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Perimetrazione di un possibile intervento della Consulta come giudice infrapotere in tema di pregiudizialità amministrativa

1. Premessa

2. Le coordinate del confitto di attribuzione

3. I conflitti di attribuzione infrapotere

1. Premessa

All’indomani della decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2436 del 21 aprile 2009 che ha nuovamente rimesso all’Adunanza Plenaria la questione del necessario previo annullamento del provvedimento amministrativo ai fini della fruizione della tutela risarcitoria - trattasi della cosiddetta pregiudiziale di annullamento invero disconosciuta, quanto alla sua essenzialità, dalle Sezioni Unite nella nota decisione 23 dicembre 2008, n. 30254[1] -, si profila all’orizzonte una “battaglia” istituzionale che, con ogni probabilità, vedrà l’intervento del giudice delle leggi.

Ciò risulta dal chiaro tenore della pronunzia dei giudici di Palazzo Spada laddove si invita l’Adunanza Plenaria a valutare, tra l’altro, la costituzionalità dell’art. 7, L. n. 205/2000 per come, appunto, interpretato dalla Corte di Cassazione: afferma il giudice amministrativo, infatti, che “a verifica di costituzionalità dovrà essere sottoposto l’art. 7 citato, anche nel caso si voglia definire, accedendo alla ricostruzione delle Sezioni Unite, la questione della pregiudizialità amministrativa come questione di giurisdizione, quindi vincolante per il giudice amministrativo”.

Ebbene, con il presente scritto si intende indagare il “come” possa essere invocato, da parte dell’Adunanza Plenaria, l’intervento della Corte Costituzionale, esplorandosi, in particolare, la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzioni ex art. 134 Cost., ciò in considerazione, come si preciserà di qui a poco, di un paventabile straripamento da parte del giudici dei diritti relativamente all’esercizio del sindacato ex art. 111, u.c., Cost. ai sensi del quale “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

Anticipando la problematica oggetto di analisi, può osservarsi che le Sezioni Unite, adite ai sensi della norma costituzionale da ultimo citata, recentemente hanno offerto una esegesi “estensiva” della formula “motivi inerenti alla giurisdizione”, non più ritenuta limitativa dell’esercizio di un potere sindacatorio confinato nell’ambito dei limiti esterni della giurisdizione (l’an della medesima, in positivo o negativo) bensì involgente anche lo scrutinio nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione e dunque il quomodo dell’esercizio del potere giurisdizionale, quest’ultimo tradizionalmente considerato oggetto di censura con il ricorso per cassazione non ai sensi dell’art. 111, u.c., Cost, bensì per il tramite di un ricorso finalizzato a lamentare esclusivamente errori in iudicando e/o in procedendo.

L’indagine su un possibile “conflitto di attribuzioni” prende l’abbrivio proprio dalla considerazione di una costante giurisprudenza della Corte Costituzionale che preclude la possibilità di sollevare, in via incidentale, questioni di legittimità costituzionale con le quali si chieda una sorta di revisione delle interpretazioni e quindi delle decisioni della Corte di Cassazione: si è osservato, infatti, che in relazione alla posizione di vertice che la Cassazione assume nell’ordinamento giudiziario, “il principio generale della inoppugnabilità delle sentenze di detto organo non soffre deroga per quanto attiene alle sentenze di annullamento .. e comunque è necessario che la norma impugnata sia applicabile al giudizio a quo e non invece, come nella specie, in una fase processuale anteriore già conclusasi (quella appunto del giudizio per cassazione ai sensi dell’art. 111, secondo settimo, Cost.)”[2]. Nella specie si trattava di una sentenza di annullamento con rinvio resa dalle Sezioni Unite in sede di ricorso ex art. 111, comma settimo, Cost. (ricorso per violazione di legge), decisione che nel giudizio di rinvio aveva indotto il Tribunale delle Acque Pubbliche a sollevare questione incidentale di costituzionalità avente ad oggetto una norma di legge per come interpretata dalla Suprema Corte[3].

Si ritiene che pur essendo i principi espressi riferiti ad una decisione della Cassazione adita ex art. 111, comma settimo, Cost., gli stessi possano, con ogni probabilità, essere riferiti anche a quelle decisioni, come nel caso de quo, rese in sede di ricorso ex art. 111, comma ottavo, Cost. per motivi di giurisdizione.

Apparendo allora problematico adire la Consulta in via incidentale, d’ufficio, si giustifica l’approfondimento della possibilità di un intervento del giudice delle leggi quale giudice del conflitto di attribuzioni ex art. 134 Cost.. Necessita verificare, allora, in primo luogo la presenza dei tratti caratterizzanti un conflitto di attribuzioni ed in secondo luogo, risolto positivamente il primo punto, l’ammissibilità nell’ordinamento costituzionale di conflitti cosiddetti infrapotere ovvero tra organi appartenenti al medesimo potere dello Stato, nel caso de quo il potere giurisdizionale.

2. Le coordinate del confitto di attribuzione

“Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione” (art. 111, u.c., Cost.).

La prevalente ed incontrastata esegesi data dal giudice dei diritti alla formula “motivi inerenti alla giurisdizione” di cui alla norma costituzionale de qua è stata quella concernente la possibilità di un sindacato relativo ai cosiddetti limiti esterni della giurisdizione. Si è affermato più volte, infatti, che i motivi inerenti alla giurisdizione - in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111, ultimo comma, Cost. e dell’art. 362 c.p.c., il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato - vanno identificati nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale o i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione, ossia quando abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito. Con la precisazione che detti limiti di sindacabilità delle sentenze del Consiglio di Stato non variano a seconda che le sue pronunce siano state emesse nell’esercizio della giurisdizione in materia di interessi legittimi o ricadano nell’ambito della giurisdizione esclusiva, riguardante anche i diritti. Si considera pertanto inammissibile “il ricorso per cassazione con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle Sezioni Unite della Suprema Corte”[4].

Anche di recente, sempre le Sezioni Unite hanno osservato che pur a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell’art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo[5].

Ebbene, un sensibile mutamento di tale giurisprudenza inerente “l’ampiezza” del ricorso per cassazione ex art. 111, u.c., Cost. si registra proprio nelle pronunzia della Suprema Corte in tema di “pregiudiziale di annullamento” laddove il giudice della giurisdizione non si è più limitato a verificare l’an della giurisdizione - pacifica essendo l’attribuzione al giudice amministrativo dello strumentario risarcitorio ex art. 7, L. n. 205/2000 - bensì il quomodo ovvero la modalità di esercizio della medesima. La Corte di Cassazione ha così affermato che ai fini dell’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che tradizionalmente delimitano il sindacato consentito alle S.U. sulle decisioni del Consiglio di Stato che quei limiti travalichino, si deve tenere conto dell’evoluzione del concetto di giurisdizione dovuta a molteplici fattori: il ruolo centrale della giurisdizione nel rendere effettivo il primato del diritto comunitario; il canone dell’effettività della tutela giurisdizionale; il principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina, tenuto conto dell’ampliarsi delle fattispecie di giurisdizione esclusiva; il rilievo costituzionale del principio del giusto processo e della conseguente mutazione del giudizio sulla giurisdizione rimesso alle S.U., non più riconducibile ad un giudizio di pura qualificazione della situazione soggettiva dedotta, alla stregua del diritto oggettivo, né rivolto al semplice accertamento del potere di conoscere date controversie attribuito ai diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, che comprende, dunque, le diverse tutele che l’ordinamento assegna a quei giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento; “infatti è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca. Pertanto, rientra nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela, onde verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111, comma ottavo, Cost., la eroghi concretamente e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione rispettandone il contenuto essenziale, così esercitando il sindacato per violazione di legge che la S.C. può compiere anche sulle sentenze del giudice amministrativo”(6)

Dunque, si registra un allargamento dell’ambito di “intervento” del giudice dei diritti anche in un ambito prima insindacabile poiché tradizionalmente ritenuto riconducibile ai limiti interni della giurisdizione (modalità di esercizio della medesima), non apprezzabili alla luce del significato attribuito tradizionalmente al precetto di cui all’art. 111, u.c., Cost..

Su detto ampliamento del sindacato della S.C. i giudici di Palazzo Spada, nel deferire la questione della pregiudiziale all’Adunanza Plenaria, non mancano di osservare che la posizione assunta dalle Sezioni Unite, come ribadita dalla sentenza da ultimo intervenuta, conformi il diritto vivente in senso vincolante per il giudice amministrativo mediante una operazione ermeneutica “che non appare rispettosa dell’art. 111 Costituzione e delle esigenze del sistema ordinamentale che adesso si ricollega. La sentenza n. 30254/2008 accoglie, infatti, .. una nozione lata di “motivi inerenti alla giurisdizione”, comprendendovi anche le questioni inerenti le forme di tutela e, per di più, i presupposti per il loro esercizio, e quindi i poteri di un dato giudice e il tipo di azioni proponibili e considerandoli sindacabili in Cassazione, laddove una piana lettura e la costante interpretazione dell’art. 111 Cost. (oltre che delle norme processuali derivate) rendono evidente che solo il confine tra diversi ordini giurisdizionali possa essere considerato nella suddetta definizione”.

Quid iuris? Si preannunzia una decisione dell’Adunanza Plenaria di “chiamata in causa” della Consulta per la risoluzione di un conflitto di attribuzione alla luce della violazione dell’art. 111, u.c., Cost. da parte della Cassazione?

A tal proposito va evidenziato altresì come il giudice amministrativo nella suddetta recente pronunzia di rimessione all’Adunanza Plenaria si è premurato di sottolineare, per quanto qui interessa, che la stessa Corte Costituzionale nella decisione n. 77/2007aveva già avvertito il giudice dei diritti adito in sede di ricorso ex art. 111, u.c., Cost. che lo stesso “con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione”[8].

Orbene, per valutare la sussistenza o meno del delineando conflitto tra corti appare utile partire dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione, ai sensi dell’art. 363 c.p.c.[9], nella decisione del dicembre 2008: “Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”.

Va osservato, intanto, che pur a fronte della dichiarata inammissibilità sia del ricorso principale, per motivi di giurisdizione, sia di quello incidentale, le Sezioni Unite, per il tramite dell’art. 363 c.p.c., statuiscono ugualmente sulla giurisdizione; si legge nella decisione, infatti, che “l’istituto della pregiudizialità amministrativa nei suoi rapporti con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi si presenta oggi come questione rilevante e di particolare importanza” ed esso, pertanto, “si presterà dunque ad essere discusso dalle Sezioni Unite in vista della enunciazione di un apposito principio di diritto, in applicazione dell’art. 363 c.p.c … se ne risulterà dimostrato che si tratta di questione che rientra nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, cui l’art. 111, ultimo comma, Cost. assoggetta anche le decisioni del Consiglio di Stato”.

Segue a tale affermazione, poi, la “dimostrazione” che la questione della pregiudiziale e dei suoi rapporti con la tutela risarcitoria rappresenta indubbiamente una problematica attinente ai limiti esterni della giurisdizione e come tale sindacabile ex art. 111, u.c., Cost.: il passaggio “chiave” che si legge emblematicamente nella parte motiva della decisione è quello per cui “rientra d’altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attribuiva di tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un’interpretazione che impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma”.

Un primo rilievo critico che può essere evidenziato concerne il modus operandi della S.C. che, pur adita in sede di ricorso ex art. 111, u.c., Cost., si comporta, in definitiva, come giudice della nomofilachia (“custodia della legge”[10]), risultando del resto a tale funzione asservito proprio lo strumentario ex art. 363, comma terzo, c.p.c., rubricato “Principio di diritto nell’interesse della legge”.

Al riguardo, però, non può non venire in rilievo la diversità “costituzionalmente” riconosciuta tra giudice ordinario e giudici speciali, questi ultimi qualificati tali dalla Charta nella sesta disposizione transitoria[11]: come affermato dalla Consulta, infatti, “il compito di nomofilachia, assegnato alla Corte di Cassazione in materia di diritti soggettivi incontra un limite per le controversie assoggettate alla cognizione del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti nel comma terzo dello stesso art. 111 che consente il ricorso in Cassazione contro le decisioni degli or menzionati giudici per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”[12].

E che nella specie la S.C. abbia inteso esercitare la funzione di custode della legge risulta apertamente se solo di considera che, in sostanza, è stata configurata “forzosamente” la problematica della pregiudiziale quale “questione di giurisdizione” nonostante essa avesse costituito, nell’ottica del giudice amministrativo, una mera questione di interpretatio legis (in primis, dell’art. 7, L. n. 205/2000); dunque l’attività interpretativa del giudice amministrativo - tipica attività espletabile nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione - viene rapportata (problematicamente) ad una violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

Considerare una esegesi pretoria “sgradita” quale violazione dei limiti esterni della giurisdizione appare, invero, “qualificazione” difficilmente accettabile.

Non convince, allora, anche l’invocazione da parte del giudice dei diritti dell’art. 363 c.p.c. concernente le questioni di particolare importanza, trattandosi di strumento adeguato allorquando il Supremo Consesso statuisce in sede diversa da quella del ricorso ex art. 111, u.c., Cost..

Inoltre, trattare una questione di interpretazione della legge alla stregua di un “rifiuto di giurisdizione” è comunque operazione discutibile poiché detto “rifiuto” appare esistente soltanto laddove il giudice amministrativo arriva a negare la propria giurisdizione in ragione della convinzione che la stessa appartenga ad altro plesso giurisdizionale.

E’ questo, forse, il senso più profondo della formula “motivi inerenti alla giurisdizione”: l’ordinamento non può tollerare che una situazione giuridica soggettiva, proprio perché tale, sia sprovvista di giurisdizione (conflitto negativo di giurisdizione) o risulti di incerta attribuzione (conflitto positivo di giurisdizione).

Di qui, d’altronde, il potere “risolutore” della Cassazione che, tuttavia, adita ai sensi dell’art. 111, uc., Cost., se indubbiamente può individuare il giudice titolare di giurisdizione, altrettanto indubbiamente non può statuire, per quanto detto, nella veste di giudice della nomofilachia.

In sostanza, allorquando il giudice dei diritti entra nel merito delle modalità di esercizio dell’altrui giurisdizione, esso giudice si pone in contrasto con il precetto costituzionale ciò in quanto risulta eluso il combinato disposto di commi settimo e ottavo dell’art. 111 Cost. e, dunque, il principio da essi discendente. Come noto, infatti, tutte le sentenze sono impugnabili avanti la Cassazione per violazione di legge (comma settimo) ad eccezione di quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti avverso le quali il ricorso per cassazione è ammesso per “i soli motivi inerenti la giurisdizione” (comma ottavo). Ebbene, dalla lettura combinata delle due disposizioni costituzionali emerge come una errata applicazione della legge da parte del giudice amministrativo - nella specie, l’art. 7, L. n. 205/2000 e s.m. - rappresenterebbe sicuramente violazione catalogabile nel comma settimo della disposizione e, pertanto, di qui, l’impossibilità di eccepirne la rilevanza anche ai sensi del comma ottavo, ponendosi i due precetti in rapporto di regola-eccezione.

Le Sezioni Unite, tuttavia, superano l’ostacolo positivo definendo quale “violazione delle norme sulla giurisdizione” l’applicazione “non conforme” dell’art. 7, L. n. 205/2000, interpretato dal giudice amministrativo quale norma da cui inferire in necessario annullamento dell’atto illegittimo.

Probabilmente in tale passaggio esplicitato nella pronunzia 30254 - dove appunto si parla di “violazione delle norme sulla giurisdizione” - si coglie il vulnus a quella che era stata la tradizionale interpretazione della formula “motivi inerenti alla giurisdizione”, in pratica assimilata ad una mera violazione di legge.

In realtà, quando il giudice amministrativo nega davvero la propria giurisdizione, ciò che rileva ai fini della statuizione declinatoria non è una “certa” interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, bensì la sussistenza o meno della situazione giuridica soggettiva ad essa istituzionalmente assegnata. Non può trattarsi come un ricorso per violazione di legge il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111, u.c., Cost. il quale, invero, deve essere letto in combinato con l’art. 103 Cost.. Come recita detta ultima norma, infatti, il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa “hanno giurisdizione” per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione “degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.

I motivi inerenti alla giurisdizione, allora, devono necessariamente involgere una problematica attinente alla situazione soggettiva vantata in concreto dal ricorrente che, qualora correlata all’esercizio di un potere e portata avanti al giudice amministrativo, non potrà che portare la Cassazione adita ex art. 111, u.c., Cost. a rigettare il ricorso senza possibilità di fissare “principi di diritto”.

Ma allora, una pronunzia del giudice dei diritti adito ex art. 111, u.c., Cost. che, pur non denegando le attribuzioni del giudice amministrativo ne traccia “l’esattezza”, comporta uno straripamento di potere tale da compulsare un conflitto di attribuzioni ex art. 134 Cost..

Se la funzione dell’art. 111, u.c., Cost. è quella di eliminare incertezze circa la somministrazione di tutela in favore di una situazione giuridica soggettiva costituzionalmente garantita, il “nuovo” potere sindacatorio che il giudice della giurisdizione si è “conferito” scardina gli assetti ordinamentali voluti dai costituenti perché si assimila il giudice speciale a quello ordinario quanto alla funzione di “orientamento” svolta dalla Cassazione in sede di ricorso ex art. 111, comma settimo, Cost.. Funzione espressamente non esercitatile nei confronti del giudice amministrativo alla luce del diverso precetto contenuto nel comma ottavo dell’art. 111 Cost..

A meno di voler ritenere - ma nella specie i giudici della S.C. non lo hanno paventato, tanto che il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione all’uopo presentato è stato dichiarato inammissibile - che l’esegesi patrocinata dal giudice amministrativo comporti la “creazione” di una norma paralegislativa con violazione certa, in tal caso, dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

3. I conflitti di attribuzione infrapotere

L’art. 37, L. n. 87/1953 in materia di conflitti di attribuzione sancisce che “Il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. Restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione”.

Si pone il seguente quesito: l’art. 134, Cost. e l’art. 37 citato di attuazione del disposto costituzionale, quando menzionano i conflitti di attribuzione tra i “poteri dello Stato”, ammettono i cosiddetti conflitti “interni” ad un potere statuale della medesima natura, nella specie quello giurisdizionale? Oppure, come nella specie, si tratta di “conflitti di giurisdizione” sottratti all’intervento risolutivo della Consulta ex art. 37, comma 2, L. n. 87/1953. secondo cui, appunto, “restano ferme .. le questioni di giurisdizione”?

L’opinione prevalente in dottrina all’indomani dell’entrata in vigore del testo costituzionale è stata quella secondo cui i conflitti tra organi di uno stesso potere statale non potevano essere ricondotti ai conflitti ex art. 134 Cost. riguardanti, invero, soltanto poteri diversi[13]; per di più con riferimento al potere giurisdizionale, l’art. 37, comma 2, L. n. 87/1953, come visto, esclude espressamente i conflitti di giurisdizione dall’ambito applicativo del giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione.

La Consulta nella decisione 12 novembre 1974, n. 259 - adottata in merito ai conflitti insorti tra il Tribunale di Roma e la Commissione parlamentare inquirente per i giudizi di accusa - ha espressamente affermato, inoltre, che il conflitto di attribuzione è quello sorto tra “organi appartenenti …a diversi poteri dello Stato” consistendo, invece, i conflitti di giurisdizione in “questioni di giurisdizione o competenza, interne al singolo giudizio”.

Successivamente, tuttavia, l’elaborazione dottrinale ha esteso l’ambito soggettivo dei conflitti di attribuzione da intendersi non più limitati soltanto a quelli tra organi-potere ma anche a quelli tra poteri-organo: ciò sulla scorta del postulato che il principio di divisione dei poteri di montesquiana memoria si trova accolto dalla costituzione in chiave “tendenziale” [14].

Con riferimento specifico al potere giurisdizionale, inoltre, la Consulta ha subito evidenziato la natura “diffusa” di detto potere statuale, ciò per giustificare la possibilità anche per un singolo Tribunale di essere parte di un conflitto di attribuzione[15].

Non sono così mancati, infine, casi (sporadici) di conflitti infrapotere: costituisce precedente la pronunzia 12 giugno 1996, n. 196 che ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Milano nei confronti della Corte dei Conti, Procura regionale della Lombardia, in relazione all’atto di citazione con il quale il giudice penale veniva chiamato a rispondere del danno erariale conseguente a propri decreti di liquidazione di onorari a favore di periti d’ufficio, nominati nel corso di procedimenti penali.

Precisano i giudici delle leggi che il ricorso presentato - finalizzato ad ottenere la dichiarazione che non spetta alla Corte dei Conti sindacare il corretto esercizio del potere giurisdizionale di liquidazione dei compensi dei periti e consulenti, di cui alla legge 8 luglio 1980, n. 319, né sottoporre i magistrati, in relazione ai provvedimenti assunti nell’esercizio di tale potere, a giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale - “risponde ai requisiti soggettivi ed oggettivi del conflitto, poiché sotto il profilo soggettivo, tanto il giudice ricorrente quanto la Corte dei conti nei confronti della quale si assume insorto il conflitto, sono abilitati a esercitare funzioni proprie, loro spettanti a norma della Costituzione e, in quanto organi giurisdizionali, devono considerarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono"”.

Sembra dunque trovare conforto, nella giurisprudenza costituzionale, la tesi di un possibile conflitto intrapotere, nella specie quello delineato tra Adunanza Plenaria e Sezioni Unite della Cassazione con riferimento all’art. 111, u.c., Cost..

Va tuttavia evidenziato che alla pronunzia preliminare di ammissibilità appena menzionata, la Consulta ha fatto poi seguire una decisione di inammissibilità del conflitto proposto e ciò con la sentenza n. 385/1996: ora, se è che con tale ultima decisione si è dichiarato non ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato, è vero anche che la conclusione raggiunta non è stata fondata sulla natura cosiddetta infrapotere del conflitto medesimo, essendosi invece affermato che il conflitto, nel caso in analisi, veniva a configurarsi quale "contenzioso" non avente un diretto referente in norme costituzionali di attribuzione di un potere.

Si legge nella sentenza, infatti, che il conflitto non attiene alla "delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali" proprio perchè, nella specie, soggiunge la Corte Costituzionale, "la contestata giurisdizione non potrebbe dirsi né attribuita né sottratta alla Corte dei Conti da norme costituzionali, dipendendo essa invece dalle determinazioni che la legge abbia fatto in proposito per tener conto di tali esigenze. E questo basta perché si riconosca che l’attuale controversia non presenta le caratteristiche che l’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953 richiede, affinché possa instaurarsi un conflitto costituzionale di attribuzioni, rientrante nella competenza di questa Corte."

La diversità del conflitto infrapotere paventato ovvero quello tra giudice amministrativo ed ordinario - e dunque la relativa ammissibilità teorica - riposa, a ben vedere, sulla aperta contestazione che l’Adunanza Plenaria opera del potere sindacatorio attribuito alla Corte di Cassazione direttamente dall’art. 111, u.c., Cost.: v’è, in altri termini, la necessità che la Consulta delimiti l’ambito sindacatorio che la Charta conferisce alla Cassazione.

Se il sindacato del giudice dei diritti travalica i "motivi inerenti alla giurisdizione", sembra sussistere l’essenza di un conflitto di attribuzione poichè per il tramite di un potere (di sindacato) costituzionalmente contemplato - a differenza di quanto verificatosi nella vertenza decisa dalla decisione n. 385 - si lede altra attribuzione giurisdizionale, pur essa di natura costituzionale e peraltro dotata di un grado di specialità (diversa è, costituzionalmente, la giurisdizione ordinaria rispetto a quella dei giudice speciali come sopra evidenziato).

In sintesi, mentre nella pronuncia n. 385 il conflitto di poteri è stato dichiarato inammissibile poichè attinente ad un conflitto di competenza "legislativo" - essendo "muto", dice la Corte, il precetto costituzionale nella fattispecie prospettata - nella specie trattasi di valutare i confini di una attribuzione costituzionale (la Consulta afferma invece nella decisione n. 385 che "la controversia non può riguardare la Corte Costituzionale come giudice dei conflitti" non spettando ad essa "la ricostruzione della legislazione").

Inoltre, mentre la pronunzia di ammissibilità preliminare aveva espressamente considerato il problema del conflitto infrapotere ritenendolo rilevante ed idoneo a concretizzare un conflitto di attribuzione, la sentenza successiva nulla al riguardo ha affermato - avendo spostato il problema sul piano prettamente legislativo - potendosi allora ritenere che il "principio" di cui alla decisione n. 196 (quello dell’ammissibilità di conflitti infrapotere) non abbia subito "smentite" dirette.

Un’ultima notazione. L’art. 37, comma terzo, L. n. 87/1953 stabilisce che “La Corte decide con ordinanza in camera di consiglio sulla ammissibilità del ricorso”. Ebbene, non pare peregrino sostenere che la Consulta possa comunque risolvere la questione anche per il tramite di una pronunzia di inammissibilità del ricorso.

Nel dettaglio, potrebbe essere affermato dal giudice delle leggi che avendo le Sezioni Unite della Cassazione, con la decisione n. 30254/2008, dichiarato inammissibile il ricorso presentato ex art. 111, u.c., Cost. con conseguente passaggio in giudicato della impugnata decisione dell’Adunanza Plenaria n. 12/2007 - affermativa della ontologica necessità del previo annullamento dell’atto ai fini della tutela risarcitoria erogabile -, per l’effetto nessuna menomazione della concreta sfera giuridica di attribuzioni del giudice amministrativo diviene paventabile. Il giudicato amministrativo, infatti, non risulterebbe intaccato dalla pronunzia delle SS.UU. con salvezza, quindi, della sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantite, del Consiglio di Stato. Ciò, tra l’altro, anche considerando che il principio di diritto pronunziato ex art. 363 c.p.c. - sebbene, come visto, strumento di nomofilachia cui rimane sottratto il giudice speciale -, come stabilito dal comma quarto del medesimo articolo “non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito”.

Vero è che detto principio varrebbe però a vincolare il giudice amministrativo per il futuro ma - questo potrebbe essere precisato dalla Consulta - soltanto alla condizione di ammettere una funzione nomofilattica della Cassazione all’indirizzo del giudice speciale, postulato, come visto, non avente diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento costituzionale.



[1] La pronunzia è stata originata dall’impugnazione ex art. 111, comma ottavo, Cost., della decisione dell’Adunanza Plenaria 22 ottobre 2007, n. 12.

[2] Corte Costituzionale n. 247/1995, in www.giurcost.org.

[3] Nella specie il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dubitava della legittimità costituzionale del regime di impugnazione in cassazione delle decisioni del Tribunale stesso in sede di legittimità, discendente dall’applicazione che la Corte di Cassazione operava dell’art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 in relazione all’art. 111, settimo e ottavo, della Costituzione.

[4] Multis, Cass., SS.UU., 5 giugno 2006, n. 13176 (ord.).

[5] Cass., SS.UU., 16 febbraio 2009, n. 3688 (ord.).

[6] Cass., SS.UU., 23 dicembre 2008, n. 30254 (ord.)..

[8] Assunto affermato in funzione della circostanza, all’esame della Consulta nella decisione riportata, della “salvezza” degli effetti processuali e sostanziali dell’atto introduttivo del giudizio a seguito di pronunzia declinatoria della giurisdizione (vicenda della cosiddetta traslatio iudicii).

[9] Sancisce la disposizione, introdotta dalla L. n. 40/2006, che “Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza”.

[10] Ai sensi dell’art. 65, R.D. n. 12 /1941 “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”.

[11] Recita la disposizione che “Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari”.

[12] Corte Costituzionale, 7 marzo 1984, n. 52, in www.giurcost.org.

[13] LUCIFREDI, Attribuzioni (Conflitto di), in Enc. Dir. (IV, 1959); PENSOVECCHIO LI BASSI, Conflitti costituzionali, in Enc. Dir. (VIII, 1961).

[14] Osserva CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1984, p. 426 e ss., che “esistono nel nostro sistema costituzionale poteri a sé stanti, che si risolvono, strutturalmente, ciascuno in un solo organo (poteri organo: il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale..) .. e che anche organi “minori” si configurino tuttavia quali altrettanti poteri a sé, idonei ad essere parti di conflitti di attribuzione (organi-potere)”; riferimento, quest’ultimo, rivolto agli organi giurisdizionali non di vertice, ben potendo anche il singolo Tribunale - e non necessariamente la Corte di Cassazione - essere legittimato attivo o passivo di un conflitto di attribuzione.

[15] Corte Costituzionale 10 luglio 1981, n. 129, in www.giurcost.it; cfr. altresì Corte Costituzionale 22 ottobre 1975, n. 231, in www.giurcost.it.

1. Premessa

2. Le coordinate del confitto di attribuzione

3. I conflitti di attribuzione infrapotere

1. Premessa

All’indomani della decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2436 del 21 aprile 2009 che ha nuovamente rimesso all’Adunanza Plenaria la questione del necessario previo annullamento del provvedimento amministrativo ai fini della fruizione della tutela risarcitoria - trattasi della cosiddetta pregiudiziale di annullamento invero disconosciuta, quanto alla sua essenzialità, dalle Sezioni Unite nella nota decisione 23 dicembre 2008, n. 30254[1] -, si profila all’orizzonte una “battaglia” istituzionale che, con ogni probabilità, vedrà l’intervento del giudice delle leggi.

Ciò risulta dal chiaro tenore della pronunzia dei giudici di Palazzo Spada laddove si invita l’Adunanza Plenaria a valutare, tra l’altro, la costituzionalità dell’art. 7, L. n. 205/2000 per come, appunto, interpretato dalla Corte di Cassazione: afferma il giudice amministrativo, infatti, che “a verifica di costituzionalità dovrà essere sottoposto l’art. 7 citato, anche nel caso si voglia definire, accedendo alla ricostruzione delle Sezioni Unite, la questione della pregiudizialità amministrativa come questione di giurisdizione, quindi vincolante per il giudice amministrativo”.

Ebbene, con il presente scritto si intende indagare il “come” possa essere invocato, da parte dell’Adunanza Plenaria, l’intervento della Corte Costituzionale, esplorandosi, in particolare, la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzioni ex art. 134 Cost., ciò in considerazione, come si preciserà di qui a poco, di un paventabile straripamento da parte del giudici dei diritti relativamente all’esercizio del sindacato ex art. 111, u.c., Cost. ai sensi del quale “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

Anticipando la problematica oggetto di analisi, può osservarsi che le Sezioni Unite, adite ai sensi della norma costituzionale da ultimo citata, recentemente hanno offerto una esegesi “estensiva” della formula “motivi inerenti alla giurisdizione”, non più ritenuta limitativa dell’esercizio di un potere sindacatorio confinato nell’ambito dei limiti esterni della giurisdizione (l’an della medesima, in positivo o negativo) bensì involgente anche lo scrutinio nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione e dunque il quomodo dell’esercizio del potere giurisdizionale, quest’ultimo tradizionalmente considerato oggetto di censura con il ricorso per cassazione non ai sensi dell’art. 111, u.c., Cost, bensì per il tramite di un ricorso finalizzato a lamentare esclusivamente errori in iudicando e/o in procedendo.

L’indagine su un possibile “conflitto di attribuzioni” prende l’abbrivio proprio dalla considerazione di una costante giurisprudenza della Corte Costituzionale che preclude la possibilità di sollevare, in via incidentale, questioni di legittimità costituzionale con le quali si chieda una sorta di revisione delle interpretazioni e quindi delle decisioni della Corte di Cassazione: si è osservato, infatti, che in relazione alla posizione di vertice che la Cassazione assume nell’ordinamento giudiziario, “il principio generale della inoppugnabilità delle sentenze di detto organo non soffre deroga per quanto attiene alle sentenze di annullamento .. e comunque è necessario che la norma impugnata sia applicabile al giudizio a quo e non invece, come nella specie, in una fase processuale anteriore già conclusasi (quella appunto del giudizio per cassazione ai sensi dell’art. 111, secondo settimo, Cost.)”[2]. Nella specie si trattava di una sentenza di annullamento con rinvio resa dalle Sezioni Unite in sede di ricorso ex art. 111, comma settimo, Cost. (ricorso per violazione di legge), decisione che nel giudizio di rinvio aveva indotto il Tribunale delle Acque Pubbliche a sollevare questione incidentale di costituzionalità avente ad oggetto una norma di legge per come interpretata dalla Suprema Corte[3].

Si ritiene che pur essendo i principi espressi riferiti ad una decisione della Cassazione adita ex art. 111, comma settimo, Cost., gli stessi possano, con ogni probabilità, essere riferiti anche a quelle decisioni, come nel caso de quo, rese in sede di ricorso ex art. 111, comma ottavo, Cost. per motivi di giurisdizione.

Apparendo allora problematico adire la Consulta in via incidentale, d’ufficio, si giustifica l’approfondimento della possibilità di un intervento del giudice delle leggi quale giudice del conflitto di attribuzioni ex art. 134 Cost.. Necessita verificare, allora, in primo luogo la presenza dei tratti caratterizzanti un conflitto di attribuzioni ed in secondo luogo, risolto positivamente il primo punto, l’ammissibilità nell’ordinamento costituzionale di conflitti cosiddetti infrapotere ovvero tra organi appartenenti al medesimo potere dello Stato, nel caso de quo il potere giurisdizionale.

2. Le coordinate del confitto di attribuzione

“Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione” (art. 111, u.c., Cost.).

La prevalente ed incontrastata esegesi data dal giudice dei diritti alla formula “motivi inerenti alla giurisdizione” di cui alla norma costituzionale de qua è stata quella concernente la possibilità di un sindacato relativo ai cosiddetti limiti esterni della giurisdizione. Si è affermato più volte, infatti, che i motivi inerenti alla giurisdizione - in relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111, ultimo comma, Cost. e dell’art. 362 c.p.c., il sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato - vanno identificati nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale o i cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione, ossia quando abbia giudicato su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato di merito. Con la precisazione che detti limiti di sindacabilità delle sentenze del Consiglio di Stato non variano a seconda che le sue pronunce siano state emesse nell’esercizio della giurisdizione in materia di interessi legittimi o ricadano nell’ambito della giurisdizione esclusiva, riguardante anche i diritti. Si considera pertanto inammissibile “il ricorso per cassazione con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle Sezioni Unite della Suprema Corte”[4].

Anche di recente, sempre le Sezioni Unite hanno osservato che pur a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell’art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo[5].

Ebbene, un sensibile mutamento di tale giurisprudenza inerente “l’ampiezza” del ricorso per cassazione ex art. 111, u.c., Cost. si registra proprio nelle pronunzia della Suprema Corte in tema di “pregiudiziale di annullamento” laddove il giudice della giurisdizione non si è più limitato a verificare l’an della giurisdizione - pacifica essendo l’attribuzione al giudice amministrativo dello strumentario risarcitorio ex art. 7, L. n. 205/2000 - bensì il quomodo ovvero la modalità di esercizio della medesima. La Corte di Cassazione ha così affermato che ai fini dell’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che tradizionalmente delimitano il sindacato consentito alle S.U. sulle decisioni del Consiglio di Stato che quei limiti travalichino, si deve tenere conto dell’evoluzione del concetto di giurisdizione dovuta a molteplici fattori: il ruolo centrale della giurisdizione nel rendere effettivo il primato del diritto comunitario; il canone dell’effettività della tutela giurisdizionale; il principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina, tenuto conto dell’ampliarsi delle fattispecie di giurisdizione esclusiva; il rilievo costituzionale del principio del giusto processo e della conseguente mutazione del giudizio sulla giurisdizione rimesso alle S.U., non più riconducibile ad un giudizio di pura qualificazione della situazione soggettiva dedotta, alla stregua del diritto oggettivo, né rivolto al semplice accertamento del potere di conoscere date controversie attribuito ai diversi ordini di giudici di cui l’ordinamento è dotato, ma nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, che comprende, dunque, le diverse tutele che l’ordinamento assegna a quei giudici per assicurare l’effettività dell’ordinamento; “infatti è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca. Pertanto, rientra nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela, onde verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111, comma ottavo, Cost., la eroghi concretamente e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione rispettandone il contenuto essenziale, così esercitando il sindacato per violazione di legge che la S.C. può compiere anche sulle sentenze del giudice amministrativo”(6)

Dunque, si registra un allargamento dell’ambito di “intervento” del giudice dei diritti anche in un ambito prima insindacabile poiché tradizionalmente ritenuto riconducibile ai limiti interni della giurisdizione (modalità di esercizio della medesima), non apprezzabili alla luce del significato attribuito tradizionalmente al precetto di cui all’art. 111, u.c., Cost..

Su detto ampliamento del sindacato della S.C. i giudici di Palazzo Spada, nel deferire la questione della pregiudiziale all’Adunanza Plenaria, non mancano di osservare che la posizione assunta dalle Sezioni Unite, come ribadita dalla sentenza da ultimo intervenuta, conformi il diritto vivente in senso vincolante per il giudice amministrativo mediante una operazione ermeneutica “che non appare rispettosa dell’art. 111 Costituzione e delle esigenze del sistema ordinamentale che adesso si ricollega. La sentenza n. 30254/2008 accoglie, infatti, .. una nozione lata di “motivi inerenti alla giurisdizione”, comprendendovi anche le questioni inerenti le forme di tutela e, per di più, i presupposti per il loro esercizio, e quindi i poteri di un dato giudice e il tipo di azioni proponibili e considerandoli sindacabili in Cassazione, laddove una piana lettura e la costante interpretazione dell’art. 111 Cost. (oltre che delle norme processuali derivate) rendono evidente che solo il confine tra diversi ordini giurisdizionali possa essere considerato nella suddetta definizione”.

Quid iuris? Si preannunzia una decisione dell’Adunanza Plenaria di “chiamata in causa” della Consulta per la risoluzione di un conflitto di attribuzione alla luce della violazione dell’art. 111, u.c., Cost. da parte della Cassazione?

A tal proposito va evidenziato altresì come il giudice amministrativo nella suddetta recente pronunzia di rimessione all’Adunanza Plenaria si è premurato di sottolineare, per quanto qui interessa, che la stessa Corte Costituzionale nella decisione n. 77/2007aveva già avvertito il giudice dei diritti adito in sede di ricorso ex art. 111, u.c., Cost. che lo stesso “con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione”[8].

Orbene, per valutare la sussistenza o meno del delineando conflitto tra corti appare utile partire dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione, ai sensi dell’art. 363 c.p.c.[9], nella decisione del dicembre 2008: “Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento”.

Va osservato, intanto, che pur a fronte della dichiarata inammissibilità sia del ricorso principale, per motivi di giurisdizione, sia di quello incidentale, le Sezioni Unite, per il tramite dell’art. 363 c.p.c., statuiscono ugualmente sulla giurisdizione; si legge nella decisione, infatti, che “l’istituto della pregiudizialità amministrativa nei suoi rapporti con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi si presenta oggi come questione rilevante e di particolare importanza” ed esso, pertanto, “si presterà dunque ad essere discusso dalle Sezioni Unite in vista della enunciazione di un apposito principio di diritto, in applicazione dell’art. 363 c.p.c … se ne risulterà dimostrato che si tratta di questione che rientra nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, cui l’art. 111, ultimo comma, Cost. assoggetta anche le decisioni del Consiglio di Stato”.

Segue a tale affermazione, poi, la “dimostrazione” che la questione della pregiudiziale e dei suoi rapporti con la tutela risarcitoria rappresenta indubbiamente una problematica attinente ai limiti esterni della giurisdizione e come tale sindacabile ex art. 111, u.c., Cost.: il passaggio “chiave” che si legge emblematicamente nella parte motiva della decisione è quello per cui “rientra d’altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attribuiva di tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un’interpretazione che impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma”.

Un primo rilievo critico che può essere evidenziato concerne il modus operandi della S.C. che, pur adita in sede di ricorso ex art. 111, u.c., Cost., si comporta, in definitiva, come giudice della nomofilachia (“custodia della legge”[10]), risultando del resto a tale funzione asservito proprio lo strumentario ex art. 363, comma terzo, c.p.c., rubricato “Principio di diritto nell’interesse della legge”.

Al riguardo, però, non può non venire in rilievo la diversità “costituzionalmente” riconosciuta tra giudice ordinario e giudici speciali, questi ultimi qualificati tali dalla Charta nella sesta disposizione transitoria[11]: come affermato dalla Consulta, infatti, “il compito di nomofilachia, assegnato alla Corte di Cassazione in materia di diritti soggettivi incontra un limite per le controversie assoggettate alla cognizione del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti nel comma terzo dello stesso art. 111 che consente il ricorso in Cassazione contro le decisioni degli or menzionati giudici per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”[12].

E che nella specie la S.C. abbia inteso esercitare la funzione di custode della legge risulta apertamente se solo di considera che, in sostanza, è stata configurata “forzosamente” la problematica della pregiudiziale quale “questione di giurisdizione” nonostante essa avesse costituito, nell’ottica del giudice amministrativo, una mera questione di interpretatio legis (in primis, dell’art. 7, L. n. 205/2000); dunque l’attività interpretativa del giudice amministrativo - tipica attività espletabile nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione - viene rapportata (problematicamente) ad una violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

Considerare una esegesi pretoria “sgradita” quale violazione dei limiti esterni della giurisdizione appare, invero, “qualificazione” difficilmente accettabile.

Non convince, allora, anche l’invocazione da parte del giudice dei diritti dell’art. 363 c.p.c. concernente le questioni di particolare importanza, trattandosi di strumento adeguato allorquando il Supremo Consesso statuisce in sede diversa da quella del ricorso ex art. 111, u.c., Cost..

Inoltre, trattare una questione di interpretazione della legge alla stregua di un “rifiuto di giurisdizione” è comunque operazione discutibile poiché detto “rifiuto” appare esistente soltanto laddove il giudice amministrativo arriva a negare la propria giurisdizione in ragione della convinzione che la stessa appartenga ad altro plesso giurisdizionale.

E’ questo, forse, il senso più profondo della formula “motivi inerenti alla giurisdizione”: l’ordinamento non può tollerare che una situazione giuridica soggettiva, proprio perché tale, sia sprovvista di giurisdizione (conflitto negativo di giurisdizione) o risulti di incerta attribuzione (conflitto positivo di giurisdizione).

Di qui, d’altronde, il potere “risolutore” della Cassazione che, tuttavia, adita ai sensi dell’art. 111, uc., Cost., se indubbiamente può individuare il giudice titolare di giurisdizione, altrettanto indubbiamente non può statuire, per quanto detto, nella veste di giudice della nomofilachia.

In sostanza, allorquando il giudice dei diritti entra nel merito delle modalità di esercizio dell’altrui giurisdizione, esso giudice si pone in contrasto con il precetto costituzionale ciò in quanto risulta eluso il combinato disposto di commi settimo e ottavo dell’art. 111 Cost. e, dunque, il principio da essi discendente. Come noto, infatti, tutte le sentenze sono impugnabili avanti la Cassazione per violazione di legge (comma settimo) ad eccezione di quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti avverso le quali il ricorso per cassazione è ammesso per “i soli motivi inerenti la giurisdizione” (comma ottavo). Ebbene, dalla lettura combinata delle due disposizioni costituzionali emerge come una errata applicazione della legge da parte del giudice amministrativo - nella specie, l’art. 7, L. n. 205/2000 e s.m. - rappresenterebbe sicuramente violazione catalogabile nel comma settimo della disposizione e, pertanto, di qui, l’impossibilità di eccepirne la rilevanza anche ai sensi del comma ottavo, ponendosi i due precetti in rapporto di regola-eccezione.

Le Sezioni Unite, tuttavia, superano l’ostacolo positivo definendo quale “violazione delle norme sulla giurisdizione” l’applicazione “non conforme” dell’art. 7, L. n. 205/2000, interpretato dal giudice amministrativo quale norma da cui inferire in necessario annullamento dell’atto illegittimo.

Probabilmente in tale passaggio esplicitato nella pronunzia 30254 - dove appunto si parla di “violazione delle norme sulla giurisdizione” - si coglie il vulnus a quella che era stata la tradizionale interpretazione della formula “motivi inerenti alla giurisdizione”, in pratica assimilata ad una mera violazione di legge.

In realtà, quando il giudice amministrativo nega davvero la propria giurisdizione, ciò che rileva ai fini della statuizione declinatoria non è una “certa” interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, bensì la sussistenza o meno della situazione giuridica soggettiva ad essa istituzionalmente assegnata. Non può trattarsi come un ricorso per violazione di legge il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111, u.c., Cost. il quale, invero, deve essere letto in combinato con l’art. 103 Cost.. Come recita detta ultima norma, infatti, il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa “hanno giurisdizione” per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione “degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.

I motivi inerenti alla giurisdizione, allora, devono necessariamente involgere una problematica attinente alla situazione soggettiva vantata in concreto dal ricorrente che, qualora correlata all’esercizio di un potere e portata avanti al giudice amministrativo, non potrà che portare la Cassazione adita ex art. 111, u.c., Cost. a rigettare il ricorso senza possibilità di fissare “principi di diritto”.

Ma allora, una pronunzia del giudice dei diritti adito ex art. 111, u.c., Cost. che, pur non denegando le attribuzioni del giudice amministrativo ne traccia “l’esattezza”, comporta uno straripamento di potere tale da compulsare un conflitto di attribuzioni ex art. 134 Cost..

Se la funzione dell’art. 111, u.c., Cost. è quella di eliminare incertezze circa la somministrazione di tutela in favore di una situazione giuridica soggettiva costituzionalmente garantita, il “nuovo” potere sindacatorio che il giudice della giurisdizione si è “conferito” scardina gli assetti ordinamentali voluti dai costituenti perché si assimila il giudice speciale a quello ordinario quanto alla funzione di “orientamento” svolta dalla Cassazione in sede di ricorso ex art. 111, comma settimo, Cost.. Funzione espressamente non esercitatile nei confronti del giudice amministrativo alla luce del diverso precetto contenuto nel comma ottavo dell’art. 111 Cost..

A meno di voler ritenere - ma nella specie i giudici della S.C. non lo hanno paventato, tanto che il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione all’uopo presentato è stato dichiarato inammissibile - che l’esegesi patrocinata dal giudice amministrativo comporti la “creazione” di una norma paralegislativa con violazione certa, in tal caso, dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

3. I conflitti di attribuzione infrapotere

L’art. 37, L. n. 87/1953 in materia di conflitti di attribuzione sancisce che “Il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali. Restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione”.

Si pone il seguente quesito: l’art. 134, Cost. e l’art. 37 citato di attuazione del disposto costituzionale, quando menzionano i conflitti di attribuzione tra i “poteri dello Stato”, ammettono i cosiddetti conflitti “interni” ad un potere statuale della medesima natura, nella specie quello giurisdizionale? Oppure, come nella specie, si tratta di “conflitti di giurisdizione” sottratti all’intervento risolutivo della Consulta ex art. 37, comma 2, L. n. 87/1953. secondo cui, appunto, “restano ferme .. le questioni di giurisdizione”?

L’opinione prevalente in dottrina all’indomani dell’entrata in vigore del testo costituzionale è stata quella secondo cui i conflitti tra organi di uno stesso potere statale non potevano essere ricondotti ai conflitti ex art. 134 Cost. riguardanti, invero, soltanto poteri diversi[13]; per di più con riferimento al potere giurisdizionale, l’art. 37, comma 2, L. n. 87/1953, come visto, esclude espressamente i conflitti di giurisdizione dall’ambito applicativo del giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione.

La Consulta nella decisione 12 novembre 1974, n. 259 - adottata in merito ai conflitti insorti tra il Tribunale di Roma e la Commissione parlamentare inquirente per i giudizi di accusa - ha espressamente affermato, inoltre, che il conflitto di attribuzione è quello sorto tra “organi appartenenti …a diversi poteri dello Stato” consistendo, invece, i conflitti di giurisdizione in “questioni di giurisdizione o competenza, interne al singolo giudizio”.

Successivamente, tuttavia, l’elaborazione dottrinale ha esteso l’ambito soggettivo dei conflitti di attribuzione da intendersi non più limitati soltanto a quelli tra organi-potere ma anche a quelli tra poteri-organo: ciò sulla scorta del postulato che il principio di divisione dei poteri di montesquiana memoria si trova accolto dalla costituzione in chiave “tendenziale” [14].

Con riferimento specifico al potere giurisdizionale, inoltre, la Consulta ha subito evidenziato la natura “diffusa” di detto potere statuale, ciò per giustificare la possibilità anche per un singolo Tribunale di essere parte di un conflitto di attribuzione[15].

Non sono così mancati, infine, casi (sporadici) di conflitti infrapotere: costituisce precedente la pronunzia 12 giugno 1996, n. 196 che ha dichiarato ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Milano nei confronti della Corte dei Conti, Procura regionale della Lombardia, in relazione all’atto di citazione con il quale il giudice penale veniva chiamato a rispondere del danno erariale conseguente a propri decreti di liquidazione di onorari a favore di periti d’ufficio, nominati nel corso di procedimenti penali.

Precisano i giudici delle leggi che il ricorso presentato - finalizzato ad ottenere la dichiarazione che non spetta alla Corte dei Conti sindacare il corretto esercizio del potere giurisdizionale di liquidazione dei compensi dei periti e consulenti, di cui alla legge 8 luglio 1980, n. 319, né sottoporre i magistrati, in relazione ai provvedimenti assunti nell’esercizio di tale potere, a giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale - “risponde ai requisiti soggettivi ed oggettivi del conflitto, poiché sotto il profilo soggettivo, tanto il giudice ricorrente quanto la Corte dei conti nei confronti della quale si assume insorto il conflitto, sono abilitati a esercitare funzioni proprie, loro spettanti a norma della Costituzione e, in quanto organi giurisdizionali, devono considerarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono"”.

Sembra dunque trovare conforto, nella giurisprudenza costituzionale, la tesi di un possibile conflitto intrapotere, nella specie quello delineato tra Adunanza Plenaria e Sezioni Unite della Cassazione con riferimento all’art. 111, u.c., Cost..

Va tuttavia evidenziato che alla pronunzia preliminare di ammissibilità appena menzionata, la Consulta ha fatto poi seguire una decisione di inammissibilità del conflitto proposto e ciò con la sentenza n. 385/1996: ora, se è che con tale ultima decisione si è dichiarato non ammissibile il conflitto di attribuzione sollevato, è vero anche che la conclusione raggiunta non è stata fondata sulla natura cosiddetta infrapotere del conflitto medesimo, essendosi invece affermato che il conflitto, nel caso in analisi, veniva a configurarsi quale "contenzioso" non avente un diretto referente in norme costituzionali di attribuzione di un potere.

Si legge nella sentenza, infatti, che il conflitto non attiene alla "delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali" proprio perchè, nella specie, soggiunge la Corte Costituzionale, "la contestata giurisdizione non potrebbe dirsi né attribuita né sottratta alla Corte dei Conti da norme costituzionali, dipendendo essa invece dalle determinazioni che la legge abbia fatto in proposito per tener conto di tali esigenze. E questo basta perché si riconosca che l’attuale controversia non presenta le caratteristiche che l’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953 richiede, affinché possa instaurarsi un conflitto costituzionale di attribuzioni, rientrante nella competenza di questa Corte."

La diversità del conflitto infrapotere paventato ovvero quello tra giudice amministrativo ed ordinario - e dunque la relativa ammissibilità teorica - riposa, a ben vedere, sulla aperta contestazione che l’Adunanza Plenaria opera del potere sindacatorio attribuito alla Corte di Cassazione direttamente dall’art. 111, u.c., Cost.: v’è, in altri termini, la necessità che la Consulta delimiti l’ambito sindacatorio che la Charta conferisce alla Cassazione.

Se il sindacato del giudice dei diritti travalica i "motivi inerenti alla giurisdizione", sembra sussistere l’essenza di un conflitto di attribuzione poichè per il tramite di un potere (di sindacato) costituzionalmente contemplato - a differenza di quanto verificatosi nella vertenza decisa dalla decisione n. 385 - si lede altra attribuzione giurisdizionale, pur essa di natura costituzionale e peraltro dotata di un grado di specialità (diversa è, costituzionalmente, la giurisdizione ordinaria rispetto a quella dei giudice speciali come sopra evidenziato).

In sintesi, mentre nella pronuncia n. 385 il conflitto di poteri è stato dichiarato inammissibile poichè attinente ad un conflitto di competenza "legislativo" - essendo "muto", dice la Corte, il precetto costituzionale nella fattispecie prospettata - nella specie trattasi di valutare i confini di una attribuzione costituzionale (la Consulta afferma invece nella decisione n. 385 che "la controversia non può riguardare la Corte Costituzionale come giudice dei conflitti" non spettando ad essa "la ricostruzione della legislazione").

Inoltre, mentre la pronunzia di ammissibilità preliminare aveva espressamente considerato il problema del conflitto infrapotere ritenendolo rilevante ed idoneo a concretizzare un conflitto di attribuzione, la sentenza successiva nulla al riguardo ha affermato - avendo spostato il problema sul piano prettamente legislativo - potendosi allora ritenere che il "principio" di cui alla decisione n. 196 (quello dell’ammissibilità di conflitti infrapotere) non abbia subito "smentite" dirette.

Un’ultima notazione. L’art. 37, comma terzo, L. n. 87/1953 stabilisce che “La Corte decide con ordinanza in camera di consiglio sulla ammissibilità del ricorso”. Ebbene, non pare peregrino sostenere che la Consulta possa comunque risolvere la questione anche per il tramite di una pronunzia di inammissibilità del ricorso.

Nel dettaglio, potrebbe essere affermato dal giudice delle leggi che avendo le Sezioni Unite della Cassazione, con la decisione n. 30254/2008, dichiarato inammissibile il ricorso presentato ex art. 111, u.c., Cost. con conseguente passaggio in giudicato della impugnata decisione dell’Adunanza Plenaria n. 12/2007 - affermativa della ontologica necessità del previo annullamento dell’atto ai fini della tutela risarcitoria erogabile -, per l’effetto nessuna menomazione della concreta sfera giuridica di attribuzioni del giudice amministrativo diviene paventabile. Il giudicato amministrativo, infatti, non risulterebbe intaccato dalla pronunzia delle SS.UU. con salvezza, quindi, della sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantite, del Consiglio di Stato. Ciò, tra l’altro, anche considerando che il principio di diritto pronunziato ex art. 363 c.p.c. - sebbene, come visto, strumento di nomofilachia cui rimane sottratto il giudice speciale -, come stabilito dal comma quarto del medesimo articolo “non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito”.

Vero è che detto principio varrebbe però a vincolare il giudice amministrativo per il futuro ma - questo potrebbe essere precisato dalla Consulta - soltanto alla condizione di ammettere una funzione nomofilattica della Cassazione all’indirizzo del giudice speciale, postulato, come visto, non avente diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento costituzionale.



[1] La pronunzia è stata originata dall’impugnazione ex art. 111, comma ottavo, Cost., della decisione dell’Adunanza Plenaria 22 ottobre 2007, n. 12.

[2] Corte Costituzionale n. 247/1995, in www.giurcost.org.

[3] Nella specie il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dubitava della legittimità costituzionale del regime di impugnazione in cassazione delle decisioni del Tribunale stesso in sede di legittimità, discendente dall’applicazione che la Corte di Cassazione operava dell’art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 in relazione all’art. 111, settimo e ottavo, della Costituzione.

[4] Multis, Cass., SS.UU., 5 giugno 2006, n. 13176 (ord.).

[5] Cass., SS.UU., 16 febbraio 2009, n. 3688 (ord.).

[6] Cass., SS.UU., 23 dicembre 2008, n. 30254 (ord.)..

[8] Assunto affermato in funzione della circostanza, all’esame della Consulta nella decisione riportata, della “salvezza” degli effetti processuali e sostanziali dell’atto introduttivo del giudizio a seguito di pronunzia declinatoria della giurisdizione (vicenda della cosiddetta traslatio iudicii).

[9] Sancisce la disposizione, introdotta dalla L. n. 40/2006, che “Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza”.

[10] Ai sensi dell’art. 65, R.D. n. 12 /1941 “La corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”.

[11] Recita la disposizione che “Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari”.

[12] Corte Costituzionale, 7 marzo 1984, n. 52, in www.giurcost.org.

[13] LUCIFREDI, Attribuzioni (Conflitto di), in Enc. Dir. (IV, 1959); PENSOVECCHIO LI BASSI, Conflitti costituzionali, in Enc. Dir. (VIII, 1961).

[14] Osserva CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1984, p. 426 e ss., che “esistono nel nostro sistema costituzionale poteri a sé stanti, che si risolvono, strutturalmente, ciascuno in un solo organo (poteri organo: il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale..) .. e che anche organi “minori” si configurino tuttavia quali altrettanti poteri a sé, idonei ad essere parti di conflitti di attribuzione (organi-potere)”; riferimento, quest’ultimo, rivolto agli organi giurisdizionali non di vertice, ben potendo anche il singolo Tribunale - e non necessariamente la Corte di Cassazione - essere legittimato attivo o passivo di un conflitto di attribuzione.

[15] Corte Costituzionale 10 luglio 1981, n. 129, in www.giurcost.it; cfr. altresì Corte Costituzionale 22 ottobre 1975, n. 231, in www.giurcost.it.