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Legislazione d’emergenza e libertà fondamentali: la Privacy ai tempi del COVID-19

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Abstract:

L’utilizzo di tecnologie di tracciamento e analisi dei dati acquisiti dagli smartphone al fine di contenere il contagio da COVID-19 e la tutela della privacy: un’occasione di riflessione circa la necessità che gli interventi che ledono i diritti fondamentali siano circondati di garanzie e limiti impliciti per evitare rischi di derive antidemocratiche che possono trovare occasione e terreno fertile proprio nella legislazione d’emergenza.

 

Indice:

1. Le libertà individuali ai tempi del COVID-19;

2. Sistemi di contact tracing e tutela della Privacy;

3. Conclusioni

 

1. Le libertà individuali ai tempi del Covid-19

La necessità di contenere la diffusione della pandemia in atto ha condotto il Governo ad adottare una notevole quantità di atti normativi – da ultimo il D.L. 23/2020 “Decreto Liquidità”, in attesa del nuovo DPCM di proroga del lock-down. Tale “diritto del Coronavirus ha comportato l’applicazione di misure che limitano l’esercizio di diritti e libertà fondamentali quali la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di riunione, libertà di iniziativa economica, ecc..

Si deve subito sgomberare il campo da un possibile equivoco: la situazione emergenziale che viviamo giustifica ampiamente limitazioni di libertà fondamentali nell’ottica di garantire la tutela di un diritto, quello alla salute, che la Costituzione valorizza anche in una dimensione collettiva. Il rispetto delle restrizioni imposte non solo è un obbligo giuridicamente imposto e una nostra precisa responsabilità, ma è un atto di solidarietà da intendersi quale massima espressione di libertà; scomodando il maestro Giorgio Gaber “Libertà è partecipazione!”.

Non può d’altronde non prendersi atto che, oltre all’emergenza sanitaria e alla crisi economica e finanziaria, stiamo subendo anche la più grave limitazione e privazione delle libertà costituzionali dal dopoguerra. Fin dove e fino a quando si spingerà la stato di eccezione a discapito dello stato di diritto? A fronte dell’epidemia in atto, si pone, quindi, l’ulteriore problema di individuare precisi confini entro i quali la limitazione, se non la privazione di quelle libertà, può dirsi compatibile con i principi superiori del nostro sistema democratico.

In tale ottica, non si può evitare di muovere qualche critica all’operato del Governo, sia in termini di metodo (le anticipazioni sui social-network e l’utilizzo della normazione di fonte secondaria) che di merito (la mancanza di uniformità e chiarezza). Errori che non possono trovare giustificazione nell’eccezionalità della situazione.

Le limitazioni (anche pesantissime) di diritti fondamentali devono necessariamente essere adottate nel rispetto delle forme di legge e contenute in testi quanto più chiari possibile. Questo per due ragioni.

La prima è che nell’opacità si annida il pericolo della difformità delle decisioni, dell’arbitrarietà e addirittura di derive autoritarie – pericolo di creare un vero e proprio Stato di Polizia.

La seconda ragione è che tali limitazioni devono essere percepite chiaramente come una deroga, un’eccezione alla regola, così che sia sempre chiaro che queste involgono diritti preesistenti, diritti non concessi ma (solo) riconosciuti; insomma facendo in modo che sia sempre percepibile che quei diritti non sono una gentile concessione dell’Autorità che, pertanto, può limitarli o revocarli all’occorrenza.

 

2. Sistemi di contact tracing e tutela della Privacy

Sino ad oggi in Italia – come anche nel resto d’Europa e negli USA – al fine di appiattire la curva della pandemia si è adottato il sistema del lock-down, ovvero il blocco di tutte le attività.

In alcuni paesi orientali, invece, già da tempo sono state adottate misure coercitive e di controllo basate sulla tecnologia: la Cina ha messo in campo droni, tracciabilità delle persone mediante scansioni di QR code, robot e riconoscimento facciale; in Corea del Sud è stata messa a punto una app con la quale le persone possono evitare i luoghi di contagio (l’app avvisa della vicinanza entro 100 mt. di un possibile contagiato); in Israele i servizi segreti sono stati autorizzati ad usare i dati dei cellulari dei cittadini per controllare i loro spostamenti.

In definitiva altrove nel mondo sono state ampiamente utilizzate ed implementate soluzioni di contact tracing per combattere il Coronavirus, sulla scia di un regime della sorveglianza in continua ed inesorabile espansione.

Anche in Italia, allo scopo di controllare la diffusione del virus è stata istituita presso il Ministero dell’Innovazione una task-force composta da esperti con il compito di supportare il Governo nell’emergenza Coronavirus la quale sta implementando soluzioni che contemplano l’utilizzo di tecnologie di tracciamento, geolocalizzazione raccolta e utilizzo dati; in particolare si tratterebbe di utilizzare i dati sul traffico telefonico in  possesso delle maggiori Compagnie telefoniche, oltre ad utilizzare informazioni delle app per smartphone basate su sistemi di Big Data analytics che, sfruttano i dati di geolocalizzazione già presenti su tali dispositivi.

In attesa che venga approvato un testo di legge si è aperto un dibattito sull’opportunità o meno di ricorrere a questi strumenti particolarmente invasivi e circa l’idoneità di tali sistemi a rispettare le garanzie previste dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, pur nel contesto di una situazione di emergenza.

A rendere il dibattito più interessante il fatto che la regione Lombardia ha già di propria iniziativa utilizzato i sistemi di tracciamento e geolocalizzazione, suscitando le critiche e le preoccupazioni dello stesso Viminale che ha sottolineato come quel tipo di controlli, da “Grande Fratello”, sono una prerogativa dell’Autorità giudiziaria, non di un’autorità amministrativa, e che quello della Lombardia potrebbe rappresentare un precedente pericoloso: “Oggi è stata la Lombardia, domani potrebbero muoversi tutti gli altri presidenti regionali. E se si permette questo tipo di accertamento a una Regione, perché non a un Comune? Di questo passo, si può arrivare anche a piccolissimi Comuni con poche centinaia di abitanti. E allora, anche senza nomi e cognomi, il tracciamento può essere davvero invasivo”.

Se è innegabile che l’utilizzo delle tecnologie digitali potrebbe rappresentare una risorsa fondamentale nella gestione dell’emergenza come mezzo per monitorare eventualmente i cittadini in quarantena o risultati positivi al virus, è altrettanto vero che l’utilizzo di sistemi a grandissima portata invasiva/intrusiva portano con sé problematiche per quanto attiene la tutela del diritto alla riservatezza: l'utilizzo di tali tecnologie digitali comporterebbe la gestione di milioni di dati personali che devono essere protetti da ingerenze illegali o utilizzi impropri, a tutela dei cittadini e degli stessi valori su cui si fonda la nostra convivenza civile.

Il quadro normativo cui dovrà farsi riferimento è costituito dal Nuovo Codice Privacy – Decreto Legislativo 196/2003 aggiornato al Decreto Legislativo 101/2018 e il GDPR (Regolamento UE 2016/679), oltre che, in ogni caso, alla Carta dei diritti fondamentali e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

I diritti riconosciuti dal GDPR, per effetto dell’articolo 23, sono suscettibili di compressione in presenza di alcune situazioni estreme, qual è certamente la grave emergenza sanitaria in atto;

gli articoli 6 e 9 del GDPR riconoscono agli Stati membri margini di discrezionalità nell’applicazione della normativa per motivi legati a misure nazionali eccezionali;

in particolare, l’articolo 9, par. 2 lett. i) del GDPR, individua la possibilità di derogare alla regola del generale divieto di trattamento dei dati quando “il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto professionale”; purché siano previste misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato.

L’articolo 14 del decreto-legge del 9 marzo 2020, recante “Disposizioni  sul  trattamento  dei  dati  personali nel contesto emergenziale”, già prevede, in via eccezionale, per la durata dell’emergenza COVID-19, una certa deroga al GDPR per il trattamento per il trattamento e la comunicazione da parte di soggetti qualificati dei dati sanitari dei cittadini interessati dal coronavirus; c’è chi ha intravisto in questa norma, disposizione di carattere speciale, uno spiraglio per l’introduzione di forme di contact tracing, in deroga alla norma generale contenuta nell’articolo 132 del Codice Privacy che prevede trattamento dei dati di traffico (celle telefoniche o georeferenziazione) solo in casi eccezionali e nel rispetto di uno specifico procedimento.

Dalle norme sinteticamente richiamate si deduce che le norme a protezione dei dati personali non ostacolano l’adozione di misure stringenti per il contrasto al COVID-19 e che l’utilizzo di sistemi di tracciamento e geolocalizzazione, quale misura di prevenzione e/o lotta al contagio, non sono astrattamente incompatibili con la normativa sulla protezione dei dati.

Perché l’utilizzo e l’implementazione di sistemi di contact tracing sia rispettoso delle garanzie previste dalla normativa in materia di protezione dei dati sarà però necessario adottare una disciplina dettagliata e una strumentazione idonea: i dati dovranno essere raccolti in forma aggregata e anonima, dovrà essere garantita la loro sicurezza si dovrà sapere in anticipo per quanto tempo i dati saranno raccolti e con quali modalità verranno poi distrutti.

Dovranno essere previsti meccanismi che siano proporzionati, che corrispondano ad esigenze davvero necessarie e adeguate al rischio, e adottate misure che risultino il meno possibile invasive.

L’utilizzo delle tecnologie digitali, in definitiva, dovrà essere perimetrato e commisurato alle effettive necessità di prevenzione e sorveglianza sanitaria della popolazione, con la garanzia della distruzione dei dati al venir meno dello stato di necessità.

Chiedere alla gente di scegliere tra Privacy e salute è di per sé la radice del problema, perché è una falsa scelta. Possiamo e dovremmo avere sia la Privacy sia la salute. Possiamo scegliere di proteggere la nostra salute e fermare l’epidemia di Coronavirus anche senza istituire regimi di sorveglianza totalitari.

 

3. Conclusioni

Il virus potrebbe rappresentare il catalizzatore per un’ulteriore espansione del regime di sorveglianza, che si implementa ad ogni evento alzando sempre più l’asticella. Negli ultimi anni sia i governi sia le multinazionali hanno usato strumenti tecnologici sempre più sofisticati per monitorare e influenzare le persone; l’epidemia potrebbe segnare un importante spartiacque nella storia della sorveglianza, rischiando di creare nuovi ed efficaci strumenti di sfruttamento e di controllo sociale.

Non solo; il virus potrebbe diventare l’alibi perfetto per scorciatoie pericolose: se l’utilizzo dei predetti sistemi funziona per contenere il contagio, perché non utilizzare quei dati e quella tecnologia anche in altri ambiti e per altre finalità?

Come questa politica che già si è mostrata poco attenta alle garanzie (vedi la L. “Spazzacorrotti”), giustificherà il mancato utilizzo di questa tecnologia nei confronti di indagati, imputati o condannati, di fronte di un’opinione pubblica sempre più giustizialista con gli altri?

È storia che quando si deroga a un a norma per via di un’emergenza c’è sempre una nuova emergenza dietro l’angolo.

In tema di uso smodato degli strumenti tecnologici, se già da tempo assistiamo a una progressiva normalizzazione di mezzi di indagine oltremodo invasivi – si pensi all’ampliamento dell’uso del captatore informatico ai reati di corruzione, la pandemia è stata occasione per la “virtualizzazione” del processo penale, ovvero per la gestione in videoconferenza delle udienze di convalida dell’arresto e del conseguente rito direttissimo.

Tuttavia, notizia dell’ultima ora, il Ministro della Giustizia vorrebbe estendere tale modalità di svolgimento delle udienze da remoto anche alle udienze con i liberi fino al 30 giugno2020 - ipotesi ovviamente inaccettabile e non conforme alle garanzie costituzionali.

Non si tratta di mere remore garantiste. Ciò che si intende evidenziare è che soprattutto nei momenti di gestione delle emergenze bisogna mantenere alta l’attenzione al rispetto delle regole in quanto ogni emergenza porta con sé il concreto pericolo di derive antidemocratiche e di progressiva erosione delle garanzie.

Per concludere, dunque, i diritti in contesti emergenziali possono subire limitazioni anche incisive, ma queste devono essere proporzionali alle esigenze specifiche e temporalmente limitate.

Anzi si può ragionevolmente affermare che la tenuta di un sistema democratico si vede proprio nella sua resilienza, ovvero nella sua capacità di modulare le deroghe (eccezioni) alle regole ordinarie (norma), inscrivendole in un quadro di garanzie certe e senza cedere a improvvisazioni.

È compito del giurista mantenere sempre alta l’attenzione; anche, soprattutto ai tempi del COVID-19.