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La tutela contro il parassitismo nel mondo della moda: gli sviluppi della giurisprudenza

Relazione tenuta al Convegno "Fashion & the Ip Law", Università di Parma, 19 ottobre 2012
1- I presupposti della concorrenza parassitaria

La tutela della forma del prodotto gioca un ruolo primario nelle dinamiche del mercato, sia perché funzionale ad un risultato tecnico, sia perché attrattiva sotto il profilo estetico ed idonea a favorire le vendite. Tale aspetto è evidentemente essenziale nel settore della moda.

In linea generale si può ricordare che la forma può essere tutelata come disegno o modello (registrato o di fatto), come marchio, come espressione di una creatività che raggiunge un portato artistico al fine della tutela autorale. Ove, invece, la forma del prodotto non possa accedere alla protezione qualificata sopra indicata, per mancanza dei requisiti o per ragioni temporali, si delinea la possibilità di ricorrere al piano della concorrenza sleale (autonoma o dipendente).

Con riferimento più specifico alla concorrenza parassitaria, può registrarsi nella giurisprudenza una tendenza a traslare il parassitismo dalla ipotesi di inquadramento nell’ambito della concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n.1) ed appropriativa (di cui al n. 2 della stessa norma) a quello più indefinito dei comportamenti contrari ai principi della correttezza professionale. Tanto più lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui appare parassitario in un settore, quale quello della moda, ove la creatività, l’innovazione, l’originalità appaiono essenziali, non potendosi definire semplici requisiti per la protezione, ma elementi connaturati all’intrinseca essenza del fenomeno.

Un aspetto ricorrente nel settore è quello della ricordata previsione di cui al n. 2 dell’art. 2598, medianti atti caratterizzati dall’intento di agganciamento rispetto alla notorietà altrui: quindi, non solo l’appropriazione di singoli pregi, ma piuttosto una costante ed ampia equiparazione all’attività del concorrente, naturalmente ben conosciuto o meglio famoso sul mercato, sfruttando la notorietà da questi acquisita e traendo indirettamente vantaggio dalla sua attività e pubblicità, evitando così di affrontare direttamente i costi promozionali e di attendere il tempo necessario ad acquisire autonomamente un analogo affidamento sul mercato.

Vale tuttora la tradizionale qualificazione della concorrenza parassitaria e la distinzione in concorrenza diacronica e sincronica (Cass. sentenza n. 13423 del 20/07/2004, n. 5852 del 17/11/1984), anche se tale distinguo, utile ad inquadrare e riconoscere il fenomeno, appare in realtà privo di pratica utilità sotto il profilo della tutela e risulta di scarso utilizzo nella giurisprudenza più recente, che sembra aver abbandonato l’idea che la concorrenza sincronica non possa essere sanzionata come fenomeno parassitario.

Può essere comunque interessante trarre dalla giurisprudenza della Cassazione gli spunti che definiscono gli spazi temporali e quantitativi dei comportamenti, e ciò anche al fine della tutela in sede cautelare.

2 - La declinazione del fenomeno nell’ambito del settore della moda

Nell’ambito dell’evoluzione giurisprudenziale merita di essere segnalato un nuovo fenomeno concorrenziale nel settore della moda, che si sostanzia nella diffusione (ad esempio nell’abbigliamento casual e negli accessori) di prodotti che si caratterizzano per riprodurre esclusivamente o in combinazione fra loro in modo sistematico e con modalità appariscenti ed indubbiamente accattivanti, i marchi, i loghi, i temi ricorrenti più celebri del settore della moda.

Talvolta questi segni e questi temi sono parzialmente modificati o rivisitati, a volte combinati fra loro e con segni diversi, ma in modo tale da essere sempre e volutamente identificabili. È innegabile che l’attrattiva di tali prodotti è determinata proprio da questa immediata riconoscibilità e la formula del loro successo è da ricercarsi proprio nell’idea ironica e parodistica che ne deriva. Tuttavia le rivisitazioni non sembrano eludere la forza attrattiva dei segni celebri che vengono utilizzati per tale operazione, ma anzi la confermano essendo i segni celebri capaci di trasformare anche un’operazione stilistica e creativa di modesto rilievo in un’attività commerciale redditizia e di successo.

Gli artefici di tali operazioni, di contro, si reputano autorizzati ad un simile utilizzo dei segni altrui in quanto – si dice – non li utilizzano in forma distintiva, bensì ornamentale e satirica, per trasmettere al pubblico un messaggio diverso rispetto alle griffe famose, pur se in qualche modo ironicamente tributario rispetto ad esse. Si sottolinea come i prodotti mai possano essere confusi e/o collegati. Si nega quindi che l’operazione sia finalizzata o comunque idonea ad uno sviamento della clientela o che finisca per diluire la capacità distintiva dei marchi celebri o per recare pregiudizio alla loro rinomanza.

Ci si ispira a filosofie di vita e a movimenti artistici, dalla Pop Art alla Appropriation Art, ed in termini giuridici si fa riferimento in particolare alla sentenza della Corte di Giust. 23.10.2003 (Adidas/Fitnessworld) che ha escluso la contraffazione nel rilievo che il segno (nella specie le due bande parallele) viene percepito dal pubblico come una decorazione.

3 - I rimedi esperibili

Con riferimento agli strumenti di tutela che possono essere accordati, se il fenomeno è inquadrabile esclusivamente nell’ambito della concorrenza sleale, si potrà fare ricorso alle sole misure, cautelari e di merito, previste per tale tipologia di illecito e quindi fare ricorso alle previsioni di cui agli artt. 2599 e 2600 c.c. ed in sede cautelare ai procedimenti di cui agli artt. 670, 671 e 700 c.p.c.

Nell’ambito di questa previsione atipica e con riferimento agli “opportuni provvedimenti” di cui all’art. 2599, la giurisprudenza tende ad ampliare la tutela cautelare alle sanzioni tipiche del diritto industriale (art. 124 C.p.i.). E così, in sede cautelare, si può pensare di disporre la descrizione dei prodotti e degli elementi di prova (anche con la formula dell’ATP), di impartire ordini di inibitoria, assistiti dalla relativa penale, di sequestro degli oggetti sanzionati e della documentazione contabile relativa, di ritiro dal commercio, con assegnazione in proprietà o distruzione dei prodotti nonché dei mezzi specificamente adibiti alla produzione degli stessi e del materiale pubblicitario e promozionale. Più difficile si appalesa la possibilità di disporre la raccolta di informazioni circa i soggetti coinvolti e circa la catena distributiva (salvo l’utilizzo delle norme in tema di ispezione e di esibizione), mentre più praticabile sembra l’ipotesi di pubblicazione del provvedimento cautelare sulla stampa (e/o via internet) al fine di realizzare una più ampia diffusione conoscitiva, anche in dipendenza della scarsa percezione da parte del consumatore rispetto alla illiceità del fenomeno (il riferimento è particolarmente puntuale nel settore della moda).

Laddove invece la fattispecie riguardi anche la tutela del marchio o di modelli registrati gli strumenti di tutela si estendono a pieno titolo a tutte misure previste dal C.P.I.

Nel giudizio di merito si potrà ottenere l’inibitoria definitiva, l’eventuale conferma dei provvedimenti accordati in sede cautelare, la condanna al risarcimento dei danni, nonché la pubblicazione della sentenza definitiva (anche via internet, dovendosi valutare nel settore specifico l’utilità e opportunità di un simile mezzo).

1- I presupposti della concorrenza parassitaria

La tutela della forma del prodotto gioca un ruolo primario nelle dinamiche del mercato, sia perché funzionale ad un risultato tecnico, sia perché attrattiva sotto il profilo estetico ed idonea a favorire le vendite. Tale aspetto è evidentemente essenziale nel settore della moda.

In linea generale si può ricordare che la forma può essere tutelata come disegno o modello (registrato o di fatto), come marchio, come espressione di una creatività che raggiunge un portato artistico al fine della tutela autorale. Ove, invece, la forma del prodotto non possa accedere alla protezione qualificata sopra indicata, per mancanza dei requisiti o per ragioni temporali, si delinea la possibilità di ricorrere al piano della concorrenza sleale (autonoma o dipendente).

Con riferimento più specifico alla concorrenza parassitaria, può registrarsi nella giurisprudenza una tendenza a traslare il parassitismo dalla ipotesi di inquadramento nell’ambito della concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n.1) ed appropriativa (di cui al n. 2 della stessa norma) a quello più indefinito dei comportamenti contrari ai principi della correttezza professionale. Tanto più lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui appare parassitario in un settore, quale quello della moda, ove la creatività, l’innovazione, l’originalità appaiono essenziali, non potendosi definire semplici requisiti per la protezione, ma elementi connaturati all’intrinseca essenza del fenomeno.

Un aspetto ricorrente nel settore è quello della ricordata previsione di cui al n. 2 dell’art. 2598, medianti atti caratterizzati dall’intento di agganciamento rispetto alla notorietà altrui: quindi, non solo l’appropriazione di singoli pregi, ma piuttosto una costante ed ampia equiparazione all’attività del concorrente, naturalmente ben conosciuto o meglio famoso sul mercato, sfruttando la notorietà da questi acquisita e traendo indirettamente vantaggio dalla sua attività e pubblicità, evitando così di affrontare direttamente i costi promozionali e di attendere il tempo necessario ad acquisire autonomamente un analogo affidamento sul mercato.

Vale tuttora la tradizionale qualificazione della concorrenza parassitaria e la distinzione in concorrenza diacronica e sincronica (Cass. sentenza n. 13423 del 20/07/2004, n. 5852 del 17/11/1984), anche se tale distinguo, utile ad inquadrare e riconoscere il fenomeno, appare in realtà privo di pratica utilità sotto il profilo della tutela e risulta di scarso utilizzo nella giurisprudenza più recente, che sembra aver abbandonato l’idea che la concorrenza sincronica non possa essere sanzionata come fenomeno parassitario.

Può essere comunque interessante trarre dalla giurisprudenza della Cassazione gli spunti che definiscono gli spazi temporali e quantitativi dei comportamenti, e ciò anche al fine della tutela in sede cautelare.

2 - La declinazione del fenomeno nell’ambito del settore della moda

Nell’ambito dell’evoluzione giurisprudenziale merita di essere segnalato un nuovo fenomeno concorrenziale nel settore della moda, che si sostanzia nella diffusione (ad esempio nell’abbigliamento casual e negli accessori) di prodotti che si caratterizzano per riprodurre esclusivamente o in combinazione fra loro in modo sistematico e con modalità appariscenti ed indubbiamente accattivanti, i marchi, i loghi, i temi ricorrenti più celebri del settore della moda.

Talvolta questi segni e questi temi sono parzialmente modificati o rivisitati, a volte combinati fra loro e con segni diversi, ma in modo tale da essere sempre e volutamente identificabili. È innegabile che l’attrattiva di tali prodotti è determinata proprio da questa immediata riconoscibilità e la formula del loro successo è da ricercarsi proprio nell’idea ironica e parodistica che ne deriva. Tuttavia le rivisitazioni non sembrano eludere la forza attrattiva dei segni celebri che vengono utilizzati per tale operazione, ma anzi la confermano essendo i segni celebri capaci di trasformare anche un’operazione stilistica e creativa di modesto rilievo in un’attività commerciale redditizia e di successo.

Gli artefici di tali operazioni, di contro, si reputano autorizzati ad un simile utilizzo dei segni altrui in quanto – si dice – non li utilizzano in forma distintiva, bensì ornamentale e satirica, per trasmettere al pubblico un messaggio diverso rispetto alle griffe famose, pur se in qualche modo ironicamente tributario rispetto ad esse. Si sottolinea come i prodotti mai possano essere confusi e/o collegati. Si nega quindi che l’operazione sia finalizzata o comunque idonea ad uno sviamento della clientela o che finisca per diluire la capacità distintiva dei marchi celebri o per recare pregiudizio alla loro rinomanza.

Ci si ispira a filosofie di vita e a movimenti artistici, dalla Pop Art alla Appropriation Art, ed in termini giuridici si fa riferimento in particolare alla sentenza della Corte di Giust. 23.10.2003 (Adidas/Fitnessworld) che ha escluso la contraffazione nel rilievo che il segno (nella specie le due bande parallele) viene percepito dal pubblico come una decorazione.

3 - I rimedi esperibili

Con riferimento agli strumenti di tutela che possono essere accordati, se il fenomeno è inquadrabile esclusivamente nell’ambito della concorrenza sleale, si potrà fare ricorso alle sole misure, cautelari e di merito, previste per tale tipologia di illecito e quindi fare ricorso alle previsioni di cui agli artt. 2599 e 2600 c.c. ed in sede cautelare ai procedimenti di cui agli artt. 670, 671 e 700 c.p.c.

Nell’ambito di questa previsione atipica e con riferimento agli “opportuni provvedimenti” di cui all’art. 2599, la giurisprudenza tende ad ampliare la tutela cautelare alle sanzioni tipiche del diritto industriale (art. 124 C.p.i.). E così, in sede cautelare, si può pensare di disporre la descrizione dei prodotti e degli elementi di prova (anche con la formula dell’ATP), di impartire ordini di inibitoria, assistiti dalla relativa penale, di sequestro degli oggetti sanzionati e della documentazione contabile relativa, di ritiro dal commercio, con assegnazione in proprietà o distruzione dei prodotti nonché dei mezzi specificamente adibiti alla produzione degli stessi e del materiale pubblicitario e promozionale. Più difficile si appalesa la possibilità di disporre la raccolta di informazioni circa i soggetti coinvolti e circa la catena distributiva (salvo l’utilizzo delle norme in tema di ispezione e di esibizione), mentre più praticabile sembra l’ipotesi di pubblicazione del provvedimento cautelare sulla stampa (e/o via internet) al fine di realizzare una più ampia diffusione conoscitiva, anche in dipendenza della scarsa percezione da parte del consumatore rispetto alla illiceità del fenomeno (il riferimento è particolarmente puntuale nel settore della moda).

Laddove invece la fattispecie riguardi anche la tutela del marchio o di modelli registrati gli strumenti di tutela si estendono a pieno titolo a tutte misure previste dal C.P.I.

Nel giudizio di merito si potrà ottenere l’inibitoria definitiva, l’eventuale conferma dei provvedimenti accordati in sede cautelare, la condanna al risarcimento dei danni, nonché la pubblicazione della sentenza definitiva (anche via internet, dovendosi valutare nel settore specifico l’utilità e opportunità di un simile mezzo).