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Legittima difesa e tecnica legislativa

stele di Hamurrabi, lex talionis
stele di Hamurrabi, lex talionis

Sancire a priori che, in certe situazioni, il rapporto di proporzione sussiste "sempre" e che il risultato di un giudizio è “sempre” positivo (o negativo) offende la logica, prima ancora che il diritto.

La forma è contenuto, si dice in letteratura. Ma mai come nella legislazione tale assunto si mostra in tutta la sua imponenza. Nella nuova formulazione dell’articolo 52 Codice Penale (2019) si è data origine ad una fonte di incertezze che metterà a dura prova coloro che saranno chiamati ad applicarla.

In questa breve nota prendiamo lo spunto dal caso recentissimo del tabaccaio di Ivrea il quale, secondo le informazioni giornalistiche del primo momento, sentendo rumori sospetti provenire dal negozio sottostante alla propria abitazione, esplodeva uno o più colpi da una pistola legittimamente detenuta contro alcuni giovani che verosimilmente tentavano di rubare entro la tabaccheria. Nella circostanza uno dei giovani rimaneva ucciso.

Nonostante non siano stati ancora accertati i fatti nel loro dettaglio, è chiaro che gli inquirenti dovranno comunque fare i conti con le nuove disposizioni che hanno modificato l’articolo 52 citato. A questo proposito non ci sembra inutile puntare il focus proprio sulle predette integrazioni legislative.

Come è a tutti noto, perché possa applicarsi la esimente della legittima difesa, occorre che tra la ingiusta aggressione e la necessitata reazione sussista un “rapporto di proporzione”. Proporzione tra i beni in conflitto, tra i mezzi a disposizione, ecc.

La nuova normativa interviene su tale disciplina stabilendo che, nei casi speciali di aggressione compiuta nella abitazione o nel negozio della parte offesa, se questa, “costretta dalla necessità di difendere i beni propri od altrui…, usa un’arma legittimamente detenuta…”, il rapporto di proporzione sussiste “sempre”.

È qui che rileviamo una imperfezione nella tecnica legislativa. Il requisito della proporzione consiste nella qualificazione di un “rapporto” riscontrato tra due o più elementi a seguito di un giudizio.  

Nel caso della legittima difesa, trattandosi di negare la antigiuridicità di una vis privata, e cioè trattandosi di una grave intrusione nel quadro della statualità del diritto penale, il rapporto di proporzione sembrerebbe imprescindibile e comunque non può subire nella sua sostanza stravolgimenti per via formale ancorché legislativa.

Infatti, la “proporzione”, o meglio la “sussistenza della proporzione”, è, come detto, la risultante di un giudizio, di una valutazione tra due o più  “fatti” in contrasto. È un tipo di relazione cui si perviene dopo che sono state soppesate le parti che ne costituiscono gli elementi.

Ciò posto, offende la logica, prima ancora che il diritto, sancire a priori che, in certe situazioni, il risultato di un giudizio è “sempre” positivo (o negativo).

Il termine giudizio apparirebbe un ospite non invitato.

Sarebbe come sostenere pregiudizialmente che un imputato è sempre e comunque innocente (o colpevole) in qualsiasi modo sia andato il processo.

Riteniamo invece noi che, in sede legislativa, in luogo della locuzione “sussiste sempre il rapporto di proporzione”, dovevasi adottare, proprio per il fine che si voleva perseguire, la formulazione più corretta e cioè: “Nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, si prescinde dal rapporto di proporzione ecc.”.

In questa maniera si sarebbero di certo evitate le inevitabili questioni sulla persistenza o meno della necessità da parte del giudicante di una complessa (e infruttuosa) valutazione.

Forse si è voluto far risaltare la forza e l’importanza della innovazione (colpire la proporzione) o forse, più semplicemente, il Legislatore non è riuscito a liberarsi dell’assillo di detto requisito, ritenendo che, con l’inserire il semplice avverbio “sempre”, si potesse raggiungere più direttamente il risultato perseguito. Ha visto nel “sempre” una scorciatoia intellettuale, laddove nella logica scorciatoie non esistono: esistono solo trabocchetti.

Eppure, la questione deve essersi posta all’attenzione del Legislatore, atteso che al quarto comma dello stesso nuovo articolo 52, è stata scelta una soluzione di maggiore chiarezza terminologica.

Si legge infatti che “Nei casi di cui al secondo e terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che, ecc.”. Dove non si cita la proporzione (bypassata e non sottintesa, sussistendo gli altri elementi di fatto) e si sancisce una soluzione netta e conclusiva che amplia – troppo? –  l’ambito della esimente in questione. 

Probabilmente, alla base di tale decisa formulazione si trova l’idea liberista-mercantile, secondo la quale chiunque voglia “imprendere” una qualunque attività, sia legale che illegale, deve mettere in conto che l’impresa può finir male e, se ritiene di tentare lo stesso, egli accetta implicitamente un certo “rischio d’impresa” che può andare anche oltre il proprio apporto e che non può essere messo a carico del solo concorrente o antagonista.

Sembra quasi si sia voluto stabilire, ad esempio, che l’aggressore che agisce senza armi da fuoco non possa e non debba essere sicuro che la vittima non reagirà con armi da fuoco in ossequio al vincolo (attivo solo per essa vittima) della proporzione.

Per lo sfortunato imprenditore si potrebbe richiamare, in caso di fallimento dell’impresa (legale o illegale), la cinica formula del imputet sibi, se così vuole il Legislatore. Esso, per l’interprete, tutto può, purché dia al diritto positivo precisione formale per il conseguente rilievo pratico che solo lo giustifica.