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Difesa armata dei beni: è legittima difesa?

Legittima difesa
Legittima difesa

Un uomo anziano, che vive solo in casa al piano terreno, sente dei rumori provenire dalla camera da letto. Prende una pistola (legittimamente detenuta) e si avvicina alla porta chiusa. L’apre e vede un giovane che sta scavalcando la finestra portando con sé i gioielli di famiglia che ha appena sottratto dal comodino.  L’uomo gli intima di fermarsi, ma l’altro lo ignora, esce dalla finestra e si allontana sullo stradello del giardino che porta alla via principale.

Il derubato si chiede se poteva usare l’arma per fermare il giovane e difendere i propri beni che stava perdendo per sempre. Certamente nessuno glielo impediva, ma sarebbe stata applicata a lui la scriminante della legittima difesa dei propri beni? Per rispondere al quesito, dobbiamo giustapporre il fatto accaduto alla disciplina codicistica sulla legittima difesa.

Come tutti sanno, il diritto di difesa è sempre stato riconosciuto (vim vi repellere licet). L’articolo 52 del nostro codice, al primo comma riconosce questo diritto disponendo che chi commette un fatto-reato quando è costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui, diritto che si trova nell’attuale pericolo di essere ingiustamente aggredito, non sarà punito, a condizione che la sua difesa sia proporzionata alla offesa. Il codice parla genericamente di diritti, ma pacificamente comprende sia l’incolumità fisica che i beni materiali. La sussistenza della proporzione spetta alla valutazione dei giudici.

Spinto da molteplici istanze sociali, il Legislatore è intervenuto con legge 13 febbraio 2006 n. 59 modificando considerevolmente la disciplina dell’articolo 52 Codice Penale. In particolare, ha previsto esplicitamente l’ipotesi in cui l’offesa dei diritti avvenga con violazione del domicilio, cioè in abitazione o zone equiparate. Nel qual caso, la legge introduce una rilevante novità: fermi tutti gli altri requisiti citati, l’offeso può reagire usando un’arma (legittimamente detenuta) contro l’offensore (evidentemente disarmato) e stabilisce che nel contrasto “sussiste il rapporto di proporzione” di cui si è detto. Per inciso, se l’offensore fosse anche lui armato, il dubbio sulla proporzione non si porrebbe. Naturalmente l’arma deve essere usata al solo fine di difendere “a) la propria o l’altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione”.

Ci si è chiesti da più parti se stabilire espressamente che “sussiste il rapporto di proporzione” nel caso predetto significhi che esso va presunto, e che quindi i giudici debbono darlo per scontato ogni volta che si realizzino gli altri requisiti. Ossia se è vero che l’offeso, che si trova nella abitazione, dovendo difendere i propri diritti, è legittimato ad usare un’arma e non incorre nella punibilità conseguente.  La mens legis di tale modifica era probabilmente proprio quella di dar vita ad una presunzione di sussistenza riguardo il requisito più problematico dell’istituto.

Ma la Corte di Cassazione dopo qualche incertezza (Cass. 28.6.2006 n. 25339, Cass.7/10/2014 n. 50909), si è espressa definitivamente nel senso che in ogni caso il requisito della proporzione va accertato tra le due azioni antagoniste. Quindi nessuna presunzione di sussistenza.

Tuttavia, il Legislatore è tornato ad occuparsi dell’uso dell’arma nella difesa in abitazione (legge 26. 4.2019 n. 36) approvando una ulteriore modifica del testo dell’articolo 52 Codice Penale, inserendo cioè la parola “sempre” dopo la parola “sussiste, così che l’intero periodo appare ora così formulato: nei casi di violazione di domicilio con reazione armata dell’offeso “sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo”. Apparentemente creando con ciò una presunzione juris et de jure circa la sussistenza del requisito. Asserzione assiomatica che non soffre prova contraria.

Sennonché, la Corte di Cassazione ha interpretato l’avverbio sempre nel modo del tutto opposto. La recente importante sentenza 15.1.2020 n.13191 precisa che “l’inserimento dell’avverbio sempre non ha il significato di porre una presunzione assoluta di proporzionalità (melius proporzione) della difesa armata all’offesa perpetrata nel domicilio, ma semplicemente di rafforzare la presunzione di proporzione già prevista”. 

Ed ancora più recentemente (Cass. 21.7.2020 n. 21794) la stessa Corte puntualizza ulteriormente il senso da attribuire alla suddetta aggiunta, precisando, che, “l’aggiunta dell’avverbio sempre appare pleonastica, in quanto l’operatività della presunzione resta comunque subordinata all’accertamento degli altri elementi costitutivi della fattispecie scriminante”, così che per la Cassazione la proporzione va sempre accertata e mai presunta in via assoluta. Per la Corte, ampliando il raggio di osservazione, “l’inserimento dell’avverbio sempre… non modifica l’impianto normativo dell’istituto: la fattispecie scriminante postula una serie di requisiti… che costituiscono ‘ineludibili precondizioni’ rispetto alla proporzione”. In altri termini, secondo la Corte la modifica non va intesa come “non è più necessario” accertare la presenza della proporzione, bensì come “è più che mai necessario” accertare la presenza della proporzione.

Stando così le cose in generale, vediamo quali riflessi si verificano rispetto alla difesa specifica dei “beni propri o altrui” per la prima volta citati espressamente in ambito di legittima difesa. Nel caso ipotizzato (assai frequente nella realtà) i requisiti richiesti per il riconoscimento della impunità ex articolo 52 Codice Penale sembrano esserci tutti: l’avvenuta sottrazione dei beni familiari (non ancora impossessamento), la necessità di una difesa immediata, la violazione del domicilio, la disposizione di un’arma (legittimamente detenuta) da parte dell’offeso, insomma sussistono tutte quelle “ineludibili precondizioni” necessarie per il riconoscimento della legittima difesa.

Il problema si pone soltanto per il requisito della proporzione dell’agire tra il difensore armato e l’offensore disarmato. Qui torna il quesito iniziale: per difendere i propri beni, cioè per fermare il ladro, poteva la vittima usare l’arma? Sarebbe stata riconosciuta la proporzione della reazione, e quindi la legittimità della difesa dei beni?

Come si è accennato, la lettera b) del comma 2 dell’articolo 52 sottopone l’uso dell’arma a difesa dei beni a due condizioni: la prima, che il difensore intimi all’offensore di desistere dall’atto illecito (impresa presumibilmente di scarsa efficacia); la seconda, che l’offensore passi ad una aggressione personale nei confronti della vittima.

Orbene, quanto alla prima condizione, l’anziano signore ha regolarmente intimato al ladro di desistere, ma senza esito. Quanto alla seconda, vale la pena di analizzare che cosa significhi precisamente il termine “aggressione”. Forzando un po’ l’interpretazione, si potrebbe sostenere che il termine “aggressione” può riferirsi non solo alla persona, ma anche ai beni materiali (il creditore “aggredisce” il patrimonio del debitore insolvente, ecc.), per cui, per ipotesi, si potrebbe ritenere verificata anche l’ultima condizione atta a consentire l’uso dell’arma, avendo l’offensore “aggredito” i beni sottratti dal comodino.

Ma la giurisprudenza sul punto è ferma: il termine “aggressione” di cui alla lettera b) comma 2, articolo 52 Codice Penale si deve riferire solo ed esclusivamente alla incolumità fisica della vittima. Solo che così facendo, si ricade nella difesa legittima della incolumità personale e passano in seconda linea i beni propri o altrui. Ciò chiarito, se il ladro disarmato tentasse (si direbbe sconsideratamente) di aggredire o porre in pericolo l’incolumità del derubato, questi può, usando l’arma, difendere sé e nello stesso tempo, per un effetto collaterale e indiretto, i propri beni.

Questo suggerisce una ulteriore considerazione. A ben vedere, una così strutturata difesa indiretta dei beni materiali può dar luogo ad una distorsione logico-giuridica di inaccettabile resa. Infatti, se è vero che l’offeso può usare legittimamente l’arma contro il ladro solo se questi, disarmato, mette in qualche modo in pericolo la incolumità del primo, non si può escludere che quest’ultimo finisca paradossalmente per auspicare che detto pericolo si verifichi o addirittura che lo provochi.

Comunque, da tutto quanto esposto, e per rispondere all’interrogativo del titolo, si deve concludere che nel nostro attuale ordinamento non esiste norma che legittimi direttamente e specificamente la difesa armata dei beni propri o altrui.

Di più: il ladro disarmato che decidesse di aggredire (anche a mani nude? risorta la presunzione assoluta?) il derubato armato, a parte il pericolo personale cui andrebbe incontro, si renderebbe responsabile di un più grave reato e cioè del reato di rapina impropria ex articolo 628, 2 comma Codice Penale, che riguarda chi “adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”  Aggravato, perché  “commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis” cioè in  abitazione ed equiparati.

Per finire, all’anziano signore rimane un’ultima possibilità. Nel caso in esame, si potrebbe ripiegare nell’ambito dell’eccesso colposo” ex articolo 55 Codice Penale anch’esso modificato.

Come è noto, detto articolo non prevede la non punibilità per chi eccede involontariamente nella reazione difensiva di un proprio diritto, superando seppure per colpa i limiti della proporzione. Per costui la legge prevede solo le minori sanzioni stabilite per i reati colposi, sempre che il reato difensivo rientri in tale categoria. Tuttavia, con la stessa legge 26.4.2019 n. 36 è stata ampliata l’operatività anche di questa misura favorevole alla vittima, ed infatti, dando vita ad una nuova scriminante, si è eccezionalmente esclusa del tutto la punibilità di “chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità…” agendo “in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

Ma, come si vede, tale disposizione, simile a quella di altri ordinamenti stranieri, pone un limite invalicabile. Rispettando la lettera della legge, la Cassazione (sent. 15.1.2020 n.13191), pur in presenza del nuovo interessante requisito del “grave turbamento”, ha stabilito che “è sempre necessario che l’aggredito abbia commesso il fatto solo per la salvaguardia della propria o altrui incolumità” e quindi non per difendere un proprio o altrui diritto patrimoniale.

Per cui, poiché nel nostro caso il ladro non ha rivolto all’anziano signore alcuna minaccia alla incolumità, si deve concludere che l’uomo, qualora avesse fatto uso utile dell’arma posseduta, non poteva richiamarsi neppure all’ampliamento dell’eccesso colposo previsto dalla nuova disposizione ex articolo 55 Codice Penale.