x

x

L’applicazione delle misure cautelari nel d.lgs. n. 231/2001 e il rapporto con il giudizio cautelare personale: profili sostanziali e processuali

Nota a Tribunale di Palermo, Sez. Gip, ordinanza n. 12460/2017
La città muta - Movimenti (IV)
Ph. Anuar Arebi / La città muta - Movimenti (IV)

Sommario

1. Introduzione.

2. Il caso concreto al vaglio del Giudice

3. La disciplina delle misure cautelari nel d.lgs. 231/2001

4. I presupposti della misura dell’interdizione: in particolare, il fumus delicti

5. Il rapporto tra l’ordinanza applicativa di misure cautelari personali e l’accertamento cautelare a carico dell’ente: ammissibilità e limiti della motivazione per relationem e poteri del giudice

6. Conclusioni e prospettive future

 
1. Introduzione

La tematica oggetto del presente provvedimento assume rilievo sia dal punto di vista dogmatico, per l’incidenza delle misure cautelari su valori costituzionalmente rilevanti, come la libertà di iniziativa economica, il lavoro nell’impresa e il contrapposto interesse alla prevenzione del crimine societario, sia dal punto di vista pratico, in quanto un legame più stringente tra l’accertamento cautelare condotto a carico della persona fisica e quello rilevante ai fini delle misure interdittive contro l’ente incide in senso limitativo sui margini di valutazione del giudice nel procedimento connesso, ancorché formalmente autonomo, previsto dal D.lgs. 231/2001.

Occorre perciò analizzare la fattispecie in esame e introdurre il tema del rapporto tra il procedimento instaurato per il reato presupposto e quello volto ad accertare l’illecito amministrativo da reato. Nella specie, è necessario soffermarsi sulle peculiarità del subprocedimento cautelare a carico degli enti, che, per la sua crucialità all’interno del processo de societate, costituisce un banco di prova privilegiato per saggiare le potenzialità della disciplina, per stabilire se e in che misura il giudice è vincolato, nella valutazione del fumus della colpa di organizzazione, dall’accertamento condotto nel diverso procedimento a carico della persona fisica ai fini delle cautele personali. La questione non ha mero rilievo teorico ma rilevanti conseguenze pratiche, in quanto potenzialmente impattante in senso estensivo o riduttivo sugli oneri probatori dell’accusa e della difesa e sui poteri del giudice del procedimento a carico dell’ente.

Si tratta, ancora, di una questione non semplicemente processuale, poiché la soluzione non può che essere legata alla considerazione della natura sostanziale della responsabilità dell’ente - che parte della dottrina e della giurisprudenza definisce tout court penale[1], laddove altri valorizzano piuttosto l’etichetta di responsabilità amministrativa[2] o discorrono di un tertium genus[3] - e soprattutto alla sua assoluta autonomia o al suo intrinseco collegamento con il reato presupposto. Come si vedrà, il caso concreto evidenzia la necessità di una rinnovata attenzione all’istituto coniato dal legislatore nel 2001 e l’opportunità di un più ampio intervento riformatore, sia nel settore delle misure cautelari sia, in generale, sui principali nodi irrisolti del decreto.

 

2. Il caso concreto al vaglio del giudice

Con l’ordinanza in commento, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo era chiamato a pronunciarsi sulla richiesta, formulata dall’accusa, di commissariamento giudiziale della società imputata per i delitti di cui agli artt. 110, 318, 319 e 321 c.p., che sarebbero stati commessi dall’amministratore e dai consiglieri della stessa.

In primo luogo, il giudice richiama l’articolo 45 del d.lgs 231/2001, ai sensi del quale, quando sussistono gravi indizi di responsabilità dell’ente in dipendenza della commissione di un reato, il Pubblico Ministero può chiedere l’applicazione delle misure interdittive previste dall’articolo 9 del decreto medesimo, che possono consistere, tra le altre, nel commissariamento giudiziale. Il primo profilo scrutinato dal Gip presso il Tribunale di Palermo attiene alla qualificazione dei fatti contestati. E, infatti, dispone l’art. 25 d.lgs. 231/2001 che le sanzioni interdittive possono essere previste non per qualsiasi delitto, ma solo a seguito di condanna per le fattispecie di corruzione propria, corruzione in atti giudiziari, corruzione di incaricato di pubblico servizio, istigazione alla corruzione, concussione e induzione indebita. Poiché l’art. 25 non fa alcun riferimento all’art. 318 c.p., il commissariamento dell’ente non può essere disposto per il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione. Come si vedrà, il giudice, nel prosieguo della motivazione, concluderà per il rigetto della richiesta del Pubblico Ministero, sussumendo i fatti contestati proprio nella fattispecie di cui all’art. 318 c.p.

Prima di passare all’esame della fondatezza sostanziale della richiesta, il giudice affronta, preliminarmente, l’eccezione sollevata dalla difesa, relativa ad una preclusione allo svolgimento della stessa valutazione del merito della misura per l’intervento di un giudicato cautelare nel procedimento a carico dei membri della società per i reati presupposto della responsabilità amministrativa. Nel farsi carico di rigettare tale eccezione, egli adduce due motivi, il primo riferito alla mancata decorrenza dei termini di impugnazione della misura cautelare personale, che si ritiene quindi non ancora consolidata, e il secondo riguardante, ad un livello più generale, l’autonomia tra il procedimento penale per il reato presupposto e quello instaurato a carico dell’ente. Secondo il Gip, dunque, anche nell’ipotesi, nella specie non ricorrente, di un’ordinanza cautelare personale non più impugnabile, il giudice del diverso procedimento di accertamento della responsabilità amministrativa non sarebbe “comunque” vincolato nella decisione sui gravi indizi di colpevolezza della persona giuridica, stante la generica e, sembrerebbe, anche assoluta autonomia dei due illeciti e dei rispettivi procedimenti.

Il giudice non si sofferma diffusamente sul tema, ma si limita a richiamare genericamente l’autonomia dei due procedimenti, sembrando intendere l’assenza di ogni connessione tra i due accertamenti anche per ciò che concerne le misure cautelari.

Questa affermazione è tuttavia meritevole di una più ampia riflessione sul rapporto tra i procedimenti a carico, rispettivamente, della persona fisica e della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2001, e in particolare sui differenti requisiti richiesti ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali e interdittive. Si tratta di una tematica che risente, inevitabilmente, della peculiarità strutturale dell’illecito dell’ente, con una refluenza dei profili sostanziali sugli aspetti processuali.

 

3. La disciplina delle misure cautelari nel D.Lgs. 231/2001

Senza dubbio, quello delle misure cautelari è uno dei settori maggiormente coinvolti dagli interventi della dottrina e della giurisprudenza. Il d.lgs. n. 231/2001 delinea un sistema normativo compiuto, un microcodice della responsabilità degli enti, ma all’interno di esso le misure cautelari rappresentano un ulteriore sottosistema che, al pari di quanto avviene nel codice di rito, assume carattere autonomo[4]; tuttavia, ancor più che nel procedimento cautelare a carico delle persone fisiche, esso riveste un’importanza cruciale per il processo.

A differenza della disciplina penale, tuttavia, il sistema cautelare nel procedimento per l’accertamento della responsabilità degli enti è strutturato in modo da accentuare la strumentalità, più che rispetto al processo, alla stessa decisione[5]. La sezione IV del decreto delinea una serie di cautele finalizzate ad evitare la dispersione delle garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato e a paralizzare l’attività dell’ente quando la prosecuzione della stessa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati[6]. Il primo obiettivo è perseguito dal sequestro conservativo, laddove alla seconda esigenza rispondono sia il sequestro preventivo sia le misure interdittive di cui all’art. 45 d.lgs. 231/2001.

Queste ultime non integrano autonome figure cautelari, ma coincidono geneticamente con le sanzioni irrogabili in via definitiva. L’art. 45 prevede, infatti, al ricorrere di determinati presupposti, l’applicazione, quale misura cautelare, di una delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9, ossia l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi e, infine, il divieto di pubblicizzare beni e servizi.

Questa simmetria è stata criticata dalla dottrina perché evidenzia il carattere specialpreventivo della normativa[7]. Il percorso rieducativo imposto al soggetto collettivo attraverso il processo, per recuperare l’ente alla legalità, non può prescindere anche dall’applicazione di misure cautelari, che vengono così private della loro funzione strumentale ad esigenze processuali in favore di una logica accentuatamente preventiva simile a quella delle misure di sicurezza e che le configura come surrogati della pena[8].

Ciò è confermato dal carattere monofunzionale delle cautele interdittive. E infatti, il decreto non accoglie in toto la tripartizione dell’art. 274 c.p.p., in quanto l’unica esigenza che trova spazio è relativa alla pericolosità dell’ente. Questa scelta, rivelando maggiori connotati di sostanzialità, comporta dei dubbi di legittimità costituzionale a causa dell’utilizzo delle misure cautelari per scopi specialpreventivi.

Ma la conferma delle peculiarità del sistema cautelare destinato agli enti scaturisce, altresì, dalle numerose occasioni di cui l’ente imputato può usufruire per andare esente da responsabilità o per evitare di incorrere nelle misure interdittive [9].

A tal fine è prevista un’udienza camerale dedicata alla decisione sulle cautele, che consente un contraddittorio anticipato in sede cautelare. Se si esclude l’ipotesi di cui all’art. 289 c.p.p., la scelta del legislatore è un unicum nel sistema cautelare; ciò è dovuto alla peculiarità della responsabilità degli enti, in cui è inserita. Nell’udienza camerale, all’ente è concesso di provare l’adozione ed efficace attuazione ex ante di modelli organizzativi idonei a prevenire il reato, al fine di escludere la responsabilità, ove associata alle condizioni previste dagli art. 6 e 7 del d. lgs. 231/2001. In secondo luogo, l’ente può dimostrare di aver adottato i modelli dopo la commissione del reato, con la conseguenza che il giudice, ritenendo neutralizzato il pericolo di reiterazione, non potrebbe che considerare superflua l’applicazione di misure cautelari. Ancora, è possibile la sospensione delle misure cautelari, per consentire all’ente di realizzare quelle condotte riparatorie di cui all’art.17, condotte che se ritenute efficaci porteranno alla revoca delle cautele. Infine, nell’udienza anticipata possono essere accertate le condizioni per la sostituzione della misura cautelare interdittiva con il commissariamento dell’ente, che è funzionale al contemperamento della repressione dei reati con le esigenze di tutela della collettività e dei livelli occupazionali dell’impresa. Questa misura esprime uno degli obiettivi principali del legislatore del 2001, ossia quello di orientare sin da subito in senso virtuoso la politica aziendale, in una logica conservativa e rieducativa, e non semplicemente di punire il crimine d’impresa.

Sulle norme citate parte della dottrina ha sollevato alcune perplessità. Ad avviso di alcuni autori, il contraddittorio anticipato delineato dalla disciplina in esame, più che una garanzia difensiva, potrebbe assumere le sembianze di uno strumento di collaborazione quasi obbligata, ciò che porrebbe diversi dubbi di legittimità costituzionale[10]. Ci si chiede se questo modello sia compatibile con l’art. 27 della Costituzione e se conduca a risultati effettivi, essendovi il rischio di sanzionare solo gli enti che non si riallineano alla legalità, ossia il mancato ripristino della regolarità piuttosto che punire i soggetti che hanno commesso l’illecito. Inoltre, se dall’adozione di modelli o di condotte riparatorie post factum derivano siffatti vantaggi, ciò potrebbe essere un disincentivo per l’ente a dotarsi ex ante di modelli idonei ad evitare il rischio di altre violazioni. Il rischio citato è accentuato dal fatto che il decreto non prevede verifiche sull’effettivo mantenimento dei modelli adottati post factum, né sanzioni in caso di rimozione degli stessi.

Tutto ciò, insieme ai costi che l’ente deve sopportare per adottare adeguati modelli organizzativi, la cui efficacia esimente è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, può indurre alla scelta di non predisporre i modelli e di incorrere in sanzioni, per accedere alla riparazione solo successivamente, nell’eventualità di apertura di un procedimento penale.

Le descritte peculiarità delle misure cautelari sono indubbiamente strumentali alle finalità di prevenzione sostanziale della responsabilità delle persone giuridiche, ma le maggiori incertezze vertono sull’efficacia, nel panorama economico italiano, di una disciplina al contempo spiccatamente preventiva e rieducativa.

Per leggere il contributo integrale CLICCA QUI!

Sistema 231