La coltivazione di stupefacenti alla stregua del principio dell’offensività specifica
La fattispecie concreta sottoposta all’esame della Corte riguardava l’ipotesi della coltivazione in vaso, sul terrazzo di casa, di una sola pianta di canapa indiana a bassa efficacia drogante.
La IV sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26574 del 28/06/2011, dichiarando infondato il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, ha affermato che la condotta accertata, considerate le circostanze di fatto - una sola pianta coltivata sul terrazzo di casa con una quantità di principio attivo pari a 16 mg. - non assume alcuna rilevanza penale in quanto condotta inidonea a ledere o porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice (individuato nella salute e sicurezza pubblica).
Ha ritenuto, pertanto, perfettamente legittima la valutazione del giudice di merito (G.u.p. di Paola), che, con sentenza di non luogo a procedere, aveva dichiarato la condotta penalmente irrilevante in quanto concretamente inoffensiva.
Ha argomentato la Suprema Corte che il principio di offensività deve essere considerato in una duplice accezione: a un livello astratto esso opera come limite, di rango costituzionale, alla discrezionalità del Legislatore che, nell’individuare le condotte cui ricollegare una sanzione penale, deve tener conto del principio nullo crimen sine iniuria; diversa è “l’offensività specifica” della condotta che è invece il criterio che dovrà utilizzare il giudice, in fase applicativa, nel valutare discrezionalmente la concreta portata offensiva della condotta. Qualora la condotta sia in concreto assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico tutelato, non potrà ricondursi la fattispecie concreta a quella astratta in quanto la carenza di offensività della condotta implica la carenza di “tipicità” del fatto.
La condotta valutata carente di offensività in concreto è ascrivibile all’ipotesi di reato impossibile ex art. 49 c.p. ed è pertanto non riconducibile all’area del penalmente rilevante.
La disciplina legislativa cui fare riferimento è quella contenuta negli articoli 73 e 75 del su citato D.P.R. 309/1990 così come modificato a seguito della tornata referendaria del 1993 e dalla Legge Fini-Giovanardi n. 49 del 2006.
E’ stabilito che mentre le condotte di detenzione, acquisto ed importazione di sostanze stupefacenti costituiscono un illecito penale solo se è provata la destinazione a terzi della sostanza stupefacente, la condotta di coltivazione è punibile anche se è finalizzata all’uso personale.
Per ciò che attiene la condotta di coltivazione dunque, il discrimen tra ciò che costituisce un mero illecito amministrativo e ciò che costituisce reato, non va individuato sulla base del criterio finalistico della destinazione a terzi in quanto la coltivazione è condotta penalmente rilevante ex se.
Il reato di coltivazione è reato di pericolo astratto (o presunto) connotato dalla pertanto dalla necessaria offensività e non vi è bisogno di una valutazione del giudice sull’insorgere o meno del pericolo che si presume invece sorto, in conseguenza della mera condotta, sula scorta di regole d’esperienza.
Tale ricostruzione ha superato anche lo scrutinio di legittimità costituzionale.
Il giudice delle Leggi, con la pronuncia n. 360 del 1995 ha infatti affermato la ragionevolezza del trattamento sanzionatorio diversificato tra le condotte di detenzione, acquisto ed importazione e quella di coltivazione in quanto trattasi di condotte non paragonabili.
La condotta di coltivazione si connota di un disvalore penale e di una pericolosità sicuramente maggiori: è atta ad introdurre ulteriori sostanze droganti sul mercato; non è direttamente e immediatamente collegabile all’uso della sostanza stessa; non consente di apprezzare ex ante, con sufficiente grado di certezza, la quantità di prodotto drogante ricavabile.
Con la stessa pronuncia tuttavia, la Corte Costituzionale si era anche pronunciata favorevolmente in ordine alla possibilità per il Giudice, in sede applicativa, di utilizzare il criterio della offensività specifica per delimitare l’area del penalmente rilevante, statuendo che: “la indispensabile connotazione di offensività in generale della condotta implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente…..” .
In tema di coltivazione di sostanza stupefacente si sono così formati tre diversi orientamenti giurisprudenziali: secondo un primo orientamento, che fa leva sul dato letterale della norma e sulla qualificazione della coltivazione in termini di reato di pericolo presunto, la coltivazione costituisce reato sempre ed in ogni caso e le circostanze fattuali quali la quantità o il grado di tossicità della sostanza, sono utili solo ai fini della quantificazione della pena; per un secondo orientamento, che valorizza la Corte Costituzionale 360/1995, la rilevanza penale della condotta della coltivazione andrebbe esclusa in presenza di un dato quantitativamente ridotto; un terzo orientamento invece differenzia tra coltivazione domestica che deve considerarsi species del genus detenzione (con conseguente applicabilità della disciplina prevista per questa condotta) e coltivazione imprenditoriale.
A dirimere i contrasti è intervenuta la Corte di Cassazione a sezioni unite con le sentenze gemelle n. 28605 e n. 28606 del 2008 che ha optato per il primo orientamento, quello più rigido, e, confermando la natura di reato di pericolo astratto della coltivazione di stupefacente, ha affermato il principio per il quale il principio di offensività specifica opera come limite alla punibilità solo quando la condotta sia assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico.
In forza di tale principio la IV sezione della Corte di Cassazione ha, con la sentenza n. 1222 del 2008, a pochi mesi dalle sentenze gemelle, affermato la non punibilità della condotta consistente nella coltivazione di piante il cui ciclo di maturazione non era ancora giunto a completamento, ritenendo la condotta inoffensiva in quanto assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico.
La sentenza in commento se non rappresenta una svolta epocale, costituisce comunque una sensibile innovazione; potrebbe pertanto inaugurare un percorso di graduale allontanamento e superamento dei dictat affermati dalle sezioni unite.
Nel caso di specie infatti, non è ravvisabile una assoluta inidoneità della condotta a porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice; l’offensività della condotta è ravvisabile, anche se in grado minimo, e questo porta ad escludere che, alla stregua dell’interpretazione data dalla IV sez. nella sentenza in commento, possa ancora attribuirsi al reato di coltivazione di stupefacente la natura di reato di pericolo astratto.
Inoltre vi è il rischio che, sulla scia di questa pronuncia, attraverso un’applicazione “estensiva” del principio di offensività specifica, possa determinarsi la violazione dei principi di tassatività e legalità: non limitare i casi di esclusione della punibilità a quelli di assoluta inidoneità a mettere in pericolo il bene giuridico ed estendere l’area del penalmente irrilevante anche ai casi di “scarsa idoneità” ad offendere il bene oggetto di tutela (come nel caso in esame), potrebbe tradursi, in concreto, in una legittimazione (in termini di rilevanza penale) in via interpretativa della condotta di coltivazione finalizzata all’uso personale, superandosi così la espressa volontà del Legislatore. Inoltre questo tentativo di allontanamento dal pronunciamento delle sezioni unite potrebbe determinare delle applicazioni diversificate e tradursi in irragionevoli disparità trattamentali.
Resta comunque parecchio discutibile l’impianto normativo che regola la materia degli stupefacenti: parte della dottrina l’ha definita disciplina “logorroica” ed è comunque innegabile il suo carattere eccessivamente repressivo (ha portato a 28.000 condanne in pochi anni), che quasi rende necessario, di volta in volta, un intervento “riparatore” in sede applicativa da parte dei giudici; non può non ravvisarsi criticamente come l’ultimo intervento legislativo che ha apportato modifiche al D.P.R. 309 del 1990, è intervenuto nelle forme della decretazione d’urgenza su cui è stata anche posta la fiducia; si è pertanto evitata una seria discussione parlamentare in una materia molto delicata che andrebbe modellata anche alla stregua delle cangianti istanze sociali.
La fattispecie concreta sottoposta all’esame della Corte riguardava l’ipotesi della coltivazione in vaso, sul terrazzo di casa, di una sola pianta di canapa indiana a bassa efficacia drogante.
La IV sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26574 del 28/06/2011, dichiarando infondato il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, ha affermato che la condotta accertata, considerate le circostanze di fatto - una sola pianta coltivata sul terrazzo di casa con una quantità di principio attivo pari a 16 mg. - non assume alcuna rilevanza penale in quanto condotta inidonea a ledere o porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice (individuato nella salute e sicurezza pubblica).
Ha ritenuto, pertanto, perfettamente legittima la valutazione del giudice di merito (G.u.p. di Paola), che, con sentenza di non luogo a procedere, aveva dichiarato la condotta penalmente irrilevante in quanto concretamente inoffensiva.
Ha argomentato la Suprema Corte che il principio di offensività deve essere considerato in una duplice accezione: a un livello astratto esso opera come limite, di rango costituzionale, alla discrezionalità del Legislatore che, nell’individuare le condotte cui ricollegare una sanzione penale, deve tener conto del principio nullo crimen sine iniuria; diversa è “l’offensività specifica” della condotta che è invece il criterio che dovrà utilizzare il giudice, in fase applicativa, nel valutare discrezionalmente la concreta portata offensiva della condotta. Qualora la condotta sia in concreto assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico tutelato, non potrà ricondursi la fattispecie concreta a quella astratta in quanto la carenza di offensività della condotta implica la carenza di “tipicità” del fatto.
La condotta valutata carente di offensività in concreto è ascrivibile all’ipotesi di reato impossibile ex art. 49 c.p. ed è pertanto non riconducibile all’area del penalmente rilevante.
La disciplina legislativa cui fare riferimento è quella contenuta negli articoli 73 e 75 del su citato D.P.R. 309/1990 così come modificato a seguito della tornata referendaria del 1993 e dalla Legge Fini-Giovanardi n. 49 del 2006.
E’ stabilito che mentre le condotte di detenzione, acquisto ed importazione di sostanze stupefacenti costituiscono un illecito penale solo se è provata la destinazione a terzi della sostanza stupefacente, la condotta di coltivazione è punibile anche se è finalizzata all’uso personale.
Per ciò che attiene la condotta di coltivazione dunque, il discrimen tra ciò che costituisce un mero illecito amministrativo e ciò che costituisce reato, non va individuato sulla base del criterio finalistico della destinazione a terzi in quanto la coltivazione è condotta penalmente rilevante ex se.
Il reato di coltivazione è reato di pericolo astratto (o presunto) connotato dalla pertanto dalla necessaria offensività e non vi è bisogno di una valutazione del giudice sull’insorgere o meno del pericolo che si presume invece sorto, in conseguenza della mera condotta, sula scorta di regole d’esperienza.
Tale ricostruzione ha superato anche lo scrutinio di legittimità costituzionale.
Il giudice delle Leggi, con la pronuncia n. 360 del 1995 ha infatti affermato la ragionevolezza del trattamento sanzionatorio diversificato tra le condotte di detenzione, acquisto ed importazione e quella di coltivazione in quanto trattasi di condotte non paragonabili.
La condotta di coltivazione si connota di un disvalore penale e di una pericolosità sicuramente maggiori: è atta ad introdurre ulteriori sostanze droganti sul mercato; non è direttamente e immediatamente collegabile all’uso della sostanza stessa; non consente di apprezzare ex ante, con sufficiente grado di certezza, la quantità di prodotto drogante ricavabile.
Con la stessa pronuncia tuttavia, la Corte Costituzionale si era anche pronunciata favorevolmente in ordine alla possibilità per il Giudice, in sede applicativa, di utilizzare il criterio della offensività specifica per delimitare l’area del penalmente rilevante, statuendo che: “la indispensabile connotazione di offensività in generale della condotta implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente…..” .
In tema di coltivazione di sostanza stupefacente si sono così formati tre diversi orientamenti giurisprudenziali: secondo un primo orientamento, che fa leva sul dato letterale della norma e sulla qualificazione della coltivazione in termini di reato di pericolo presunto, la coltivazione costituisce reato sempre ed in ogni caso e le circostanze fattuali quali la quantità o il grado di tossicità della sostanza, sono utili solo ai fini della quantificazione della pena; per un secondo orientamento, che valorizza la Corte Costituzionale 360/1995, la rilevanza penale della condotta della coltivazione andrebbe esclusa in presenza di un dato quantitativamente ridotto; un terzo orientamento invece differenzia tra coltivazione domestica che deve considerarsi species del genus detenzione (con conseguente applicabilità della disciplina prevista per questa condotta) e coltivazione imprenditoriale.
A dirimere i contrasti è intervenuta la Corte di Cassazione a sezioni unite con le sentenze gemelle n. 28605 e n. 28606 del 2008 che ha optato per il primo orientamento, quello più rigido, e, confermando la natura di reato di pericolo astratto della coltivazione di stupefacente, ha affermato il principio per il quale il principio di offensività specifica opera come limite alla punibilità solo quando la condotta sia assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico.
In forza di tale principio la IV sezione della Corte di Cassazione ha, con la sentenza n. 1222 del 2008, a pochi mesi dalle sentenze gemelle, affermato la non punibilità della condotta consistente nella coltivazione di piante il cui ciclo di maturazione non era ancora giunto a completamento, ritenendo la condotta inoffensiva in quanto assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico.
La sentenza in commento se non rappresenta una svolta epocale, costituisce comunque una sensibile innovazione; potrebbe pertanto inaugurare un percorso di graduale allontanamento e superamento dei dictat affermati dalle sezioni unite.
Nel caso di specie infatti, non è ravvisabile una assoluta inidoneità della condotta a porre in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice; l’offensività della condotta è ravvisabile, anche se in grado minimo, e questo porta ad escludere che, alla stregua dell’interpretazione data dalla IV sez. nella sentenza in commento, possa ancora attribuirsi al reato di coltivazione di stupefacente la natura di reato di pericolo astratto.
Inoltre vi è il rischio che, sulla scia di questa pronuncia, attraverso un’applicazione “estensiva” del principio di offensività specifica, possa determinarsi la violazione dei principi di tassatività e legalità: non limitare i casi di esclusione della punibilità a quelli di assoluta inidoneità a mettere in pericolo il bene giuridico ed estendere l’area del penalmente irrilevante anche ai casi di “scarsa idoneità” ad offendere il bene oggetto di tutela (come nel caso in esame), potrebbe tradursi, in concreto, in una legittimazione (in termini di rilevanza penale) in via interpretativa della condotta di coltivazione finalizzata all’uso personale, superandosi così la espressa volontà del Legislatore. Inoltre questo tentativo di allontanamento dal pronunciamento delle sezioni unite potrebbe determinare delle applicazioni diversificate e tradursi in irragionevoli disparità trattamentali.
Resta comunque parecchio discutibile l’impianto normativo che regola la materia degli stupefacenti: parte della dottrina l’ha definita disciplina “logorroica” ed è comunque innegabile il suo carattere eccessivamente repressivo (ha portato a 28.000 condanne in pochi anni), che quasi rende necessario, di volta in volta, un intervento “riparatore” in sede applicativa da parte dei giudici; non può non ravvisarsi criticamente come l’ultimo intervento legislativo che ha apportato modifiche al D.P.R. 309 del 1990, è intervenuto nelle forme della decretazione d’urgenza su cui è stata anche posta la fiducia; si è pertanto evitata una seria discussione parlamentare in una materia molto delicata che andrebbe modellata anche alla stregua delle cangianti istanze sociali.