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Lavoro subordinato ed autonomo: indici rivelatori e certificazione

[Il presente contributo, ai sensi della Circolare Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004, ha natura personale e non impegnativa per la Pubblica Amministrazione di appartenenza, in quanto le considerazioni in esso esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autrice].

Sommario

1. Lavoro subordinato

2. Lavoro autonomo

3. Indici rilevatori

4. Certificazione

1. Lavoro subordinato

L’art. 2094 del codice civile definisce prestatore di lavoro subordinato chi “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Nel codice civile dunque non esiste una definizione di subordinazione, bensì di prestatore di lavoro subordinato ex art. 2094 cc, denominazione dalla quale si evincono indirettamente gli elementi della subordinazione riferita ad un contesto in cui prevale il lavoro a tempo indeterminato e pieno in un’impresa medio-grande, secondo una logica fordista. Se da un lato si trascura la nozione di imprenditore dell’art. 2094 cc, dall’altro anche la differenza fra operaio/impiegato va sfumando, mentre si accentua il carattere della collaborazione che assume una nuova connotazione e si concretizza in disponibilità di energie e inserimento nell’organizzazione produttiva.

Il potere direttivo, organizzativo e gerarchico che caratterizza il lavoro subordinato, può essere esercitato anche al termine della prestazione lavorativa e non solo durante le sue fasi di esecuzione.

Il lavoro subordinato è caratterizzato dall’onerosità anche presunta[1], mentre agli effetti giuridici esso si distingue soprattutto per la finalità protettiva e garantista[2] ed è caratterizzato da norme inderogabili. Nel caso di prestazioni lavorative rese tra conviventi o parenti, le prestazioni si presumono gratuite[3], ma tale presunzioni può essere vinta dalla dimostrazione dei requisiti della subordinazione e dell’onerosità, incombente sulla parte che sostiene l’esistenza del rapporto. La presunzione di gratuità sussiste anche nel caso di attività eseguita nell’ambito di un’impresa organizzata con criteri famigliari e non quando l’impresa pur avendo caratteri famigliari sia gestita con criteri imprenditoriali

Tra le principali conseguenze rilevano: un determinato trattamento fiscale e una speciale tutela previdenziale attraverso il sistema delle assicurazioni sociali, in primis inps ed Inail, nonché l’obbligo per il datore di effettuare il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi, sia per la propria parte che per quella a carico del lavoratore. Il datore ha quindi l’obbligo di registrare i lavoratori nel libro unico al fine di provare la regolarità del rapporto, provvedendo mensilmente al pagamento dei relativi contributi. Come noto il licenziamento del lavoratore può avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo al fine di assicurare una certa stabilità nel rapporto[4].

La distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, chiara ed evidente nelle astratte definizioni legislative, diventa spesso difficoltosa nelle cosiddette “zone grigie” del diritto del lavoro, ossia in quelle varie tipologie contrattuali offerte dalla prassi, in cui si riscontrano indizi sia dell’una che dell’altra. Spesso si tratta di figure contrattuali create artificiosamente allo scopo di dissimulare rapporti di lavoro subordinato e quindi di eludere la relativa disciplina (ferie, tredicesima mensilità, trattamento fine rapporto, contribuzione previdenziale).

2. Lavoro autonomo

Il lavoro subordinato o locatio operarum differisce dal rapporto di lavoro autonomo o locatio operis, trattato nel diritto commerciale. Nel lavoro autonomo infatti il requisito della subordinazione è assente e vi rientrano anche le collaborazioni ed il lavoro a progetto. Nel lavoro autonomo conta prevalentemente il risultato (cd obbligazione di risultato) mentre nel subordinato (cd obbligazione di mezzi) rilevano le energie spese. Ciò che è importante oggi sono soprattutto le modalità attuative con cui viene eseguita l’attività dedotta in contratto, piuttosto che il risultato immediato. Nel subordinato l’attività, a differenza dell’autonomo, non può essere delegata a terzi ed è continuativa. Qualsiasi attività può essere oggetto dell’uno o dell’altro rapporto[5], si pensi all’attività di un ingegnere o di un agente che rimane uguale a se stessa anche se il rapporto di lavoro cambia[6]. Nella pratica può risultare assai complesso riconoscere il vincolo della subordinazione che può assumere sfumature diverse, come ad esempio nel lavoro giornalistico.

Nell’autonomo è assente il potere direttivo, così come nella collaborazione coordinata continuativa dove non si può parlare di dipendenza rispetto al committente.

Le forme di lavoro autonomo più diffuse si estrinsecano nel contratto d’opera (es studi professionali), nel contratto di appalto (es imprese di pulizia) e nell’associazione in partecipazione, mentre la collaborazione coordinata e continuativa attiene alla parasubordinazione.

E’ possibile per un lavoratore la coesistenza di un rapporto autonomo ed uno subordinato con lo stesso datore purché le prestazioni non siano uguali o strumentali, nel caso invece di attività miste il rapporto deve essere inquadrato secondo l’attività prevalente

E’ possibile trasformare un rapporto di lavoro subordinato in autonomo anche tacitamente purché la trasformazione si davvero effettiva e non fittizia come purtroppo accade nella realtà quotidiana.

3. Indici rilevatori

La subordinazione[7] si identifica soprattutto nell’eterodirezione o subordinazione tecnico funzionale ex art. 2094 cc in ossequio alle direttive del datore ex art. 2086 cc.[8] L’eterodirezione comporta il coordinamento spaziale e temporale della prestazione[9], il lavoratore quindi è autonomo dal punto di vista tecnico-esecutivo, ma non dal punto di vista economico-organizzativo.

Il criterio di qualificazione della inferiorità economica è oggi in declino anche se nella prassi è in voga soprattutto nelle forme di sfruttamento legate alla parasubordinazione.

Particolarmente determinante è stato il contributo fornito dalla giurisprudenza, la quale ha elaborato un articolato sistema di criteri, i c.d. indici della subordinazione, il cui ordine è sostanzialmente gerarchico: 1) indici essenziali: riguardano il vincolo della subordinazione, quali l’assoggettamento al datore di lavoro tramite il potere disciplinare[10], ovvero la presenza di direttive tecniche e poteri di controllo[11], nonché l’inserimento in via continuativa e sistematica nell’organizzazione aziendale, desumibile dall’assenza di un’organizzazione imprenditoriale in capo al lavoratore e dall’assoggettamento conseguente[12]; 2) indici residuali o sintomatici: riguardano l’orario di lavoro[13], l’oggetto della prestazione, il luogo della prestazione, l’esistenza o meno di un’organizzazione d’impresa[14] da parte del lavoratore e nell’incidenza del rischio, l’esecuzione del lavoro con materiali ed attrezzature del datore, pagamento a scadenze periodiche, trattasi di elementi che possono avere soltanto la funzione di rafforzare i precedenti ma non di sostituirli.

In merito alla subordinazione rileva ricostruire la reale volontà delle parti al di là dell’abito formale attribuito dai contraenti, si tratta spesso di confini labili anche se la giurisprudenza di merito ha ormai individuato indici sussidiari di subordinazione, accanto all’assoggettamento gerarchico[15], più in generale, avremo, così come già sopra anticipato: sottoposizione al potere disciplinare, obbligo di orario, continuità e predeterminazione della prestazione, obbligo di disponibilità, fedeltà e non concorrenza del lavoratore, predefinizione del compenso, assenza del rischio per il lavoratore che impiega i mezzi del datore ed è inserito nella sua struttura, nonché attività di vigilanza e controllo del datore.

Irrilevante dunque la volontà cartolare attribuita dalle parti mentre ciò che rileva è invece l’effettivo comportamento delle parti anche successivo al contratto, infatti in caso di contratto fra volontà cartolare e volontà effettiva, prevale la seconda, con riferimento dunque al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro. Pertanto ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, il criterio del nome iuris adottato dalle parti non ha valore prevalente, dovendo la qualificazione medesima desumersi, oltre che dal dato formale, dalle concrete modalità della prestazione e di attuazione del rapporto[16]. Ciò significa che nessuno di questi indici c.d. sussidiari o accessori è da solo idoneo a costituire una scriminante tra lavoro autonomo e subordinato[17], tali criteri devono dunque essere valutati nell’ambito di un apprezzamento complessivo del rapporto, avendo riguardo alle concrete modalità di esecuzione[18], alla volontà effettiva delle parti, anche se in assenza di indici caratteristici della subordinazione, non si può prescindere dalla qualificazione attribuita dalle parti[19].

4. Certificazione

Possono essere oggetti di certificazione[20] sia i contratti di lavoro[21], sia le rinunce e transazioni ex art. 2113 cc, l’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative, la stipulazione di un contratto di appalto ex art. 1655 cc per distinguerlo dalla somministrazione di lavoro disciplinata dagli articoli 20 e ss del D.lgs 276/2003. La certificazione svolge la funzione di strumento volontario e fideifacente per le parti ed i terzi in ordine alla natura del rapporto ed ai suoi effetti.

Organi competenti sono le commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali[22], le DPL, Università[23] e fondazioni, nonché le Province. L’istanza di certificazione[24] deve essere corredata dall’originale del contratto sottoscritto dalle parti contenente i dati anagrafici e fiscali delle stesse che devono anche dichiarare che non vi sono altri procedimenti certificatori pendenti. In caso di diniego, una successiva istanza può essere proposta solo se vi sono presupposti o motivi diversi.

La commissione[25] verifica la correttezza del contratto scelto dalle parti e dove si renda necessario propone eventuali integrazioni o modifiche, quindi convoca e ascolta personalmente i contraenti, quindi redige un atto di certificazione motivato che contiene esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.

Le clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti recepiscono le indicazioni contenute negli accordi interconfederali. Il Ministero del lavoro con circolare 48/2004 ha predisposto una bozza di regolamento interno della commissione e linee guida provvisorie per i relativi compiti di certificazione.

L’atto di certificazione è provvedimento amministrativo motivato con esplicita menzione degli effetti in relazione ai quali è stato richiesto; il provvedimento è deliberato a maggioranza dei membri della commissione di certificazione e gli effetti decorrono dalla sottoscrizione. Contro l’atto di certificazione è possibile, previo esperimento del tentativo di conciliazione, far ricorso presso le autorità competenti a seconda del motivo di ricorso stesso.[26]In caso di accertamenti da parte dell’INPS[27] se emerge una discrepanza tra stato di fatto con conseguenti addebiti contributivi e quanto certificato dalla commissione, l’ente previdenziale dovrà quantificare con verbale le somme dovute ed esperire il tentativo di conciliazione presso le commissioni che dovranno eventualmente trasmettere gli atti al contenzioso.



[1] Il lavoro gratuito è considerato legittimo ma in ipotesi eccezionali. Per Santoro-Passerelli la subordinazione ha carattere tecnico, funzionale, personale, mentre Mazzoni sottolinea l’aspetto patrimoniale o soggezione socio-economica di Scogliamiglio, mentre Galantino sottolinea l’imputazione ad un terzo dell’attività svolta dal prestatore.

[2] Ghera parla infatti di Statuto protettivo dei lavoratori.

[3] Circolare INPS 179/89.

[4] Particolarmente in caso di controversia vige una disciplina volta a garantire una risoluzione celere ex art. 409 cpc.

[5] Si veda la sentenza Cass. 8569/2004.

[6] Cass. 429/84, da ultimo il D.lgs 30/06 prevede che l’esercizio di una professione possa avvenire in forma autonoma o subordinata.

[7] La natura del vincolo di subordinazione si estrinseca prevalentemente nella soggezione al potere direttivo, si vedano le sentenze di seguito citate: Cass. 28 settembre 2006 n. 21028; Cass. 25 ottobre 2004, n. 20669; Cass. 23 luglio 2004, n. 13884; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2842; Cass. 19 novembre 2003, n. 17549; Cass. 20 giugno 2003, n. 9900.

[8] Anche l’amministratore non unico di una società commerciale può qualificarsi lavoratore subordinato se esiste eterodeterminazione (Cass. n. 6819/2000).

[9] Può essere anche presentata una lettura diversa come per Mazziotti dove per eterodirezione si intende l’assoggettabilità astratta, visto che comunque oggi il lavoro è più intellettuale che manuale. Trattasi quindi di una sorta di alienità del risultato e dell’organizzazione produttive (Corte Costituzionale n. 30/1996). Roccella in tal senso parla di doppia alienità dal risultato e dall’organizzazione di impresa.

[10] In realtà più recentemente con la sentenza n. 10629 del 8 maggio 2009, la Cassazione ha affermato che la determinazione tra lavoro autonomo o lavoro subordinato non dipende esclusivamente dall’assoggettamento, del lavoratore, al potere direttivo del datore. Infatti, nel caso di prestazioni estremamente semplici e ripetitive gli elementi da esaminare per individuare il tipo di rapporto sono altri: continuità e durata dell’attività, modalità di erogazione del compenso, regolamentazione dell’orario.

[11] Cass. 10313/2008 e Cass. 7881/2008.

[12] Cass. 9900/2003.

[13] Cass. 17534/2002.

[14] Cass. 5495/2006.

[15] Elemento qualificante del rapporto è l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e gerarchico, si vedano le sentenze Cass. 11880/2006 e Cass. 13956/2003.

[16] Cass. 27/11/2002 n. 16805.

[17] Cass. 12368/2007.

[18] Cass. 1442/1999.

[19] Cass. 12364/2003.

[20] Si vedano articoli 75-84 del D.lgs 276/2003.

[21] A seguito delle modifiche introdotte dal D.lgs 251/2004, la certificazione è estesa qualsiasi tipologia contrattuale di lavoro subordinato, nonché ad altre modalità di lavoro a progetto, le collaborazioni coordinante e continuative e l’associazione in partecipazione.

[22] Con nota del 29/07/2005 il Ministero del Lavoro ha negato agli enti bilaterali atipici privi del carattere della maggiore rappresentatività, l’esercizio delle prerogative degli enti bilaterali tipici.

[23] Attualmente risultano iscritte all’albo delle commissioni di certificazione universitaria le commissioni istituite nelle università di Modena, Genova, Venezia; per l’iscrizione in albo, l’università è tenuta produrre studi in merito agli indici di qualificazione dei contratti di lavoro.

[24] Circolare Ministero del Lavoro, 48/2004.

[25] La composizione della commissione che vede la presenza di persone con professionalità differenti, fa si che l’attività da essi svolta sia di natura valutativa, finalizzata ad apprezzare comparativamente gli interessi contrapposti dalle parti, datore di lavoro e lavoratore, come recita testualmente la risposta ad interpello n. 3149/2005 del Ministero del lavoro.

[26] In caso di erronea qualificazione del contratto o difformità tra il programma certificato e la sua attuazione, nonché in caso di vizi del consenso, l’organo competente è l’autorità giudiziaria, mentre in caso di violazione delle procedure ed eccesso di potere, l’organo competente è il TAR nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto.

[27] Circolare INPS n. 71/2005.

[Il presente contributo, ai sensi della Circolare Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004, ha natura personale e non impegnativa per la Pubblica Amministrazione di appartenenza, in quanto le considerazioni in esso esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autrice].

Sommario

1. Lavoro subordinato

2. Lavoro autonomo

3. Indici rilevatori

4. Certificazione

1. Lavoro subordinato

L’art. 2094 del codice civile definisce prestatore di lavoro subordinato chi “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Nel codice civile dunque non esiste una definizione di subordinazione, bensì di prestatore di lavoro subordinato ex art. 2094 cc, denominazione dalla quale si evincono indirettamente gli elementi della subordinazione riferita ad un contesto in cui prevale il lavoro a tempo indeterminato e pieno in un’impresa medio-grande, secondo una logica fordista. Se da un lato si trascura la nozione di imprenditore dell’art. 2094 cc, dall’altro anche la differenza fra operaio/impiegato va sfumando, mentre si accentua il carattere della collaborazione che assume una nuova connotazione e si concretizza in disponibilità di energie e inserimento nell’organizzazione produttiva.

Il potere direttivo, organizzativo e gerarchico che caratterizza il lavoro subordinato, può essere esercitato anche al termine della prestazione lavorativa e non solo durante le sue fasi di esecuzione.

Il lavoro subordinato è caratterizzato dall’onerosità anche presunta[1], mentre agli effetti giuridici esso si distingue soprattutto per la finalità protettiva e garantista[2] ed è caratterizzato da norme inderogabili. Nel caso di prestazioni lavorative rese tra conviventi o parenti, le prestazioni si presumono gratuite[3], ma tale presunzioni può essere vinta dalla dimostrazione dei requisiti della subordinazione e dell’onerosità, incombente sulla parte che sostiene l’esistenza del rapporto. La presunzione di gratuità sussiste anche nel caso di attività eseguita nell’ambito di un’impresa organizzata con criteri famigliari e non quando l’impresa pur avendo caratteri famigliari sia gestita con criteri imprenditoriali

Tra le principali conseguenze rilevano: un determinato trattamento fiscale e una speciale tutela previdenziale attraverso il sistema delle assicurazioni sociali, in primis inps ed Inail, nonché l’obbligo per il datore di effettuare il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi, sia per la propria parte che per quella a carico del lavoratore. Il datore ha quindi l’obbligo di registrare i lavoratori nel libro unico al fine di provare la regolarità del rapporto, provvedendo mensilmente al pagamento dei relativi contributi. Come noto il licenziamento del lavoratore può avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo al fine di assicurare una certa stabilità nel rapporto[4].

La distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, chiara ed evidente nelle astratte definizioni legislative, diventa spesso difficoltosa nelle cosiddette “zone grigie” del diritto del lavoro, ossia in quelle varie tipologie contrattuali offerte dalla prassi, in cui si riscontrano indizi sia dell’una che dell’altra. Spesso si tratta di figure contrattuali create artificiosamente allo scopo di dissimulare rapporti di lavoro subordinato e quindi di eludere la relativa disciplina (ferie, tredicesima mensilità, trattamento fine rapporto, contribuzione previdenziale).

2. Lavoro autonomo

Il lavoro subordinato o locatio operarum differisce dal rapporto di lavoro autonomo o locatio operis, trattato nel diritto commerciale. Nel lavoro autonomo infatti il requisito della subordinazione è assente e vi rientrano anche le collaborazioni ed il lavoro a progetto. Nel lavoro autonomo conta prevalentemente il risultato (cd obbligazione di risultato) mentre nel subordinato (cd obbligazione di mezzi) rilevano le energie spese. Ciò che è importante oggi sono soprattutto le modalità attuative con cui viene eseguita l’attività dedotta in contratto, piuttosto che il risultato immediato. Nel subordinato l’attività, a differenza dell’autonomo, non può essere delegata a terzi ed è continuativa. Qualsiasi attività può essere oggetto dell’uno o dell’altro rapporto[5], si pensi all’attività di un ingegnere o di un agente che rimane uguale a se stessa anche se il rapporto di lavoro cambia[6]. Nella pratica può risultare assai complesso riconoscere il vincolo della subordinazione che può assumere sfumature diverse, come ad esempio nel lavoro giornalistico.

Nell’autonomo è assente il potere direttivo, così come nella collaborazione coordinata continuativa dove non si può parlare di dipendenza rispetto al committente.

Le forme di lavoro autonomo più diffuse si estrinsecano nel contratto d’opera (es studi professionali), nel contratto di appalto (es imprese di pulizia) e nell’associazione in partecipazione, mentre la collaborazione coordinata e continuativa attiene alla parasubordinazione.

E’ possibile per un lavoratore la coesistenza di un rapporto autonomo ed uno subordinato con lo stesso datore purché le prestazioni non siano uguali o strumentali, nel caso invece di attività miste il rapporto deve essere inquadrato secondo l’attività prevalente

E’ possibile trasformare un rapporto di lavoro subordinato in autonomo anche tacitamente purché la trasformazione si davvero effettiva e non fittizia come purtroppo accade nella realtà quotidiana.

3. Indici rilevatori

La subordinazione[7] si identifica soprattutto nell’eterodirezione o subordinazione tecnico funzionale ex art. 2094 cc in ossequio alle direttive del datore ex art. 2086 cc.[8] L’eterodirezione comporta il coordinamento spaziale e temporale della prestazione[9], il lavoratore quindi è autonomo dal punto di vista tecnico-esecutivo, ma non dal punto di vista economico-organizzativo.

Il criterio di qualificazione della inferiorità economica è oggi in declino anche se nella prassi è in voga soprattutto nelle forme di sfruttamento legate alla parasubordinazione.

Particolarmente determinante è stato il contributo fornito dalla giurisprudenza, la quale ha elaborato un articolato sistema di criteri, i c.d. indici della subordinazione, il cui ordine è sostanzialmente gerarchico: 1) indici essenziali: riguardano il vincolo della subordinazione, quali l’assoggettamento al datore di lavoro tramite il potere disciplinare[10], ovvero la presenza di direttive tecniche e poteri di controllo[11], nonché l’inserimento in via continuativa e sistematica nell’organizzazione aziendale, desumibile dall’assenza di un’organizzazione imprenditoriale in capo al lavoratore e dall’assoggettamento conseguente[12]; 2) indici residuali o sintomatici: riguardano l’orario di lavoro[13], l’oggetto della prestazione, il luogo della prestazione, l’esistenza o meno di un’organizzazione d’impresa[14] da parte del lavoratore e nell’incidenza del rischio, l’esecuzione del lavoro con materiali ed attrezzature del datore, pagamento a scadenze periodiche, trattasi di elementi che possono avere soltanto la funzione di rafforzare i precedenti ma non di sostituirli.

In merito alla subordinazione rileva ricostruire la reale volontà delle parti al di là dell’abito formale attribuito dai contraenti, si tratta spesso di confini labili anche se la giurisprudenza di merito ha ormai individuato indici sussidiari di subordinazione, accanto all’assoggettamento gerarchico[15], più in generale, avremo, così come già sopra anticipato: sottoposizione al potere disciplinare, obbligo di orario, continuità e predeterminazione della prestazione, obbligo di disponibilità, fedeltà e non concorrenza del lavoratore, predefinizione del compenso, assenza del rischio per il lavoratore che impiega i mezzi del datore ed è inserito nella sua struttura, nonché attività di vigilanza e controllo del datore.

Irrilevante dunque la volontà cartolare attribuita dalle parti mentre ciò che rileva è invece l’effettivo comportamento delle parti anche successivo al contratto, infatti in caso di contratto fra volontà cartolare e volontà effettiva, prevale la seconda, con riferimento dunque al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro. Pertanto ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, il criterio del nome iuris adottato dalle parti non ha valore prevalente, dovendo la qualificazione medesima desumersi, oltre che dal dato formale, dalle concrete modalità della prestazione e di attuazione del rapporto[16]. Ciò significa che nessuno di questi indici c.d. sussidiari o accessori è da solo idoneo a costituire una scriminante tra lavoro autonomo e subordinato[17], tali criteri devono dunque essere valutati nell’ambito di un apprezzamento complessivo del rapporto, avendo riguardo alle concrete modalità di esecuzione[18], alla volontà effettiva delle parti, anche se in assenza di indici caratteristici della subordinazione, non si può prescindere dalla qualificazione attribuita dalle parti[19].

4. Certificazione

Possono essere oggetti di certificazione[20] sia i contratti di lavoro[21], sia le rinunce e transazioni ex art. 2113 cc, l’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative, la stipulazione di un contratto di appalto ex art. 1655 cc per distinguerlo dalla somministrazione di lavoro disciplinata dagli articoli 20 e ss del D.lgs 276/2003. La certificazione svolge la funzione di strumento volontario e fideifacente per le parti ed i terzi in ordine alla natura del rapporto ed ai suoi effetti.

Organi competenti sono le commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali[22], le DPL, Università[23] e fondazioni, nonché le Province. L’istanza di certificazione[24] deve essere corredata dall’originale del contratto sottoscritto dalle parti contenente i dati anagrafici e fiscali delle stesse che devono anche dichiarare che non vi sono altri procedimenti certificatori pendenti. In caso di diniego, una successiva istanza può essere proposta solo se vi sono presupposti o motivi diversi.

La commissione[25] verifica la correttezza del contratto scelto dalle parti e dove si renda necessario propone eventuali integrazioni o modifiche, quindi convoca e ascolta personalmente i contraenti, quindi redige un atto di certificazione motivato che contiene esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.

Le clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti recepiscono le indicazioni contenute negli accordi interconfederali. Il Ministero del lavoro con circolare 48/2004 ha predisposto una bozza di regolamento interno della commissione e linee guida provvisorie per i relativi compiti di certificazione.

L’atto di certificazione è provvedimento amministrativo motivato con esplicita menzione degli effetti in relazione ai quali è stato richiesto; il provvedimento è deliberato a maggioranza dei membri della commissione di certificazione e gli effetti decorrono dalla sottoscrizione. Contro l’atto di certificazione è possibile, previo esperimento del tentativo di conciliazione, far ricorso presso le autorità competenti a seconda del motivo di ricorso stesso.[26]In caso di accertamenti da parte dell’INPS[27] se emerge una discrepanza tra stato di fatto con conseguenti addebiti contributivi e quanto certificato dalla commissione, l’ente previdenziale dovrà quantificare con verbale le somme dovute ed esperire il tentativo di conciliazione presso le commissioni che dovranno eventualmente trasmettere gli atti al contenzioso.



[1] Il lavoro gratuito è considerato legittimo ma in ipotesi eccezionali. Per Santoro-Passerelli la subordinazione ha carattere tecnico, funzionale, personale, mentre Mazzoni sottolinea l’aspetto patrimoniale o soggezione socio-economica di Scogliamiglio, mentre Galantino sottolinea l’imputazione ad un terzo dell’attività svolta dal prestatore.

[2] Ghera parla infatti di Statuto protettivo dei lavoratori.

[3] Circolare INPS 179/89.

[4] Particolarmente in caso di controversia vige una disciplina volta a garantire una risoluzione celere ex art. 409 cpc.

[5] Si veda la sentenza Cass. 8569/2004.

[6] Cass. 429/84, da ultimo il D.lgs 30/06 prevede che l’esercizio di una professione possa avvenire in forma autonoma o subordinata.

[7] La natura del vincolo di subordinazione si estrinseca prevalentemente nella soggezione al potere direttivo, si vedano le sentenze di seguito citate: Cass. 28 settembre 2006 n. 21028; Cass. 25 ottobre 2004, n. 20669; Cass. 23 luglio 2004, n. 13884; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2842; Cass. 19 novembre 2003, n. 17549; Cass. 20 giugno 2003, n. 9900.

[8] Anche l’amministratore non unico di una società commerciale può qualificarsi lavoratore subordinato se esiste eterodeterminazione (Cass. n. 6819/2000).

[9] Può essere anche presentata una lettura diversa come per Mazziotti dove per eterodirezione si intende l’assoggettabilità astratta, visto che comunque oggi il lavoro è più intellettuale che manuale. Trattasi quindi di una sorta di alienità del risultato e dell’organizzazione produttive (Corte Costituzionale n. 30/1996). Roccella in tal senso parla di doppia alienità dal risultato e dall’organizzazione di impresa.

[10] In realtà più recentemente con la sentenza n. 10629 del 8 maggio 2009, la Cassazione ha affermato che la determinazione tra lavoro autonomo o lavoro subordinato non dipende esclusivamente dall’assoggettamento, del lavoratore, al potere direttivo del datore. Infatti, nel caso di prestazioni estremamente semplici e ripetitive gli elementi da esaminare per individuare il tipo di rapporto sono altri: continuità e durata dell’attività, modalità di erogazione del compenso, regolamentazione dell’orario.

[11] Cass. 10313/2008 e Cass. 7881/2008.

[12] Cass. 9900/2003.

[13] Cass. 17534/2002.

[14] Cass. 5495/2006.

[15] Elemento qualificante del rapporto è l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e gerarchico, si vedano le sentenze Cass. 11880/2006 e Cass. 13956/2003.

[16] Cass. 27/11/2002 n. 16805.

[17] Cass. 12368/2007.

[18] Cass. 1442/1999.

[19] Cass. 12364/2003.

[20] Si vedano articoli 75-84 del D.lgs 276/2003.

[21] A seguito delle modifiche introdotte dal D.lgs 251/2004, la certificazione è estesa qualsiasi tipologia contrattuale di lavoro subordinato, nonché ad altre modalità di lavoro a progetto, le collaborazioni coordinante e continuative e l’associazione in partecipazione.

[22] Con nota del 29/07/2005 il Ministero del Lavoro ha negato agli enti bilaterali atipici privi del carattere della maggiore rappresentatività, l’esercizio delle prerogative degli enti bilaterali tipici.

[23] Attualmente risultano iscritte all’albo delle commissioni di certificazione universitaria le commissioni istituite nelle università di Modena, Genova, Venezia; per l’iscrizione in albo, l’università è tenuta produrre studi in merito agli indici di qualificazione dei contratti di lavoro.

[24] Circolare Ministero del Lavoro, 48/2004.

[25] La composizione della commissione che vede la presenza di persone con professionalità differenti, fa si che l’attività da essi svolta sia di natura valutativa, finalizzata ad apprezzare comparativamente gli interessi contrapposti dalle parti, datore di lavoro e lavoratore, come recita testualmente la risposta ad interpello n. 3149/2005 del Ministero del lavoro.

[26] In caso di erronea qualificazione del contratto o difformità tra il programma certificato e la sua attuazione, nonché in caso di vizi del consenso, l’organo competente è l’autorità giudiziaria, mentre in caso di violazione delle procedure ed eccesso di potere, l’organo competente è il TAR nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto.

[27] Circolare INPS n. 71/2005.