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Cause di lavoro: per la competenza conta anche l’abitazione del dipendente

L’abitazione di un lavoratore può essere considerata in determinati casi dipendenza dell’azienda
Cause di lavoro
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Cause di lavoro: per la competenza conta anche l’abitazione del dipendente


Abstract Ita

L’articolo analizza la sentenza della Corte di Cassazione sulla competenza territoriale, stabilendo che l’abitazione di un lavoratore è da considerarsi dipendenza della azienda. Dopo un’introduzione sulla sentenza, l’articolo è diviso in due paragrafi principali: il primo riguarda i fatti della vicenda e il secondo definisce il percorso logico-argomentativo della Corte di Cassazione. Infine, c’è la conclusione, in cui sono inserite le riflessioni degli avvocati sulla vicenda e su come i principi che ne derivano possano essere adattati anche allo smart working.


Abstract Eng

The article analyzes the Supreme Court’s ruling on territorial jurisdiction, establishing that a worker’s home is to be considered a dependency of the company. After an introduction on the decision, the article is divided into two main paragraphs: the first deals with the facts of the case and the second defines the Supreme Court’s logical-argumentative path. Finally, there is the conclusion, which includes the lawyers’ reflections on the case and how the resulting principles can also be adapted to smart working condition.


Indice

  1. Introduzione
  2. I fatti
  3. Liter logico-argomentativo della Corte di Cassazione
  4. Conclusioni e riflessioni in tema di lavoro digitale


1. Introduzione

Con l’Ordinanza in commento (Corte di Cassazione, Sezione 6 L Civile, Ordinanza 22 aprile 2022, n. 12907), emessa a seguito di un regolamento necessario di competenza, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito ad un’interessante vicenda in tema di determinazione della competenza per territorio del giudice del lavoro ai sensi dell’articolo 413 Codice Procedura Civile.

Pur non essendo frequentemente trattata, tale tematica deve ritenersi molto attuale in un mondo del lavoro alimentato da propulsione tecnologica e dirottato sempre più verso la digitalizzazione e la flessibilità.

Basti pensare alla determinazione della competenza in caso di giudizi che vedono tra le parti (in causa) un telelavoratore o un lavoratore agile (c.d., smart-worker).

Ebbene, come vedremo nel presente contributo, l’ampia portata argomentativa della Cassazione, rimessa ai principi più generali del nostro ordinamento processual-civilistico, sembra ben attagliarsi anche ad eventuali determinazioni in tema di competenza e lavoro digitale (telelavoro e/o smart-working).


2. I fatti

Procedendo con ordine, la vicenda de qua vede sullo sfondo un “corrispondente” di un giornale che adiva il Tribunale di Enna rivendicando il suo diritto alla qualifica di “redattore ordinario” e l’illegittimità del licenziamento intimato (anche) nei suoi confronti dalla società datrice di lavoro all’esito di una procedura di licenziamento collettivo. Nel corso del suo rapporto di lavoro, il giornalista aveva svolto l’incarico di fornire alla società (giornalistica) datrice di lavoro informazioni e notizie di cronaca locale di Enna e provincia.

La società datrice di lavoro si costituiva in giudizio eccependo – in via preliminare – l’incompetenza del Tribunale di Enna ritenendo, invece, competente il Foro di Palermo (nel cui circondario era situata la sede legale della società – ove, peraltro, era stato concluso il contratto). La società sosteneva infatti “di non avere mai costituito alcun Ufficio di corrispondenza all’interno del territorio di Enna” con la conseguenza che “non era ivi ravvisabile alcuna dipendenza della società che legittimasse la competenza” adita.

Il Tribunale di Enna respingeva fermamente l’eccezione preliminare di competenza sollevata da parte convenuta in quanto, secondo il Giudice, l’abitazione del ricorrente (da cui si provvedeva alla raccolta e al coordinamento del materiale trasmesso dai vari corrispondenti ed informatori, fornendo alla redazione centrale o alle redazioni decentrate notizie, informazioni, servizi ed inchieste) potesse essere pienamente ricondotta nella nozione di “ufficio di corrispondenza”, delineata dalla giurisprudenza, stante la sussistenza di un collegamento funzionale con l’azienda datrice di lavoro ravvisabile nella destinazione al perseguimento dei propri scopi imprenditoriali” e, quindi, come centro di riferimento di rapporti giuridici imputabili all’azienda stessa.

Avverso tale pronuncia, dunque, la società proponeva regolamento necessario di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione.

Tale regolamento poneva le proprie basi su un unico motivo: la violazione dell’articolo 413 Codice Procedura Civile (nella determinazione della competenza territoriale).


3. L’iter logico-argomentativo della Corte di Cassazione

Con l’Ordinanza intestata, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso per regolamento di competenza (confermando, quindi, quanto già osservato dal Tribunale di Enna sul punto).

In tema di controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 409 Codice Procedura Civile, il successivo articolo 413 Codice Procedura Civile, comma 2, stabilisce che “competente per territorio è il giudice (i) nella cui circoscrizione è sorto il rapporto di lavoro, (ii) ovvero si trova un’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o (iii) presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto”.

Sulla scorta di ciò, i Giudici hanno precisato sin da subito che, nella fattispecie in esame, nell’ambito dei suddetti tre criteri previsti dal codice di procedura civile, il Tribunale di Enna aveva ravvisato sussistente quello della dipendenza perché la prestazione lavorativa di “corrispondente” di giornale si era svolta presso l’abitazione del lavoratore che, “ai sensi del CCNL 10 gennaio 1959, articolo 5, … doveva considerarsi di fatto come ufficio di corrispondenza, quale luogo ove si provvedeva alla raccolta e al coordinamento del materiale trasmesso dai vari corrispondenti ed informatori e che forniva alla redazione centrale o alle redazioni decentrate notizie, informazioni, servizi di inchieste”.

Ribadito ciò, i Giudici hanno proposto le proprie riflessioni articolando un doppio binario argomentativo.

Da un lato, infatti, a parer della Cassazione, per ritenere se ci si trovi in presenza o meno di una “dipendenza aziendale”, “in un contesto legislativo e giurisprudenziale in cui è stato affermato che la nozione debba essere interpretata in senso estensivo” è necessario, da un punto di vista processuale, avere riguardo alla esigenza di favorire il radicamento del foro speciale del lavoro nel luogo della prestazione lavorativa e, da un punto di vista sostanziale, bisogna valutare la prestazione lavorativa effettivamente espletata.

Dunque, il Collegio ha affermato che la ratio normativa dell’articolo 413 Codice Procedura Civile, (laddove consente che la competenza per territorio possa essere determinata anche con riguardo alla dipendenza dell’azienda ove il lavoratore presta effettivamente servizio) “è quella di rendere più funzionale e celere il processo, radicandolo nei luoghi normalmente più vicini alla residenza del dipendente, nei quali sono più agevolmente reperibili gli elementi probatori necessari al giudizio.

Sotto ulteriore profilo, nel merito, i Giudici hanno evidenziato che, per una corretta valutazione della fattispecie posta alla loro attenzione, non potesse in alcun modo prescindersi dalla “esatta individuazione della nozione di “ufficio di corrispondenza” nel lavoro giornalistico, come delineata in dottrina e giurisprudenza”.

E proprio in tale ottica, sia pure con riferimento ad attività giornalistiche svolte all’estero, consolidata giurisprudenza di legittimità ha affermato che: “in tema di lavoro giornalistico, affinché l’attività di un giornalista corrispondente integri lo svolgimento delle mansioni proprie di un “ufficio di corrispondenza” occorre che ricorrano, in analogia con l’attività di redattore, oltre alla elaborazione di notizie, anche la continuità della loro trasmissione, nonché il carattere elaborato e generale delle notizie stesse, provenienti da qualsiasi settore dell’informazione del paese di corrispondenza, restando irrilevante che vi sia o meno una struttura multipersonale e munita di specifici mezzi datoriali”.

Nulla osta a che tali principi si applichino anche a casistiche in cui “corrispondenti” di giornale siano impiegati in Italia in luoghi diversi dalla redazione centrale. Ed infatti, nel coniare tali considerazioni applicandole alla vicenda in esame, la Cassazione ha precisato anche che “ciò che rileva è la realizzazione del prodotto finale tipico della corrispondenza e di una attività organizzata a tal fine, sicché non può escludersi, a priori, la coincidenza dell’ufficio con l’attività svolta da una sola persona, al limite nella propria abitazione, purché essa assommi i tratti propri di quella espletata nelle apposite strutture”.

Ne deriva che, una volta messe a fuoco le peculiarità della prestazione lavorativa del giornalista (o, per meglio dire, corrispondente di giornale o redattore) non in servizio presso la sede centrale del giornale, l’orientamento di legittimità abbia privilegiato l’aspetto funzionale dell’attività svolta. Ciò che, infatti, caratterizza l’attività di “corrispondente” è “la elaborazione di notizie, la continuità della loro trasmissione, il carattere elaborato e generale delle notizie stesse, quale risultato dei compiti ad esso attribuiti”.

Sussumendo, dunque, tutto il suddetto percorso eziologico nella vicenda attenzionata, la Cassazione ha rilevato che:

(i) vi era un collegamento strutturale tra abitazione del dipendente e datore di lavoro,

(ii) l’abitazione del dipendente rappresentava un punto di riferimento per informatori e terzi,

(iii) era ravvisabile una adesione implicita della società in relazione a tali modalità di esecuzione della prestazione di lavoro (infatti in un ampissimo lasso di tempo – dal 2009 al 2019 circa – nulla era mai stato obiettato).


4. Conclusioni e riflessioni in tema di lavoro digitale      

In conclusione, pertanto, deve rilevarsi un’applicazione “elastica” del dettato normativo ai fini della determinazione della competenza territoriale in presenza di qualificate articolazioni aziendali.

Definibile “elastica” perché, come visto, tale qualificazione è calibrata in relazione all’attività lavorativa effettivamente svolta (per tale intendendosi modalità di svolgimento e mezzi a disposizione del lavoratore nonché funzionale al perseguimento degli scopi dell’imprenditore) e, nella fattispecie in esame, l’abitazione del giornalista nella provincia di Enna è stata ritenuta appunto “dipendenza aziendale” rilevante ai fini dell’articolo 413 Codice Procedura Civile, per le determinazioni sulla competenza per territorio.

Come preannunciato in apertura del presente contributo, l’aspetto davvero interessante della pronuncia in commento è rappresentato dal fatto che i principi che ne derivano ben possono fungere da bussola nella determinazione della competenza in molteplici altre vicende dal denominatore comune (quali giudizi instaurati da lavoratori dipendenti ma dislocati su territorio diverso dalla sede legale (o sede di riferimento) della società datrice di lavoro.

Infatti, rientra ormai a pieno titolo nella incalzante ideologia digital-culturale il fatto che un lavoratore dipendente svolga la propria prestazione in regime di telelavoro o di lavoro agile (c.d., smart-working).

Ebbene, in tale caso, analoghe problematiche (e soluzioni) potrebbero verificarsi in tema di determinazione della competenza territoriale nell’incardinazione di un giudizio.

Lo “smart-worker” dovrà incardinare il giudizio dinanzi al Tribunale nel cui circondario ha la sede la società datrice di lavoro o potrà anche adire il Tribunale del circondario di riferimento della propria abitazione (come fatto dal giornalista di Enna)?

Nel tentativo di chiarire eventuali dubbi, può richiamarsi in supporto un’altra ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3154/2018), ove è precisato che “ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente per le controversie di lavoro, la nozione di “dipendenza alla quale è addetto il lavoratore”, di cui all’articolo 413 Codice Procedura Civile, deve interpretarsi estensivamente, come articolazione della organizzazione aziendale nella quale il dipendente lavora, potendo coincidere anche con l’abitazione privata del lavoratore, se dotata di strumenti di supporto dell’attività lavorativa”.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto “vi rientrasse l’abitazione di un lavoratore, dotata di pc e “account” fornito dall’azienda per l’accesso ad una piattaforma informatica per la gestione di richieste di noleggio di biciclette, con obbligo di reperibilità su ventiquattro ore e di comunicazione di qualsiasi spostamento e/o assenza”.

Dunque, può desumersi che, a parer dei Giudici, la condizione minima richiesta è rappresentata da un’organizzazione del lavoro di cui l’azienda disponga in quel luogo ossia un nucleo di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, cioè destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali; ed “è sufficiente che in tale nucleo operi anche un solo dipendente e non è necessario che i relativi locali e le relative attrezzature siano di proprietà aziendale, ben potendo essere di proprietà del lavoratore stesso o di terzi”.

L’Ordinanza recentemente emessa dalla Corte di Cassazione si pone come indice rafforzativo di un orientamento teso a legittimare, in presenza di determinate condizioni (più volte esplicitate nel corso della presente trattazione), la competenza territoriale anche del giudice del luogo in cui si trova l’abitazione del dipendente.

E sembra proprio che questa cifra riflessiva “estensiva” sia quella più aderente all’elasticità interpretativa cui l’articolo 413 Codice Procedura Civile è sottoposto da giurisprudenza e dottrina.