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Non fare ingiustizia

Formella 21, platone e aristotele o la filosofia, luca della robbia, 1437-1439
Formella 21, platone e aristotele o la filosofia, luca della robbia, 1437-1439

Dal Critone di Platone, le riflessioni sulla giustizia terrena del filosofo Socrate con il suo amico e discepolo Critone.

La scena del dialogo ha luogo dopo la condanna a morte di Socrate, accusato di empietà e corruzione di giovani. Poiché la condanna non può essere eseguita subito, in quanto bisogna aspettare il ritorno della nave sacra da Delo, Critone si reca da Socrate nel carcere per cercare di dissuaderlo dall’accettare la sentenza e convincerlo invece a fuggire da Atene.

Critone tenta di convincere Socrate a fuggire utilizzando il deterrente, terribile per la mentalità greca classica, della gogna pubblica e derisione popolare, della condanna morale da parte della folla: Critone prevede moltissime ingiurie nei confronti degli amici di Socrate, accusati di non averlo aiutato a fuggire, e lo accusa addirittura di sottrarsi alle proprie responsabilità, di abbandonare i propri doveri per ignavia o paura.

Ma Socrate riporta Critone alla ragione: l’opinione che vale è quella di chi sa, di chi è saggio, non del popolo, che non riesce a capire la Verità; solo dell’opinione di costui ci si deve preoccupare, solo questa vale.

Nel dialogo di Socrate con Critone si affronta il tema del rispetto delle norme in greco nomos, indicate sia come legislazione positiva e sia come prassi e consuetudini. Quindi le “Leggi” di Atene comprendono sia le norme positive e sia le usanze.

Socrate accetta la condanna a morte anche se la sentenza è errata, sostenendo che una res pubblica, essendo un ordinamento pubblico di norme condivise può sopravvivere solo se i consociati rispettano le norme e le sue applicazioni anche se errate.

Socrate ritiene che se le leggi vengono applicate male con le sentenze, la contestazione non deve coinvolgere l’autorità delle leggi altrimenti si distruggerebbe la polis, intesa come res pubblica.

Avv. Riccardo Radi

 

SOCRATE Diciamo che non bisogna commettere volontariamente ingiustizia in nessun caso, o per certi versi sì, e per certi altri no? O diciamo  e su questo punto ci siamo già trovati d’accordo, più d’una volta  che il commettere ingiustizia non è affatto cosa buona, né bella? Che tutte le conclusioni una volta raggiunte si siano in questi pochi giorni rimescolate, e tanto abbiamo indugiato nelle nostre appassionate discussioni, Critone, da non renderci conto che nulla ci distingueva, alla nostra età, da dei bambini? O piuttosto le cose stanno come si diceva allora: sia che la gente lo ammetta o no, sia che siamo costretti a sopportare sofferenze peggiori o più lievi di queste, in ogni caso commettere ingiustizia è, per chi lo fa, cosa brutta e turpe? Sì o no?

CRITONE Sì.

SOCRATE Dunque in nessun caso va commessa ingiustizia.

CRITONE Assolutamente no.

SOCRATE E dal momento che in nessun caso va commessa ingiustizia, neanche chi la subisca dovrà ricambiarla, come pensa la gente.

CRITONE Sembra proprio di no.

SOCRATE E ora, Critone, dimmi se il male bisogna farlo o no.

CRITONE Certo che no, Socrate.

SOCRATE E ora dimmi se è giusto o no che uno contraccambi un male subìto, come la gente pensa.

CRITONE In nessun caso.

SOCRATE In effetti, far del male a qualcuno è lo stesso che commettere ingiustizia.

CRITONE Hai ragione.

SOCRATE Dunque non dobbiamo ricambiare le ingiustizie, né fare del male a nessuno, qualsiasi cosa gli altri facciano a noi. E bada, Critone, di non concordare con me su questo punto se non sei veramente di questo parere: a condividere queste opinioni, lo so bene, sono e sempre saranno in pochi. E fra chi la pensa così e chi no non è possibile comunità d’intenti, è anzi inevitabile che quando confrontano le rispettive scelte provino disprezzo l’uno per l’altro. Perciò, rifletti bene anche tu se condividi la mia opinione, se davvero sei d’accordo (e le nostre considerazioni muovano allora dal principio che non è mai corretto commettere ingiustizia e neppure ricambiarla, né reagire ai maltrattamenti facendo del male a propria volta); o se ti distacchi, e questo principio non lo condividi. Io la penso così da tempo e continuo tuttora, ma se tu la pensi diversamente dillo, e istruiscimi. Se invece resti fedele alle nostre premesse, ascolta il seguito.

CRITONE Resto fedele sì, sono d’accordo: parla, suvvia.

SOCRATE Ecco quel che ho da dire. O meglio, una domanda: se si concorda con qualcuno sulla giustezza di qualcosa, la si dovrà fare o evitare?

CRITONE La si dovrà fare.

SOCRATE Stai bene attento, allora, a quel che ne consegue. Allontanandoci da qui senza previo consenso della città facciamo del male a qualcuno, e proprio a chi meno dovremmo, oppure no? E rimaniamo fedeli ai principi che avevamo riconosciuto giusti, oppure no?

CRITONE Alla tua domanda, Socrate, non so rispondere: non capisco.

SOCRATE Prova, allora, a metterla così.

Poniamo che mentre siamo lì lì per fuggire di qui (o comunque vogliamo chiamare questa cosa) venissero le leggi e la città tutta, si piazzassero davanti a noi e ci chiedessero: "Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare? Quale può essere il tuo intento, con questo gesto, se non di fare quanto ti è possibile per distruggere noi, le leggi, e la città intera?... O pensi che possa sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui le sentenze pronunciate non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate da privati cittadini?".

Cosa rispondere, o Critone, a queste o simili domande? Certo, ci sarebbe molto da dire (più di tutti ci riuscirebbe un retore) in difesa della legge che violerei, che impone che le sentenze pronunciate abbiano vigore. Preferiremo forse dare loro una risposta del tipo "la città ci ha fatto un’ingiustizia, emettendo una sentenza scorretta"? Diremo questo, o che altro?

CRITONE Questo, sicuramente, o Socrate.