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Separazione non consensuale

Sulla divisione delle carriere dei magistrati
separazione delle carriere
Ph. Riccardo Radi / separazione delle carriere

Separazione non consensuale

Ho lavorato presso la Corte d’Appello di Venezia, quale magistrato del Settore Penale, per cinque anni e ho tenuto, pur non conoscendolo personalmente, in grande considerazione Carlo Nordio anche lui operativo a Venezia. Uomo colto, acuto negli editoriali, ottimo magistrato. Oggi, dopo le elezioni del 25 settembre, rebus sic stantibus, il Governo non poteva fare scelta migliore per il Ministero della Giustizia.

 

Tuttavia, su alcuni argomenti esposti da Nordio in questi primi giorni dissento. Ad esempio, sull’argomento della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. Nordio ha scritto o detto – non so, rilevo dalla stampa – che, tra l’altro, procederà verso quella soluzione prevista nel programma del governo. E in particolare precisa “La separazione delle carriere non mira al controllo del pm” aggiungendo “mi fa inorridire solo l’idea”. Ne sono sicuro per quanto riguarda lui. Quindi per spiegarmi simili affermazioni provenienti da Nordio non posso che ricorrere al detto paolino Omnia munda mundis.  

Infatti, creare una “carriera” di soli PM, nel nostro attuale ordinamento giuridico-costituzionale, ha il solo e direi l’unico scopo quello di creare le premesse per mettere il pm sotto il controllo dell’esecutivo, organo politico per eccellenza, il distillato. Non si vede altro serio motivo. A mio parere, come accade per il giudicante, la figura dell’inquirente deve essere inquadrata nella magistratura tout court che è assistita da una autonomia di azione e da una correlata indipendenza.  Le quali la tengono lontano da ogni sospetto di ingerenza.

Nell’autonomia e nell’indipendenza è l’ubi consistam del magistrato quale che sia la sua funzione dialetticamente strutturata. Il magistrato – è utile ricordarlo – persegue la giustizia attraverso la legge. E quindi neppure l’ombra di un dubbio deve sfiorare l’idea che un potere diverso, segnatamente quello politico, possa avere influenza sulla sua attività così da frustrare il fine che è e deve essere la giustizia.

Si possono ricoprire in tempi diversi entrambe le funzioni sotto l’usbergo delle fondamentali garanzie a tutela della particolare funzione nell’interesse dei consociati. Lo stesso Ministro Nordio riconosce che si può svolgere l’attività di pm e di giudicante senza problemi di alcun tipo visto che lui “ha potuto fare benissimo entrambe le funzioni”.

Ma allora perché avventurarsi in una riforma la più pericolosa in assoluto per la giustizia? Nordio lo spiega: gli è perché esiste la preoccupazione di come il passaggio da una funzione all’altra sia percepito dai cittadini.  E dice “si potrebbe pensare che una mentalità accusatoria non sia tipica del giudice e viceversa”.

Alla prova dei fatti, il timore esposto da Nordio non ha cittadinanza. Io sono del parere che il verificarsi di tale timore sia nella realtà scarsamente probabile. L’imputato per truffa o estorsione o corruzione, sottoposto a processo presso il tribunale di Brescia non credo sia turbato se venga a sapere che il PM è stato quattro anni prima giudicante nel vicino tribunale di Bergamo. O simmetricamente che il giudice di Brescia sia stato quattro anni prima PM presso il tribunale di Bergamo. Oppure anche se durante le indagini l’indagato venga a sapere che il PM sia stato quattro anni prima nella giudicante in altro o nello stesso tribunale, e viceversa.

Senza dimenticare infine che nei casi più pericolosi esiste tuttora la valvola di sicurezza della ricusazione: e il magistrato si cambia.

Dice poi il Ministro Nordio che dove esiste la separazione delle carriere non c’è il controllo dell’esecutivo sul PM. Anche ad ammettere come vero tale convincimento, mutare il nostro sistema giudiziario in altro di carattere diverso (accusatorio), come pare che auspichi il Ministro, significherebbe stravolgere l’intero impianto della struttura costituzionale in materia di giustizia.

Ogni sistema non nasce per caso o per sola disposizione normativa, ma si fonda su radici e tradizioni storiche proprie di ogni paese. In Italia non esiste, né può essere istaurata per legge, la stessa mentalità sociale che è propria dei paesi di common law come storicamente formatasi.

La Storia conta e qui indica due mentalità assolutamente differenti. Nei paesi anglosassoni non credo si possano concepire e apprezzare le raffinate conquiste del nostro diritto come ad esempio nel diritto sostanziale il concetto di dolo eventuale o di colpa cosciente o nel diritto processuale il concetto del bilanciamento delle circostanze, mentre da noi non sarebbe comprensibile delegare la sentenza a non ad un giudice terzo e indifferente, ma ad un gruppo di privati cittadini. Sono mondi totalmente diversi e non possono scambiarsi impunemente istituti e metodi.

Da qualunque parte la si esamini, l’idea di creare una carriera distinta per chi voglia fare il PM, e solo il PM per tutta la vita, non si rivela una idea buona, a parte il pericolo di un corporativismo perverso di cui non si sente la necessità. Anzi, io credo al contrario che buona sia l’idea di un PM che abbia almeno una volta svolto attività di giudicante e viceversa. Questo alternarsi può favorire la qualità della resa dell’intero comparto: il PM agirà ben conoscendo come sarà considerata dal giudicante la sua attività di PM e si comporterà di conseguenza. E questo a vantaggio di tutti. L’esperienza in entrambe le funzioni può portare solo vantaggi e nessuno svantaggio.

Invece, dove il progetto di Nordio è assolutamente lodevole è nel voler iniziare l’intervento operativo del nuovo Ministero dalle carceri. Possiamo formulare i migliori sistemi processuali, ma se alla fine la conclusione è insoddisfacente, ogni impegno si vanifica.  

Tutti i problemi di grande impatto vengono meglio risolti se affrontati partendo dalla coda, che nel processo penale significa dal regime carcerario. Così saggiamente ammoniva un adagio della Serenissima in tema di cause civili. Prima di iniziare una causa occorre assicurarsi di questo: “Aver rason, saverla espor, trovar chi la intenda, borsa da banchier, gambe da levrier…”, ma soprattutto “debitor che paga”.  Dalla coda appunto.