Le ragioni dell’imprescindibile sopravvivenza dell’arbitrato commerciale internazionale
Abstract
La specialità di uno strumento che resiste ad abrogazioni generiche è la conseguenza della continua ricerca della competenza di settore. Soltanto in secondo piano, ma ovviamente non di poco conto, gli aspetti caratteristici dell’arbitrato tout court.
Il fatto che il Decreto Legislativo n. 40 del 2 febbraio del 2006 abbia soppresso tutte le norme in tema di arbitrato internazionale, non ha impedito a quella forma più specifica, attinente ad atti di commercio transnazionale, di sopravvivere. Si tratta, in particolare, di una figura distinta dagli arbitrati nazionali, avendo ad oggetto una controversia non riconducibile ad un unico ordinamento giuridico. Esso in effetti rappresenta un punto di incontro e di collegamento tra più apparati normativi.
Innanzitutto, l’arbitrato viene qualificato “internazionale” quando le parti siano residenti in stati diversi, oppure le relative operazioni trascendano i confini nazionali. Si tratta, senza dubbio, del mezzo più utilizzato per comporre le controversie caratterizzate da elementi di internazionalità.
In Italia, l’arbitrato internazionale era disciplinato all’articolo 832 del Codice di Procedura Civile, mentre il riconoscimento di quello straniero agli articoli 839 e 840 dello stesso codice.
Nonostante il legislatore del 2006 abbia operato una generica destituzione dell’istituto, nello sviluppo delle dinamiche di alcuni settori, come quelli dell’energia e della navigazione, esso continua a svolgere una funzione di primo piano.
A differenza dal meccanismo arbitrale interno, scelto dalle parti fondamentalmente per il notevole vantaggio di evitare i tempi eccessivamente lunghi della giustizia ordinaria, la categoria in analisi si giustifica per la semplice, ma essenziale pretesa di essere giudicati da soggetti esperti del settore, in grado di dare applicazione agli usi e alle disposizioni convenzionali sovranazionali. Non di poco conto la previsione in base alla quale l’ utilizzo di questa forma alternativa sia idoneo a sottrarre la stessa controversia al giudice nazionale.
In assenza di una lex fori applicabile, diventa allora determinante la volontà delle parti nell’individuazione delle norme sostanziali applicabili al caso concreto. Una selezione che può coinvolgere sia la legge nazionale delle parti o di una di esse, sia un ordinamento terzo. Un’altra opzione sarebbe da ricercare in quei comportamenti attesi in caso di rapporti economici sovranazionali. L’esempio più importante è la cd. “lex mercatoria”, valida nell’ambito di determinati settori degli scambi internazionali; un sistema di regole spontanee, nate per regolare i rapporti caratterizzati da condizioni di estraneità, ovvero da elementi di contatto tra ordinamenti di diversa nazionalità. Sono gli stessi protagonisti delle assicurazioni, del credito e dei trasporti internazionali che decidono di optare per l’ utilizzo di clausole standard e di prassi consolidate. Un diritto non statale e, per così dire, svincolato dai rigidi schemi statali di diritto internazionale privato. Un settore plasmato più dagli usi che non dalle norme astratte e positive che, in caso di situazioni controverse rivestono un ruolo decisamente non di primo piano. Non adeguarsi a tali consuetudini significherebbe guadagnare discredito, o addirittura subirne le relative sanzioni. L’importanza del rispetto di questi paradigmi tende a preservare le relazioni d’affari tra le aziende e ad evitare un ritardo eccessivo nell’esecuzione dei contratti.
Nel nostro paese, il riconoscimento dell’arbitrato commerciale internazionale risale all’adesione dell’Italia alla Convenzioneper l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, sottoscritta a New Yorknel lontano 1958 e alla successiva ConvenzioneEuropea siglata a Ginevrail 21 aprile del 1961. Per effetto di tali accordi è stata formalmente riconosciuta la possibilità di optare in favore dell’ arbitrato interno o di quello internazionale. Inoltre, è stato fatto divieto agli stati contraenti di proseguire un procedimento giurisdizionale quando le parti abbiano scelto la soluzione arbitrale. Sono proprio queste intese che resistono all’ abrogazione del 2006. La procedura di arbitrato commerciale internazionale sopravvive e non potrebbe essere altrimenti, dovendola considerare imprescindibile per la tutela pratica delle relazioni delineate.
Percorso arbitrale vuol dire flessibilità in merito alla determinazione delle clausole contrattuali, ad esempio relativamente alla sede e alla lingua utilizzata, valutazione della legge da applicare alla fattispecie concreta, nonché competenza tecnica diretta da parte del soggetto terzo ed imparziale, oltre che, ovviamente, rapidità e prevedibilità dei costi. È molto importante affidare la procedura ad enti in grado di garantirne un’ amministrazione impeccabile, tra tutte: la Camera di Commercio Internazionale (ICC) e la London Court of International Arbitration (LCIA).
È risaputo come sia più agevole comporre le controversie mediante una procedura arbitrale, piuttosto che attraverso un tribunale nazionale. Nello specifico poi, l’arbitrato commerciale internazionale, favorito dalle imprese private, deve essere considerato una sorta di sistema privilegiato, un’ occasione riservata, svincolata da interferenze esterne e che, il più delle volte, sebbene il processo arbitrale possa portare ad un lodo applicabile, consente di giungere ad un agevole adeguamento volontario delle parti.
Abstract
La specialità di uno strumento che resiste ad abrogazioni generiche è la conseguenza della continua ricerca della competenza di settore. Soltanto in secondo piano, ma ovviamente non di poco conto, gli aspetti caratteristici dell’arbitrato tout court.
Il fatto che il Decreto Legislativo n. 40 del 2 febbraio del 2006 abbia soppresso tutte le norme in tema di arbitrato internazionale, non ha impedito a quella forma più specifica, attinente ad atti di commercio transnazionale, di sopravvivere. Si tratta, in particolare, di una figura distinta dagli arbitrati nazionali, avendo ad oggetto una controversia non riconducibile ad un unico ordinamento giuridico. Esso in effetti rappresenta un punto di incontro e di collegamento tra più apparati normativi.
Innanzitutto, l’arbitrato viene qualificato “internazionale” quando le parti siano residenti in stati diversi, oppure le relative operazioni trascendano i confini nazionali. Si tratta, senza dubbio, del mezzo più utilizzato per comporre le controversie caratterizzate da elementi di internazionalità.
In Italia, l’arbitrato internazionale era disciplinato all’articolo 832 del Codice di Procedura Civile, mentre il riconoscimento di quello straniero agli articoli 839 e 840 dello stesso codice.
Nonostante il legislatore del 2006 abbia operato una generica destituzione dell’istituto, nello sviluppo delle dinamiche di alcuni settori, come quelli dell’energia e della navigazione, esso continua a svolgere una funzione di primo piano.
A differenza dal meccanismo arbitrale interno, scelto dalle parti fondamentalmente per il notevole vantaggio di evitare i tempi eccessivamente lunghi della giustizia ordinaria, la categoria in analisi si giustifica per la semplice, ma essenziale pretesa di essere giudicati da soggetti esperti del settore, in grado di dare applicazione agli usi e alle disposizioni convenzionali sovranazionali. Non di poco conto la previsione in base alla quale l’ utilizzo di questa forma alternativa sia idoneo a sottrarre la stessa controversia al giudice nazionale.
In assenza di una lex fori applicabile, diventa allora determinante la volontà delle parti nell’individuazione delle norme sostanziali applicabili al caso concreto. Una selezione che può coinvolgere sia la legge nazionale delle parti o di una di esse, sia un ordinamento terzo. Un’altra opzione sarebbe da ricercare in quei comportamenti attesi in caso di rapporti economici sovranazionali. L’esempio più importante è la cd. “lex mercatoria”, valida nell’ambito di determinati settori degli scambi internazionali; un sistema di regole spontanee, nate per regolare i rapporti caratterizzati da condizioni di estraneità, ovvero da elementi di contatto tra ordinamenti di diversa nazionalità. Sono gli stessi protagonisti delle assicurazioni, del credito e dei trasporti internazionali che decidono di optare per l’ utilizzo di clausole standard e di prassi consolidate. Un diritto non statale e, per così dire, svincolato dai rigidi schemi statali di diritto internazionale privato. Un settore plasmato più dagli usi che non dalle norme astratte e positive che, in caso di situazioni controverse rivestono un ruolo decisamente non di primo piano. Non adeguarsi a tali consuetudini significherebbe guadagnare discredito, o addirittura subirne le relative sanzioni. L’importanza del rispetto di questi paradigmi tende a preservare le relazioni d’affari tra le aziende e ad evitare un ritardo eccessivo nell’esecuzione dei contratti.
Nel nostro paese, il riconoscimento dell’arbitrato commerciale internazionale risale all’adesione dell’Italia alla Convenzioneper l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, sottoscritta a New Yorknel lontano 1958 e alla successiva ConvenzioneEuropea siglata a Ginevrail 21 aprile del 1961. Per effetto di tali accordi è stata formalmente riconosciuta la possibilità di optare in favore dell’ arbitrato interno o di quello internazionale. Inoltre, è stato fatto divieto agli stati contraenti di proseguire un procedimento giurisdizionale quando le parti abbiano scelto la soluzione arbitrale. Sono proprio queste intese che resistono all’ abrogazione del 2006. La procedura di arbitrato commerciale internazionale sopravvive e non potrebbe essere altrimenti, dovendola considerare imprescindibile per la tutela pratica delle relazioni delineate.
Percorso arbitrale vuol dire flessibilità in merito alla determinazione delle clausole contrattuali, ad esempio relativamente alla sede e alla lingua utilizzata, valutazione della legge da applicare alla fattispecie concreta, nonché competenza tecnica diretta da parte del soggetto terzo ed imparziale, oltre che, ovviamente, rapidità e prevedibilità dei costi. È molto importante affidare la procedura ad enti in grado di garantirne un’ amministrazione impeccabile, tra tutte: la Camera di Commercio Internazionale (ICC) e la London Court of International Arbitration (LCIA).
È risaputo come sia più agevole comporre le controversie mediante una procedura arbitrale, piuttosto che attraverso un tribunale nazionale. Nello specifico poi, l’arbitrato commerciale internazionale, favorito dalle imprese private, deve essere considerato una sorta di sistema privilegiato, un’ occasione riservata, svincolata da interferenze esterne e che, il più delle volte, sebbene il processo arbitrale possa portare ad un lodo applicabile, consente di giungere ad un agevole adeguamento volontario delle parti.