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Amnistia e indulto, riforma Cartabia e l'amnistia necessaria

Provvedimenti elettoralmente indigesti ma politicamente necessari per garantire la riuscita della “riforma” della giustizia Cartabia.
La perfezione
Ph. Giacomo Martini / La perfezione

Amnistia e indulto, una riforma necessaria

Amnistia e indulto sono sempre stati un rimedio al tempo stesso interno ed esterno alla giustizia penale, cui essa non può rinunciare con la consapevolezza di perdere il suo equilibrio e di non avere i mezzi per affrontare le sue crisi sistemiche.

 Il 24 luglio la “riforma” della giustizia Cartabia approderà alle Camere.

L’esame delle proposte in campo non lascia spazio a dubbi sulla necessità di accompagnarle con delle vere riforme strutturali dell’ordinamento giudiziario vera causa dei mali cronici della giustizia.

Prima tra tutte la separazione delle carriere, accompagnata dal profilo professionale dei magistrati e conclusa con il CSM a sorteggio.

In caso contrario sarà l’ennesima occasione perduta per cambiare un sistema che non ha bisogno dell’omeopatia per combattere la condizione di malato irreversibile.

Lo stato della giustizia penale è fotografato dai seguenti dati: “Un uguale affanno caratterizza la giustizia penale. I procedimenti pendenti al 31 marzo 2020 sono circa 1,6 milioni, più di quelli pendenti alla fine di tutti gli anni del primo decennio del secolo e anche di più, sebbene in misura modesta, dell’anno precedente (statistiche ministero della Giustizia). Il grosso dell’arretrato, per di più, pende in primo grado ed è quindi ben lontano dal traguardo finale (statistiche ministero della Giustizia).

La spinta alla sua riduzione sembra essersi fermata a partire dal 2017 e la recente riforma normativa che ha sancito il blocco della decorrenza dei termini prescrizionali dopo le sentenze di primo grado verosimilmente aggraverà il problema come pure l’emergenza COVID che ha influito negativamente su buona parte del 2020.

Nasce da qui l’inserimento del nostro Paese tra quelli della zona d’allarme europea. Una classificazione che non ha nulla di ideologico e che si fonda sulla pura eloquenza dei numeri ed in particolare sul nostro DT che è di 361 giorni per il primo grado a fronte di una media europea di 144 giorni (rapporto CEPEJ)”. Per approfondire leggi questo articolo.

Insieme alle vere riforme strutturali, che ho molti dubbi che si vogliano realmente affrontare, rimane il nodo di accompagnare la “riforma” Cartabia con un provvedimento di amnistia e indulto per non affossarlo prima della partenza.

Invocare l’amnistia e indulto, oggi, è una posizione realista che prende atto della situazione della macchina giustizia.

Qui basti ricordare che, fino al 1992, l’amnistia fu lo strumento per tenere in piedi un sistema in cui convivono obbligatorietà dell’azione penale, processo con tre gradi di giudizio normalmente percorsi senza filtri, tendenza alla “panpenalizzazione”, scarsità di personale amministrativo e giudiziario.

Preme evidenziare che la riforma Cartabia non affronta in alcun modo il potenziamento della macchina giustizia con investimenti concreti in strutture e personale, la pantomima dell’ufficio del processo non procurerà alcun sollievo all’arretrato di processi accumulato.

Ma ci sarà la volonta politica per rendere l’amnistia e l’indulto non un vecchio refrain ma un nuovo spartito da cui ripartire? Per rispondere all’interrogativo ripercorriamo la storia dell’amnistia e indulto.

Amnistia e indulto nella storia della Repubblica

Dal 1946 al 1990 furono 28 le amnistie che, periodicamente, intervenivano a ripulire gli armadi dei magistrati da pile di fascicoli per reati minori.

L’amnistia prevista dall’art. 151 codice penale estingue il reato e fa cessare l’esecuzione della condanna.

Ogni amnistia era accompagnata da un indulto che, condonando qualche anno di pena ai condannati definitivi, alleggeriva carceri cronicamente sovraffollate che – fino alla riforma penitenziaria del 1975 – covavano il germe delle rivolte pronte a esplodere in estate.

Poi, nel 1992, riformando l’articolo 79 della Costituzione, si previde che, per concedere l’amnistia e l’indulto, fosse necessaria la maggioranza dei due terzi del Parlamento. Con la conseguenza che, essendo tale maggioranza politicamente irraggiungibile, non vi son più state amnistie.

Tralasciando il cosiddetto “decreto Togliatti”, volto a pacificare i lasciti della guerra di liberazione, e adottato ancora in assenza delle nuove statuizioni costituzionali, a eccezione dei provvedimenti del 1968, del 1970 e del 1990 (i primi rivolti a chiudere le vicende penali derivanti dai movimenti sociali di quegli anni, avendo il secondo anche riguardo ai conflitti autonomistici nell’Alto Adige; l’ultimo volto a decongestionare gli uffici giudiziari in occasione dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale), i ventuno provvedimenti di clemenza generale succedutisi tra l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e la sua revisione del 1992 in gran parte rispondono ancora alla tradizionale concezione indulgenziale degli istituti.

Amnistia e indulto: le amnistie celebrative

Si pensi alle amnistie “celebrative” del 1959 (per il quarantennale di Vittorio Veneto), del 1963 (in occasione del Concilio Vaticano II) e del 1966 (nel ventennale della Repubblica), mutatis mutandis, in linea con le amnistie del regime fascista per il venticinquesimo anniversario del regno di Vittorio Emanuele III, per le nozze del principe di Piemonte, per il primo decennale del regime o per le nascite degli eredi di Casa Savoia.

A fronte di tali problemi, il legislatore del 1992 ha inteso autolimitarsi per non incorrere ulteriormente in un uso distorto degli strumenti di clemenza generale previsti dall’ordinamento costituzionale.

Amnistia e indulto: le modifiche del 1992

Così è nata la seconda modifica procedurale dell’articolo 79 della Costituzione, che ha individuato in una maggioranza qualificata pari ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera, per ogni articolo e per la votazione finale, il quorum necessario alla deliberazione delle leggi di amnistia e di indulto.

La scelta di interrompere la pratica democristiana che utilizzava i due “rubinetti” dell’amnistia e dell’indulto per liberare le scrivanie dei tribunali da troppe carte e le carceri da troppi corpi, allo scopo di mantenere in equilibrio il sistema della giustizia, era motivata dall’illusione che la riforma del codice di procedura penale elaborata da Giandomenico Pisapia avrebbe cambiato radicalmente il sistema penale italiano, rendendolo al tempo stesso più efficiente e più garantista.

In realtà la sterilizzazione della riforma, l’emergenza mafia, la scelta di criminalizzare il consumo di droghe, il panpenalismo messo in evidenza da Mazzacuva e il nuovo fenomeno dell’immigrazione hanno fatto esplodere il numero dei processi e le carceri.

Dal punto di vista dell’autolimitazione del potere di clemenza, va detto che la legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, ha senz’altro raggiunto il suo scopo, essendo stato approvato da allora un solo provvedimento di indulto (per di più monco della collaterale e necessaria amnistia, lasciando correre così inutilmente migliaia di procedimenti penali destinati all’archiviazione ovvero alla non esecuzione del giudicato) solo in occasione della prima, gravissima esplosione del sovraffollamento penitenziario, nel 2006, ma inibendo la sua funzione di strumento di politica criminale.

Amnistia e indulto: i provvedimenti di grazia

Contrariamente alle previsioni, con il congelamento degli istituti dell’amnistia e indulto sono crollate anche le grazie individuali, anche a causa dei vincoli stabiliti dalla sentenza n. 200 del 2006 della Corte costituzionale che, nel momento in cui riconosceva al Capo dello Stato la titolarità effettiva del potere di grazia, lo limitava a “eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria”, fino a rendere anch’essa una improbabile meteora nella realtà della giustizia e dell’esecuzione penale in Italia.

Amnistia e indulto: i provvedimenti di clemenza individuale e le pratiche di grazia del Presidente Mattarella al 20 maggio 2021

Dal suo insediamento (3 febbraio 2015), il Presidente Mattarella ha adottato 26 provvedimenti di clemenza individuale. Si è trattato di 18 decreti di grazia per pene detentive temporanee (di cui uno anche per la pena accessoria inflitta con la condanna), di 5 decreti con cui sono state concesse grazie parziali (riduzione della pena detentiva temporanea), 1 decreto di grazia per la pena accessoria, 1 decreto di commutazione della pena detentiva in pena pecuniaria e 1 decreto di grazia per pena pecuniaria.

Nei primi sei anni di Presidenza, sono state sottoposte all’attenzione del Presidente Mattarella sia le pratiche che hanno dato luogo all’adozione dei 26 provvedimenti di grazia sia altre 1869 domande (o proposte) di grazia oppure di commutazione di pene. Di esse 1260 sono state rigettate e 609 archiviate o “poste agli atti”.

 Il provvedimento di Grazia è previsto dall’art. 681 c.p.p.

La sostanziale inoperatività dell’amnistia e del’indulto hanno dunque causato un problema di equilibrio nel sistema; la questione degli abusi passati è certamente un problema ed è auspicabile che non si ripetano. Ma se tutti i sistemi di giustizia ammettono l’esistenza di poteri (inevitabilmente politici) di clemenza, una ragione ci sarà.

Il punto è che in qualsiasi sistema giudiziario il principio di clemenza costituisce l’elemento destinato a bilanciare gli eccessi possibili del principio di legalità penale.

Amnistia e indulto: strumenti di politica criminale

Detto in altri termini, l’amnistia è strumento di politica criminale, un rimedio al tempo stesso interno ed esterno alla giustizia penale, cui essa non può rinunciare senza rischiare di perdere il suo equilibrio e di non avere i mezzi per affrontare le sue crisi sistemiche.

Nell’ultimo quarto di secolo il ricorso a strumenti di clemenza avrebbe consentito di risolvere in concreto situazioni di impasse del sistema giudiziario penale.

In assenza di strumenti di clemenza utilizzabili a tempo e modo, sotto una domanda di punizione eccessiva rispetto ai mezzi e alle risorse disponibili, il sistema collassa sia in fase di accertamento delle responsabilità penali sia in fase di esecuzione dei conseguenti provvedimenti giurisdizionali.

In sede processuale, l’unico rimedio fin qui esperito è quello che affida ai capi degli uffici giudiziari la responsabilità di decidere cosa perseguire effettivamente e cosa inoltrare sul binario morto della prescrizione, in conformità a una valutazione discrezionale che, viceversa, l’ordinamento costituzionale preclude loro.

Sul versante dell’esecuzione penale, invece, sono stati escogitati strumenti impropri, come il cosiddetto “indultino” del 2003, mentre il self-restraint della macchina della punizione (agevolato da qualche norma decarcerizzante, in qualche caso temporanea) all’indomani della cosiddetta “sentenza Torreggiani” della Corte europea dei diritti umani, adottata l’8 gennaio 2013, è stato estemporaneo. Se, dunque, la sterilizzazione dei canali di accesso alla clemenza è un problema sistemico e deve essere affrontato per garantire il funzionamento del sistema di giustizia penale in situazioni di crisi, è necessario individuare le cause specifiche di quella sterilizzazione, per trovarvi i rimedi adeguati.

In effetti, il nuovo quorum per i provvedimenti di amnistia e di indulto (palesemente irragionevole, anche perché più alto di quello richiesto per modificarlo) e i vincoli di contenuto al ricorso al potere di grazia presidenziale hanno costituito elementi importanti per la sterilizzazione dei due canali di clemenza penale. Ciò detto, però, sia l’adozione del provvedimento di indulto del 2006 sia il pur limitato esercizio del potere di grazia presidenziale ci dicono che le norme non impediscono in assoluto il ricorso agli strumenti di clemenza.

Vi è, dunque, un’altra causa concorrente, altrettanto se non più rilevante, ed è il progressivo affermarsi nell’ultimo trentennio dell’uso populistico della giustizia penale, del diritto penale simbolico, fino ai canoni illiberali del diritto penale del nemico. Essere passati dalla bulimia all’astinenza è stato, invece, un atteggiamento debole, subalterno agli umori mutevoli della piazza.

Dopo aver liberato l’amnistia e l’indulto dalla connotazione pre-moderna che ne faceva strumenti dell’indulgentia principis, bisognerebbe dunque ora avere il coraggio di renderli agibili come strumenti di una intellegibile e chiara politica del diritto in materia penale.

Perché ciò sia, l’amnistia e l’indulto debbono certamente avere quei caratteri di eccezionalità che per lungo tempo furono disattesi e, per questo, è opportuno mantenere la previsione di un quorum qualificato e più rigoroso rispetto a quello previsto per le leggi ordinarie; ciò non di meno è necessario che essi siano strumenti nelle mani di una maggioranza non occasionale, ma capace di esprimere un indirizzo politico in materia di giustizia penale.

Amnistia e indulto: ora o mai più!