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Le parole d’uso comune che compongono un segno distintivo escludono il loro monopolio in capo al titolare del marchio che le contiene

Tribunale di Milano, Sezioni Specializzate in materia di Impresa - sez. A - Ord. del 16.10.2014 - RG. 46028/2014 - Giud. Dott. Perrotti - Food on the Road srl (c./ Tutti più educati, XComm +2 (avv. F. Caricato e B. Tusa)

“Esclusa in radice la possibilità di monopolizzare la parola inglese food e in difetto - quanto meno allo stato degli atti - di un’accreditata notorietà del segno del ricorrente, permane un forte dubbio in ordine alla possibilità di attribuire un qualche gradiente distintivo alle diciture on the road o food on the road. Come già rilevato sopra, la prima è un’espressione inglese di uso comune, peraltro coincidente con il titolo originale di un celeberrimo romanzo americano. Nella seconda l’aggiunta della parola food sembra assumere soltanto una valenza descrittiva del tipo di servizio offerto, poiché richiama la consegna a domicilio e il carattere itinerante dei servizi di ristorazione”.

I fatti

Con ricorso per sequestro ed inibitoria Food on the road s.r.l. ha convenuto in giudizio i titolari del marchio italiano STREETFOODONTHEROAD utilizzato in manifestazioni ed eventi comunicativi compositi per la promozione sullo scenario della strada, di consumazioni e degustazioni di “cibi da passeggio”, nonché la società no profit Tutti più educati e XComm s.r.l. per sentirle condannare per contraffazione del proprio marchio figurativo FOOD ON THE ROAD registrato per attività di ristorazione e per concorrenza sleale.

Il Tribunale adito ha rigettato l’istanza, non essendo provata la rinomanza del marchio anteriore, ritenendo che gli elementi denominativi fossero di debole carattere distintivo e bastassero lievi varianti ad escludere la contraffazione e non sussistendo elementi per ritenere riprodotto nel marchio contestato il nucleo stilistico dominante del marchio anteriore il cui ricordo rimane nella mente del consumatore medio.

Il commento

Con l’ordinanza del 16 ottobre 2014 nella procedura cautelare RG. 46028/2014 il Tribunale di Milano si pone in controtendenza rispetto ad un orientamento europeo[1] ancorato ad una valutazione del rischio di confusione tra i marchi considerato in astratto e non in concreto, ma si inserisce nel percorso ormai sedimentato dalla giurisprudenza nazionale[2], e indicato dalla dottrina[3] che, sovvertendo la casistica del 2007[4] dello stesso Tribunale di Milano, ritiene che siano idonei ad escludere il rischio di confusione e la contraffazione del marchio lievi varianti, ove si tratti di un confronto tra marchi deboli.

Come è noto, la differenza tra marchio “forte” e marchio “debole” si tasta soprattutto sotto il profilo della tutela. Infatti, il marchio “debole” ammette una tutela piuttosto limitata, o eventualmente più gravosa[5], in quanto dotato di capacità distintiva ridotta, ma maggiormente collegato al prodotto o servizio[6] che contraddistingue, individuandone, così, la natura descrittiva, o naturalmente qualificativa delle caratteristiche o delle finalità del prodotto o del servizio, pagando in termini di ampiezza della tutela ciò che ha guadagnato sotto il profilo della diretta e immediata riconducibilità comunicativa al prodotto o servizio.

Difatti, la ratio che sottende alla minore proteggibilità del marchio debole deriva da un interesse pubblico, ma anche privatistico ad evitare di conferire ingiustificati e immeritati monopoli a chi da un lato non ha investito nella comunicazione di un messaggio di marketing, dall’altro di evitare che denominazioni, parole, simboli di uso comune o volgarizzati o qualificativi, che devono rimanere prerogativa libera del mercato o addirittura che appartengono al lessico o sentire comune possano essere appannaggio di un singolo imprenditore in modo da vietarne l’uso, anche in termini di identificazione funzionale, ad altri. Si tratterebbe di pratiche contrarie non solo alla leale concorrenza, ma che renderebbero suscettibili di appropriazione anche termini o simboli facenti parte della storia della lingua e della vita quotidiana e non risultato di ricerca di mercato, di studio o di un’originale intuizione commerciale.

Tuttavia, la giurisprudenza riconosce tutela allargata al marchio debole nel solo caso in cui questo abbia acquisito carattere distintivo con l’uso intenso ed effettivo[7], ovvero un secondary meaning, fino al punto che la rinomanza del segno, prova che è a carico di chi la rivendica[8], supera e si sgancia dal carattere descrittivo o qualificativo che lo stesso aveva all’origine, per averne vita propria e identificare non più il prodotto, ma un messaggio commerciale, uno stile ed una filosofia aziendale.

La pronuncia del Tribunale di Milano si inserisce in una logica di tutela dell’imprenditore che, valutando l’investimento e il lavoro dello stesso, in un mondo contestualmente affollato di brands, possa ridefinire e chiarire l’estensione del diritto di marchio agganciato alla tipologia di uso del medesimo, nel rispetto delle logiche di una concorrenza leale rispettosa del neminem laedere.

Infatti, se fosse riconosciuto a chiunque la possibilità di appropriarsi di un temine usato nel linguaggio corrente al fine del suo sfruttamento commerciale fuori dai casi di secondary meaning, arriveremo all’assurdo di dover reinventare lo stesso linguaggio corrente, seguendo il suggerimento di Giulietta nella tragedia shakespeariana che sosteneva che la rosa anche se non fosse chiamata rosa serberebbe lo stesso profumo.

Così il Tribunale di Milano esclude la contraffazione del segno complesso STREETFOODONTHEROAD rispetto a FOOD ON THE ROAD ritenendo che: “la componente denominativa del marchio della ricorrente utilizza parole (food) ed espressioni (on the road) inglesi di uso comune, che presentano - in particolare il vocabolo food - una stretta aderenza logica ai servizi di ristorazione per i quali è registrato. Il nucleo distintivo sembra pertanto affidato in via principale alla componente grafica, consistente nel cerchio verde, evocativo di una spiccata sensibilità ambientale, contenente le lettere f o r, che costituiscono le iniziali delle parole sottostanti, “fuse” tra loro mediante un particolare effetto grafico. Il segno della ricorrente appare qualificabile come marchio debole, rispetto al quale il rischio di incorrere in condotte contraffattorie può essere scongiurato mediante l’introduzione di varianti anche minime.”

Con ciò la valutazione del Tribunale di Milano riflette l’insegnamento della dottrina più accreditata che ha sempre ritenuto che il marchio debole fosse proteggibile solo con riferimento a “stilizzazioni ed elaborazioni, non al tipo dell’oggetto raffigurato”[9]. Continua l’ordinanza chiarendo che: “nel segno della resistente non vi è alcuna riproduzione di elementi grafici del marchio del ricorrente. Si ritrovano invece gli stessi elementi denominativi e, in particolare, l’espressione on the road. La parola food è pure presente ma come parte del neologismo inglese street food. Il termine, di uso comune, identifica un’ampia categoria di alimenti, ovvero tutti i cibi preparati, venduti e consumati in strada, al quale si abbina un’idea di consumo più rapido, informale ed economico”. “Esclusa in radice la possibilità di monopolizzare la parola inglese food e in difetto - quanto meno allo stato degli atti - di un’accreditata notorietà del segno del ricorrente, permane un forte dubbio in ordine alla possibilità di attribuire un qualche gradiente distintivo alle diciture on the road o food on the road. Come già rilevato sopra, la prima è un’espressione inglese di uso comune, peraltro coincidente con il titolo originale di un celeberrimo romanzo americano. Nella seconda l’aggiunta della parola food sembra assumere soltanto una valenza descrittiva del tipo di servizio offerto, poiché richiama la consegna a domicilio e il carattere itinerante dei servizi di ristorazione”.

Pertanto, la decisione che si commenta è improntata ad una valutazione del rischio di confusione da esaminarsi in concreto alla luce di un’indagine globale su come il segno distintivo viene percepito tra il pubblico di riferimento, confermando un orientamento dominante.

                                                                               

[1] Tribunale Europeo di I Istanza, 10 settembre 2014, T-199/13 [DTM Autoricambi Srl vs. UAMI e STAR S.p.A.] nella quale si legge: “il fatto che la veste grafica dei marchi in conflitto sia differente (…) non è sufficiente al fine di escludere qualsiasi rischio di confusione tra i marchi in conflitto, in particolare perché il pubblico di riferimento potrebbe facilmente credere che la veste grafica del marchio internazionale anteriore sia stata ammodernata” e ancora: “l’eventuale carattere distintivo debole del marchio internazionale anteriore non impedirebbe di constatare la sussistenza di un rischio di confusione nel caso in esame. (…) se  è vero che il carattere distintivo del marchio internazionale anteriore deve essere preso in considerazione per valutare il rischio di confusione, esso è soltanto un elemento tra altri che intervengono al momento della valutazione. Difatti, anche in presenza di un marchio anteriore a debole carattere distintivo, può sussistere un rischio di confusione, in particolare, a causa di una somiglianza dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi (v. sentenza PAGESJAUNES.COM, punto 47 supra, EU:T:2007:387, punto 70 e giurisprudenza ivi citata)” In senso conforme cfr. anche Trib. Bologna, 31 agosto 2005, ord., in Il merito 2006, 1, 21; App. Firenze, 14 dicembre 1983, in Riv.Dir.Ind., 1984, II, 11 che ritiene che “la confondibilità tra il marchio ed una ditta non può essere esclusa, quando trattasi di marchio debole, in presenza di qualsiasi lieve modificazione o aggiunta, se le espressioni differenziatrici non abbiano carattere qualificante, idonee ad escludere il pericolo di confusione”; Cass. 19 novembre 1994, n.9827.

[2] Cass. 30 settembre 2003-27 febbraio 2004, n.3980; Cass. 9 luglio 1992 in Giur. Ann. Dir.ind. 1992, 2881; Cass. 26 giugno 1996, n.°5924, ivi, 1996, 3385

[3] Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, 2003, par.53, p.199

[4] EIPR 2008, Tribunale di Milano, 27 agosto 2007, ordinanza, [Pin-Up Stars c./ Fashion Work e Starlab Fashion]

[5] Secondo alcune pronunce, la tutela del marchio debole non sarebbe più limitata, ma più gravosa, dovendo contemperare l’interesse del titolare del marchio anteriore ad impedire l’uso di marchi confondibili col proprio e quello dei concorrenti ad utilizzare un’indicazione descrittiva, e richiedendo perciò l’onere di una differenziazione. Cfr. Trib. Milano, 16-5-1969, in R.dir.ind. 72, II, 57 cit. in Commentario Breve alle leggi su proprietà Intellettuale e concorrenza, CEDAM, IV edizione, art. 21 , p.292

[6] Cfr. Camilla Manfredi, Il rafforzamento del marchio debole, ne Il diritto Industriale n.6/2009, p.552 e ssg.

[7] Cfr. Tribunale di I Istanza, 14 maggio 2014, T-160/12 [Adler Modemärkte AG vs. UAMI e Blufin] in Curia.europa.eu/juris

[8] Per questo motivo considerando carente la prova della rinomanza, il Tribunale di Torino ha rigettato l’inibitoria richiesta nella procedura cautelare RG.2012/13716 SEAN c. Roomtime Torino spa +1 del 10.07.2012, in relazione al marchio “suite a tema”.

[9] Cfr. Vanzetti-Di Cataldo, ibidem, p. 200

Tribunale di Milano, Sezioni Specializzate in materia di Impresa - sez. A - Ord. del 16.10.2014 - RG. 46028/2014 - Giud. Dott. Perrotti - Food on the Road srl (c./ Tutti più educati, XComm +2 (avv. F. Caricato e B. Tusa)

“Esclusa in radice la possibilità di monopolizzare la parola inglese food e in difetto - quanto meno allo stato degli atti - di un’accreditata notorietà del segno del ricorrente, permane un forte dubbio in ordine alla possibilità di attribuire un qualche gradiente distintivo alle diciture on the road o food on the road. Come già rilevato sopra, la prima è un’espressione inglese di uso comune, peraltro coincidente con il titolo originale di un celeberrimo romanzo americano. Nella seconda l’aggiunta della parola food sembra assumere soltanto una valenza descrittiva del tipo di servizio offerto, poiché richiama la consegna a domicilio e il carattere itinerante dei servizi di ristorazione”.

I fatti

Con ricorso per sequestro ed inibitoria Food on the road s.r.l. ha convenuto in giudizio i titolari del marchio italiano STREETFOODONTHEROAD utilizzato in manifestazioni ed eventi comunicativi compositi per la promozione sullo scenario della strada, di consumazioni e degustazioni di “cibi da passeggio”, nonché la società no profit Tutti più educati e XComm s.r.l. per sentirle condannare per contraffazione del proprio marchio figurativo FOOD ON THE ROAD registrato per attività di ristorazione e per concorrenza sleale.

Il Tribunale adito ha rigettato l’istanza, non essendo provata la rinomanza del marchio anteriore, ritenendo che gli elementi denominativi fossero di debole carattere distintivo e bastassero lievi varianti ad escludere la contraffazione e non sussistendo elementi per ritenere riprodotto nel marchio contestato il nucleo stilistico dominante del marchio anteriore il cui ricordo rimane nella mente del consumatore medio.

Il commento

Con l’ordinanza del 16 ottobre 2014 nella procedura cautelare RG. 46028/2014 il Tribunale di Milano si pone in controtendenza rispetto ad un orientamento europeo[1] ancorato ad una valutazione del rischio di confusione tra i marchi considerato in astratto e non in concreto, ma si inserisce nel percorso ormai sedimentato dalla giurisprudenza nazionale[2], e indicato dalla dottrina[3] che, sovvertendo la casistica del 2007[4] dello stesso Tribunale di Milano, ritiene che siano idonei ad escludere il rischio di confusione e la contraffazione del marchio lievi varianti, ove si tratti di un confronto tra marchi deboli.

Come è noto, la differenza tra marchio “forte” e marchio “debole” si tasta soprattutto sotto il profilo della tutela. Infatti, il marchio “debole” ammette una tutela piuttosto limitata, o eventualmente più gravosa[5], in quanto dotato di capacità distintiva ridotta, ma maggiormente collegato al prodotto o servizio[6] che contraddistingue, individuandone, così, la natura descrittiva, o naturalmente qualificativa delle caratteristiche o delle finalità del prodotto o del servizio, pagando in termini di ampiezza della tutela ciò che ha guadagnato sotto il profilo della diretta e immediata riconducibilità comunicativa al prodotto o servizio.

Difatti, la ratio che sottende alla minore proteggibilità del marchio debole deriva da un interesse pubblico, ma anche privatistico ad evitare di conferire ingiustificati e immeritati monopoli a chi da un lato non ha investito nella comunicazione di un messaggio di marketing, dall’altro di evitare che denominazioni, parole, simboli di uso comune o volgarizzati o qualificativi, che devono rimanere prerogativa libera del mercato o addirittura che appartengono al lessico o sentire comune possano essere appannaggio di un singolo imprenditore in modo da vietarne l’uso, anche in termini di identificazione funzionale, ad altri. Si tratterebbe di pratiche contrarie non solo alla leale concorrenza, ma che renderebbero suscettibili di appropriazione anche termini o simboli facenti parte della storia della lingua e della vita quotidiana e non risultato di ricerca di mercato, di studio o di un’originale intuizione commerciale.

Tuttavia, la giurisprudenza riconosce tutela allargata al marchio debole nel solo caso in cui questo abbia acquisito carattere distintivo con l’uso intenso ed effettivo[7], ovvero un secondary meaning, fino al punto che la rinomanza del segno, prova che è a carico di chi la rivendica[8], supera e si sgancia dal carattere descrittivo o qualificativo che lo stesso aveva all’origine, per averne vita propria e identificare non più il prodotto, ma un messaggio commerciale, uno stile ed una filosofia aziendale.

La pronuncia del Tribunale di Milano si inserisce in una logica di tutela dell’imprenditore che, valutando l’investimento e il lavoro dello stesso, in un mondo contestualmente affollato di brands, possa ridefinire e chiarire l’estensione del diritto di marchio agganciato alla tipologia di uso del medesimo, nel rispetto delle logiche di una concorrenza leale rispettosa del neminem laedere.

Infatti, se fosse riconosciuto a chiunque la possibilità di appropriarsi di un temine usato nel linguaggio corrente al fine del suo sfruttamento commerciale fuori dai casi di secondary meaning, arriveremo all’assurdo di dover reinventare lo stesso linguaggio corrente, seguendo il suggerimento di Giulietta nella tragedia shakespeariana che sosteneva che la rosa anche se non fosse chiamata rosa serberebbe lo stesso profumo.

Così il Tribunale di Milano esclude la contraffazione del segno complesso STREETFOODONTHEROAD rispetto a FOOD ON THE ROAD ritenendo che: “la componente denominativa del marchio della ricorrente utilizza parole (food) ed espressioni (on the road) inglesi di uso comune, che presentano - in particolare il vocabolo food - una stretta aderenza logica ai servizi di ristorazione per i quali è registrato. Il nucleo distintivo sembra pertanto affidato in via principale alla componente grafica, consistente nel cerchio verde, evocativo di una spiccata sensibilità ambientale, contenente le lettere f o r, che costituiscono le iniziali delle parole sottostanti, “fuse” tra loro mediante un particolare effetto grafico. Il segno della ricorrente appare qualificabile come marchio debole, rispetto al quale il rischio di incorrere in condotte contraffattorie può essere scongiurato mediante l’introduzione di varianti anche minime.”

Con ciò la valutazione del Tribunale di Milano riflette l’insegnamento della dottrina più accreditata che ha sempre ritenuto che il marchio debole fosse proteggibile solo con riferimento a “stilizzazioni ed elaborazioni, non al tipo dell’oggetto raffigurato”[9]. Continua l’ordinanza chiarendo che: “nel segno della resistente non vi è alcuna riproduzione di elementi grafici del marchio del ricorrente. Si ritrovano invece gli stessi elementi denominativi e, in particolare, l’espressione on the road. La parola food è pure presente ma come parte del neologismo inglese street food. Il termine, di uso comune, identifica un’ampia categoria di alimenti, ovvero tutti i cibi preparati, venduti e consumati in strada, al quale si abbina un’idea di consumo più rapido, informale ed economico”. “Esclusa in radice la possibilità di monopolizzare la parola inglese food e in difetto - quanto meno allo stato degli atti - di un’accreditata notorietà del segno del ricorrente, permane un forte dubbio in ordine alla possibilità di attribuire un qualche gradiente distintivo alle diciture on the road o food on the road. Come già rilevato sopra, la prima è un’espressione inglese di uso comune, peraltro coincidente con il titolo originale di un celeberrimo romanzo americano. Nella seconda l’aggiunta della parola food sembra assumere soltanto una valenza descrittiva del tipo di servizio offerto, poiché richiama la consegna a domicilio e il carattere itinerante dei servizi di ristorazione”.

Pertanto, la decisione che si commenta è improntata ad una valutazione del rischio di confusione da esaminarsi in concreto alla luce di un’indagine globale su come il segno distintivo viene percepito tra il pubblico di riferimento, confermando un orientamento dominante.

                                                                               

[1] Tribunale Europeo di I Istanza, 10 settembre 2014, T-199/13 [DTM Autoricambi Srl vs. UAMI e STAR S.p.A.] nella quale si legge: “il fatto che la veste grafica dei marchi in conflitto sia differente (…) non è sufficiente al fine di escludere qualsiasi rischio di confusione tra i marchi in conflitto, in particolare perché il pubblico di riferimento potrebbe facilmente credere che la veste grafica del marchio internazionale anteriore sia stata ammodernata” e ancora: “l’eventuale carattere distintivo debole del marchio internazionale anteriore non impedirebbe di constatare la sussistenza di un rischio di confusione nel caso in esame. (…) se  è vero che il carattere distintivo del marchio internazionale anteriore deve essere preso in considerazione per valutare il rischio di confusione, esso è soltanto un elemento tra altri che intervengono al momento della valutazione. Difatti, anche in presenza di un marchio anteriore a debole carattere distintivo, può sussistere un rischio di confusione, in particolare, a causa di una somiglianza dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi (v. sentenza PAGESJAUNES.COM, punto 47 supra, EU:T:2007:387, punto 70 e giurisprudenza ivi citata)” In senso conforme cfr. anche Trib. Bologna, 31 agosto 2005, ord., in Il merito 2006, 1, 21; App. Firenze, 14 dicembre 1983, in Riv.Dir.Ind., 1984, II, 11 che ritiene che “la confondibilità tra il marchio ed una ditta non può essere esclusa, quando trattasi di marchio debole, in presenza di qualsiasi lieve modificazione o aggiunta, se le espressioni differenziatrici non abbiano carattere qualificante, idonee ad escludere il pericolo di confusione”; Cass. 19 novembre 1994, n.9827.

[2] Cass. 30 settembre 2003-27 febbraio 2004, n.3980; Cass. 9 luglio 1992 in Giur. Ann. Dir.ind. 1992, 2881; Cass. 26 giugno 1996, n.°5924, ivi, 1996, 3385

[3] Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, 2003, par.53, p.199

[4] EIPR 2008, Tribunale di Milano, 27 agosto 2007, ordinanza, [Pin-Up Stars c./ Fashion Work e Starlab Fashion]

[5] Secondo alcune pronunce, la tutela del marchio debole non sarebbe più limitata, ma più gravosa, dovendo contemperare l’interesse del titolare del marchio anteriore ad impedire l’uso di marchi confondibili col proprio e quello dei concorrenti ad utilizzare un’indicazione descrittiva, e richiedendo perciò l’onere di una differenziazione. Cfr. Trib. Milano, 16-5-1969, in R.dir.ind. 72, II, 57 cit. in Commentario Breve alle leggi su proprietà Intellettuale e concorrenza, CEDAM, IV edizione, art. 21 , p.292

[6] Cfr. Camilla Manfredi, Il rafforzamento del marchio debole, ne Il diritto Industriale n.6/2009, p.552 e ssg.

[7] Cfr. Tribunale di I Istanza, 14 maggio 2014, T-160/12 [Adler Modemärkte AG vs. UAMI e Blufin] in Curia.europa.eu/juris

[8] Per questo motivo considerando carente la prova della rinomanza, il Tribunale di Torino ha rigettato l’inibitoria richiesta nella procedura cautelare RG.2012/13716 SEAN c. Roomtime Torino spa +1 del 10.07.2012, in relazione al marchio “suite a tema”.

[9] Cfr. Vanzetti-Di Cataldo, ibidem, p. 200