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Il funzionamento della giustizia italiana e la sua influenza sul benessere del “sistema Paese”

Milazzo, 2016
Ph. Alessandro Saggio / Milazzo, 2016

Abstract

Lo scritto propone una rassegna dei “numeri della giustizia” e delle analisi compiute da vari osservatori pubblici e privati sulla relazione tra il grado di efficienza della giustizia e il benessere economico e sociale dei cittadini.

The paper offers a review of the “numbers of justice” and of the analyzes carried out by various public and private observatories on the relations between the degree of efficiency of justice and the economic and social well-being of citizens.

 

Indice:

1. Introduzione

2. Le statistiche sulla giustizia italiana

3. Ricerche e analisi condotte da pubbliche istituzioni

4. Ricerche e analisi condotte da organismi privati

5. Considerazioni d’insieme

 

Tablet of Contents:

1. Introduction

2. Statistics on Italian justice

3. Research and analysis conducted by public institutions

4. Research and analysis conducted by private organizations

5. Overall considerations

 

1. Introduzione

Sebbene non se ne parli né spesso né diffusamente, ormai da anni l’amministrazione della giustizia italiana e i risultati che è capace di produrre sono oggetto di studi con finalità differenti da quelle più care ai giuristi classici.

I loro autori non sono interessati ad analizzare singole norme o istituti o tendenze legislative e giurisprudenziali per trarne principi generali e classificazioni sistematiche.

Guardano invece al funzionamento della giustizia per gli effetti che essa produce sulla vita degli individui e dell’intera collettività e per il contributo che è in grado di dare al loro benessere.

Operano in questo ambito istituzioni pubbliche sia interne che estere e organismi privati di ricerca.

Lo scritto serve a dar conto dei risultati di questa ormai sistematica attività di studio e ad illustrarne le conclusioni.

Si utilizzeranno come elementi di partenza le statistiche ufficiali sul lavoro svolto dalle principali giurisdizioni italiane.

Seguiranno i risultati delle ricerche condotte da istituzioni pubbliche o loro emanazioni e da organismi privati.

Si chiuderà con riflessioni d’insieme sui dati esposti.

 

2. Le statistiche sulla giustizia italiana

…La giustizia civile

Le prime rilevazioni statistiche riguardano la giustizia civile nel periodo compreso tra il 2003 e il primo trimestre 2020.

Sono tratte dal sito web istituzionale del ministero della Giustizia, accedendo alla sezione “Itinerari a tema”, di lì alla sottosezione “Risorse e innovazione” e di lì ancora all’ulteriore sottosezione “Monitoraggio della giustizia”.

I procedimenti rilevati sono distinti in due aree: SICID e SIECIC.

La prima comprende gli affari contenziosi, le controversie in materie di lavoro e previdenza, i procedimenti speciali e sommari e la volontaria giurisdizione.

La seconda comprende le procedure esecutive e concorsuali.

Sono invece esclusi dalla rilevazione i procedimenti del giudice tutelare, gli accertamenti tecnici preventivi in materia previdenziale e le attività di ricevimento e verbalizzazione di dichiarazioni giurate.

La tabella che segue indica i procedimenti pendenti alla fine di ogni anno per ciascuna delle due aree, la loro somma e le percentuali di variazione per l’anno precedente.

Tabella

La seconda tabella evidenzia, dividendolo in tre aree (Tribunali, Corti di appello e Corte di cassazione), l’andamento dell’arretrato civile “a rischio Pinto”[1].

Il periodo di rilevamento va dal 2013 al primo trimestre del 2020.

Tabella 2

La terza tabella riporta le iscrizioni annuali di mediazioni civili e commerciali e si riferisce al periodo tra il 2011 e il primo trimestre del 2020.

Tabella 3

La quarta tabella riporta i procedimenti di mediazione iscritti al 31 marzo 2020 e li divide per materia.

Tabella 4

 …La giustizia penale

Anche questa seconda rilevazione statistica è tratta dal sito web istituzionale del ministero della Giustizia e vi si accede seguendo il medesimo percorso indicato nel sottoparagrafo sulla giustizia civile.

Il periodo di riferimento va dal 2003 al primo trimestre del 2020.

La prima tabella evidenzia i procedimenti pendenti alla fine di ogni anno divisi per uffici giudiziari e le variazioni rispetto all’anno precedente.

Tabella 5

La seconda tabella dettaglia la ripartizione dei procedimenti pendenti in primo grado tra i vari uffici giudiziari competenti.

Tabella 6

La terza e la quarta tabella riguardano le decisioni di accoglimento emesse nel 2019 di domande di riparazione per ingiusta detenzione e le indennità corrisposte agli aventi diritto[2].

Si tratta di dati parziali poiché le Corti di appello di Brescia, Lecce, Napoli, Perugia e Salerno non hanno inviati i dati dei rispettivi distretti.

Tabella 7
Tabella 8

…La giustizia amministrativa[3]

In materia di attività giurisdizionale, presso il Consiglio di Stato al 31.12.2018 pendevano 25.513 ricorsi. Nel corso del 2019 ne sono sopravvenuti 10.718 e ne sono stati definiti 12.151.

La pendenza al 31.12.2019 era pertanto di 24.039 ricorsi, con una diminuzione di 1.474 unità pari ad una percentuale del 5,77%.

Nell’ultimo quinquennio il picco negativo di pendenze a fine d’anno si è raggiunto nel 2016 (26.634 ricorsi). A partire dal 2017 si è manifestata un’inversione di tendenza (26.015 ricorsi pendenti alla fine del 2017, 25.513 alla fine del 2018 e 24.309 alla fine del 2019).

Presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia (di seguito CGARS) alla fine del 2018 pendevano 1.916 ricorsi.

Nel 2019 ne sono sopravvenuti 1.288 e ne sono stati definiti 1.400.

La pendenza alla fine del 2019 era quindi di 1.742 ricorsi, con una diminuzione di 174 unità pari ad una percentuale del 9,08%.

Presso l’insieme dei tribunali amministrativi regionali (di seguito TAR) alla fine del 2018 pendevano 165.896 ricorsi.

Nel corso del 2019 ne sono sopravvenuti 50.874 e ne sono stati definititi 66.684.

La pendenza alla fine del 2019 era quindi di 149.958 ricorsi, con una diminuzione di 15.938 unità pari a una percentuale del 9,60%.

È in atto anche per i TAR un trend di costante diminuzione dell’arretrato. Si consideri infatti che alla fine del 2015 pendevano 241.865 ricorsi sicché nei quattro anni successivi la pendenza complessiva è diminuita di 91.907 unità pari a una percentuale del 38%.

Quanto ai giudizi cautelari, il tempo medio di definizione nel 2019 è stato di 41 giorni per il Consiglio di Stato (con un picco negativo di 65 giorni nel 2016), di 37 giorni per il CGARS (con un picco negativo di 41 giorni nel 2016) e di 48 giorni per i TAR (questo dato rappresenta il picco negativo nel quinquennio 2015/2019).

 

…La giustizia contabile[4]

Nel corso del 2019 le Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti hanno emesso tre sentenze e 16 ordinanze. Lo stesso organo in composizione speciale ha emesso 31 sentenze.

Nello stesso anno le sezioni centrali d’appello e la sezione di appello per la Regione Sicilia hanno introitato 802 nuovi giudizi di responsabilità e ne hanno definiti 1.245. Alla fine del 2019 la pendenza era di 1.243 procedimenti (erano 1.686 alla fine del 2018).

I giudizi di conto pendenti erano 31 alla fine del 2018. Nel 2019 ne sono sopravvenuti 17 e ne sono stati definiti 16. La pendenza a fine anno era quindi di 32 giudizi.

I giudizi in materia pensionistica pendenti alla fine del 2018 erano 605. Nel 2019 ne sono sopravvenuti 803 e ne sono stati definiti 580. La pendenza a fine anno era quindi di 828 giudizi.

Sempre nello stesso anno le sezioni giurisdizionali regionali hanno introitato 1.402 giudizi di responsabilità e ne hanno definiti 1.409. La pendenza a fine 2019 era di 1.779 giudizi (erano 1.786 alla fine del 2018).

 

…La giustizia tributaria[5]

Si riporta testualmente il passaggio iniziale della relazione citata in nota.

Le controversie pervenute al 31 dicembre 2019 sono state 189.537, con una contrazione rispetto all’anno precedente, quando erano state 211.555, pari al 10,41% in meno. Nel 2019 sono stati 142.522 i ricorsi provinciali, erano 153.681 nel 2018, e 47.015 gli appelli in sede regionale, erano 57.874 nel 2018. Il numero delle controversie decise nel 2019 è stato di 228.147, di cui 170.357 ricorsi e 57.790 appelli. Nel 2018 il loro numero era stato invece di 253.734, con un calo pari al 10.08%. Calo leggermente più accentuato a livello provinciale, con 19.747 controversie decise in meno. Prosegue, poi, la diminuzione complessiva delle pendenze, con una percentuale che sfiora il 12%. Nello specifico, al 31 dicembre 2019, pendevano complessivamente 335.175 controversie, a fronte delle 380.774 controversie del 2018 e delle 417.250 del 2017. Il calo c’è stato soprattutto a livello provinciale con un meno 14,20%, pari a 32.692 ricorsi. Le Commissioni provinciali con il maggior numero di ricorsi pervenuti nel 2019 sono state quella di Napoli con ben 17.105 ricorsi e quella di Roma con 16.624. Le Commissioni provinciali della Campania, con 31.302 ricorsi complessivi, hanno gestito nel 2019 il 22% dell’intero contenzioso nazionale in primo grado”.

 

3. Ricerche e analisi condotte da pubbliche istituzioni

…Relazione sugli indicatori di benessere equo e sostenibile 2020 (a cura del ministero dell’Economia e delle Finanze)[6]

La redazione di questo documento è un obbligo che l’articolo 10, comma 10-ter, L. 196/2009, come modificata dalla L. 163/2016, pone a carico del capo del dicastero dell’Economia.

Il comitato BES (presieduto dal ministro e composto dal presidente dell’ISTAT, dal Governatore della Banca d’Italia e da due esperti) ha selezionato dodici indici per il triennio 2017/2019.

Il nono è l’indice di criminalità predatoria e riguarda il numero di vittime di furti in abitazione, borseggi e rapine per 1.000 abitanti.

Il decimo è l’indice di efficienza della giustizia civile e riguarda la durata media effettiva in giorni dei procedimenti di cognizione civile ordinaria definiti dai tribunali.

L’undicesimo è l’indice di abusivismo edilizio e riguarda il numero di costruzioni abusive per cento costruzioni autorizzate dai Comuni.

Ben tre indicatori BES riportano dunque, direttamente o indirettamente, ad ambiti di competenza della giustizia se si considera che sia la criminalità predatoria che l’abusivismo edilizio danno luogo a fattispecie di rilevanza penale.

Così si legge nella parte della relazione sulla criminalità predatoria: “Avendo raggiunto un massimo di 24,8 nel 2014, l’indice è sceso a 18,8 nel 2018. La Legge di Bilancio 2020 finanzia nuove assunzioni nelle Forze di polizia e prevede altresì risorse aggiuntive per il lavoro straordinario delle stesse. Inoltre, è prevista la proroga fino al 31 dicembre 2020 dell’impiego di un contingente pari a 7.050 unità di personale militare appartenente alle Forze Armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia. Ciò dovrebbe contribuire al contrasto di tutte e tre le categorie di crimini considerate e quindi ad un’ulteriore discesa dell’indice di criminalità predatoria, facilitata anche dalla prevista contrazione del tasso di disoccupazione, che appare positivamente correlato all’indice considerato”.

Si legge ancora, riguardo all’efficienza della giustizia civile, che “la Relazione BES monitora l’indice di efficienza della giustizia civile (la durata media dei processi civili), la quale ha mostrato un’apprezzabile riduzione dopo il picco di 505 giorni registrato nel 2014, scendendo a 429 giorni nel 2018. Nel capitolo di approfondimento della presente Relazione si mostra come l’indicatore prescelto debba essere analizzato congiuntamente al disposition time, ovvero alla durata prospettica dei nuovi procedimenti. Nel complesso si rileva una tendenza al miglioramento per entrambi gli indicatori nell’ambito del contenzioso civile (registro SICID), quale risultato di informatizzazione e rinforzo degli organici. In prospettiva, un contributo ulteriore alla riduzione della durata dei procedimenti civili potrà venire dall’aumento della dotazione organica del personale di magistratura finanziato con la Legge di Bilancio 2019. Positive ricadute si avranno anche dall’introduzione nella Legge di Bilancio 2020 di una maggiore flessibilità delle piante organiche a livello distrettuale, dalle previste assunzioni di personale amministrativo per il triennio 2019-21 e dalla digitalizzazione del processo civile telematico presso la Corte di Cassazione e gli Uffici del giudice di pace”.

Infine, riguardo all’abusivismo edilizio: “Dopo un biennio di sostanziale stazionarietà, il numero di costruzioni abusive per cento costruzioni edificate legalmente nel corso del 2018 è diminuito rispetto all’anno precedente pur rimanendo ad un livello più che doppio rispetto al punto di minimo della serie registrato nel 2007. Permane anche nel 2018 un’ampia eterogeneità dell’indicatore tra le cinque ripartizioni territoriali. Nel Mezzogiorno, seguito da vicino dalle Isole, il numero di costruzioni abusive ogni 100 costruzioni legali si attesta su valori otto volte superiori a quelli osservati nel Nord-Ovest e nel Nord-Est e supera di 2,6 volte quello del Centro”.

Segue una considerazione d’insieme: “Nel complesso, il quadro complessivo che emerge dalla presente Relazione è di miglioramento legato alle politiche seguite negli anni recenti e alle misure contenute nella Legge di Bilancio per il periodo 2020-2022, nonché alla ripresa del PIL e dell’occupazione, sia pure nel contesto di livelli di benessere e di equità ancora bisognosi di miglioramento e di notevoli disparità territoriali e di genere”.

Viene dunque descritta una situazione per alcuni versi ancora critica ma comunque in progressivo miglioramento.

Su questo tema si tornerà nei paragrafi successivi ma intanto non deve sfuggire che in più parti della relazione si fa affidamento sull’avvento prossimo di una favorevole congiuntura economica tale da incrementare il PIL e il tasso di occupazione.

Così purtroppo non è stato: poco tempo dopo l’invio della relazione al Parlamento ha iniziato a manifestarsi la pandemia dovuta al COVID-19 e i suoi effetti, ancora in corso, hanno flagellato l’economia nazionale provocando significative diminuzioni della produzione e dell’occupazione.

 

…Rapporto BES 2019 – Il benessere equo e sostenibile in Italia (a cura dell’ISTAT)[7]

Il documento di cui si parla è redatto annualmente dall’ISTAT e i dati che vi sono esposti costituiscono la principale materia prima da cui è alimentata la relazione del ministro dell’Economia sintetizzata nel sottoparagrafo precedente in cui si legge infatti che “I dodici indicatori su cui verte la presente Relazione sono stati selezionati nel 2017 dal Comitato BES. Essi afferiscono a otto dei dodici domini del benessere individuati dalla metodologia seguita dall’Istat nei propri rapporti BES, l’ultimo dei quali è di recente pubblicazione”.

Così è presentato il rapporto nell’introduzione del presidente dell’ISTAT: “Il Rapporto Bes giunge quest’anno alla settima edizione dando continuità al lavoro di aggiornamento, diffusione e analisi degli indicatori di benessere equo e sostenibile. Il Rapporto, come di consueto, va inteso come uno strumento che l’Istat offre affinché le scelte collettive e individuali, nazionali e territoriali siano il piu possibile orientate alla promozione del benessere nelle sue molteplici dimensioni. A tutti i livelli di governo decisioni documentate e trasparenti hanno acquisito una rilevanza via via maggiore nella valutazione ex ante ed ex post delle politiche e nel loro monitoraggio. In quest’ottica, già qualche anno fa, il legislatore ha previsto l’inclusione di una selezione di indicatori di benessere equo e sostenibile tra gli strumenti di programmazione e valutazione della politica economica nazionale, prevedendo un apposito allegato al Documento di economia e finanza”.

I dati che qui interessano sono contenuti anzitutto nel dominio n. 6 (pagg. 89 e ss.) denominato “Politica e istituzioni” e in particolare negli indicatori nn. 3 (Fiducia nel sistema giudiziario), 11 (Durata dei procedimenti civili) e 12 (Affollamento degli istituti di pena).

Se ne ricava che solo il 38% delle persone dai 14 anni in su ha fiducia nel sistema giudiziario.

Si legge poi che “Nel 2018, la durata media effettiva dei procedimenti civili e stata di 429 giorni. Nel Mezzogiorno, dove il carico degli arretrati e piu elevato, i procedimenti civili si espletano mediamente in 592 giorni (in netta diminuzione, però, rispetto al 2017: 40 giorni in meno), nel Nord in 270 giorni, nel Centro in 407 giorni (Figura 7). Le regioni dove i procedimenti, in media, durano meno sono la provincia autonoma di Trento (146 giorni), seguita dalla Valle d’Aosta (164) e dal Friuli-Venezia Giulia (201); di contro, i procedimenti superano i 700 giorni in Basilicata (765) e Calabria (806)”.

Ed ancora: “Gli importanti progressi registrati tra il 2012 e il 2015 nell’affollamento delle carceri sono stati parzialmente erosi dal peggioramento dell’ultimo triennio. Nel 2018 l’indice di affollamento ha raggiunto il livello di 117,9 detenuti ogni 100 posti (era 105,2 nel 2015, Figura 8). La situazione continua ad essere piu grave al Nord (126 detenuti ogni 100 posti), rispetto al Centro (115,7) e al Mezzogiorno (112,9). Solo la provincia autonoma di Trento, la Sicilia e la Sardegna presentano indici inferiori a 100 detenuti per 100 posti, mentre il Molise e la Puglia presentano valori superiori a 140”.

Il dominio n. 7 è denominato “Sicurezza” e ne fanno parte undici indicatori: omicidi, furti in abitazione, borseggi, rapine, violenza fisica sulle donne, violenza sessuale sulle donne, preoccupazione di subire una violenza sessuale, percezione di sicurezza camminando da soli quando è buio, paura di stare per subire un reato, presenza di elementi di degrado nella zona in cui si vive.

Questa è la valutazione d’insieme: “Nel 2018 il tasso di omicidi continua a scendere. Nello stesso periodo, migliorano leggermente gli indicatori che misurano i reati predatori (furti in abitazione, scippi e borseggi). Il confronto con il 2010 restituisce un quadro complessivamente positivo, con il miglioramento di sette indicatori su undici. Diminuisce, infatti, la percezione del degrado sociale e ambientale nella zona in cui si vive e aumenta, anche se di poco, la quota di persone che si sentono sicure a camminare al buio da sole nella zona in cui vivono. Emergono segnali positivi anche rispetto alla violenza di genere: diminuisce la quota di donne che hanno subito violenza fisica o sessuale, e si riduce la quota di persone preoccupate, per se stessi o per qualcuno della propria famiglia, di subire una violenza sessuale. Rispetto al 2010, diminuiscono gli omicidi, ma gli indicatori sui reati predatori registrano un peggioramento che si accompagna all’aumento, seppur lieve, della quota di popolazione che dichiara di aver avuto paura di subire un reato (Tavola 1)”.

Dati interessanti vengono anche dal confronto con gli altri Paesi europei.

Si apprende così che il tasso medio europeo di omicidi per 100.000 abitanti è di 1,3 e che quello italiano è dello 0,6 il che colloca il nostro Paese sul podio della sicurezza rispetto a questo reato, preceduto soltanto da Austria e Lussemburgo.

Lo stesso vale per i femminicidi: la media europea è di 0,8, quella italiana dello 0,4 (meglio di noi solo Grecia e Cipro).

L’Italia è invece al sesto posto per i furti in abitazione (323 ogni 100.000 abitanti) e al settimo per le rapine (51 ogni 100.000 abitanti). I trend per entrambe le tipologie di reati sono comunque in diminuzione.

 

…Doing Business nell’Unione Europea 2020: Italia (a cura del Gruppo Banca Mondiale su richiesta e finanziamento della Commissione europea)[8]

Il rapporto qui descritto analizza l’effetto di regolamentazioni e prassi diverse sulle piccole e medie imprese misurando cinque indicatori: avvio d’impresa, ottenimento di permessi edilizi, ottenimento di una fornitura di energia elettrica, trasferimento della proprietà immobiliare e risoluzione di controversie commerciali. L’indagine mette altresì in luce le buone pratiche già esistenti a livello locale che possono essere replicate per agevolare l’imprenditoria su tutto il territorio nazionale.

È stato realizzato analizzando la regolamentazione d’impresa in 13 città italiane.

Le città campionate sono state: Ancona, Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Reggio Calabria, Roma e Torino.

Come è ovvio, qui interessa particolarmente l’indicatore che ha ad oggetto la risoluzione delle controversie commerciali.

Questo è il giudizio del rapporto: “Risolvere una disputa commerciale in Italia richiede più tempo ed è più caro che nel resto dell’Unione Europea. Molte ricerche hanno dimostrato il legame tra istituzioni giudiziarie solide ed efficienti e fattori importanti per la crescita economica, quali ad esempio la facilità di fare impresa e di innovare, la possibilità di accedere con facilità al credito e l’esistenza di un buon livello di fiducia da parte degli investitori. Assieme alle imprese, questi ultimi tendono infatti a partecipare attivamente al mercato quando sanno di poter contare su una giustizia trasparente e caratterizzata da tempistiche ragionevoli. Per queste ragioni, nel decennio successivo alla crisi finanziaria globale del 2008, l’Italia ha concentrato i propri sforzi sul miglioramento del contesto normativo nel quale devono muoversi le imprese nazionali, focalizzando la sua attenzione innanzitutto sulla necessità di rendere il sistema giudiziario più semplice e veloce e riuscendo, tra il 2009 e il 2017, a ridurre gli arretrati dei procedimenti civili di oltre il 30%. Tuttavia, considerando la sua lunga storia di giustizia lenta ed arretrati, l’Italia ha ancora ampi margini di miglioramento per recuperare il ritardo accumulato rispetto agli altri Stati dell’UE. La risoluzione di una controversia commerciale presso i tribunali esaminati nelle città oggetto d’indagine è più lunga ed onerosa che nella maggior parte dei paesi europei. Tutte le 13 città italiane registrano infatti risultati inferiori alla media globale ed europea per quanto concerne il tempo di risoluzione delle controversie giudiziali ed il costo medio per una causa civile di primo grado – pari al 25,3% del valore della controversia – è superiore di un quinto alla media europea (21,2% del valore della controversia). Tutte le città analizzate tranne una riportano costi superiori rispetto alla media europea: questo rende l’Italia uno dei sei paesi europei dove risulta più costoso risolvere una controversia commerciale analoga a quella analizzata dal caso di studio Doing Business. D’altra parte, tuttavia, è doveroso notare che, per quanto concerne l’indice di qualità dei procedimenti giurisdizionali, la media italiana di 13 punti su 18 è migliore rispetto a quella europea, che si assesta a 11,6 punti”.

Segue la tabella pertinente (pag. 37, figura 6.1).

La media europea di giorni necessari per la risoluzione di una controversia commerciale è di 600 giorni.

Dieci delle città italiane campionate hanno una media oscillante tra 860 e 1.280 giorni. Bari e Napoli hanno una media di 1.500 giorni. Reggio Calabria ha una media di 1.750 giorni che la colloca all’ultimo posto nella classifica.

La media europea del costo comportato dalla controversia è del 21% sul suo valore. In tutte le città italiane considerate, fatta eccezione per Reggio Calabria, il costo è più alto della media e oscilla dal 22% di Bari al 29% di Padova.

Un’ulteriore tabella (pag. 42, figura 6.2) scansiona le procedure dividendole in tre fasi: notifica e introduzione, giudizio e sentenza, esecuzione della sentenza.

Ne viene fuori che, a fronte di differenze quasi nulle per la prima fase, le due successive hanno invece oscillazioni significative: per la fase del giudizio e della sentenza la forbice è tra i 600 giorni di media a Torino e i 1.440 a Reggio Calabria; per la fase esecutiva si oscilla tra i 220 giorni a Bologna e i 365 di Firenze, Palermo, Bari e Napoli.

Ed ancora (pag. 43, figura 6.3) gli italiani, come si è già detto, sopportano costi più alti della media: le controversie gli costano infatti un importo medio pari al 25,3% del valore delle stesse e questo è determinato da importi più alti della media per gli onorari degli avvocati e le spese esecutive mentre sono più basse della media le spese processuali.

 

…European judicial systems. CEPEJ Evaluation report. 2020 Evaluation report (2018 data) (a cura del CEPEJ)[9]

La Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ), istituita nel settembre del 2002, è un organismo del Consiglio d’Europa composto da 47 esperti tecnici del diritto e pubblica ogni due anni un rapporto sullo stato della giustizia nei 47 Stati membri.

Il rapporto, redatto in lingua inglese e riferito a dati del 2018, è diviso in cinque sezioni: procedura valutativa, stanziamenti di bilancio, professionisti della giustizia, corti, utenti e ICT, efficienza e qualità.

Seguono adesso i dati più significativi per gli scopi dello scritto, divisi per sezioni.

Stanziamenti di bilancio

Gli stanziamenti destinati alla giustizia nel nostro Paese nel 2018 sono aumentati del 14% rispetto al 2016 (parte I, pag. 20, figura 2.3).

Se si divide la spesa complessiva per la giustizia per il numero degli abitanti, si ha che l’Italia spende circa 80 € per ognuno di essi (figura 2.4) il che la colloca nella fascia mediana europea (figura 2.5).

Il rapporto ha preso in considerazione anche il costo delle spese di giudizio e lo ha fatto in relazione a uno specifico caso ipotetico: l’avvio di un’azione giudiziaria per recuperare un credito di 3.000 €.

L’Italia è tra i Paesi in cui questa tipologia di azione costa di meno (figura 2.23).

Il nostro Paese offre inoltre un aiuto legale[10] di discreto livello (figure 2.26 e ss.) che comporta un costo per abitante pari a 5,27 €.

Professionisti della giustizia

Il numero di giudici professionali per 100.00 abitanti è pari a 11,6 nel nostro Paese (mappa 3.2) a fronte di una media europea di 21,4.

Il numero di pubblici ministeri italiani calcolato allo stesso modo è di 3,7 (figura n. 3.20) a fronte di una media europea di 12,13. I loro carichi di lavoro (pag. 63) sono considerati piuttosto impegnativi.

Il numero di avvocati, sempre in relazione a 100.00 abitanti, è di 388,3 ed è tra i più alti d’Europa.

Uffici giudiziari, utenti e tecnologie di informazione e comunicazione

Il numero di sedi giudiziarie italiane di primo grado per 100.000 abitanti è di 1,3 (mappa 4.1.1), a fronte di una media europea di 1,26 (figura 4.1.3), e diventa 1,4 se si considera l’insieme delle sedi giudiziarie di ogni ordine e grado, a fronte di una media europea di 1,43 (figura 4.1.4).

L’Italia è tra i Paesi europei che più hanno ridotto (precisamente del 57%) il numero delle sedi giudiziarie dal 2010 (mappa 4.1.7).

La percentuale italiana di sedi giudiziarie specializzate tra quelle di primo grado è dell’8,6% (figura 4.1.9) mentre la media europea è del 26,7%.

Quanto all’uso delle tecnologie di informazione e comunicazione (ICT), il nostro Paese è allineato alla media europea sia nel supporto alle decisioni che nella gestione degli uffici e dei casi che nella comunicazione con gli uffici.

Efficienza e qualità

Il numero delle sopravvenienze civili e commerciali di primo grado è di 2,6 per 100 abitanti a fronte di una media europea di 2, 4 (figura 5.7).

Il nostro Paese è considerato tra quelli che stanno combattendo l’arretrato poiché ha un clearance rate (tasso di smaltimento, di seguito CR) del 103% annuo ma il suo disposition time (di seguito DT)[11] è di 527 giorni. Questo avviene mentre la maggioranza dei Paesi europei è in grado di assicurare un’efficienza standard (mappa 5.8).

Quanto all’evoluzione del CR tra il 2010 e il 2018, il tasso era del 118% a inizio periodo, ha raggiunto un picco del 132% nel 2012 e da allora è costantemente diminuito fino ad attestarsi sul 103% nell’ultima rilevazione.

Il DT era di 493 giorni nel 2010, di 590 nel 2012, di 532 nel 2014, di 514 nel 2016 per poi risalire a 527 nel 2018.

Nello stesso arco di tempo la media europea del CR ha oscillato tra 98 e 104% (figura 5.9) e quella del DT tra i 267 giorni del 2010 e i 233 del 2018.

La variazione delle controversie civili e commerciali di primo grado pendenti a fine anno in Italia è di -40% se considerata tra il 2010 e il 2018 ma solo di -8% se considerata per il biennio 2016-2018 (figura 5.10).

In tema di giustizia amministrativa, le nuove controversie di primo grado sopravvenute in Italia nel 2018 sono 0,1 per ogni 100 abitanti a fronte di una media europea di 0,5 (figura 5.12).

Anche per quest’area giurisdizionale l’Italia è stata inserita tra i Paesi che stanno lottando contro l’arretrato. Circa tre quarti dei Paesi europei riescono invece ad assicurare un’efficienza standard avendo un CR compreso tra il 98 e il 200% (figura 5.13).

Negli anni compresi tra il 2010 e il 2018 il CR italiano è stato costantemente sopra il 100% (316% nel 2010, 280% nel 2012, 156% nel 2014, 153% nel 2016 e 136% nel 2018).

Negli stessi anni il DT è passato dai 1.037 giorni del 2010 agli 889 del 2018, a fronte di una media europea che per l’anno 2018 è stata di 323 giorni (figura 5,14).

Tra il 2010 e il 2018 il numero di controversie di primo grado pendenti a fine anno è diminuito del 67% (figura 5.15).

La percentuale di controversie di primo grado ancora pendenti con anzianità di iscrizione maggiore di due anni è del 51% il che colloca la giustizia amministrativa italiana tra le meno efficienti d’Europa per questo specifico aspetto (figura 5.16).

Il nostro Paese è tra quelli che ha un maggior numero di controversie relative a richiedenti asilo (48.891 rispetto a una media europea di 12.143). Il relativo CR è dell’86% (la media europea è del 102%), il DT è di 534 giorni (la media europea è di 260) (figura 5,18).

In tema di giustizia penale, gli uffici italiani del pubblico ministero hanno preso in carico 4,92 procedimenti ogni 100 abitanti (la media europea è di 3,10) e li hanno evasi per il 94% (la media europea è del 79% (figura 5.19).

I procedimenti penali sopravvenuti in primo grado per 100 abitanti sono 2,1 (media europea: 2,8) (figura 5.21).

Quanto alla capacità giudiziaria di gestire i procedimenti penali, il nostro Paese è stato inserito tra quelli della zona di allarme. Ben quattro quinti dei Paesi europei riescono invece ad assicurare un’efficienza standard (mappa 5.22).

Il nostro attuale CR è pari al 98% (media europea: 99%) e l’attuale DT è di 361 giorni (media europea: 144 giorni) (figura 5.23).

Trasferendo l’esame agli uffici giudiziari di secondo grado, il complessivo DT italiano è di 1.266 giorni e viene esplicitamente definito “very high” (pag. 135). Giudizio che meglio si comprende se si considera che il DT mediano europeo è di 228 giorni per i procedimenti amministrativi, 207 per i procedimenti civili e commerciali, 114 per i procedimenti penali.

 

…L’efficienza della giustizia civile e la performance economica (a cura dell’Ufficio parlamentare di bilancio)[12]

Il documento qui richiamato è il focus tematico n. 5/2016 dell’UPB.

Il punto di partenza degli Autori è la constatazione dell’eccessiva lunghezza dei procedimenti nel nostro Paese e la sua necessitata considerazione alla stregua di una crisi endemica.

A giudizio della letteratura economica citata dagli Autori, esistono tre qualità desiderabili in un sistema giudiziario: “1) l’efficienza, intesa come la capacità, date le risorse finanziarie disponibili, di risolvere le controversie in un tempo ragionevole; 2) la qualità delle sentenze, intesa come l’accuratezza e certezza delle decisioni; 3) l’indipendenza del giudizio. Gli studi empirici hanno indagato soprattutto il nesso tra l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento del sistema economico nell’ambito di modelli di equilibrio economico parziale relativi a un singolo paese […] Gli studi economici sulla giustizia tipicamente individuano alcuni indicatori di efficienza e ne analizzano l’impatto su alcune variabili economiche”.

Le variabili in questione sono le seguenti: il canale del credito, la dimensione delle imprese, il funzionamento dei mercati, gli investimenti e la specializzazione, gli investimenti esteri.

Il documento contiene infine riferimenti statistici e valutazioni delle riforme in corso che, in considerazione del tempo passato dalla pubblicazione del focus, qui non si ritiene necessario riportare.

 

4. Ricerche e analisi condotte da organismi privati

Efficienza della giustizia e lotta alla corruzione quali elementi per la competitività del Sistema Paese. Analisi dello status quo e proposte di intervento (a cura di Ambrosetti Club - The European House Ambrosetti)[13]

Il rapporto qui commentato è l’aggiornamento al 2020 di ricerche che il gruppo professionale Ambrosetti ha iniziato a condurre nel 2015 nella convinzione (pagg. 5 e ss.) che “Una giustizia efficiente e un sistema efficace di contrasto verso fenomeni corruttivi sono due elementi base per favorire un ambiente pro-business in un territorio e per attrarre investimenti, giovani e talenti […] con riferimento alla giustizia civile il nostro Paese si ritrova costantemente nelle ultime posizioni delle classifiche stilate a tal proposito, nonostante da diverso tempo il sistema della giustizia in Italia si sia mosso verso un miglioramento generale delle performance. A tal proposto è però necessario sottolineare come tale spinta, inizialmente molto intensa, abbia via via perso di vigore. Nell’ultimo triennio si registra, infatti, un rallentamento dell’azione misurato da quasi tutte le statistiche disponibili in ogni ambito di intervento. È quindi necessario ridare impulso all’azione di efficientamento, attraverso una revisione sistematica e unitaria dell’apparato della giustizia in Italia e di un piano straordinario per la riduzione dello stock di arretrato che, seppur non cresca più da alcuni anni, continua ad essere ancora il primo in Europa con oltre tre milioni di cause civili e commerciali pendenti […] Efficienza della giustizia, attrattività di un sistema economico e suo funzionamento sono ampiamente legati tra loro. Negli ultimi anni intorno a questi temi si è accresciuto l’interesse per il funzionamento dei sistemi giudiziari nell’ambito delle discussioni sulle politiche strutturali volte a sostenere la competitività del sistema economico e a migliorare il contesto in cui si svolge l’attività di impresa. La difesa dei diritti di proprietà e il rispetto dei contratti costituiscono gli elementi essenziali per il buon funzionamento delle economie di mercato, che risultano rilevanti ai fini dello studio dell’impatto del sistema giudiziario sull’economia. Un altro aspetto frequentemente sottolineato dalla letteratura in materia è quello della fiducia: in un sistema economico in cui la tutela dei diritti di proprietà (anche e soprattutto intellettuale) è efficace, gli incentivi al risparmio, all’investimento e all’avvio di nuove attività d’impresa e all’espansione di quelle esistenti sono, ceteris paribus, maggiori, con riflessi positivi sulle prospettive di crescita nel medio-lungo periodo del Paese” (pag. 8).

I redattori dello studio, analizzata la letteratura e le ricerche empiriche cumulatesi nel tempo sulla questione d’interesse, affermano (pagg. 11 e ss.) che l’inefficienza dei sistemi giudiziari impatta negativamente sui sistemi economici in relazione a plurimi fattori cruciali: la struttura di costi delle imprese, l’allocazione e il costo del credito, la natalità delle imprese unitamente alla loro capacità di entrare nel mercato e competervi adeguatamente, la dimensione delle imprese, la propensione agli investimenti.

Osservano inoltre (pagg. 12 e ss.) che “Con riferimento, invece, alla corruzione, gli impatti negativi producono una riduzione della crescita economica e degli investimenti. La tesi che la corruzione possa servire da “facilitatore” per velocizzare i meccanismi di mercato non tiene conto del fatto che gli eventuali ed eccessivi controlli burocratici sono essi stessi un suo effetto. Chi infrange le regole e adotta comportamenti corruttivi è consapevole che la disponibilità a procedere al di fuori delle regole di mercato aumenta con la farraginosità dei controlli e, pertanto, ha interesse a complicare le procedure. È un fatto evidente da sempre (Corruptissima re publica plurimae leges, Cit. Tacito 55 AD- 117 AD, Annales, Libro III, 27). La presenza della criminalità organizzata favorisce la proliferazione di fenomeni di corruzione, con cui ha molteplici interessi e sinergie. Inoltre, la corruzione attecchisce maggiormente dove si registra un basso livello di capitale sociale che è uno dei più importanti antidoti contro la propensione ad infrangere le regole”.

I ricercatori dell’Ambrosetti Club ritengono che i principali effetti negativi della corruzione siano la riduzione degli investimenti privati, lo scoraggiamento degli investimenti in capitale umano e la conseguente “fuga dei cervelli”, l’aumento delle inefficienze della spesa pubblica, il peggioramento della governance delle istituzioni e delle imprese, la riduzione delle entrate statali e l’aumento delle disuguaglianze sociali.

Lo studio elenca quindi alcune stime sugli effetti economici dell’inefficienza della giustizia e della corruzione (pag. 12): “Una ricerca di Confesercenti stima invece l’impatto delle lentezze ed inefficienze della giustizia pari a 2,5 punti di PIL, circa 40 miliardi di Euro. Sempre secondo lo stesso studio una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille Euro all’anno di reddito pro-capite, con effetti positivi anche sull’erogazione di credito e la sicurezza percepita di imprese e famiglie. Secondo la Banca d’Italia invece i costi associati alla lentezza della giustizia in Italia rappresentano l’1,3% del PIL (pari a 22 miliardi di Euro). Oltre alle quantificazioni monetarie, ulteriori effetti negativi sono legati alle inefficienze della giustizia e ai fenomeni di corruzione: quello dell’instabilità e dell’incertezza che si genera a livello politico ed economico nel Paese. Il prezzo più alto è rappresentato dai costi non monetizzabili: i mancati investimenti da parte delle imprese, la poca speranza nel futuro delle giovani generazioni e la “fuga” di capitale umano qualificato, la diffusione della criminalità organizzata e una burocrazia sempre più opprimente e contorta”.

Le parti successive dello studio contengono una ricca e chiarissima esposizione di tabelle oltre che le valutazioni degli autori sulle cause dell’affanno della giustizia civile italiana e sui possibili rimedi.

Se ne omette il richiamo testuale, contando sulla rassegna statistica inserita all’inizio di questo scritto e sul complesso delle analisi disponibili nello scritto, e si rimanda alla lettura della relazione per gli approfondimenti desiderati.

 

…Come ridurre i tempi della giustizia civile (a cura dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani)[14]

Anche quest’analisi, al pari delle precedenti, conduce i suoi Autori a conclusioni molto nette.

Le si riporta testualmente: “La lentezza della giustizia civile in Italia può essere riassunta da pochi dati. Primo, quelli sulla durata dei processi: le più recenti stime sulla durata dei processi preparate dal CEPEJ (European Commission for the Efficiency of Justice) del Consiglio d’Europa indicano una durata media dei processi civili che arrivano al terzo grado di giurisdizione stimata, al 2016, in 8 anni e 1 mese in Italia, contro 3 anni e 4 mesi in Francia, 2 anni e 8 mesi in Spagna e 2 anni e due mesi in Germania. Dati effettivi sulla durata dei processi di fonte Ministero della Giustizia, disponibili per periodi più recenti, risultano coerenti con questi dati. Secondo il Ministero, la durata dei procedimenti trattati dai tribunali in prima istanza (e gli appelli contro le decisioni del Giudice di pace), che riflettono approssimativamente la durata dei giudizi dati in primo grado, era nel 2016 di 460 giorni, non molto distanti dai 514 giorni stimati dal CEPEJ per il nostro Paese. Tra il 2016 e il 2018 la durata dei processi si è ridotta ma esistono ancora grosse differenze rispetto agli altri principali paesi europei. Alla lentezza del processo di cognizione, si aggiunge la lunghezza e l’inefficienza dei procedimenti esecutivi e delle aste giudiziarie ancora non efficienti ai fini dell’incontro della domanda con l’offerta (delle procedure).

Secondo, quelli sul numero di casi pendenti: il numero di cause civili pendenti, pur riducendosi rispetto al picco raggiunto nel 2009 risultava nel 2016 (con quasi 3,8 milioni di casi) ancora molto più alto di quello dei principali paesi europei. Secondo dati CEPEJ, il numero di casi pendenti ogni 100.000 abitanti nel 2016 era in Italia del 71 per cento superiore a quello della Francia, del 157 per cento superiore a quello della Spagna, e del 406 per cento superiore a quello della Germania. Tra il 2016 e il terzo trimestre del 2019 il numero di cause pendenti davanti agli uffici giudiziari italiani, si è ridotto dell’11,3 per cento ma resta molto alto (oltre 3,3 milioni di casi).

Terzo, quelli sul numero di cause sopravvenute ogni anno: Nonostante una riduzione negli ultimi anni, il numero di cause sopravvenute ogni anno, ogni 100.000 abitanti, restava al 2016 elevato, sempre in base a dati CEPEJ. Con 2,57 cause per i tribunali di primo grado, l’Italia era al livello della Francia, ma era del 20 per cento superiore alla Spagna e 62 per cento superiore a quello della Germania. Le differenze erano più marcate rispetto al numero di casi aperti in Cassazione: il numero ogni 100.000 abitanti è di 5 volte quello della Germania, due volte e mezzo quello della Spagna e più di una volta e mezzo quello della Francia. In conclusione, i nostri processi durano molto più a lungo, abbiamo molte più cause pendenti, e iniziamo più cause ogni anno, soprattutto in Cassazione”.

 

Legalità e impatto sulla crescita. Quali livelli di governance? (a cura di Silvio Capasso e Consuelo Carreras, ricercatori dell’associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno)[15]

Lo scritto di Capasso e Carreras attribuisce al concetto di legalità il valore di un asset per la competitività e lo sviluppo del nostro Paese.

Sono interessanti le loro considerazioni sul rapporto tra efficienza del sistema giudiziario, erogazione del credito e stato di salute finanziaria delle imprese.

Si propone testualmente il relativo passaggio: “Laddove il sistema giudiziario fosse più efficiente vi sarebbe anche un minore razionamento del credito. Le banche sarebbero più propense ad erogare finanziamenti, con una crescita di circa 30 miliardi di euro di prestiti in più all’anno. Un impatto importante quest’ultimo, se consideriamo le difficoltà di erogazione del credito a seguito della crisi finanziaria ed economica con calo della domanda e riduzione della dinamica dell’offerta. Le difficoltà finanziarie legate alla contrazione dei flussi di reddito hanno prodotto un allungamento dei tempi di pagamento dei clienti che ha indotto molte imprese a ritardare, a loro volta, i pagamenti ai fornitori; lo shock di liquidità nel sistema produttivo è stato ampio e persistente e ha rappresentato uno dei principali canali di trasmissione delle tensioni di liquidità all’interno del sistema produttivo. Questa situazione ha indotto, tra l’altro, molte aziende a ricorrere al sistema bancario per ristrutturare il debito o finanziare il capitale circolante, piuttosto che per la realizzazione di nuovi investimenti nel capitale immobilizzato e questa circostanza ha causato un ulteriore irrigidimento dell’offerta da parte delle banche. Nelle aziende in difficoltà è cresciuto il fenomeno dei crediti deteriorati, il cui aumento ha comportato una diminuzione della propensione delle banche ad assumere rischi. I prestiti sono stati diretti alle fasce di clientela di migliore qualità (famiglie ed imprese in condizioni finanziarie solide). Dal 2016 si è assistito ad un miglioramento generale delle condizioni di accesso al credito, con la riduzione dei tassi di interesse applicati e dei finanziamenti assistiti da garanzie reali o personali, ma l’eterogeneità nell’accesso al credito per le diverse tipologie d’azienda resta ampia: per le aziende caratterizzate da fragilità finanziaria e per le imprese di minore dimensione, gli intermediari restano selettivi e i prestiti bancari non si sono ampliati in modo significativo. I crediti deteriorati hanno conosciuto un rapido e costante incremento dal 2008 in poi; solo a partire dal 2016 il fenomeno ha registrato un’inversione di tendenza, con una riduzione della loro incidenza netta sul totale dei crediti verso la clientela di oltre un punto percentuale (dal 10,8% al 9,4%). Dall’inizio del 2009 il dato sulle sofferenze è costantemente cresciuto ed alla fine del 2016 questo valore era di oltre 190 miliardi di euro. Da quel momento è iniziata una decisa discesa che ha portato quel numero a 137,3 miliardi di euro a fine 2017. Sebbene la rapidità con cui si accumulano i crediti deteriorati si sia attenuata o addirittura in qualche caso ridotta, la capacità degli intermediari di riequilibrare i propri bilanci in tempi ragionevoli dipende in modo rilevante dall’efficienza delle procedure di recupero. In genere queste procedure risultano lunghe e poco efficaci, rendendo più grande l’incidenza della gestione dei crediti deteriorati sui costi sostenuti dagli istituti bancari. Tra i principali ostacoli ad un efficace recupero del credito è da segnalare il sovraccarico degli uffici giudiziari e la complessità delle procedure vigenti; anche se di recente sono stati adottati importanti provvedimenti volti a migliorare il contesto istituzionale per la gestione dei crediti deteriorati. La capacità di un sistema economico di dare adeguate risposte alle crisi aziendali ed alla gestione del rischio creditizio si riconnette anch’essa direttamente ad efficientare la macchina giudiziaria e garantire la legalità”.

 

5. Considerazioni d’insieme

Il cronico stato di crisi della giustizia italiana

Si crede che i dati fin qui proposti consentano conclusioni piuttosto agevoli.

La più evidente è che nella sua interezza la giustizia italiana è in notevole affanno. Lo è sicuramente quella civile che dopo anni di riforme continua ad avere una pendenza (dati al 31 marzo 2020) di circa 3,3 milioni di procedimenti e, dopo sforzi significativi di riduzione dell’arretrato a partire dal 2010, sembra da ultimo avere perso slancio in questa battaglia quasi che si fosse raggiunto uno zoccolo duro non più scalfibile (statistiche ministero della Giustizia).

La durata media dei procedimenti civili di primo grado è stata ridotta a 429 giorni nel 2018 dopo aver raggiunto un picco di 505 giorni ma questo risultato non vale dappertutto poiché, nello stesso anno, la durata media dei procedimenti negli uffici giudiziari del Sud è di 592 giorni (con picchi di 700 per la Basilicata e 806 per la Calabria) (relazione MEF sugli indici BES).

La situazione peggiora ulteriormente se si focalizza l’attenzione sui tempi e sui costi giudiziari per la risoluzione di una controversia commerciale: in Europa la media è di 600 giorni e il costo medio equivale al 21% del valore della controversia, in Italia si arriva a picchi di 1.750 giorni e il costo medio è del 25,3% (rapporto Doing Business).

In ogni caso sia il CR che il DT della giustizia civile italiana sono di gran lunga peggiori di quelli medi europei (rapporto CEPEJ).

Lo stesso vale per la trattazione delle controversie relative ai richiedenti asilo. La nostra giustizia è in grado di evadere solo l’86% dei procedimenti pervenuti in un anno e impiega mediamente 534 giorni a fronte di una media europea di 260 giorni (rapporto CEPEJ).

Questo stato di affanno della giustizia civile ha un preciso ed eloquente riscontro nel mezzo milione abbondante di procedimenti pendenti alla fine del primo trimestre del 2020 che sono classificati “a rischio Pinto” e rappresentano ben il 15,7% della pendenza complessiva (statistiche ministero della Giustizia).

Gli strumenti di risoluzione alternativa dei contenziosi, e in primo luogo le mediazioni, hanno ancora oggi dimensioni trascurabili se confrontati col numero delle controversie che finiscono alla cognizione giurisdizionale (statistiche ministero della Giustizia).

Un uguale affanno caratterizza la giustizia penale. I procedimenti pendenti al 31 marzo 2020 sono circa 1,6 milioni, più di quelli pendenti alla fine di tutti gli anni del primo decennio del secolo e anche di più, sebbene in misura modesta, dell’anno precedente (statistiche ministero della Giustizia). Il grosso dell’arretrato, per di più, pende in primo grado ed è quindi ben lontano dal traguardo finale (statistiche ministero della Giustizia).

La spinta alla sua riduzione sembra essersi fermata a partire dal 2017 e la recente riforma normativa che ha sancito il blocco della decorrenza dei termini prescrizionali dopo le sentenze di primo grado verosimilmente aggraverà il problema come pure l’emergenza COVID che ha influito negativamente su buona parte del 2020.

Nasce da qui l’inserimento del nostro Paese tra quelli della zona d’allarme europea. Una classificazione che non ha nulla di ideologico e che si fonda sulla pura eloquenza dei numeri ed in particolare sul nostro DT che è di 361 giorni per il primo grado a fronte di una media europea di 144 giorni (rapporto CEPEJ).

A ciò si aggiunga che l’uso non sempre meditato del potere cautelare espone lo Stato a ingenti pagamenti annuali, nell’ordine di decine di milioni di euro (statistiche ministero della Giustizia, tratte da dati MEF).

La giustizia amministrativa e quella contabile stanno producendo da anni un significativo sforzo per abbattere l’arretrato ma resta ancora molta strada da fare.

Non si può comunque trascurare che il DT della nostra giustizia amministrativa è di 889 giorni a fronte di una media europea di 323 giorni e che il nostro numero di procedimenti pendenti da più di due anni è tra i peggiori d’Europa (rapporto CEPEJ).

La giustizia tributaria, pur registrando una diminuzione dei ricorsi, ha aumentato di 45.000 unità le pendenze tra la fine del 2018 e la fine del 2019.

Notizie ancora peggiori arrivano se si allarga lo sguardo a ciò che avviene nel secondo grado dei giudizi: basterà qui ricordare che il DT italiano complessivo è di 1.266 giorni e viene espressamente giudicato “molto alto” (rapporto CEPEJ).

Tutto questo avviene mentre ormai da anni l’efficienza della giustizia, per precetto normativo, deve essere tenuta in considerazione tra gli indicatori del benessere sociale e dovrebbe quindi contribuire al progresso armonioso della collettività e dei singoli individui e al rispetto del territorio in cui sono stanziati.

 

…Disattenzioni, disparità territoriali, incoerenze e sfiducia

È degno di nota che tra le voci che compongono questi indicatori siano inseriti temi come, ad esempio, l’affollamento degli istituti di pena, che sembrano scomparsi da tempo dall’agenza politica o ai quali, comunque, non si attribuisce di certo valore prioritario.

Ma è ugualmente rimarchevole che l’affanno della giustizia non sia uguale dappertutto e finisca per diventare un fattore di accrescimento delle disuguaglianze territoriali che affliggono il nostro Paese.

Tempi più rapidi e minore arretrato al Nord, tempi più lunghi e arretrato più pesante al Sud aumentano il gap esistente tra le due aree del Paese e producono effetti sperequativi che vanno ben oltre i confini delle aule giudiziarie.

L’analisi intrapresa fa poi emergere, per una sorta di eterogenesi dei fini, altre incoerenze di sistema.

Si apprende così che l’Italia è tra i Paesi più sicuri al mondo per tasso di omicidi e femminicidi e che, più in generale, l’intera delittuosità è in decrescita da ormai parecchi anni. Eppure, a fondarsi solo su taluni messaggi politici, si dovrebbe concludere il contrario, che viviamo in una società e in un tempo di straordinaria violenza e pericolosità e per ciò stesso abbiamo bisogno di più precetti, di più pene, di più giustizia che le applichi e le faccia eseguire.

Non sorprende a questo punto che solo il 38% dei cittadini ultraquattordicenni abbiano fiducia nella giustizia.

 

Effetti del malfunzionamento della giustizia italiana sul “sistema Paese

Tutti gli studi e le ricerche, da qualunque fonte provengano, evidenziano i nostri “cattivi numeri” e mettono impietosamente in vista i danni che ormai da tempo stanno provocando ai cittadini, alle imprese, all’intero “sistema Paese”.

In Italia è più difficile e costoso che altrove recuperare crediti (compresi quelli dovuti da debitori pubblici), ottenere credito bancario, capitalizzare meglio le imprese, programmare e realizzare investimenti, fare ricerca e innovazione, attrarre investimenti esteri.

La giustizia si configura pertanto più come un costo di sistema piuttosto che come una risorsa ed è una concausa significativa, a dar credito alle tante stime e proiezioni citate in questo scritto, della cattiva crescita del prodotto interno lordo cui seguono perdita di occupazione e di reddito, emigrazione forzata di giovani professionisti di talento, “condanna” di molte imprese a operare in settori marginali del mercato.

Gli stessi studi ai quali si è fatto riferimento, almeno quelli che si sono soffermati sulla corruzione pubblica considerandola un grave fattore degenerativo del nostro Paese, avvertono che le politiche pubbliche di contrasto al fenomeno sono ben lontane dal produrre i risultati necessari e incidono negativamente, a loro volta, sul grado di benessere della collettività nazionale.

È evidente allora che la crisi della nostra giustizia non può più essere descritta e censurata soltanto con gli strumenti dell’armamentario classico.

Non si tratta più soltanto di osservare indirizzi interpretativi e prassi applicative né di riflettere sull’ordinamento giudiziario.

Occorre invece assecondare sempre di più riflessioni come quelle elencate in questo scritto che privilegiano l’analisi organizzativa e valutazioni di tipo aziendalista.

È ora, in altri termini, di osservare la giustizia come un fatto e un processo organizzativo, di verificare l’impatto economico e sociale del suo prodotto, di comprendere le cause che lo rendono inadeguato ai suoi scopi e di adottare tutte le misure per migliorarlo.

È altrettanto vero, d’altronde, che la responsabilità del funzionamento in un certo modo della giustizia dipende solo in parte dai componenti dell’ordine giudiziario i quali esercitano funzioni e poteri ai quali non corrisponde, se non in minima parte, il controllo delle risorse pertinenti.

Di più: spetta al legislatore la produzione della “materia prima” su cui si fonda la giustizia, cioè le norme, e spetta al potere esecutivo deliberare e allocare i mezzi che le permettono di trasformarsi in prodotti finiti.

Le cronache di questi anni non fanno ben sperare sulla consapevolezza di questa responsabilità da posizione e sugli obblighi che ne derivano.

E tuttavia, si può immaginare che, laddove non hanno funzionato critiche ideologiche e richiami ai sacri principi, potrebbero essere prima o poi più cogenti quelle della gente comune che vede raggrinzirsi il suo futuro anche a causa delle istituzioni che dovrebbero invece tutelarlo.

Nel frattempo si può e si deve continuare a riflettere, almeno a futura memoria.

 

[1] Si intende per tale il contenzioso dal quale possono derivare condanne allo Stato per il superamento dei termini di ragionevole durata dei procedimenti. Tali termini, ai sensi dell’art. 2 della L. 89/2001 (meglio nota, appunto, come Legge Pinto), si considerano oltrepassati se i procedimenti giudiziari durano più di tre anni in primo grado, più di due anni in appello, più di un anno nella fase di legittimità.

[2] Le due tabelle sono consultabili nel sito web istituzionale del ministero della Giustizia a questo link.

[3]  I dati riportati sono tratti dalle tabelle statistiche contenute nella relazione del presidente del Consiglio di Stato per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020. Sono consultabili a questo link.

[4] I dati riportati sono tratti dalle tabelle riepilogative contenute nella relazione del presidente della Corte dei conti per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020. Sono consultabili a questo link.

[5] Il passaggio è tratto dalla relazione del presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020. Il documento è consultabile a questo link.

[6] La relazione è consultabile a questo link.

[7] La relazione è consultabile a questo link.

[8] Il rapporto è consultabile a questo link.

[9] La prima parte del rapporto (raccolta di tabelle, grafici e analisi) è disponibile a questo link. La seconda parte (profili dei singoli Paesi) è disponibile a questo link. Tutti i dati citati in questo sottoparagrafo sono tratti dalla prima parte.

[10] Con tale espressione si intende l’assistenza di fonte pubblica (cioè consulenza legale e/o rappresentanza) a certe categorie di persone.

[11] Il disposition time è un valore che indica il numero medio dei giorni necessari per la definizione di un procedimento giudiziario. Lo si ottiene dividendo il numero dei procedimenti pendenti alla fine di un anno per il numero dei procedimenti definiti nello stesso anno e moltiplicando per 365 il risultato della divisione.

[12] Il focus tematico è consultabile a questo link.

[13] Il rapporto dell’Ambrosetti Club è consultabile a questo link.

[14] Si tratta di uno studio pubblicato sul sito web dell’OCPI il 5 giugno 2020, a firma di Mario Barbuto, Carlo Cottarelli, Alessandro De Nicola e Leonardo D’Urso. È consultabile a questo link. Sempre sul sito dell’OCPI, l’11 luglio 2020 è stato pubblicato “La durata dei ricorsi (processi) amministrativi in Italia”, uno studio analogo sulla giustizia amministrativa di F. Angei e F. Paudice, consultabile a questo link.

[15] Lo scritto, presentato nel 2018 alla XXIX Conferenza italiana di scienze regionali, è consultabile a questo link.