non elimina le garanzie connesse al procedimento giurisdizionale di cui la sentenza è l’ epilogo, per la semplice ragione che pur nella forma semplificata essa deve contenere una succinta ma congrua ed idonea motivazione delle argomentazioni svolte dal giudice.

La sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione, sicché la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111, co. 2, Cost., essendo compatibile con il principio di tutela giurisdizionale.

A norma del comma 6 dell’ art. 26. T.A.R, le sentenze succintamente motivate sono, poi, impugnabili con le medesime forme previste per le sentenze ordinarie.

La disposizione, pur risultando ovvia e meramente confermativa, è dovuta con ogni probabilità alla necessità di riportare nell’ alveo della ordinarietà procedimenti caratterizzati da specifiche peculiarità.

Un’ultima notazione sul punto se l’impugnazione dell’ ordinanza cautelare che nega o che concede la sospensione del provvedimento, possa o meno sfociare nella sentenza breve. In senso negativo si osserva che le parti potrebbero venir private di un grado di giudizio di merito ( senza che la legge espressamente lo consenta).

L’esigenza di completezza del contraddittorio

Quanto al momento processuale in cui la sentenza semplificata può essere adottata, l’ art. 26, co., prevede espressamente che la decisione in forma semplificata - nel rispetto della completezza del contraddittorio - è assunta nella camera di consiglio: a) fissata per l’esame dell’istanza cautelare; b) ovvero fissata di ufficio a seguito dell’esame istruttorio previsto dall’ art. 44, co. 2, T.U.

delle leggi sul Consiglio di Stato di cui al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. Gli interpreti hanno, peraltro, rilevato che il legislatore mostra di aver costruito l’istituto come suscettibile di essere utilizzato anche al di là dei due momenti “codificati”, e quindi in ogni occasione processuale nella quale se ne verifichino i presupposti. La giurisprudenza ha già riconosciuto la piena legittimità dell’impiego della sentenza succintamente motivata anche a seguito della trattazione della causa in udienza. Ciò perché il legislatore ha inserito la previsione sulla pronuncia della sentenza succintamente motivata nell’ art. 26 della L. 1034/1971, che è riferito alla decisione che definisce il merito della controversia; inoltre, i termini della procedura previsti per la pronuncia in udienza pubblica sono di ancora più efficace garanzia per i diritti di difesa e per la salvaguardia dell’integrità del contraddittorio rispetto alla disciplina che concerne le pronunzie in camera di consiglio. Proprio nell’ art. 26, co. 5, L. T.A.R. si rinviene la naturale corrispondenza tra semplificazione della forma decisoria e accelerazione del procedimento volto a quella decisione: l’immediata rilevabilità di aspetti manifesti della controversia consente l’assorbimento in camera di consiglio (cautelare o istruttoria) della udienza della trattazione del merito.

La concentrazione della trattazione del merito nell’ udienza cautelare trova simmetrica corrispondenza nella norma di cui all’ art. 21, co. 10 T.A.R (anch’esso naturalmente esito della novella del 2000), che richiama l’art. 26, aggiungendo, però, un inciso rilevante ai fini della più esatta comprensione dell’ espressione «[...] nel rispetto della completezza del contraddittorio». Infatti, se nell’arto 26 tale espressione può lasciare adito a qualche dubbio sulla sua effettiva portata, l’art21, co. 10, oltre a richiedere l’accertamento della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria (quest’ultimo elemento è ricavabile anche nell’art. 26, laddove si facoltizza l’assunzione della decisione semplificata nell’udienza fissata ex art. 44, co. 2, T.U. Cd.S.), prevede anche l’ipotesi in cui l’ accertamento del contraddittorio dia esito negativo, stabilendo che il giudice deve disporre l’integrazione e fissare l’udienza di trattazione del ricorso. Si può, pertanto, ritenere, salvo a svuotare di significato precettivo effettivamente garantistico la norma ex 26, co. 5 in punto di accertamento del contraddittorio, che il requisito della completezza costituisce una condizione essenziale a che il giudice possa procedere con rito abbreviato e decisione semplificatoria; in difetto di tale condizione, dovrà ordinarsi l’integrazione del contraddittorio e disporsi udienza di trattazione.

Sempre in punto di completezza del contraddittorio, appare pacifico che non potrà comunque essere condizionato lo svolgimento del processo in via semplificata, quando l’astratto difetto di contraddittorio è riferibile ai cd. controinteressati occulti, ovvero a quei soggetti che non emergono espressamente dal provvedimento impugnato né sono dall’esame di esso facilmente individuabili. Ad essi, rimarranno i mezzi impugnatori della sentenza per tornare ad essere considerati nell’ agone processuale.

La formula utilizzata dal legislatore nell’art. 21 «.. . sentite sul punto le parti costituite...» deve, poi, essere interpretata nel senso che le parti devono soltanto essere edotte della possibilità che il collegio possa pronunciare sentenza definitiva, anziché limitarsi alla misura cautelare richiesta. È, infatti, questa la garanzia che la legge offre alle parti costituite, le quali, anche se sono consapevoli della facoltà che è data al giudice, devono comunque essere informate nel caso che si profili questa eventualità ma senza che ciò prefiguri un accordo che deve intervenire fra esse e l’organo giurisdizionale.

Ciò significa che alle parti è dato di esprimere osservazioni che, secondo il loro parere, potrebbero impedire la pronuncia, non già di paralizzare l’iniziativa del giudice. La mancata comparizione in camera di consiglio delle a costituite - formalmente informate della data di comparizione non è di ostacolo alla definizione dei giudizi nel merito, ai sensi e per gli affetti dell’ art. 26, L. 1034/1971, una volta che il collegio accerti la sussistenza dei presupposti di applicabilità della forma semplificata, trattandosi di apprezzamento rimesso alla valutazione discrezionale del giudice amministrativo nel superiore interesse pubblico alla sollecita definizione dei processi. Come accennato, la tutela dell’interesse (eventualmente contrario) delle parti costituite, risulta essere sufficientemente garantito dalla possibilità che le stesse siano sentite sul punto (perseguita, in concreto, con la comunicazione della data della camera di consiglio) Il collegio, quindi, potrà emettere una sentenza in forma semplificata anche in difetto di richiesta delle parti e, viceversa, potrà rifiutarsi, in teoria, di decidere in forma semplificata anche se tutte le parti del giudizio richiedano concordemente l’emissione di una sentenza di tal fatta.

Ciò significa, altresì, che l’eventuale assenza del difensore della parte costituita non è suscettibile di impedire la definizione del giudizio con sentenza succintamente motivata. Invero, appunto perché si tratta di un’ipotesi di conclusione del processo prevista dalla legge, e quindi normalmente prevedibile per ognuna delle parti, l’assenza dei difensori di queste in camera di consiglio è elemento sufficiente di dimostrazione di disinteresse o di non individuazione di ragioni, da portare a conoscenza dell’organo giurisdizionale, ostative all’immediata conclusione del giudizio.

Esiste, in altri termini, vista la previsione legislativa che ha riguardo alle parti costituite, un onere, per ciascuna parte che intenda comunque interloquire sulla possibilità della definizione celere e della sentenza semplificata, sia di costituirsi tempestivamente, sia di partecipare alla discussione nella sede appositamente prevista della camera di consiglio. Non soddisfacendo quest’ onere, la parte non può dolersi dell’iniziativa del giudice e, dunque, della perdita di facoltà processuali

riservatele - quale quella dedotta dall’appellante circa la teorica possibilità di proporre ancora ricorso incidentale -, ma alle quali essa stessa non ha dato nessuna rilevanza, avendo rinunciato o soprasseduto ad esporre nella sede propria, l’esigenza di esercitarle.

Ai fini della completezza del contraddittorio, la decisione in forma semplificata, in sede di esame della domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnatorio, richiede, inoltre, non solo la ritua1e notifica del ricorso, ma anche il rispetto dei termini per la discussione sull’istanza incidentale.

Al riguardo, l’art. 36 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, recante il Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, dispone che, per l’esame delle domande di sospensione dell’esecuzione dell’atto amministrativo, l’amministrazione e le parti interessate possono, entro dieci giorni dalla notifica, depositare e trasmettere memorie od istanze alla segreteria. Su tali domande la sezione pronuncia nella prima udienza dopo spirato il termine. Il Presidente può abbreviare il termine.

Pertanto, l’udienza di discussione dell’incidente cautelare deve essere fissata dopo il decorso di dieci giorni liberi dalla notifica del ricorso, poiché l’art. 36 R.D. 642/1907, prevedendo tale intervallo, garantisce il diritto di difesa e quindi non può intendersi abrogato dall’art. 33, L. 1034/1971 che prevede la trattazione dell’istanza sospensiva alla prima udienza successiva al deposito del gravame. Nel caso in cui l’esame dell’ istanza di sospensione dell’atto impugnato non venga fissato per la camera di consiglio che accede alla prima udienza pubblica successiva al deposito del ricorso, viene meno la condizione obiettiva di conoscibilità ancorata alla previsione legale, con conseguente obbligo di dare comunicazione della data fissata mediante consegna di biglietto di segreteria o notifica diretta, ovvero anche con l’uso di mezzi alternativi, purché presentino un minimo di requisiti formali che offrano adeguata garanzia del prodursi di una condizione di effettiva conoscibilità dell’atto da parte del destinatario.

Passando, infine, alle diverse conseguenze legate al caso di sentenza di primo grado in forma semplificata omissiva di alcuno degli adempimenti procedurali o che non abbia adeguatamente valutato la sussistenza dei presupposti, si può osservare e che:

1) in caso di incompletezza del contraddittorio, di violazione del diritto di difesa di una delle parti, la decisione sarà senz’altro appellabile e, in applicazione dell’art 35 L. 1034/1971, il Consiglio di Stato potrà annullarla con rinvio al primo giudice per difetto di procedura;

2) in caso di incompletezza dell’istruttoria, l’omissione di accertamenti istruttori da parte del T.A.R. non concreta un vizio di procedura e richiede, pertanto, rinvio al tribunale medesimo, spettando al Consiglio di Stato, qualora l’ omissione venga specificamente rilevata come vizio della sentenza, provvedere agli accertamenti non effettuati;

3) in caso di sentenza del T.A.R. che abbia effettivamente dichiarato (manifestamente) irricevibile, inammissibile o improcedibile il ricorso, il Consiglio di Stato trattiene la causa per l’esame del merito e non la rinvia al giudice di primo grado, dal momento che occorre interpretare restrittivamente le espressioni contenute nel primo comma dell’ art. 35 della L. 1034/l97l, circa le ipotesi di rinvio al primo giudice della controversia: si dovrà rimettere la causa al primo giudice non ogni volta che la pregressa fase del processo abbia dato luogo ad una pronunzia diversa da quella del merito, ma solo quando sia mancata del tutto, per esplicita statuizione del giudice, la risoluzione della lite (art. 353 c.p.c.),oppure quando il giudizio svolto in prime cure presenti vizi o lacune tali da comportare la nullità dell’intero procedimento o di una parte di esso o della sentenza (art. 354 c.p.c);

4) nel caso, infine, di sentenza del T.AR che abbia erroneamente dichiarato (manifestamente) fondato oppure (manifestamente) infondato il ricorso, è sufficiente che il soccombente si dolga dell’ erroneità della sentenza di primo grado, chiedendo un nuovo giudizio di merito sulla controversia, perché l’intera materia del contendere si devolva al giudice di secondo grado (cd. effetto devolutivo), naturalmente nei limiti di quei soli capi che abbiano formato oggetto di appello (tantum devolutum quantum appellatum), e così anche nel casi di carenza di motivazione, che non comportano annullamento con rinvio al giudice di primo grado, ma sono semplicemente causa di integrazione della motivazione da parte del Consiglio di Stato ed in quelli di mancata pronuncia del giudice di primo grado su determinate censure, che non integrano il vizio di procedura di cui all’art. 35 L. 1034/1971, ma solo un difetto di motivazione, sul quale può provvedere il giudice di secondo grado in forza dell’effetto devolutivo dell’appello.

Un’ ultima notazione merita il recente rito degli appalti , introdotto dalla l. 2/2009, in cui, a fronte della previsione di sentenze succintamente motivate, è dato riscontrare un sistema processuale ad hoc, scandito da termini assolutamente stringenti, con il divieto, tra l’ altro, di risarcimenti in forma specifica per il ricorrente. Sistema, questo, per la verità, non immune da critiche, sol che si pensi alla corsa contro il tempo cui i legali saranno costretti nella stesura di atti relativi a procedimenti non di rado assai complessi e, come rilevato da attenta dottrina, al pregiudizio di fondo che ha mosso il pubblico decisore legato all’ errato convincimento per cui i controlli giurisdizionali, in materia di appalti, rappresenterebbero, più che altro, “un inutile o, al più, aggiuntivo lacciolo, quando, in realtà, è la qualità del procedimento amministrativo a monte a dover necessariamente essere migliorata” (Monaterio).



Bibliografia:

G. VIRGA,I procedimenti abbreviati previsti dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, in www.lexitalia.it;

I. FRANCO, Sentenze in forma semplificata - Procedimenti per Decreto, in www.diritto.it; F.PATRONI GRIFFI, Istituti di semplificazione nel nuovo processo amministrativo, in www.giustiziaamministrativa.it;

A. BERTOLDINI, I riti immediati ed abbreviati previsti dalla legge 21 luglio 2000, n. 205: la mediazione giurisprudenziale tra certezza ed effettività di tutela, in Dir. proc. amm., 4/ 2003;

G. BARBAGALLO, La decisione informa semplificata, in www.giustizia-amministrativa.it;

E.S. DAMIANI, Le decisioni in forma semplificata, in F. Caringella, M. Protto (a cura di), Il Nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205, Milano, 2008;

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M. BRANCA, Brevi note sulla «sentenza succintamente motivata», in Cons. Stato, 2002, II;

A. LAMBERTI, Le decisioni in forma semplificata, in V. Cerulli Irelli (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000;

F.F. TUCCARI, La semplificazione delle decisioni contenziose: tra accelerazione ed effettività del contradittorio, in F. Caringella. M. Protto (a cura di), Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Milano, 2002;

R. MONTEFUSCO, Le decisioni in forma abbreviata, in B. Sassani, R. Villata (a cura di), Il processo davanti al giudice amministrativo, Torino, 2001;

L. PASANISI, La sentenza breve in sede cautelare come modo ordinario di definizione del giudizio amministrativo, in Foro Amministrativo -TA.R., 2002.

Rassegna giurisprudenziale

Corte cost., 10 -11- 1999, n. 427

C.d.S., sez. V, 26-1-2001, n. 268

C.d.S., sez. VI, 15-7-2002, n. 3956

C.d.S., sez. VI, 29-7-2002, n. 4070

Corte cost. , 31-7-2002, n. 417

C.d.S., sez. IV, 12-7-2002, n. 3929

C.d.S., sez. V, 1-3-2003, n. 1131

C.d.S., sez. V, 8-9-2003, n. 5032

C.d.S., sez. IV, 22-6-2004, n. 4445

C.d.S., sez. V, 25-1-2005, n. 154

C.G.A.R.S. , sez. Giur., 24-10-2005, n. 708

C.d.S., sez. V, 26-4-2007, n. 1882

C.d.S., sez. IV, 1-10-2007, n. 5041

C.d.S., sez. V, 15-1-2008, n.35

C.d.S., sez. V, 18-6-2008, n. 2991

Schema di trattazione

Inquadramento sistematico dell’istituto

Contenuto della motivazione della sentenza informa semplificata

L’esigenza di completezza del contraddittorio

Bibliografia

Rassegna giurisprudenziale

Riferimenti normativi: art. 111 Cost.; artt. 112 e 132 c.p.c.; L. 6-12-1971, n. 1034 (artt. 21, 21 bis, 23 bis, 26, 31); L. 21-7-2000, n. 205 (art. 9)

Inquadramento sistematico dell’istituto

La sentenza succintamente motivata (o sentenza in forma semplificata) è stata introdotta nel processo amministrativo, con dignità di istituto generale, ad opera dell’art. 9 della L. 205/2000, che ha sul punto novato l’articolo 26 della L. 1034/1971 (cd. L. T.A.R.; cfr. i nuovi commi 4,5 e 6).

Più precisamente, l’articolo 9 ha previsto, come da rubrica, due tipologie di decisioni in forma semplificata. Nel genere rientrano infatti: le sentenze succintamente motivate, istituto di semplificazione del processo amministrativo attinente alla forma del provvedimento decisorio, nonché i provvedimenti monocratici previsti nella seconda parte del comma l dell’ art. 9; ossia i decreti che pronunciano la rinuncia al ricorso, la cessazione della materia del contendere, l’estinzione del giudizio e la perenzione, istituto di semplificazione che agisce sull’andamento del processo accentuando il principio di concentrazione.

In virtù della novella del T.A.R. e Consiglio di Stato - nei processi di primo e di secondo grado - possono decidere la controversia con sentenza succintamente motivata laddove ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso provvedendo in ogni caso sulle spese di giustizia. Il legislatore, quindi, ha avuto cura di indicare le circostanze riscontrabili nei ricorsi afferenti a tutte le aree delle giurisdizioni di legittimità di merito o esclusivamente attribuite al giudice amministrativo, che legittimano l’applicazione dell’istituto. L’art. 26 in commento viene, altresì, richiamato dall’art. 21, co. 10, della L. 1034/1971, relativamente alla definizione del giudizio nel mento in sede di decisione della domanda cautelare.

Vero carattere di novità della normativa in commento è quello di consentire che questioni che si presentino ictu oculi di agevole soluzione siano definite con un procedimento snellito dalle formalità proprie della pubblica udienza, così da favorire celerità ed effettività di tutela: la sentenza succintamente motivata può essere assunta, nel rispetto della completezza del contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l’ esame dell’istanza cautelare ovvero fissata d’ufficio a seguito di esame istruttorio. Presupposto essenziale perché si proceda con sentenza semplificata, e contemporaneo discrimen tra questa e la sentenza in forma ordinaria, è costituito dalla circostanza che la fondatezza, infondatezza, inammissibilità, improcedibilità o irricevibilità del ricorso appaia manifesta, nel senso di facile percepibilità della evidente soluzione, tale da non comportare l’esame di problematiche complesse.

Le disposizioni concernenti le decisioni in forma semplificata si applicano anche ai giudizi innanzi alla Corte dei conti in funzione di giudice pensionistico, stante il rinvio operato dal comma 3 del citato art. 9. Problematica è apparsa, invece, l’estensione della normativa anche al Tribunale superiore delle acque. Per ragioni di ordine sistematico legate all’uniformità degli strumenti processuali di tutela - attesa la natura di autorità giudiziaria amministrativa speciale del Tribunale superiore delle acque quando giudica in unico grado - si deve, comunque, propendere per l’estensione della norma di semplificazione anche nei giudizi dinanzi al Tribunale superiore.

Facile osservare come l’art. 26 L. TA.R. sia soltanto la spia più manifesta, attesa la formulazione generalizzante, della crescente diffusione di decisioni semplificate (e di sottesi riti speciali o abbreviati) nel processo amministrativo. Diverse forme prevedono ugualmente altre fattispecie, processuali e procedimenti abbreviati, sebbene dissimili fra loro, che si concludono con decisioni semplificate nella forma della sentenza succintamente motivata. Vi rientrano:

- la decisione sul ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione, di cui all’art. 21 bis L. TA.R., introdotto dall’art. 2 della L. 205/2000. Nella fattispecie il procedimento è speciale in quanto tarato su una regolamentazione ad hoc per una ipotesi particolare, ma l’approdo decisorio è analogo a quello ex art. 26, commi 4 e ss., con l’ulteriore particolarità dello sganciamento dal carattere manifesto della questione che rende il ricorso contro il silenzio un ’procedimento speciale rispetto a quello ordinario e la sentenza succintamente motivata l’ ordinaria forma della decisione di tale procedimento;

- la decisione sul regolamento di competenza resa dal tribunale con deliberazione sommaria della manifesta infondatezza dell’eccezione proposta, ai fini di decidere la rimessione a1 Consiglio di Stato della questione di competenza (art. 31, co. 5, L. TA.R., come modificato dalla L. 205/2000). In questa ipotesi, l’aspetto della deliberazione è ugualmente quello del carattere manifesto della questione; differiscono naturalmente il contesto processuale e l’ oggetto della delibazione stessa, come anche (si ritiene pero senza rilievo pratico) il nomen del provvedimento generico di decisione semplificata e non di sentenza succintamente motivata;

- alle suddette ipotesi deve aggiungersi un’altra fattispecie processuale che può avere esito in decisioni semplificate, espressamente richiamando l’applicazione della norma generale in materia: il procedimento speciale ex art 23 bis L. T.A.R., introdotto dall’art. 4 L. 205/2000, riguardante i giudizi aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure tassativamente elencate (affidamento di incarichi di progettazione e di attività tecnico-amministrative connesse; aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di appalti di opere pubbliche o di pubblica utilità - comprese le procedure di occupazione e di espropriazione – aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture; provvedimenti delle autorità indipendenti; procedure di privatizzazione e dismissione di imprese e beni pubblici; provvedimenti di nomina adottati previa delibera del Consiglio dei ministri, ai sensi della L. 400/1988; provvedimenti di scioglimento degli enti locali. In questo caso, accanto ad una regolamentazione del tutto particolare del procedimento, vi è l’espresso richiamo all’applicazione dell’art 26, co. 4. se ricorrono i presupposti ivi previsti.

Una particolare ipotesi di semplificazione della motivazione era già stata, a suo tempo prevista dal combinato disposto degli artt.l8 e 24, L. 87/1953 - così come interpretato nella consolidata prassi applicativa del giudice delle leggi -, con riguardo alle ordinanze della Corte costituzionale, succintamente motivate, che respingano la eccezione di illegittimità costituzionale per manifesta irrilevanza o infondatezza. Più recentemente, uno strumento analogo alla sentenza succintamente motivata (denominato sentenza con motivazione in forma abbreviata) era stato anticipato, ma esclusivamente per la soluzione delle vertenze in particolari materie con riguardo a giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico–amministrative connesse e i provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate, nonché con riguardo a ricorsi avverso i provvedimenti dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (cfr. rispettivamente l’art 19 D.L. 67/1997 e l’art. 1, co.27, L. 249/1997, ora entrambi abrogati).

Contenuto della motivazione della sentenza in forma semplificata

In relazione al contenuto della motivazione del1a sentenza semplificata, la legge sottolinea che essa può consistere in un sintetico riferimento ad un punto - alternativamente, di fatto o di diritto - ritenuto risolutivo ovvero ad un precedente conforme. Ciò consente che questioni identiche, pur complesse in origine,possano essere decise con una sentenza pilota (non abbreviata ), seguita da una serie di sentenze succintamente motivate che facciano ad essa riferimento.

In ordine al primo profilo, si può evidenziare che la differenza con la sentenza ordinaria pare concretarsi sul piano della struttura redazionale della sentenza e della parte motivazionale di essa che, da un lato, sinteticamente richiama gli scritti difensivi per quel che riguarda la narrazione dello svolgimento del giudizio nonchè dei fatti di causa; dall’altro, limita la motivazione all’analisi del profilo di fatto o di diritto della controversia e si ritiene decisivo. La norma può, quindi, apparire una sorta di avallo legislativo ad una prassi pretoria già formatasi sulle decisioni ordinarie, e alla cui diffusione la dottrina ha sempre guardato, con critica diffidenza, che e quella dell’assorbimento dei motivi. Il rischio, però, è quello di decisioni che da semplificate si rivelino pericolosamente monche, ossia che ledano - a fronte di ricorsi che prospettino motivi formali e sostanziali - l’interesse sostanziale delle parti a ottenere una pronuncia esaustiva della lite.

Per quanto riguarda, invece la facoltà che la succinta motivazione possa consistere nel riferimento puntuale ad un precedente giurisprudenziale conforme che ha regolato casi analoghi, siamo di fronte al riconoscimento in via normativa di un’altra prassi giurisprudenziale non estranea ai Tribunali Amministrativi, che sostanzialmente ripropone per il processo quanto affermato in ambito procedimentale, e cioè la sufficienza della motivazione per relationem . Anche in questo caso, è auspicabile che il richiamo al precedente conforme non sia scarno o eccessivamente puntuale, ma venga integrato dalle insopprimibili specificità che il caso concreto, regolato dalla singola decisione, abbia rivelato alla cognizione del giudicante, così da far emergere comunque l’iter logico seguito e la sua autonoma elaborazione.

Si è, comunque, osservato che la sentenza succintamente motivata può essere breve ma non per questo può essere non esaustiva (cfr. anche l’art. 132 c.p.c., relativo al «Contenuto della sentenza»). La giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi sul punto, confermando la coerenza della nuova normativa con i principi generali desumibili dall’art.111 Cost., in tema di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e dall’art. 112 c.p.c. relativo alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La decisione in forma semplificata, quando ne ricorrano i presupposti, non elimina le garanzie connesse al procedimento giurisdizionale di cui la sentenza è l’ epilogo, per la semplice ragione che pur nella forma semplificata essa deve contenere una succinta ma congrua ed idonea motivazione delle argomentazioni svolte dal giudice.

La sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione, sicché la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111, co. 2, Cost., essendo compatibile con il principio di tutela giurisdizionale.

A norma del comma 6 dell’ art. 26. T.A.R, le sentenze succintamente motivate sono, poi, impugnabili con le medesime forme previste per le sentenze ordinarie.

La disposizione, pur risultando ovvia e meramente confermativa, è dovuta con ogni probabilità alla necessità di riportare nell’ alveo della ordinarietà procedimenti caratterizzati da specifiche peculiarità.

Un’ultima notazione sul punto se l’impugnazione dell’ ordinanza cautelare che nega o che concede la sospensione del provvedimento, possa o meno sfociare nella sentenza breve. In senso negativo si osserva che le parti potrebbero venir private di un grado di giudizio di merito ( senza che la legge espressamente lo consenta).

L’esigenza di completezza del contraddittorio

Quanto al momento processuale in cui la sentenza semplificata può essere adottata, l’ art. 26, co., prevede espressamente che la decisione in forma semplificata - nel rispetto della completezza del contraddittorio - è assunta nella camera di consiglio: a) fissata per l’esame dell’istanza cautelare; b) ovvero fissata di ufficio a seguito dell’esame istruttorio previsto dall’ art. 44, co. 2, T.U.

delle leggi sul Consiglio di Stato di cui al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. Gli interpreti hanno, peraltro, rilevato che il legislatore mostra di aver costruito l’istituto come suscettibile di essere utilizzato anche al di là dei due momenti “codificati”, e quindi in ogni occasione processuale nella quale se ne verifichino i presupposti. La giurisprudenza ha già riconosciuto la piena legittimità dell’impiego della sentenza succintamente motivata anche a seguito della trattazione della causa in udienza. Ciò perché il legislatore ha inserito la previsione sulla pronuncia della sentenza succintamente motivata nell’ art. 26 della L. 1034/1971, che è riferito alla decisione che definisce il merito della controversia; inoltre, i termini della procedura previsti per la pronuncia in udienza pubblica sono di ancora più efficace garanzia per i diritti di difesa e per la salvaguardia dell’integrità del contraddittorio rispetto alla disciplina che concerne le pronunzie in camera di consiglio. Proprio nell’ art. 26, co. 5, L. T.A.R. si rinviene la naturale corrispondenza tra semplificazione della forma decisoria e accelerazione del procedimento volto a quella decisione: l’immediata rilevabilità di aspetti manifesti della controversia consente l’assorbimento in camera di consiglio (cautelare o istruttoria) della udienza della trattazione del merito.

La concentrazione della trattazione del merito nell’ udienza cautelare trova simmetrica corrispondenza nella norma di cui all’ art. 21, co. 10 T.A.R (anch’esso naturalmente esito della novella del 2000), che richiama l’art. 26, aggiungendo, però, un inciso rilevante ai fini della più esatta comprensione dell’ espressione «[...] nel rispetto della completezza del contraddittorio». Infatti, se nell’arto 26 tale espressione può lasciare adito a qualche dubbio sulla sua effettiva portata, l’art21, co. 10, oltre a richiedere l’accertamento della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria (quest’ultimo elemento è ricavabile anche nell’art. 26, laddove si facoltizza l’assunzione della decisione semplificata nell’udienza fissata ex art. 44, co. 2, T.U. Cd.S.), prevede anche l’ipotesi in cui l’ accertamento del contraddittorio dia esito negativo, stabilendo che il giudice deve disporre l’integrazione e fissare l’udienza di trattazione del ricorso. Si può, pertanto, ritenere, salvo a svuotare di significato precettivo effettivamente garantistico la norma ex 26, co. 5 in punto di accertamento del contraddittorio, che il requisito della completezza costituisce una condizione essenziale a che il giudice possa procedere con rito abbreviato e decisione semplificatoria; in difetto di tale condizione, dovrà ordinarsi l’integrazione del contraddittorio e disporsi udienza di trattazione.

Sempre in punto di completezza del contraddittorio, appare pacifico che non potrà comunque essere condizionato lo svolgimento del processo in via semplificata, quando l’astratto difetto di contraddittorio è riferibile ai cd. controinteressati occulti, ovvero a quei soggetti che non emergono espressamente dal provvedimento impugnato né sono dall’esame di esso facilmente individuabili. Ad essi, rimarranno i mezzi impugnatori della sentenza per tornare ad essere considerati nell’ agone processuale.

La formula utilizzata dal legislatore nell’art. 21 «.. . sentite sul punto le parti costituite...» deve, poi, essere interpretata nel senso che le parti devono soltanto essere edotte della possibilità che il collegio possa pronunciare sentenza definitiva, anziché limitarsi alla misura cautelare richiesta. È, infatti, questa la garanzia che la legge offre alle parti costituite, le quali, anche se sono consapevoli della facoltà che è data al giudice, devono comunque essere informate nel caso che si profili questa eventualità ma senza che ciò prefiguri un accordo che deve intervenire fra esse e l’organo giurisdizionale.

Ciò significa che alle parti è dato di esprimere osservazioni che, secondo il loro parere, potrebbero impedire la pronuncia, non già di paralizzare l’iniziativa del giudice. La mancata comparizione in camera di consiglio delle a costituite - formalmente informate della data di comparizione non è di ostacolo alla definizione dei giudizi nel merito, ai sensi e per gli affetti dell’ art. 26, L. 1034/1971, una volta che il collegio accerti la sussistenza dei presupposti di applicabilità della forma semplificata, trattandosi di apprezzamento rimesso alla valutazione discrezionale del giudice amministrativo nel superiore interesse pubblico alla sollecita definizione dei processi. Come accennato, la tutela dell’interesse (eventualmente contrario) delle parti costituite, risulta essere sufficientemente garantito dalla possibilità che le stesse siano sentite sul punto (perseguita, in concreto, con la comunicazione della data della camera di consiglio) Il collegio, quindi, potrà emettere una sentenza in forma semplificata anche in difetto di richiesta delle parti e, viceversa, potrà rifiutarsi, in teoria, di decidere in forma semplificata anche se tutte le parti del giudizio richiedano concordemente l’emissione di una sentenza di tal fatta.

Ciò significa, altresì, che l’eventuale assenza del difensore della parte costituita non è suscettibile di impedire la definizione del giudizio con sentenza succintamente motivata. Invero, appunto perché si tratta di un’ipotesi di conclusione del processo prevista dalla legge, e quindi normalmente prevedibile per ognuna delle parti, l’assenza dei difensori di queste in camera di consiglio è elemento sufficiente di dimostrazione di disinteresse o di non individuazione di ragioni, da portare a conoscenza dell’organo giurisdizionale, ostative all’immediata conclusione del giudizio.

Esiste, in altri termini, vista la previsione legislativa che ha riguardo alle parti costituite, un onere, per ciascuna parte che intenda comunque interloquire sulla possibilità della definizione celere e della sentenza semplificata, sia di costituirsi tempestivamente, sia di partecipare alla discussione nella sede appositamente prevista della camera di consiglio. Non soddisfacendo quest’ onere, la parte non può dolersi dell’iniziativa del giudice e, dunque, della perdita di facoltà processuali

riservatele - quale quella dedotta dall’appellante circa la teorica possibilità di proporre ancora ricorso incidentale -, ma alle quali essa stessa non ha dato nessuna rilevanza, avendo rinunciato o soprasseduto ad esporre nella sede propria, l’esigenza di esercitarle.

Ai fini della completezza del contraddittorio, la decisione in forma semplificata, in sede di esame della domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnatorio, richiede, inoltre, non solo la ritua1e notifica del ricorso, ma anche il rispetto dei termini per la discussione sull’istanza incidentale.

Al riguardo, l’art. 36 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, recante il Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, dispone che, per l’esame delle domande di sospensione dell’esecuzione dell’atto amministrativo, l’amministrazione e le parti interessate possono, entro dieci giorni dalla notifica, depositare e trasmettere memorie od istanze alla segreteria. Su tali domande la sezione pronuncia nella prima udienza dopo spirato il termine. Il Presidente può abbreviare il termine.

Pertanto, l’udienza di discussione dell’incidente cautelare deve essere fissata dopo il decorso di dieci giorni liberi dalla notifica del ricorso, poiché l’art. 36 R.D. 642/1907, prevedendo tale intervallo, garantisce il diritto di difesa e quindi non può intendersi abrogato dall’art. 33, L. 1034/1971 che prevede la trattazione dell’istanza sospensiva alla prima udienza successiva al deposito del gravame. Nel caso in cui l’esame dell’ istanza di sospensione dell’atto impugnato non venga fissato per la camera di consiglio che accede alla prima udienza pubblica successiva al deposito del ricorso, viene meno la condizione obiettiva di conoscibilità ancorata alla previsione legale, con conseguente obbligo di dare comunicazione della data fissata mediante consegna di biglietto di segreteria o notifica diretta, ovvero anche con l’uso di mezzi alternativi, purché presentino un minimo di requisiti formali che offrano adeguata garanzia del prodursi di una condizione di effettiva conoscibilità dell’atto da parte del destinatario.

Passando, infine, alle diverse conseguenze legate al caso di sentenza di primo grado in forma semplificata omissiva di alcuno degli adempimenti procedurali o che non abbia adeguatamente valutato la sussistenza dei presupposti, si può osservare e che:

1) in caso di incompletezza del contraddittorio, di violazione del diritto di difesa di una delle parti, la decisione sarà senz’altro appellabile e, in applicazione dell’art 35 L. 1034/1971, il Consiglio di Stato potrà annullarla con rinvio al primo giudice per difetto di procedura;

2) in caso di incompletezza dell’istruttoria, l’omissione di accertamenti istruttori da parte del T.A.R. non concreta un vizio di procedura e richiede, pertanto, rinvio al tribunale medesimo, spettando al Consiglio di Stato, qualora l’ omissione venga specificamente rilevata come vizio della sentenza, provvedere agli accertamenti non effettuati;

3) in caso di sentenza del T.A.R. che abbia effettivamente dichiarato (manifestamente) irricevibile, inammissibile o improcedibile il ricorso, il Consiglio di Stato trattiene la causa per l’esame del merito e non la rinvia al giudice di primo grado, dal momento che occorre interpretare restrittivamente le espressioni contenute nel primo comma dell’ art. 35 della L. 1034/l97l, circa le ipotesi di rinvio al primo giudice della controversia: si dovrà rimettere la causa al primo giudice non ogni volta che la pregressa fase del processo abbia dato luogo ad una pronunzia diversa da quella del merito, ma solo quando sia mancata del tutto, per esplicita statuizione del giudice, la risoluzione della lite (art. 353 c.p.c.),oppure quando il giudizio svolto in prime cure presenti vizi o lacune tali da comportare la nullità dell’intero procedimento o di una parte di esso o della sentenza (art. 354 c.p.c);

4) nel caso, infine, di sentenza del T.AR che abbia erroneamente dichiarato (manifestamente) fondato oppure (manifestamente) infondato il ricorso, è sufficiente che il soccombente si dolga dell’ erroneità della sentenza di primo grado, chiedendo un nuovo giudizio di merito sulla controversia, perché l’intera materia del contendere si devolva al giudice di secondo grado (cd. effetto devolutivo), naturalmente nei limiti di quei soli capi che abbiano formato oggetto di appello (tantum devolutum quantum appellatum), e così anche nel casi di carenza di motivazione, che non comportano annullamento con rinvio al giudice di primo grado, ma sono semplicemente causa di integrazione della motivazione da parte del Consiglio di Stato ed in quelli di mancata pronuncia del giudice di primo grado su determinate censure, che non integrano il vizio di procedura di cui all’art. 35 L. 1034/1971, ma solo un difetto di motivazione, sul quale può provvedere il giudice di secondo grado in forza dell’effetto devolutivo dell’appello.

Un’ ultima notazione merita il recente rito degli appalti , introdotto dalla l. 2/2009, in cui, a fronte della previsione di sentenze succintamente motivate, è dato riscontrare un sistema processuale ad hoc, scandito da termini assolutamente stringenti, con il divieto, tra l’ altro, di risarcimenti in forma specifica per il ricorrente. Sistema, questo, per la verità, non immune da critiche, sol che si pensi alla corsa contro il tempo cui i legali saranno costretti nella stesura di atti relativi a procedimenti non di rado assai complessi e, come rilevato da attenta dottrina, al pregiudizio di fondo che ha mosso il pubblico decisore legato all’ errato convincimento per cui i controlli giurisdizionali, in materia di appalti, rappresenterebbero, più che altro, “un inutile o, al più, aggiuntivo lacciolo, quando, in realtà, è la qualità del procedimento amministrativo a monte a dover necessariamente essere migliorata” (Monaterio).



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Rassegna giurisprudenziale

Corte cost., 10 -11- 1999, n. 427

C.d.S., sez. V, 26-1-2001, n. 268

C.d.S., sez. VI, 15-7-2002, n. 3956

C.d.S., sez. VI, 29-7-2002, n. 4070

Corte cost. , 31-7-2002, n. 417

C.d.S., sez. IV, 12-7-2002, n. 3929

C.d.S., sez. V, 1-3-2003, n. 1131

C.d.S., sez. V, 8-9-2003, n. 5032

C.d.S., sez. IV, 22-6-2004, n. 4445

C.d.S., sez. V, 25-1-2005, n. 154

C.G.A.R.S. , sez. Giur., 24-10-2005, n. 708

C.d.S., sez. V, 26-4-2007, n. 1882

C.d.S., sez. IV, 1-10-2007, n. 5041

C.d.S., sez. V, 15-1-2008, n.35

C.d.S., sez. V, 18-6-2008, n. 2991