Le differenze di quantità e qualità di merci vincolate a regimi doganali implicanti la temporanea importazione o esportazione
Le diverse fattispecie sanzionatorie previste.
Come in altri casi, anche qui il legislatore ha operato la “frammentazione” delle violazioni: le relative fattispecie, infatti, trovano disciplina in quattro diversi articoli del T.U.L.D..
Si possono, in particolare, distinguere le seguenti violazioni:
1. Differenza rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla temporanea importazione (art. 310 c. 1 T.U.L.D.).
La fattispecie stigmatizzata è integrata quando fra le merci vincolate ad un regime che ne implichi la temporanea importazione e la relativa dichiarazione doganale (la IM/5) sussista una differenza:
· di qualità.
A tal proposito, non viene operato alcun richiamo, né diretto né indiretto, a quanto previsto dall’art. 303 c. 2 lett. b) T.U.L.D. con la conseguenza che la riconducibilità delle merci ad una diversa sottovoce della voce doganale indicata in sede di dichiarazione non costituisce una causa di esclusione dell’antigiuridicità e, pertanto, non vale ad evitare l’applicazione della sanzione prevista;
· di quantità.
Diversamente da quanto sopra, qui il legislatore si è dimostrato, se non mite, per lo meno “comprensivo” introducendo in modo espresso – con previsione simile (ma non uguale) a quella di cui all’art. 303 c. 2 lett c) T.U.L.D. – una causa di esclusione dell’antigiuridicità per tutti i casi in cui la quantità accertata diverga, in eccesso o in difetto, per meno del 5% rispetto a quanto indicato in sede IM/5 (cfr. art. 310 c. 3 T.U.L.D.).
Ad ogni modo, allorché sia riscontrata una delle differenze de quibus, trova applicazione la sanzione pecuniaria amministrativa di importo compreso fra una e 10 volte l’ammontare dei diritti di confine (oltre l’I.V.A. afferente):
a) dovuti sulle merci riscontrate di qualità differente al dichiarato (in caso di differenza di qualità);
E’ necessario svolgere un veloce approfondimento su questo punto, sottolineando un aspetto molto importante ai fini della determinazione della sanzione.
Come si può comprendere anche da una disattenta lettura del testo normativo, il quantum debendi viene determinato in funzione diretta del solo ammontare dei diritti di confine (e dell’I.V.A. correlata) dovuti sulle merci di qualità differente, senza operare alcuna detrazione di quanto dovuto a medesimo titolo (e, se del caso, pagato) in base alla dichiarazione presentata.
Così, ad esempio, se in sede di IM/5 vengono dichiarati per un valore di € 1.000,00 merci classificate in una voce cui accede un dazio del 10% e le stesse vengono poi riscontrate appartenere ad una voce doganale cui accede un dazio del 12%, la sanzione pecuniaria applicabile sarà compresa fra:
- per quanto riguarda l’evasione del diritto di confine, un minimo di € 120,00 (pari al dazio del 12% sul valore doganale dichiarato) ed un massimo di € 1.200,00 (pari al decuplo del minimo);
- per quanto riguarda l’I.V.A., in misura variabile a seconda dell’applicazione dell’aliquota prevista sugli importi minimo e massimo della sanzione;
b) dovuti sulle merci riscontrate eccedenti rispetto a quelle dichiarate (in caso di differenza di quantità eccedente il dichiarato);
c) calcolati sulle merci mancanti rispetto a quanto risultante dalla dichiarazione (in caso di differenza di quantità inferiore al dichiarato).
In questo caso, si noti, la sanzione è scollegata dall’effettiva evasione tributaria in quanto la sua base di calcolo è determinata per fictio iuris sulla base dei diritti di confine (e dell’I.V.A.) che sarebbero stati dovuti sulle merci temporaneamente importate.
E’ ovvio, infatti, che se le merci temporaneamente importate risultano accertate in un quantitativo inferiore rispetto a al dichiarato, l’ammontare del debito tributario è inferiore rispetto a quanto liquidato dal dichiarante e, pertanto, l’ufficio delle dogane dovrebbe disporre una rettifica (o una revisione) della dichiarazione con conseguente restituzione, anche ex officio, dei maggiori diritti (e della maggiore I.V.A.) eventualmente corrisposta.
Proprio tale peculiarità – ma si tratta solo di una mia personale elucubrazione in relazione alla quale non si è ancora formato né un indirizzo di prassi né tantomeno un indirizzo giurisprudenziale degno di tale nome – dovrebbe determinare l’inapplicabilità della sanzione pecuniaria in caso di differenza di quantità inferiore rispetto al dichiarato.
L’art. 10 c. 3 L. 212/2000, infatti, già esaminato in sede relazione all’art. 303 T.U.L.D., dispone che “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione …omissis… si traduce in una mera violazione formale senza debito di imposta”.
Nel caso di specie, dall’accertamento di un minor quantitativo di merci temporaneamente importante rispetto a quanto risultante dalla relativa dichiarazione non può certo derivante la liquidazione di un maggior diritto di confine e di una maggiore I.V.A. correlata e, pertanto, l’errore commesso, seppur concretamente esistente dal punto di vista fenomenologico e concretante l’elemento materiale della violazione de qua, risulta essere coperto dalla causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 cit. e, dunque, non punibile.
La violazione è aggravata allorché le merci vincolate al regime implicante la temporanea importazione siano destinate ad essere riesportate “in prodotti soggetti a dazio di uscita”, ossia, nell’impropria denominazione usata dal legislatore del 1973, a dazio o prelievo agricolo in esportazione.
Tale aggravante è integrata in tutti i casi in cui i beni temporaneamente importati:
· già al momento dell’ingresso nel territorio doganale dell’Unione appartengano ad una categoria merceologica per la quale è prevista l’applicazione di un dazio o di un prelievo agricolo all’esportazione e siano riesportati “tali quali” (come nel caso dell’ammissione temporanea);
· ovvero possano essere sussunti in una di tali categorie merceologiche solo successivamente all’effettuazione di un particolare ciclo di trasformazioni o lavorazioni (come nei casi del perfezionamento attivo).
Ricorrendo tali ipotesi, secondo quanto previsto dall’art. 310 c. 1 ultimo periodo T.U.L.D., la sanzione come sopra determinata deve essere incrementata di un importo pari al dazio o al prelievo agricolo che sarebbe dovuto al momento dell’esportazione in relazione ai “prodotti corrispondenti alle quantità mancanti rispetto alla dichiarazione”, ossia prendendo a base di calcolo il valore dei “prodotti compensatori” (in senso improprio) ottenibili dalla quantità di merci dichiarata in sede di IM/5 e non riscontrata esistente.
L’aggravante, pertanto, sussiste a condizione che:
· in primis, le merci temporaneamente importate siano destinate ad essere riesportate – non importa se sotto forma di prodotti compensatori o di merci “tali quali” – e che all’atto della loro riesportazione sia applicabile un dazio o un prelievo agricolo in esportazione;
· inoltre, che venga accertata la presenza di un quantitativo di merci inferiore rispetto a quanto indicato in sede di IM/5.
Tale minore quantità costituisce base di calcolo per la determinazione del quantitativo dei “prodotti compensatori” rinvenibili il cui valore, a sua volta, costituisce base di calcolo per la determinazione del dazio o prelievo agricolo in esportazione e, dunque, per l’incremento della sanzione pecuniaria.
In realtà, anche in questo caso valgono le medesime considerazioni già sopra svolte in ordine all’applicabilità della causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000.
In particolare, è da notare che:
- trattandosi di circostanza aggravante, se tale causa di esclusione trova applicazione in ordine alla fattispecie base, risulta impossibile contestare l’aggravante per il semplice fatto che non risulta contestabile alcuna violazione amministrativa;
- in ogni caso, l’art. 10 c. 3 L. 212/2000 dovrebbe, sempre a mio sommesso avviso, poter trovare applicazione anche in relazione alla sola aggravante e ciò per una ragione invero abbastanza semplice: dal riscontro di un quantitivo di merce temporaneamente importata inferiore rispetto a quanto indicato nella dichiarazione IM/5 deriva, nella normalità dei casi, la produzione di un quantitativo di merci in riesportazione inferiore rispetto a quanto preventivato.
Pertanto, se queste ultime sono soggette a dazio o prelievo agricolo in esportazione e ne viene riesportata una quantità inferiore rispetto a quella inizialmente prevista, non potrà generarsi alcun maggiore debito tributario ma, all’opposto, l’ammontare dei dazi e dei prelievi agricoli dovuti al momento della riesportazione sarà inferiore rispetto a quanto previsto e, dunque, risulterà comunque integrato il presupposto di applicazione dell’art. 10 c. 3 cit..
La sanzione è, invece, ridotta ad una misura compresa fra 1/10 e l’intero ammontare dei diritti di confine (e dell’I.V.A. afferente) dovuti allorché sussista la prova che l’inesattezza della dichiarazione sia conseguenza di errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.).
Tale attenuante trova applicazione anche in concorso alla sopra vista aggravante con la conseguenza che, in tal caso, ai fini della determinazione del quantum debendi, occorre procedere:
- anzitutto al calcolo dei diritti di confine (e dell’I.V.A.) dovuti sulle merci di qualità differente rispetto a quella dichiarata o su quelle eccedenti o mancanti, a seconda dei casi;
- in secondo luogo, aggiungere a detta somma l’ammontare dei “dazi in uscita” dovuti sulle merci mancanti.
La somma così ottenuta costituirà il limite massimo della sanzione pecuniaria attenuata ex art. 314 T.U.L.D.; il limite minimo, ovviamente, sarà pari ad 1/10 di questo valore.
2. Differenza rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla temporanea esportazione (art. 310 c. 2 T.U.L.D.).
La seconda fattispecie punitiva – (quasi) esatto opposto della precedente - è integrata quando fra le merci vincolate ad un regime doganale che ne implichi la temporanea esportazione e la relativa dichiarazione (ossia la EX/2) sussista una differenza:
· di qualità, ed anche in questo caso senza che possa trovare applicazione alcuna causa di esclusione dell’antigiuridicità;
· di quantità.
Come sopra, affinché la violazione sia integrata è necessario che fra la differenza di quantità riscontrata, non importa se in più o in meno, sia superiore al 5% di quella indicata nell’EX/2 (cfr. art. 310 c. 3 T.U.L.D.).
La sanzione applicabile è di importo compreso fra una e 10 volte la differenza fra:
· i “diritti di entrata”, ossia i dazi all’importazione ed i prelievi agricoli, oltre alle eventuali sovrimposte di confine (le accise) secondo quanto previsto dall’art. 34 c. 2 T.U.L.D., dovuti al momento della reimportazione di merci identiche per quantità e qualità rispetto a quelle accertate;
· e quelli che sarebbero dovuti al momento della reimportazione delle merci dichiarate in sede di EX/2, e considerate, per fictio iuris, quali non comunitarie.
Come sempre, il calcolo di cui sopra – con correlata applicazione della sanzione – dovrà essere effettuato anche in relazione all’I.V.A. correlata[1].
Come ictu oculi evidente, rispetto al caso precedente vi sono alcune macroscopiche differenze:
· anzitutto, la modalità di determinazione del quantum debendi non varia a seconda che si tratti di differenza di quantità o qualità;
· inoltre, qui la sanzione viene determinata in via differenziale, ossia sottraendo dai diritti di confine (e dall’I.V.A.) che sarebbero dovuti al momento della reimportazione di merci omologhe a quelle riscontrate in sede di accertamento, quelli dovuti al momento della reimportazione delle merci dichiarate (e fittiziamente considerate non comunitarie).
Nondimeno, anche in questo caso, a mio avviso e sempre fatte salve le osservazioni già sopra svolte in ordine alla non rinvenibilità, al momento attuale, di alcuna prassi o indirizzo giurisprudenziale in senso né conforme né contrario, allorché venga accertata l’esistenza:
- di un quantitativo di merci inferiore rispetto a quello indicato nella dichiarazione EX/2;
- ovvero merci di qualità differente ed assoggettate ad un dazio di importazione inferiore (o uguale) rispetto a quello indicato nella dichiarazione doganale;
è chiaro che non sussiste alcun tentativo di frode nei confronti dell’erario e ciò per il semplice fatto che, qualora tale differenza non venisse scoperta, al momento della reimportazione il titolare del regime si troverebbe vincolato ad una dichiarazione avente ad oggetto merci su cui è (teoricamente) applicabile un dazio superiore (o per lo meno uguale) rispetto a quello realmente dovuto.
Risulterebbe pertanto chiara l’assenza di un maggiore debito d’imposta con conseguente applicabilità della causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000 già sopra meglio esaminata.
La fattispecie è aggravata quando le merci destinate alla temporanea esportazione sono soggette ad un “dazio in uscita” (ossia, come già visto in precedenza, ad un dazio o ad un prelievo agricolo all’esportazione) e ciò per l’ovvia ragione che, in tal caso, il dichiarante potrebbe evadere non solo i diritti di confine dovuti al momento della successiva reimportazione, ma anche quelli previsti per la previa esportazione verso uno Stato terzo.
Ricorrendo tale ipotesi (cfr. art. 310 c. 2 ultimo periodo T.U.L.D.), la sanzione pecuniaria è incrementata di un importo pari al dazio o al prelievo agricolo dovuto per l’esportazione “commisurato sulle differenze accertate rispetto alla dichiarazione”, ossia in relazione al valore delle merci non dichiarate (ovvero dichiarate con una voce diversa) in sede di EX/2.
E’ chiaro che in tutti i casi in cui la differenza fra l’accertato ed il dichiarato consista:
· in un minore quantitativo di merci effettivamente esportate rispetto a quanto indicato nella dichiarazione EX/2;
· ovvero nella temporanea esportazione di merci per le quali è applicabile un dazio o un prelievo agricolo all’esportazione inferiore (o uguale) rispetto a quello dovuto in base alla dichiarazione EX/2;
l’Ufficio delle Dogane non potrà in alcun caso constatare l’aggravante de qua per il semplice fatto che il dichiarante, in realtà, ha già corrisposto un ammontare complessivo di diritti di confine in esportazione superiore al dovuto, con conseguente piena applicabilità della causa di esclusione di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000. Anzi, l’Ufficio dovrà procedere alla rettifica della dichiarazione ed alla restituzione dei dazi e dei prelievi agricoli erroneamente corrisposti in eccesso da parte del dichiarante.
Anche in questo caso trova applicazione l’attenuante di cui all’art. 314 T.U.L.D. nei casi in cui sia fornita la prova che l’inesattezza sia dovuta ad errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.).
Come visto sopra, l’attenuante può concorrere con l’aggravante appena descritta.
3. Differenze di qualità nella riesportazione a scarico di una temporanea importazione (art. 311 T.U.L.D.).
Tale violazione può essere integrata solo in un momento successivo rispetto a quelle di cui ai punti precedenti, in quanto il suo elemento materiale è costituito da una differenza di qualità fra le merci presentate per la riesportazione rispetto a quelle che avrebbero dovuto essere riesportate.
E’ utile sottolineare come non sempre debba essere operato un paragone fra le merci in via di riesportazione (per le quali viene presentata la dichiarazione EX/3) e quelle precedentemente temporaneamente importate, e ciò a causa del diverso funzionamento dei vari regimi doganali di temporanea importazione:
· nel caso di perfeziomento attivo, oggetto di riesportazione sono i c.d. “prodotti compensatori”, ossia merci diverse rispetto a quelle temporaneamente importate (classificabili in voci doganali e con caratteristiche e quantità differenti rispetto a quelle “entrate”).
Il confronto, in un simile caso, deve essere operato fra le merci presentate per la riesportazione e quelle che avrebbero dovuto essere riesportate in applicazione delle disposizioni (non solo normative ma anche tecniche) e delle prescrizioni emanate in relazione al regime doganale autorizzato.
Nel caso di specie, dunque, somma importanza rivestono sia la domanda di autorizzazione, da redigere secondo le modalità di cui all’art. 497 D.A.C. (ossia con impiego del modello di cui all’allegato 67 al D.A.C. o, nei casi previsti, direttamente con la dichiarazione doganale) sia – soprattutto – il provvedimento aurotizzatorio che deve contenere:
- il tasso di rendimento o l’indicazione del metodo da seguire per la sua determinazione (cfr. art. 517 c. 1 D.A.C.)
- il termine entro il quale il regime deve essere appurato (cfr. art. 542 D.A.C.);
· in caso di ammissione temporanea, invece, le merci riesportate devono essere quelle – ed esattamente quelle – temporaneamente importate e, pertanto, il raffronto può essere effettuato con la EX/2 (tenendo comunque conto che nulla vieta che la riesportazione venga effettuata in tranches o che parte o tutta la merce temporaneamente ammessa venga poi definitivamente importata previa presentazione di idonea dichiarazione).
Indipendentemente dalle precisazioni di cui sopra, la violazione è integrata in tutti i casi in cui sussista una difformità qualitativa:
· fra le merci effettivamente presentate per la riesportazione e quelle che avrebbero dovuto essere riesportate (secondo quanto sopra visto).
· o fra quanto effettivamente presentato per la riesportazione e quanto indicato nella dichiarazione EX/3.
La sanzione applicabile è, in tali casi, di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti di confine “dovuti sulle merci importate temporaneamente in luogo delle quali ne sono presentate altre” ossia, in sostanza, non sulle merci presentate alla riesportazione ma su quelle che avrebbero dovuto essere presentate (ossia, in sostanza, su quelle temporaneamente importate e mai riesportate).
La ragione per la quale la base di calcolo della sanzione è determinata in tale maniera è di chiara evidenza: la mancata presentazione alla riesportazione delle merci determina una presunzione di loro immissione in consumo ex art. 36 c. 5 T.U.L.D..
Nei confronti del dichiarante in temporanea importazione, pertanto, l’Ufficio delle Dogane procederà al recupero dei diritti di confine dovuti (se già non pagati in precedenza, ovviamente), mentre a carico del dichiarante in sede di riesportazione (che nella maggioranza dei casi è lo stesso) constaterà la violazione de qua indicando l’applicabilità della sanzione determinata con le modalità di cui sopra.
In alcuni casi, con questa concorre l’omologa violazione in materia di I.V.A., ai sensi di quanto previsto dagli artt. 69 e 70 d.P.R. 633/1972: in particolare, ciò accade in tutti casi in cui la temporanea importazione viene assoggettata ad I.V.A. ai sensi dell’art. 67 del medesimo d.P.R..
La violazione è aggravata nei casi in cui sulle merci presentate per la riesportazione gravino dazi o prelievi agricoli in esportazione: in tali ipotesi, oltre alla sanzione di cui sopra, se ne applica un’altra (rectius: se ne maggiora il quantum debendi)[2] di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti o i prelievi agricoli dovuti per l’esportazione.
L’aggravante, a mio avviso, è contestabile nei soli casi in cui le merci vengano dichiarate come appartenenti ad una qualità che comporti l’applicazione di un dazio o un prelievo agricolo in esportazione inferiore rispetto a quello realmente dovuto. In caso contrario, infatti, dovrebbe trovare applicazione la causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000.
Al pari dei casi precedenti, anche qui la sanzione è ridotta ad una misura compresa fra 1/10 e l’intero ammontare dei diritti di confine dovuti (e dell’I.V.A. afferente) allorché venga fornita la prova che l’inesattezza sia dovuta ad errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.). Detta circostanza attenuante può concorrere con l’aggravante appena esaminata.
4. Differenze di qualità nella reimportazione a scarico di una temporanea esportazione (art. 312 T.U.L.D.).
La fattispecie, opposta alla precedente, è integrata in tutti i casi in cui sia accertata una differenza di qualità fra le merci presentate per la reimportazione e quelle che avrebbero dovuto essere reimportate.
Anche in questo caso si deve sottolineare come non sempre le merci in reimportazione (dichiarate con la IM/6) debbano essere poste in raffronto con quelle precedentemente temporaneamente esportate in quanto vi sono dei casi – come nel perfezionamento passivo – in cui oggetto di reimportazione sono i c.d. “prodotti compensatori”, ossia merci differenti rispetto a quelle in precedenza esportate.
Fatte quindi le stesse precisazioni di cui al punto precedente, la violazione risulta integrata allorché si riscontri una differenza qualitativa:
· fra le merci effettivamente presentate per la reimportazione e quelle che avrebbero dovuto essere reimportate;
· o fra le merci effettivamente presentate per la reimportazione e quanto indicato nella dichiarazione IM/6.
La sanzione è di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti di confine “dovuti sulle merci trovate di qualità diversa”, ossia sulle merci accertate qualitativamente difformi rispetto a quanto previsto.
Al, tale violazione concorre con quella conseguente al mancato pagamento dell’I.V.A. [3], alla quale è legata da un chiaro concorso formale.
Anche in questo caso, a mio avviso allorché le merci presentate siano soggette a dazi o prelievi agricoli all’importazione inferiori rispetto a quelli risultanti dalla dichiarazione IM/6 nonché inferiori rispetto a quelli che sarebbero dovuti sulle merci che avrebbero dovuto essere effettivamente reimportate, troverà applicazione la causa di esclusione di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000 e, pertanto, non potrà essere constata alcuna violazione.
La fattispecie è aggravata se le merci (in allora) temporaneamente esportate erano soggette a dazi o prelievi agricoli in esportazione: in tali ipotesi, infatti, oltre alle sopra viste sanzioni, se ne applica un’altra (rectius: se ne maggiora il quantum debendi)[4] di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti o i prelievi agricoli dovuti per l’esportazione.
Anche in questo caso, la sanzione è ridotta ad un importo compreso fra 1/10 e l’intero ammontare dei diritti di confine (e dell’I.V.A. afferente) dovuti allorché sia provato che l’inesattezza derivi da errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.).
5. Differenze di quantità rispetto alla dichiarazione di riesportazione o di reimportazione (art. 313 T.U.L.D.).
Le violazioni di cui ai precedenti artt. 311 e 312 cit. concernono le differenze di qualità in relazione alle merci riesportate o reimportate.
Le differenze di quantità, invece, allorché siano superiori al 5% rispetto a quanto dichiarato trovano compiuta disciplina all’art. 313 T.U.L.D. in virtù del quale deve essere applicata una sanzione pecuniaria:
· in caso di riesportazione, di importo compreso fra 1 e 10 volte:
- i “diritti di entrata” (dazi all’importazione, prelievi agricoli e sovrimposte di confine, secondo quanto previsto dall’art. 34 c. 2 T.U.L.D.) dovuti sulle merci mancanti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione EX/3;
- ovvero i “diritti di uscita” dovuti sulle merci eccedenti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione EX/3;
· in caso di reimportazione, di importo compreso fra 1 e 10 volte:
- i “diritti di entrata” dovuti sulle merci eccedenti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione IM/6;
- ovvero i “diritti di uscita” dovuti sulle merci mancanti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione IM/6.
E’ importante sottolineare come, a differenza dei sopra visti casi di differenza di qualità, laddove il tertium comparationis non è sempre dato da quanto indicato nella dichiarazione IM/6 o EX/3 ma anche da quanto avrebbe dovuto essere oggetto di reimportazione o riesportazione sulla base del regime doganale approvato, qui il confronto per la determinazione della differenza deve essere operato fra la situazione accertata in sede di visita merci o di controllo documentale e quanto indicato nelle dichiarazioni IM/6 o EX/3.
[2] Nel redigere il testo dell’art. 311 c. 2 T.U.L.D. il legislatore è in realtà caduto in un palese errore lessicale laddove ha testualmente disposto che “si applica inoltre la sanzione amministrativa” de qua.
Le parole usate, infatti, lasciano intendere la presenza di una ulteriore violazione amministrativa, differente dalla precedente (rectius: dalle precedenti, visto che il mancato assolvimento dell’I.V.A. integra una violazione a sé stante) per la quale è prevista l’irrogazione di una sanzione specifica.
Da ciò deriverebbe l’applicabilità dell’istituto del concorso formale delle violazioni con conseguente rideterminazione della sanzione complessiva in applicazione della disciplina del cumulo giuridico.
In realtà, così non è. Nonostante le confuse parole usate dal legislatore, è chiaro come nel caso di specie non si abbia alcuna ulteriore violazione ma semplicemente una rideterminazione del quantum della sanzione dovuta a titolo di mancato assolvimento dei diritti di confine.
In sede di redazione del p.v.c., pertanto, il funzionario doganale provvederà a constatare la commissione di due violazioni:
· una ex art. 311 T.U.L.D. determinata in un importo unico calcolato in parte secondo quanto indicato nel c. 1 e, in parte, secondo quanto indicato nel c. 2;
· la seconda, ex artt. 69 e 70 d.P.R. 633/1970 e 311 T.U.L.D. per un importo compreso fra 2 e 10 volte l’I.V.A. dovuta sul valore doganale delle merci accertate qualitativamente difformi maggiorato dei correlati diritti di confine. Nella base di calcolo non dovranno rientrare anche i dazi ed i prelievi agricoli eventualmente dovuti per la riesportazione delle merci presentate per l’ovvia ragione che, come noto, le cessioni all’esportazione sono ex lege non imponibili (art. 8 e ss. d.P.R. 633/1972) e che, pertanto, se le merci di cui si tratta fossero state correttamente dichiarate l’esportatore avrebbe comunque dovuto corrispondere i soli dazi o prelievi agricoli all’esportazione, e non certo anche l’I.V.A. a questi afferente.
[3] Come già visto, la reimportazione a scarico di temporanea esportazione, infatti, genera materia imponibile I.V.A. ai sensi dell’art. 67 c. 2 d.P.R. 633/1972.
[4] Anche in questo caso, il testo dell’art. 312 c. 2 T.U.L.D. è affetto da un palese vizio sistematico laddove dispone che “si applica inoltre la sanzione amministrativa” de qua.
Le parole usate, come già visto, lasciano intendere la presenza di una ulteriore violazione amministrativa in realtà inesistente. E’ infatti chiaro come nel caso di specie non si abbia alcuna ulteriore violazione ma semplicemente una rideterminazione del quantum della sanzione dovuta a titolo di mancato assolvimento dei diritti di confine..
Le diverse fattispecie sanzionatorie previste.
Come in altri casi, anche qui il legislatore ha operato la “frammentazione” delle violazioni: le relative fattispecie, infatti, trovano disciplina in quattro diversi articoli del T.U.L.D..
Si possono, in particolare, distinguere le seguenti violazioni:
1. Differenza rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla temporanea importazione (art. 310 c. 1 T.U.L.D.).
La fattispecie stigmatizzata è integrata quando fra le merci vincolate ad un regime che ne implichi la temporanea importazione e la relativa dichiarazione doganale (la IM/5) sussista una differenza:
· di qualità.
A tal proposito, non viene operato alcun richiamo, né diretto né indiretto, a quanto previsto dall’art. 303 c. 2 lett. b) T.U.L.D. con la conseguenza che la riconducibilità delle merci ad una diversa sottovoce della voce doganale indicata in sede di dichiarazione non costituisce una causa di esclusione dell’antigiuridicità e, pertanto, non vale ad evitare l’applicazione della sanzione prevista;
· di quantità.
Diversamente da quanto sopra, qui il legislatore si è dimostrato, se non mite, per lo meno “comprensivo” introducendo in modo espresso – con previsione simile (ma non uguale) a quella di cui all’art. 303 c. 2 lett c) T.U.L.D. – una causa di esclusione dell’antigiuridicità per tutti i casi in cui la quantità accertata diverga, in eccesso o in difetto, per meno del 5% rispetto a quanto indicato in sede IM/5 (cfr. art. 310 c. 3 T.U.L.D.).
Ad ogni modo, allorché sia riscontrata una delle differenze de quibus, trova applicazione la sanzione pecuniaria amministrativa di importo compreso fra una e 10 volte l’ammontare dei diritti di confine (oltre l’I.V.A. afferente):
a) dovuti sulle merci riscontrate di qualità differente al dichiarato (in caso di differenza di qualità);
E’ necessario svolgere un veloce approfondimento su questo punto, sottolineando un aspetto molto importante ai fini della determinazione della sanzione.
Come si può comprendere anche da una disattenta lettura del testo normativo, il quantum debendi viene determinato in funzione diretta del solo ammontare dei diritti di confine (e dell’I.V.A. correlata) dovuti sulle merci di qualità differente, senza operare alcuna detrazione di quanto dovuto a medesimo titolo (e, se del caso, pagato) in base alla dichiarazione presentata.
Così, ad esempio, se in sede di IM/5 vengono dichiarati per un valore di € 1.000,00 merci classificate in una voce cui accede un dazio del 10% e le stesse vengono poi riscontrate appartenere ad una voce doganale cui accede un dazio del 12%, la sanzione pecuniaria applicabile sarà compresa fra:
- per quanto riguarda l’evasione del diritto di confine, un minimo di € 120,00 (pari al dazio del 12% sul valore doganale dichiarato) ed un massimo di € 1.200,00 (pari al decuplo del minimo);
- per quanto riguarda l’I.V.A., in misura variabile a seconda dell’applicazione dell’aliquota prevista sugli importi minimo e massimo della sanzione;
b) dovuti sulle merci riscontrate eccedenti rispetto a quelle dichiarate (in caso di differenza di quantità eccedente il dichiarato);
c) calcolati sulle merci mancanti rispetto a quanto risultante dalla dichiarazione (in caso di differenza di quantità inferiore al dichiarato).
In questo caso, si noti, la sanzione è scollegata dall’effettiva evasione tributaria in quanto la sua base di calcolo è determinata per fictio iuris sulla base dei diritti di confine (e dell’I.V.A.) che sarebbero stati dovuti sulle merci temporaneamente importate.
E’ ovvio, infatti, che se le merci temporaneamente importate risultano accertate in un quantitativo inferiore rispetto a al dichiarato, l’ammontare del debito tributario è inferiore rispetto a quanto liquidato dal dichiarante e, pertanto, l’ufficio delle dogane dovrebbe disporre una rettifica (o una revisione) della dichiarazione con conseguente restituzione, anche ex officio, dei maggiori diritti (e della maggiore I.V.A.) eventualmente corrisposta.
Proprio tale peculiarità – ma si tratta solo di una mia personale elucubrazione in relazione alla quale non si è ancora formato né un indirizzo di prassi né tantomeno un indirizzo giurisprudenziale degno di tale nome – dovrebbe determinare l’inapplicabilità della sanzione pecuniaria in caso di differenza di quantità inferiore rispetto al dichiarato.
L’art. 10 c. 3 L. 212/2000, infatti, già esaminato in sede relazione all’art. 303 T.U.L.D., dispone che “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione …omissis… si traduce in una mera violazione formale senza debito di imposta”.
Nel caso di specie, dall’accertamento di un minor quantitativo di merci temporaneamente importante rispetto a quanto risultante dalla relativa dichiarazione non può certo derivante la liquidazione di un maggior diritto di confine e di una maggiore I.V.A. correlata e, pertanto, l’errore commesso, seppur concretamente esistente dal punto di vista fenomenologico e concretante l’elemento materiale della violazione de qua, risulta essere coperto dalla causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 cit. e, dunque, non punibile.
La violazione è aggravata allorché le merci vincolate al regime implicante la temporanea importazione siano destinate ad essere riesportate “in prodotti soggetti a dazio di uscita”, ossia, nell’impropria denominazione usata dal legislatore del 1973, a dazio o prelievo agricolo in esportazione.
Tale aggravante è integrata in tutti i casi in cui i beni temporaneamente importati:
· già al momento dell’ingresso nel territorio doganale dell’Unione appartengano ad una categoria merceologica per la quale è prevista l’applicazione di un dazio o di un prelievo agricolo all’esportazione e siano riesportati “tali quali” (come nel caso dell’ammissione temporanea);
· ovvero possano essere sussunti in una di tali categorie merceologiche solo successivamente all’effettuazione di un particolare ciclo di trasformazioni o lavorazioni (come nei casi del perfezionamento attivo).
Ricorrendo tali ipotesi, secondo quanto previsto dall’art. 310 c. 1 ultimo periodo T.U.L.D., la sanzione come sopra determinata deve essere incrementata di un importo pari al dazio o al prelievo agricolo che sarebbe dovuto al momento dell’esportazione in relazione ai “prodotti corrispondenti alle quantità mancanti rispetto alla dichiarazione”, ossia prendendo a base di calcolo il valore dei “prodotti compensatori” (in senso improprio) ottenibili dalla quantità di merci dichiarata in sede di IM/5 e non riscontrata esistente.
L’aggravante, pertanto, sussiste a condizione che:
· in primis, le merci temporaneamente importate siano destinate ad essere riesportate – non importa se sotto forma di prodotti compensatori o di merci “tali quali” – e che all’atto della loro riesportazione sia applicabile un dazio o un prelievo agricolo in esportazione;
· inoltre, che venga accertata la presenza di un quantitativo di merci inferiore rispetto a quanto indicato in sede di IM/5.
Tale minore quantità costituisce base di calcolo per la determinazione del quantitativo dei “prodotti compensatori” rinvenibili il cui valore, a sua volta, costituisce base di calcolo per la determinazione del dazio o prelievo agricolo in esportazione e, dunque, per l’incremento della sanzione pecuniaria.
In realtà, anche in questo caso valgono le medesime considerazioni già sopra svolte in ordine all’applicabilità della causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000.
In particolare, è da notare che:
- trattandosi di circostanza aggravante, se tale causa di esclusione trova applicazione in ordine alla fattispecie base, risulta impossibile contestare l’aggravante per il semplice fatto che non risulta contestabile alcuna violazione amministrativa;
- in ogni caso, l’art. 10 c. 3 L. 212/2000 dovrebbe, sempre a mio sommesso avviso, poter trovare applicazione anche in relazione alla sola aggravante e ciò per una ragione invero abbastanza semplice: dal riscontro di un quantitivo di merce temporaneamente importata inferiore rispetto a quanto indicato nella dichiarazione IM/5 deriva, nella normalità dei casi, la produzione di un quantitativo di merci in riesportazione inferiore rispetto a quanto preventivato.
Pertanto, se queste ultime sono soggette a dazio o prelievo agricolo in esportazione e ne viene riesportata una quantità inferiore rispetto a quella inizialmente prevista, non potrà generarsi alcun maggiore debito tributario ma, all’opposto, l’ammontare dei dazi e dei prelievi agricoli dovuti al momento della riesportazione sarà inferiore rispetto a quanto previsto e, dunque, risulterà comunque integrato il presupposto di applicazione dell’art. 10 c. 3 cit..
La sanzione è, invece, ridotta ad una misura compresa fra 1/10 e l’intero ammontare dei diritti di confine (e dell’I.V.A. afferente) dovuti allorché sussista la prova che l’inesattezza della dichiarazione sia conseguenza di errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.).
Tale attenuante trova applicazione anche in concorso alla sopra vista aggravante con la conseguenza che, in tal caso, ai fini della determinazione del quantum debendi, occorre procedere:
- anzitutto al calcolo dei diritti di confine (e dell’I.V.A.) dovuti sulle merci di qualità differente rispetto a quella dichiarata o su quelle eccedenti o mancanti, a seconda dei casi;
- in secondo luogo, aggiungere a detta somma l’ammontare dei “dazi in uscita” dovuti sulle merci mancanti.
La somma così ottenuta costituirà il limite massimo della sanzione pecuniaria attenuata ex art. 314 T.U.L.D.; il limite minimo, ovviamente, sarà pari ad 1/10 di questo valore.
2. Differenza rispetto alla dichiarazione di merci destinate alla temporanea esportazione (art. 310 c. 2 T.U.L.D.).
La seconda fattispecie punitiva – (quasi) esatto opposto della precedente - è integrata quando fra le merci vincolate ad un regime doganale che ne implichi la temporanea esportazione e la relativa dichiarazione (ossia la EX/2) sussista una differenza:
· di qualità, ed anche in questo caso senza che possa trovare applicazione alcuna causa di esclusione dell’antigiuridicità;
· di quantità.
Come sopra, affinché la violazione sia integrata è necessario che fra la differenza di quantità riscontrata, non importa se in più o in meno, sia superiore al 5% di quella indicata nell’EX/2 (cfr. art. 310 c. 3 T.U.L.D.).
La sanzione applicabile è di importo compreso fra una e 10 volte la differenza fra:
· i “diritti di entrata”, ossia i dazi all’importazione ed i prelievi agricoli, oltre alle eventuali sovrimposte di confine (le accise) secondo quanto previsto dall’art. 34 c. 2 T.U.L.D., dovuti al momento della reimportazione di merci identiche per quantità e qualità rispetto a quelle accertate;
· e quelli che sarebbero dovuti al momento della reimportazione delle merci dichiarate in sede di EX/2, e considerate, per fictio iuris, quali non comunitarie.
Come sempre, il calcolo di cui sopra – con correlata applicazione della sanzione – dovrà essere effettuato anche in relazione all’I.V.A. correlata[1].
Come ictu oculi evidente, rispetto al caso precedente vi sono alcune macroscopiche differenze:
· anzitutto, la modalità di determinazione del quantum debendi non varia a seconda che si tratti di differenza di quantità o qualità;
· inoltre, qui la sanzione viene determinata in via differenziale, ossia sottraendo dai diritti di confine (e dall’I.V.A.) che sarebbero dovuti al momento della reimportazione di merci omologhe a quelle riscontrate in sede di accertamento, quelli dovuti al momento della reimportazione delle merci dichiarate (e fittiziamente considerate non comunitarie).
Nondimeno, anche in questo caso, a mio avviso e sempre fatte salve le osservazioni già sopra svolte in ordine alla non rinvenibilità, al momento attuale, di alcuna prassi o indirizzo giurisprudenziale in senso né conforme né contrario, allorché venga accertata l’esistenza:
- di un quantitativo di merci inferiore rispetto a quello indicato nella dichiarazione EX/2;
- ovvero merci di qualità differente ed assoggettate ad un dazio di importazione inferiore (o uguale) rispetto a quello indicato nella dichiarazione doganale;
è chiaro che non sussiste alcun tentativo di frode nei confronti dell’erario e ciò per il semplice fatto che, qualora tale differenza non venisse scoperta, al momento della reimportazione il titolare del regime si troverebbe vincolato ad una dichiarazione avente ad oggetto merci su cui è (teoricamente) applicabile un dazio superiore (o per lo meno uguale) rispetto a quello realmente dovuto.
Risulterebbe pertanto chiara l’assenza di un maggiore debito d’imposta con conseguente applicabilità della causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000 già sopra meglio esaminata.
La fattispecie è aggravata quando le merci destinate alla temporanea esportazione sono soggette ad un “dazio in uscita” (ossia, come già visto in precedenza, ad un dazio o ad un prelievo agricolo all’esportazione) e ciò per l’ovvia ragione che, in tal caso, il dichiarante potrebbe evadere non solo i diritti di confine dovuti al momento della successiva reimportazione, ma anche quelli previsti per la previa esportazione verso uno Stato terzo.
Ricorrendo tale ipotesi (cfr. art. 310 c. 2 ultimo periodo T.U.L.D.), la sanzione pecuniaria è incrementata di un importo pari al dazio o al prelievo agricolo dovuto per l’esportazione “commisurato sulle differenze accertate rispetto alla dichiarazione”, ossia in relazione al valore delle merci non dichiarate (ovvero dichiarate con una voce diversa) in sede di EX/2.
E’ chiaro che in tutti i casi in cui la differenza fra l’accertato ed il dichiarato consista:
· in un minore quantitativo di merci effettivamente esportate rispetto a quanto indicato nella dichiarazione EX/2;
· ovvero nella temporanea esportazione di merci per le quali è applicabile un dazio o un prelievo agricolo all’esportazione inferiore (o uguale) rispetto a quello dovuto in base alla dichiarazione EX/2;
l’Ufficio delle Dogane non potrà in alcun caso constatare l’aggravante de qua per il semplice fatto che il dichiarante, in realtà, ha già corrisposto un ammontare complessivo di diritti di confine in esportazione superiore al dovuto, con conseguente piena applicabilità della causa di esclusione di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000. Anzi, l’Ufficio dovrà procedere alla rettifica della dichiarazione ed alla restituzione dei dazi e dei prelievi agricoli erroneamente corrisposti in eccesso da parte del dichiarante.
Anche in questo caso trova applicazione l’attenuante di cui all’art. 314 T.U.L.D. nei casi in cui sia fornita la prova che l’inesattezza sia dovuta ad errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.).
Come visto sopra, l’attenuante può concorrere con l’aggravante appena descritta.
3. Differenze di qualità nella riesportazione a scarico di una temporanea importazione (art. 311 T.U.L.D.).
Tale violazione può essere integrata solo in un momento successivo rispetto a quelle di cui ai punti precedenti, in quanto il suo elemento materiale è costituito da una differenza di qualità fra le merci presentate per la riesportazione rispetto a quelle che avrebbero dovuto essere riesportate.
E’ utile sottolineare come non sempre debba essere operato un paragone fra le merci in via di riesportazione (per le quali viene presentata la dichiarazione EX/3) e quelle precedentemente temporaneamente importate, e ciò a causa del diverso funzionamento dei vari regimi doganali di temporanea importazione:
· nel caso di perfeziomento attivo, oggetto di riesportazione sono i c.d. “prodotti compensatori”, ossia merci diverse rispetto a quelle temporaneamente importate (classificabili in voci doganali e con caratteristiche e quantità differenti rispetto a quelle “entrate”).
Il confronto, in un simile caso, deve essere operato fra le merci presentate per la riesportazione e quelle che avrebbero dovuto essere riesportate in applicazione delle disposizioni (non solo normative ma anche tecniche) e delle prescrizioni emanate in relazione al regime doganale autorizzato.
Nel caso di specie, dunque, somma importanza rivestono sia la domanda di autorizzazione, da redigere secondo le modalità di cui all’art. 497 D.A.C. (ossia con impiego del modello di cui all’allegato 67 al D.A.C. o, nei casi previsti, direttamente con la dichiarazione doganale) sia – soprattutto – il provvedimento aurotizzatorio che deve contenere:
- il tasso di rendimento o l’indicazione del metodo da seguire per la sua determinazione (cfr. art. 517 c. 1 D.A.C.)
- il termine entro il quale il regime deve essere appurato (cfr. art. 542 D.A.C.);
· in caso di ammissione temporanea, invece, le merci riesportate devono essere quelle – ed esattamente quelle – temporaneamente importate e, pertanto, il raffronto può essere effettuato con la EX/2 (tenendo comunque conto che nulla vieta che la riesportazione venga effettuata in tranches o che parte o tutta la merce temporaneamente ammessa venga poi definitivamente importata previa presentazione di idonea dichiarazione).
Indipendentemente dalle precisazioni di cui sopra, la violazione è integrata in tutti i casi in cui sussista una difformità qualitativa:
· fra le merci effettivamente presentate per la riesportazione e quelle che avrebbero dovuto essere riesportate (secondo quanto sopra visto).
· o fra quanto effettivamente presentato per la riesportazione e quanto indicato nella dichiarazione EX/3.
La sanzione applicabile è, in tali casi, di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti di confine “dovuti sulle merci importate temporaneamente in luogo delle quali ne sono presentate altre” ossia, in sostanza, non sulle merci presentate alla riesportazione ma su quelle che avrebbero dovuto essere presentate (ossia, in sostanza, su quelle temporaneamente importate e mai riesportate).
La ragione per la quale la base di calcolo della sanzione è determinata in tale maniera è di chiara evidenza: la mancata presentazione alla riesportazione delle merci determina una presunzione di loro immissione in consumo ex art. 36 c. 5 T.U.L.D..
Nei confronti del dichiarante in temporanea importazione, pertanto, l’Ufficio delle Dogane procederà al recupero dei diritti di confine dovuti (se già non pagati in precedenza, ovviamente), mentre a carico del dichiarante in sede di riesportazione (che nella maggioranza dei casi è lo stesso) constaterà la violazione de qua indicando l’applicabilità della sanzione determinata con le modalità di cui sopra.
In alcuni casi, con questa concorre l’omologa violazione in materia di I.V.A., ai sensi di quanto previsto dagli artt. 69 e 70 d.P.R. 633/1972: in particolare, ciò accade in tutti casi in cui la temporanea importazione viene assoggettata ad I.V.A. ai sensi dell’art. 67 del medesimo d.P.R..
La violazione è aggravata nei casi in cui sulle merci presentate per la riesportazione gravino dazi o prelievi agricoli in esportazione: in tali ipotesi, oltre alla sanzione di cui sopra, se ne applica un’altra (rectius: se ne maggiora il quantum debendi)[2] di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti o i prelievi agricoli dovuti per l’esportazione.
L’aggravante, a mio avviso, è contestabile nei soli casi in cui le merci vengano dichiarate come appartenenti ad una qualità che comporti l’applicazione di un dazio o un prelievo agricolo in esportazione inferiore rispetto a quello realmente dovuto. In caso contrario, infatti, dovrebbe trovare applicazione la causa di esclusione dell’antigiuridicità di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000.
Al pari dei casi precedenti, anche qui la sanzione è ridotta ad una misura compresa fra 1/10 e l’intero ammontare dei diritti di confine dovuti (e dell’I.V.A. afferente) allorché venga fornita la prova che l’inesattezza sia dovuta ad errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.). Detta circostanza attenuante può concorrere con l’aggravante appena esaminata.
4. Differenze di qualità nella reimportazione a scarico di una temporanea esportazione (art. 312 T.U.L.D.).
La fattispecie, opposta alla precedente, è integrata in tutti i casi in cui sia accertata una differenza di qualità fra le merci presentate per la reimportazione e quelle che avrebbero dovuto essere reimportate.
Anche in questo caso si deve sottolineare come non sempre le merci in reimportazione (dichiarate con la IM/6) debbano essere poste in raffronto con quelle precedentemente temporaneamente esportate in quanto vi sono dei casi – come nel perfezionamento passivo – in cui oggetto di reimportazione sono i c.d. “prodotti compensatori”, ossia merci differenti rispetto a quelle in precedenza esportate.
Fatte quindi le stesse precisazioni di cui al punto precedente, la violazione risulta integrata allorché si riscontri una differenza qualitativa:
· fra le merci effettivamente presentate per la reimportazione e quelle che avrebbero dovuto essere reimportate;
· o fra le merci effettivamente presentate per la reimportazione e quanto indicato nella dichiarazione IM/6.
La sanzione è di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti di confine “dovuti sulle merci trovate di qualità diversa”, ossia sulle merci accertate qualitativamente difformi rispetto a quanto previsto.
Al, tale violazione concorre con quella conseguente al mancato pagamento dell’I.V.A. [3], alla quale è legata da un chiaro concorso formale.
Anche in questo caso, a mio avviso allorché le merci presentate siano soggette a dazi o prelievi agricoli all’importazione inferiori rispetto a quelli risultanti dalla dichiarazione IM/6 nonché inferiori rispetto a quelli che sarebbero dovuti sulle merci che avrebbero dovuto essere effettivamente reimportate, troverà applicazione la causa di esclusione di cui all’art. 10 c. 3 L. 212/2000 e, pertanto, non potrà essere constata alcuna violazione.
La fattispecie è aggravata se le merci (in allora) temporaneamente esportate erano soggette a dazi o prelievi agricoli in esportazione: in tali ipotesi, infatti, oltre alle sopra viste sanzioni, se ne applica un’altra (rectius: se ne maggiora il quantum debendi)[4] di importo compreso fra 2 e 10 volte i diritti o i prelievi agricoli dovuti per l’esportazione.
Anche in questo caso, la sanzione è ridotta ad un importo compreso fra 1/10 e l’intero ammontare dei diritti di confine (e dell’I.V.A. afferente) dovuti allorché sia provato che l’inesattezza derivi da errori di calcolo o di trascrizione commessi in buona fede (cfr. art. 314 T.U.L.D.).
5. Differenze di quantità rispetto alla dichiarazione di riesportazione o di reimportazione (art. 313 T.U.L.D.).
Le violazioni di cui ai precedenti artt. 311 e 312 cit. concernono le differenze di qualità in relazione alle merci riesportate o reimportate.
Le differenze di quantità, invece, allorché siano superiori al 5% rispetto a quanto dichiarato trovano compiuta disciplina all’art. 313 T.U.L.D. in virtù del quale deve essere applicata una sanzione pecuniaria:
· in caso di riesportazione, di importo compreso fra 1 e 10 volte:
- i “diritti di entrata” (dazi all’importazione, prelievi agricoli e sovrimposte di confine, secondo quanto previsto dall’art. 34 c. 2 T.U.L.D.) dovuti sulle merci mancanti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione EX/3;
- ovvero i “diritti di uscita” dovuti sulle merci eccedenti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione EX/3;
· in caso di reimportazione, di importo compreso fra 1 e 10 volte:
- i “diritti di entrata” dovuti sulle merci eccedenti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione IM/6;
- ovvero i “diritti di uscita” dovuti sulle merci mancanti rispetto a quanto indicato nella dichiarazione IM/6.
E’ importante sottolineare come, a differenza dei sopra visti casi di differenza di qualità, laddove il tertium comparationis non è sempre dato da quanto indicato nella dichiarazione IM/6 o EX/3 ma anche da quanto avrebbe dovuto essere oggetto di reimportazione o riesportazione sulla base del regime doganale approvato, qui il confronto per la determinazione della differenza deve essere operato fra la situazione accertata in sede di visita merci o di controllo documentale e quanto indicato nelle dichiarazioni IM/6 o EX/3.
[2] Nel redigere il testo dell’art. 311 c. 2 T.U.L.D. il legislatore è in realtà caduto in un palese errore lessicale laddove ha testualmente disposto che “si applica inoltre la sanzione amministrativa” de qua.
Le parole usate, infatti, lasciano intendere la presenza di una ulteriore violazione amministrativa, differente dalla precedente (rectius: dalle precedenti, visto che il mancato assolvimento dell’I.V.A. integra una violazione a sé stante) per la quale è prevista l’irrogazione di una sanzione specifica.
Da ciò deriverebbe l’applicabilità dell’istituto del concorso formale delle violazioni con conseguente rideterminazione della sanzione complessiva in applicazione della disciplina del cumulo giuridico.
In realtà, così non è. Nonostante le confuse parole usate dal legislatore, è chiaro come nel caso di specie non si abbia alcuna ulteriore violazione ma semplicemente una rideterminazione del quantum della sanzione dovuta a titolo di mancato assolvimento dei diritti di confine.
In sede di redazione del p.v.c., pertanto, il funzionario doganale provvederà a constatare la commissione di due violazioni:
· una ex art. 311 T.U.L.D. determinata in un importo unico calcolato in parte secondo quanto indicato nel c. 1 e, in parte, secondo quanto indicato nel c. 2;
· la seconda, ex artt. 69 e 70 d.P.R. 633/1970 e 311 T.U.L.D. per un importo compreso fra 2 e 10 volte l’I.V.A. dovuta sul valore doganale delle merci accertate qualitativamente difformi maggiorato dei correlati diritti di confine. Nella base di calcolo non dovranno rientrare anche i dazi ed i prelievi agricoli eventualmente dovuti per la riesportazione delle merci presentate per l’ovvia ragione che, come noto, le cessioni all’esportazione sono ex lege non imponibili (art. 8 e ss. d.P.R. 633/1972) e che, pertanto, se le merci di cui si tratta fossero state correttamente dichiarate l’esportatore avrebbe comunque dovuto corrispondere i soli dazi o prelievi agricoli all’esportazione, e non certo anche l’I.V.A. a questi afferente.
[3] Come già visto, la reimportazione a scarico di temporanea esportazione, infatti, genera materia imponibile I.V.A. ai sensi dell’art. 67 c. 2 d.P.R. 633/1972.
[4] Anche in questo caso, il testo dell’art. 312 c. 2 T.U.L.D. è affetto da un palese vizio sistematico laddove dispone che “si applica inoltre la sanzione amministrativa” de qua.
Le parole usate, come già visto, lasciano intendere la presenza di una ulteriore violazione amministrativa in realtà inesistente. E’ infatti chiaro come nel caso di specie non si abbia alcuna ulteriore violazione ma semplicemente una rideterminazione del quantum della sanzione dovuta a titolo di mancato assolvimento dei diritti di confine..