Lavoro - Corte Giustizia Unione Europea: la condotta di una persona che si candida per un posto di lavoro al solo fine di ottenere lo status di candidato e azionare i diritti al risarcimento del danno costituisce abuso di diritto
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che una situazione in cui una persona la quale, candidandosi per un posto di lavoro, miri ad ottenere non tale posto di lavoro, bensì soltanto lo status formale di candidato, con l’unico scopo di poter azionare diritti al risarcimento del danno, può essere valutata, nel caso in cui ricorrano gli elementi richiesti dal diritto dell’Unione, come abuso di diritto.
Con la decisione in esame, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), dalla Corte federale del lavoro tedesca, la Corte di Giustizia ha avuto modo di definire la corretta interpretazione di due disposizioni in materia di politica sociale dell’Unione Europea, in particolare l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che “stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante “l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”.
Nel caso di specie, una delle due parti in lite aveva proposto la propria candidatura per una posizione da tirocinante nel settore del diritto presso un’azienda, la quale aveva respinto la candidatura per assenza di possibilità di impiego. Il candidato proponeva ricorso dinanzi al Tribunale del lavoro al fine di ottenere un risarcimento del danno per discriminazione in ragione dell’età e del sesso (dato che i posti da tirocinanti erano stati assegnati a sole donne).
La questione, a seguito del rigetto del ricorso sia in primo che in secondo grado, perveniva appunto alla Corte federale del lavoro tedesca che, attraverso un rinvio pregiudiziale, sottoponeva alla Corte di Giustizia le seguenti domande: “se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54 debbano essere interpretati nel senso che cerca “un accesso all’occupazione e al lavoro dipendente” anche la persona dalla cui candidatura risulta che essa non persegue un’assunzione o un’occupazione ma mira soltanto ad acquisire lo status di candidato al fine di poter azionare diritti al risarcimento del danno”; e in caso di soluzione affermativa “se l’acquisizione dello status di candidato, non nella prospettiva di un’assunzione o di un’occupazione, ma soltanto al fine di azionare diritti al risarcimento del danno, possa essere valutato, in base al diritto dell’Unione, come abuso del diritto”.
La Corte di Giustizia, legittimata unicamente a pronunciarsi sull’interpretazione e sulla validità del diritto dell’Unione riguardo alla situazione di fatto e di diritto descritta dal giudice del rinvio, al fine di fornire a quest’ultimo gli elementi utili alla soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente, ha valutato la situazione concreta, ossia la candidatura ad un posto di tirocinante al solo scopo di ottenerne lo status e azionare i diritti al risarcimento del danno sulla base delle direttive 2000/78 e 2006/54, come non rientrante nell’ambito di applicazione delle citate norme.
Le stesse si riferiscono alla materia dell’occupazione e delle condizioni di lavoro ed offrono una protezione contro le discriminazioni fondate su una vasta serie di motivi, tra cui età e sesso come denunciate dal ricorrente, risultando applicabili anche ai soggetti che desiderano accedere all’occupazione e al lavoro, estendendosi, dunque, ai criteri di selezione e alle condizioni di assunzione.
Di conseguenza, a giudizio della Corte, il soggetto che si candida per una posizione alla quale non ambisce non può avvalersi della tutela offerta dalle direttive 2000/78 e 2006/54, in quanto “un’interpretazione contraria [sarebbe] incompatibile con l’obiettivo perseguito da queste ultime, il quale consiste nell’assicurare a ogni persona la parità di trattamento in materia di occupazione e impiego offrendo una protezione efficace contro determinate discriminazioni, in particolare con riferimento all’accesso all’occupazione”.
Infine, dato il divieto per tutti i soggetti dell’ordinamento dell’Unione di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione Europea, la sussistenza di due elementi, uno oggettivo, consistente nel mancato raggiungimento dell’obiettivo della norma, ed uno soggettivo, ossia la valutazione che lo scopo essenziale delle operazioni realizzate dall’autore è il conseguimento di un vantaggio indebito (valutazione, in entrambi i casi riservata al giudice nazionale), permette di definire la condotta posta in essere come abuso di diritto secondo la normativa europea.
La Corte di Giustizia ha, perciò, concluso che “l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, devono essere interpretati nel senso che una situazione in cui una persona la quale, candidandosi per un posto di lavoro, miri ad ottenere non tale posto di lavoro, bensì soltanto lo status formale di candidato, con l’unico scopo di poter azionare diritti al risarcimento del danno, non rientra nella nozione di “accesso all’occupazione o al lavoro dipendente” ai sensi di tali disposizioni e può essere valutata, nel caso in cui ricorrano gli elementi richiesti dal diritto dell’Unione, come abuso di diritto”.
(Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Prima Sezione, Sentenza 28 luglio 2016, Causa C-423/15)
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che una situazione in cui una persona la quale, candidandosi per un posto di lavoro, miri ad ottenere non tale posto di lavoro, bensì soltanto lo status formale di candidato, con l’unico scopo di poter azionare diritti al risarcimento del danno, può essere valutata, nel caso in cui ricorrano gli elementi richiesti dal diritto dell’Unione, come abuso di diritto.
Con la decisione in esame, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), dalla Corte federale del lavoro tedesca, la Corte di Giustizia ha avuto modo di definire la corretta interpretazione di due disposizioni in materia di politica sociale dell’Unione Europea, in particolare l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che “stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante “l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego”.
Nel caso di specie, una delle due parti in lite aveva proposto la propria candidatura per una posizione da tirocinante nel settore del diritto presso un’azienda, la quale aveva respinto la candidatura per assenza di possibilità di impiego. Il candidato proponeva ricorso dinanzi al Tribunale del lavoro al fine di ottenere un risarcimento del danno per discriminazione in ragione dell’età e del sesso (dato che i posti da tirocinanti erano stati assegnati a sole donne).
La questione, a seguito del rigetto del ricorso sia in primo che in secondo grado, perveniva appunto alla Corte federale del lavoro tedesca che, attraverso un rinvio pregiudiziale, sottoponeva alla Corte di Giustizia le seguenti domande: “se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54 debbano essere interpretati nel senso che cerca “un accesso all’occupazione e al lavoro dipendente” anche la persona dalla cui candidatura risulta che essa non persegue un’assunzione o un’occupazione ma mira soltanto ad acquisire lo status di candidato al fine di poter azionare diritti al risarcimento del danno”; e in caso di soluzione affermativa “se l’acquisizione dello status di candidato, non nella prospettiva di un’assunzione o di un’occupazione, ma soltanto al fine di azionare diritti al risarcimento del danno, possa essere valutato, in base al diritto dell’Unione, come abuso del diritto”.
La Corte di Giustizia, legittimata unicamente a pronunciarsi sull’interpretazione e sulla validità del diritto dell’Unione riguardo alla situazione di fatto e di diritto descritta dal giudice del rinvio, al fine di fornire a quest’ultimo gli elementi utili alla soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente, ha valutato la situazione concreta, ossia la candidatura ad un posto di tirocinante al solo scopo di ottenerne lo status e azionare i diritti al risarcimento del danno sulla base delle direttive 2000/78 e 2006/54, come non rientrante nell’ambito di applicazione delle citate norme.
Le stesse si riferiscono alla materia dell’occupazione e delle condizioni di lavoro ed offrono una protezione contro le discriminazioni fondate su una vasta serie di motivi, tra cui età e sesso come denunciate dal ricorrente, risultando applicabili anche ai soggetti che desiderano accedere all’occupazione e al lavoro, estendendosi, dunque, ai criteri di selezione e alle condizioni di assunzione.
Di conseguenza, a giudizio della Corte, il soggetto che si candida per una posizione alla quale non ambisce non può avvalersi della tutela offerta dalle direttive 2000/78 e 2006/54, in quanto “un’interpretazione contraria [sarebbe] incompatibile con l’obiettivo perseguito da queste ultime, il quale consiste nell’assicurare a ogni persona la parità di trattamento in materia di occupazione e impiego offrendo una protezione efficace contro determinate discriminazioni, in particolare con riferimento all’accesso all’occupazione”.
Infine, dato il divieto per tutti i soggetti dell’ordinamento dell’Unione di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione Europea, la sussistenza di due elementi, uno oggettivo, consistente nel mancato raggiungimento dell’obiettivo della norma, ed uno soggettivo, ossia la valutazione che lo scopo essenziale delle operazioni realizzate dall’autore è il conseguimento di un vantaggio indebito (valutazione, in entrambi i casi riservata al giudice nazionale), permette di definire la condotta posta in essere come abuso di diritto secondo la normativa europea.
La Corte di Giustizia ha, perciò, concluso che “l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, devono essere interpretati nel senso che una situazione in cui una persona la quale, candidandosi per un posto di lavoro, miri ad ottenere non tale posto di lavoro, bensì soltanto lo status formale di candidato, con l’unico scopo di poter azionare diritti al risarcimento del danno, non rientra nella nozione di “accesso all’occupazione o al lavoro dipendente” ai sensi di tali disposizioni e può essere valutata, nel caso in cui ricorrano gli elementi richiesti dal diritto dell’Unione, come abuso di diritto”.
(Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Prima Sezione, Sentenza 28 luglio 2016, Causa C-423/15)