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Criterio del domicilio

Tra affari e interessi vitali, relazioni affettive e familiari
domicilio
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Abstract

Nell’individuare la residenza fiscale delle persone fisiche secondo il criterio del domicilio e, quindi, degli affari e degli interessi vitali, le relazioni affettive e familiari non rivestono un ruolo preponderante rispetto agli altri elementi inferenziali. Tale principio, già peraltro espresso in precedenti arresti giurisprudenziali, è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione nell’ambito dell’ordinanza 25/05/2022, n. 16954.

Sommario

1. Residenza fiscale nel diritto domestico

2. Residenza fiscale secondo il criterio del domicilio

3. Prevalenza tra elementi economici/patrimoniali e familiari /affettivi

 

Residenza fiscale nel diritto domestico

È noto che la normativa domestica di riferimento (articolo 2, comma 2 del TUIR) prevede che si considerano residenti “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.

A tale fine:

  • la residenza è definita dal Codice civile come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Essa è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, concorrendo a instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo (stabile permanenza in un determinato luogo), sia l’elemento soggettivo (volontà di rimanervi). In merito, l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del comune di residenza e, quindi, del territorio dello Stato, purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali;
  • il domicilio di una persona coincide con “la sede principale dei suoi affari ed interessi” a prescindere dalla presenza effettiva in tale luogo. A parere dell’Agenzia delle entrate, il domicilio deve intendersi in un’accezione ampia comprensiva non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari.

Nella sostanza, specifici criteri di radicamento del soggetto passivo con il territorio dello Stato sono presenti nel nostro ordinamento tributario, al ricorrere dei quali può essere rideterminata la residenza fiscale della persona fisica formalmente stabilita all’estero. In particolare, per espressa disposizione normativa, il contribuente dovrà presentare la dichiarazione dei redditi in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 in caso di anno bisestile):

  • è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
  • ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
  • ha stabilito la propria residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).

La normativa italiana sopra illustrata deve essere coordinata anche con le disposizioni internazionali e, in particolare, con l’articolo 4, paragrafo 2, del modello Ocse di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi, a cui si ispirano la maggior parte degli accordi bilaterali stipulati tra l’Italia e i vari Paesi nel mondo.

 

Residenza fiscale secondo il criterio del domicilio

Il secondo criterio di collegamento, di carattere sostanziale, è quello di maggiore complessità interpretativa e da cui, di conseguenza, derivano le maggiori contestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria; esso prevede che il soggetto sia considerato residente qualora abbia nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del Codice civile. Il domicilio, a norma dell'art. 43 c.c., è il luogo dove la persona ha stabilito "la sede principale dei suoi affari e interessi" e l’individuazione della “sede principale” implica la valutazione dei diversi interessi economici, dovendo individuare qual è quello prevalente ai fini della principalità della sede. Si potrebbero valutare, ad esempio, tra le diverse attività svolte dal soggetto quella più redditizia, le cariche ricoperte, il prestigio sociale, l'iscrizione a club, la disponibilità di carte di credito o di un'abitazione permanente, la presenza della famiglia, l’accreditamento di propri proventi ovunque conseguiti, la partecipazione a riunioni di affari, il possesso di beni anche immobiliari, la titolarità di cariche sociali, il sostenimento di spese alberghiere, l’iscrizione a circoli e/o clubs, l’organizzazione della proprio attività e dei propri impegni anche internazionali direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano, la lunga permanenza in località italiane, la partecipazione a concerti, sfilate di moda eventi mondani, contratti stipulati con compagnie assicurative italiane.

La vera difficoltà di questa indagine si riscontra nella valutazione della principalità della sede dal punto di vista qualitativo e, in particolare, quando si devono confrontare affari e interessi di natura non omogenea come avviene nei casi in cui un soggetto abbia gli affetti (la famiglia) in un luogo, e gli interessi economici (il lavoro) in un altro. A questo proposito, è essenziale osservare che il concetto di "affari e interessi" comprende tanto un profilo economico quanto (e soprattutto) un profilo affettivo: nelle ipotesi in cui non si riesca ad individuare il domicilio della persona a causa della diversa localizzazione delle varie tipologie di interesse (economici, patrimoniali, affettivi, sociali) ci si deve chiedere se si debba o meno far riferimento al luogo ove sono concentrati i legami affettivi del soggetto. Sul tema la sentenza della Corte di Cassazione 19 maggio 2010, n. 12259 ha stabilito che "il centro degli affari e interessi - e quindi il domicilio - prescinde dalla presenza fìsica in Italia del soggetto passivo d'imposta, essendo sufficiente la volontà di stabilire e conservare nel territorio statale la sede principale dei propri affari e interessi, non solo patrimoniali ma anche morali, sociali e familiari secondo criteri quantitativi (per gli interessi economici) e qualitativi (per gli interessi di natura non economica)". Secondo una datata Risoluzione dell'Amministrazione Finanziaria (14 ottobre 1988, n. 8/1329), nel caso in cui un soggetto sia iscritto all'AIRE e la sua famiglia abbia mantenuto la dimora in Italia durante l'attività lavorativa all'estero del soggetto in questione, o, comunque, esistano fatti tali da indurre a ritenere che egli abbia mantenuto in Italia il centro dei suoi affari e interessi, lo stesso soggetto sarà considerato residente in Italia. Lo stesso orientamento è stato assunto dalla Corte di Giustizia europea (Corte di Giustizia CE, 12 luglio 2001, causa C-262/99 sentenza Louloudakis), secondo cui "nel caso in cui una persona abbia legami sia personali sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua normale residenza, stabilito nell'ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevanti, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi di tale persona. (...) nell'ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, occorre dichiarare la preminenza dei legami personali". In definitiva, anche in mancanza di iscrizione anagrafica, l'esistenza di tali legami affettivi e familiari collegano inevitabilmente il soggetto ad un territorio.

 

Prevalenza tra elementi economici/patrimoniali e familiari /affettivi

La natura composita e multiforme del concetto di domicilio ha inevitabilmente aperto le porte all’annoso dibattito in ordine alla prevalenza degli elementi economici/patrimoniali rispetto a quelli familiari/affettivi o viceversa: non è per nulla chiaro a quale dei due criteri si debba dare prevalenza nel caso tali elementi siano collocati in Stati diversi.

Spunti interessanti si possono rinvenire nella risposta all’interpello 22 luglio 2019 n. 294 in cui l’Agenzia delle Entrate ha esaminato il caso della “residenza fiscale di un soggetto che abitualmente vive in Svizzera con famiglia residente in Italia”: nel dettaglio, l’istante ha dichiarato di essere residente in Svizzera, di volersi trasferire con la famiglia, di cui fanno parte la moglie e tre bambini, nella sua casa per le vacanze situata in Italia e resterà in Svizzera come dipendente di un’azienda stabilita in territorio estero ove soggiornerà, tre giorni lavorativi a settimana, dal mercoledì al venerdì, in Svizzera per motivi di lavoro e di studio.

L’Agenzia delle Entrate dopo aver richiamato la normativa domestica di riferimento sottolinea che nell’ipotesi di contestuale residenza fiscale italiana e svizzera si verrebbe a creare un conflitto di residenza tra i due Paesi e che lo stesso deve essere risolto facendo riferimento alle disposizioni previste della Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Svizzera: in particolare, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del modello Ocse, qualora una persona fisica risulti residente di entrambi gli Stati, la stessa è considerata residente nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente e, in subordine (laddove disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati), la residenza di una persona fisica è determinata secondo i seguenti criteri residuali disposti in ordine decrescente:

  • ubicazione del centro degli interessi vitali (la persona fisica che dispone di un’abitazione principale in entrambi gli Stati sarà considerata residente nel Paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette);
  • dimora abituale (ove non sia possibile individuare la residenza del contribuente in base ai due criteri sopra citati, una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente);
  • nazionalità della persona fisica (quando i primi tre criteri non sono dirimenti, il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la Convenzione di cui possiede la nazionalità).

Quando, infine, una persona fisica ha la nazionalità di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, gli Stati contraenti la Convenzione risolveranno la questione di comune accordo.

Si evidenzia che l’Agenzia delle entrate ha fornito gli elementi di carattere generale sopra illustrati: tuttavia la rilevanza della risposta è determinata nel fatto che, ai fini della corretta individuazione della residenza fiscale, viene ancora una volta data estrema importanza al domicilio della persona fisica inteso come “centro degli interessi vitali” del contribuente di natura professionale, ma anche riguardante la sfera delle relazioni personali, dei vincoli familiari che, come evidenziato nel caso prospettato, sono permanentemente situati nel territorio dello Stato italiano.

Sul tema appare interessante il principio contenuto nell’Ordinanza della Corte di Cassazione 25 maggio 2022 n. 16954 secondo il qual nell’individuare la residenza fiscale delle persone fisiche secondo il criterio del domicilio e, quindi, degli affari e degli interessi vitali, le relazioni affettive e familiari non rivestono un ruolo preponderante rispetto agli altri elementi inferenziali: infatti, il domicilio, nella sua intrinseca natura, è un criterio spiccatamente sostanziale che esige articolate valutazioni olistiche in merito ad aspetti patrimoniali, economici, familiari, sociali e affettivi tipizzanti l’esistenza della persona e che si contrappone, assumendo un ruolo preponderante, al dato formale dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti.

La fattispecie sotto la lente del Giudice di legittimità trae origine da tre avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate per gli anni d'imposta 2009, 2010 e 2011 nei confronti di una persona fisica iscritta all’AIRE e asseritamente fiscalmente residente in Svizzera (“Tizio”) per recupero a tassazione di maggiori redditi IRPEF ed IRAP: i predetti avvisi vengono impugnati e il contribuente è risultato soccombente in entrambi i gradi di merito. Nello specifico la CTR ha rigettato le impugnazioni ritenendo il contribuente fiscalmente residente in Italia nonostante l’iscrizione all’AIRE e il suo “formale” trasferimento in Svizzera. Il contribuente, infatti, è stato ritenuto fiscalmente residente nel territorio dello Stato in entrambi i gradi di merito sulla base di elementi indicativi quali “la residenza - anche formale - dei prossimi congiunti in Italia, il consumo molto elevato di energia elettrica […] la disponibilità di una imbarcazione da diporto in Italia, le movimentazioni bancarie rilevate, la percezione di forti compensi in Italia, la disponibilità di studio professionale in Italia,  l'effettuazione di numerose - ed ingenti nel valore - operazioni presso sportelli bancari italiani […]”.

Avverso la decisione della Commissione regionale il contribuente ha adito il Giudice di legittimità lamentando, per quanto di interesse in questa sede, “l’omesso esame del fatto che il coniuge e il figlio risiedevano in Svizzera”.

La Corte di Cassazione, nella citata ordinanza, ha ritenuto inammissibile il motivo per difetto sia di autosufficienza che di decisività dell’asserita omissione e ha evidenziato che “[a]i fini dell'individuazione della residenza fiscale del contribuente deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi”. In questo iter valutativo, prosegue la Suprema Corte, non rivestono un “ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”. In altri termini, valorizzando anche la non decisività della censura, la Corte sottolinea come nell’individuare il centro degli affari e interessi vitali il luogo in cui sono localizzati gli affetti e la famiglia non possa attrarre automaticamente la residenza del contribuente. In questo senso la proiezione affettiva della dimensione personale del contribuente non può e non deve assurgere ex se a criterio di localizzazione della residenza fiscale dovendo, al contrario, essere assunto unitamente a tutti gli altri criteri tra i quali, ovviamente, anche quelli di carattere economico/patrimoniale.

 

Conclusioni

Dal confronto tra la posizione assunta dalla Corte di Cassazione e le pratiche internazionali sviluppate in ambito OCSE si possono trarre alcune conclusioni di ordine pratico: secondo il Commentario OCSE, all’articolo 4, nel valutare tutti gli elementi sulla base dei quali localizzare in un determinato Stato il centro degli affari e interessi vitali “If the individual has a permanent home in both Contracting States, it is necessary to look at the facts in order to ascertain with which of the two States his personal and economic relations are closer. Thus, regard will be had to his family and social relations, his occupations, his political, cultural or other activities, his place of business, the place from which he administers his property, etc. The circumstances must be examined as a whole, but it is nevertheless obvious that considerations based on the personal acts of the individual must receive special attention. If a person who has a home in one State sets up a second in the other State while retaining the first, the fact that he retains the first in the environment where he has always lived, where he has worked, and where he has his family and possessions, can, together with other elements, go to demonstrate that he has retained his centre of vital interests in the first State”. Per Ocse, vanno esaminati i fatti per accertare con quale dei due Stati i suoi rapporti personali ed economici sono più stretti tenendo della sua famiglia e delle relazioni sociali, delle sue occupazioni, delle sue attività politiche, culturali o di altro tipo, del suo posto di affari, del luogo da cui amministra i suoi beni: una valutazione d’insieme in cui le considerazioni fondate sugli atti personali dell'individuo devono ricevere un'attenzione speciale. Facendo un esempio, il mantenere una abitazione nell'ambiente in cui il contribuente ha sempre vissuto, dove ha lavorato e dove ha la sua famiglia e i suoi beni, può, insieme ad altri elementi, andare a dimostrare che il suo centro di interessi vitali è in quello Stato.

La Corte di Cassazione, invece, in modo condivisibile afferma che non è possibile stabilire la priorità di un criterio rispetto all’altro rendendosi dunque necessaria una valutazione caso per caso. E a supporto di quest’ultimo orientamento la stessa Suprema Corte nella sentenza 4 aprile 2012 n. 5382, sempre nel tentativo di identificare il centro degli interessi vitali di un soggetto, ha ritenuto prevalenti gli interessi economici del contribuente affermando che “egli aveva ricoperto […] cariche sociali in ben 13 società […] sovrascrivendo personalmente numerosi atti societari, nonché […] intestatario o cointestatario di numerosi conti bancari […]”.