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Profili di nullità tra marchi descrittivi e laudativi nella giurisprudenza recente

Profili di nullità tra marchi descrittivi e laudativi nella giurisprudenza recente
Profili di nullità tra marchi descrittivi e laudativi nella giurisprudenza recente

Al centro delle diatribe di questi ultimi anni si sono trovati marchi di multinazionali che hanno adottato denominazioni di tipo descrittivo e di tipo laudativo normalmente non ammesse alla registrazione per carenza dei requisiti di carattere distintivo sia dall’articolo 7 del Reg. Ce 207/09, dagli articoli 13 e 25 del codice di proprietà industriale.

È balzato agli onori della cronaca il marchio “SUPREME” della Chapter 4 di James Jebbia all’esito di una serie di vicende legali che hanno consentito alla società resistente di continuare ad utilizzare il marchio equivalente in Italia e in Europa per un certo periodo, per poi venire condannata davanti al Tribunale di Milano Sez. Specializzata al termine della lunga fase cautelare e, tuttavia, riuscire a rimettere in discussione ancora la vicenda come emerge dalla recentissima decisione dell’Esaminatore dell’EUIPO del 25.4.2018, con cui l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale ha rifiutato la domanda di Marchio Europeo “SUPREME” di Chapter 4 proprio sulla base del disposto dell’articolo 7 par. 1, lettere b) e c) RMUE argomentando come segue:

La valutazione del carattere descrittivo si basa sul modo in cui il pubblico di riferimento percepirebbe il segno in relazione ai prodotti e servizi per cui si richiede la protezione. In questo caso, il consumatore medio di lingua inglese e romena attribuirebbe al segno il seguente significato: di massima qualità”. Pertanto, ritiene l’Esaminatore dell’EUIPO che il marchio in questione “sarebbe percepito dal pubblico di riferimento come un messaggio promozionale elogiativo il cui proposito è quello di indicare una caratteristica dei prodotti e servizi”, non percependo nel segno alcuna indicazione di origine commerciale che vada oltre la promozione del prodotto.

Né l’esaminatore ritiene che il grado di stilizzazione del marchio possa essere sufficiente a che lo stesso svolga la sua funzione essenziale che afferisce la sua capacità distintiva. Sebbene la questione sia ancora aperta e certamente avvincente, posto che la decisione può essere appellata, l’Esaminatore riprende in modo molto semplice la tesi difensiva della resistente nella fase cautelare e fatta propria dal mandatario spagnolo che ha seguito la vicenda in sede europea. Nella fase cautelare, infatti, era stata contestata a Chapter 4 la notorietà del proprio marchio in ambito nazionale, anche con riferimento al mercato degli skaters poco attivi in Italia, nonché la carenza di novità dello stesso in un settore peraltro affollato, ma soprattutto il carattere descrittivo e laudativo del marchio.

La giurisprudenza in merito al fenomeno dei marchi laudativi negli ultimi anni è stata proficua, almeno sotto il profilo nazionale, come dimostra il caso “Absolu”. Infatti, con sentenza Cass. 33/2017 la Corte Suprema nella vicenda tra Lancome e Mariba’ ha chiarito come l’espressione “absolu” non possa considerarsi segno di uso comune in quanto avrebbe “accezione astratta, che rinvia alle idee di grandezza e di illimitatezza e che vale a sottolineare l’efficacia e l’elevato ambito di gamma dei prodotti di bellezza cui è specificatamente riferito”, ma non si riferirebbe a caratteristiche specifiche dei prodotti. Per la Corte i concetti di eccellenza non includono necessariamente qualità specifiche dei prodotti, deducendosi il distinguo dal modo di utilizzo del segno. Sostiene la dottrina[1], infatti, che perché un marchio possa dirsi descrittivo occorre che la relazione tra lo stesso e il prodotto sia diretta e concreta, talchè per analogia anche il carattere laudativo potrebbe rinvenirsi dall’esaltazione specifica di quel prodotto, piuttosto che da espressioni universalmente valide per tutti i prodotti nella medesima veste. Eppure, tale considerazione potrebbe prestarsi a contestazioni che vorrebbero non registrabili le espressioni comuni o d’uso comune.

Come aveva sostenuto una recente Cassazione (Cass.2405/2015) il carattere laudativo e/ o descrittivo di un marchio può non sconfessare la validità del segno a patto che questo abbia” subito una modificazione tale da oscurare il loro originario significato linguistico e tale da designare, con forte individuazione, un nuovo prodotto, senza alcuna aderenza concettuale con l’oggetto” da contraddistinguere. È quello che la dottrina chiama secondary meaning ovvero, tradotto in italiano, il significante percepito dal pubblico che quindi si espande nel narrato del significato, come scrive il Prof. Sandri[2].

Ciò che sostiene l’Euipo, tuttavia, si inserisce perfettamente in un filone già noto nel quale la stessa EUIPO riteneva privo di carattere distintivo il marchio “Perfecta” per armi da fuoco(R-892/2014-1) così come “Maximo”(R-949/2013-2), ma anche quando ritiene tendenziosamente nella vicenda, che rinvia ad altro marchio definito descrittivo, “N_8” con decisione del 28.11.2017 che “la mancanza di carattere distintivo del segno non risulta da un “pregiudizio” in merito a questa tipologia dei segni composti da cifre ma semplicemente dal fatto che, in concreto, il segno richiesto, per la sua specifica configurazione, non risulta adatto a svolgere la funzione distintiva del marchio.”

Peraltro, in tale ultima decisione il carattere distintivo acquisito, nonostante la mole di documenti non avrebbe dimostrato, seguendo il criterio dell’estrapolazione da elementi di prova limitati ad una parte del territorio, l’effettiva quota di mercato detenuta dal titolare, quota che invece in odore di rinomanza potrebbe essere stata determinante nelle decisioni cautelari nazionali relative alla vicenda Supreme.

Eppure celebre è il caso Clinique, giunto perfino in Cassazione[3], con cui la Suprema Corte conferma la decisione delle Corte d’Appello ritenendo la parola “clinique” d’uso comune in svariati settori merceologici, considerando altresì che il marchio andasse qualificato come debole, nonostante fosse qualificato rinomato in ambito comunitario, dal momento che la qualificazione di un segno distintivo come debole “non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela” tenendo però a mente che saranno “illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume” (Cass.13170/2016). In quel caso la decisione insiste sul fatto che la multinazionale non avesse dimostrato una forte capacità distintiva, ma solo una rinomanza acquisita nel tempo e il marchio contestato avesse comunque un proprio carattere pur inglobando il marchio Clinique.

Ancora, è interessante notare che il Tribunale di Milano in un’ordinanza del 2014[4] ha ritenuto che “per i casi di marchi formati da termini generici o descrittivi che abbiano acquistato capacità distintiva con l’uso (secondary meaning) (…), nonostante la privativa acquisita dal titolare del marchio, il termine generico o descrittivo può essere usato senza interferire con il diritto di esclusiva, per indicare le caratteristiche dei prodotti”.

Si tratta di valutazioni che tendono ad evitare ingiustificati monopoli su termini d’uso comune, come dimostra anche la nota vicenda che vede coinvolto il termine “Easy” della holding EasyGroup che in una pronuncia del 12 gennaio 2018 del Giudice Arnold della High Court di Inghilterra e Galles propone una interessante disamina sul monopolio di un prefisso o suffisso descrittivo come la parola “easy”= facile, così come facendo riferimento al marchio Easyroomate contro cui il colosso aveva introdotto le sue contestazioni, sostiene l’assenza di contraffazione dei marchi di EasyGroup[5].

Nella saga dei marchi descrittivi e laudativi attendiamo di vedere chi scriverà l’epiologo.

 

[1] M.Ricolfi, Trattato dei marchi: Diritto europeo e nazionale, Torino, 2015.

[2] S.Sandri, Percepire il Marchio: dall’Identità del Segno alla Confondibilità, 2007, Experta edizioni.

[3] Cass.25168/2016

[4] Ord.17.9.2014 Sez. Spec. Trib. Milano, Rg 5960/2011.

[5] James Nurton, Easy Group loses trade mark fight against Easyroomate, 18.1.2018, in Managing Intellectual Property The Global Ip Resource.