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Stress lavoro correlato: attenzione alle pressioni commerciali aggressive

Stress lavoro correlato
Stress lavoro correlato

Stress lavoro correlato: attenzione alle pressioni commerciali aggressive

Con la sentenza emessa in data 25 marzo 2022, il Tribunale di Torino - Sezione Lavoro ha riconosciuto che sottoporre un dipendente a pressioni commerciali aggressive, mediante l’imposizione di obiettivi serrati e difficilmente raggiungibili, con continui controlli e sollecitazioni, può configurare un’ipotesi che determina lo stress lavoro correlato, con conseguente diritto al risarcimento del danno biologico subito.

 

Indice

1. Stress lavoro correlato: le condotte incriminate

2. Stress lavoro correlato: il quadro normativo

3. Stress lavoro correlato: la nocività dell’ambiente di lavoro

4. Stress lavoro correlato: il danno alla salute e il nesso di causalità

5. Stress lavoro correlato: il profilo soggettivo, la colpa del datore di lavoro

6. Stress lavoro correlato: la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico
 

1. Stress lavoro correlato: le condotte incriminate

Il lavoratore negli anni dal 2011 al settembre 2017 (data di presentazione del ricorso) è stato sottoposto a una condotta commerciale aggressiva del proprio datore di lavoro, condotta che si esplicava in un controllo continuo e martellante sulla sua attività e sui risultati e in un serrato e costante invito a produrre di più.

In particolare, il lavoratore era obbligato a programmare un numero minimo di appuntamenti giornalieri, che doveva caricare su un’agenda elettronica, a cui avevano accesso il direttore di filiale, il responsabile commerciale e i membri della squadra di filiale, che potevano pertanto controllare costantemente la sua attività.

Peraltro il lavoratore riceveva ogni giorno da parte della struttura commerciale
un gran numero di email contenenti, da un lato, le previsioni di vendita della settimana successiva e pressanti indicazioni sui comportamenti da seguire per realizzarle (anche in competizione con gli altri uffici) e, dall’altro, i report quotidiani della situazione rispetto alle previsioni e di quanto mancava a raggiungere l’obiettivo, accompagnati da commenti volti a colpevolizzare per i risultati insoddisfacenti e incentivare una maggiore produttività.

A seguito di tale situazione, il lavoratore ha sviluppato una situazione di forte stress e ansia, che ne ha compromesso in maniera significativa lo stato di salute. Ha, quindi, richiesto il risarcimento del danno biologico dovuto allo stress lavoro correlato.
 

2. Stress lavoro correlato: il quadro normativo

Una volta descritto il fatto, il Giudice passa all’inquadramento normativo della vicenda oggetto della sentenza.

Il Giudice parte dalla nozione di stress lavoro correlato. L’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 ha definito lo stress lavoro collegato come lo “stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti”.

L’articolo 28 del Decreto Legislativo 81/2008 ha imposto al datore di lavoro di elaborare il documento di valutazione dei rischi, in relazione a tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresi quelli collegati allo stress lavoro correlato.

Una volta definito lo stress lavoro correlato, il Giudice osserva come la fattispecie oggetto del giudizio rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 2087 Codice Civile che prevede che: “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Il Giudice rileva come l’articolo 2087 ponga a carico del datore di lavoro l’onere gravoso di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno. Non è, però, sufficiente che l’infortunio sia avvenuto in occasione di lavoro, ma è necessario anche che tale evento fosse prevedibile ed evitabile.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, il lavoratore ha l’onere di provare il danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale tra i due elementi. Il datore di lavoro ha invece l’onere di dimostrare l’assenza di una propria colpa, stante la natura contrattuale della sua responsabilità.
 

3. Stress lavoro correlato: la nocività dell’ambiente di lavoro

Il Giudice, quindi, passa ad esaminare i singoli profili che possono comportare una responsabilità del datore di lavoro.

In relazione alla nocività dell’ambiente di lavoro, il Giudice rileva come già le mansioni alle quali era adibito il ricorrente (consulente commerciale retail) erano di per sé causa di frustrazione e ansia. In tale contesto si inseriscono le politiche commerciali aggressive sviluppate dal datore di lavoro.

A tal proposito, il Giudice ha ritenuto che l’istruttoria orale e la copiosa documentazione prodotta dal ricorrente abbiano ampiamente fornito la prova della veridicità di quanto lamentato dal lavoratore.

In particolare, nella propria sentenza, il Giudice sottolinea come

l’inevitabile accrescimento dell’ansia e della frustrazione dovuto al fatto di essere sollecitato, messo a confronto, rimproverato, caricato di sensi di colpa nei confronti dei colleghi è certamente favorito sia dalla frequenza con cui ciò avviene sia dalle forme utilizzate dalla struttura commerciale in tale contesto, quali emergono dal già evidenziato tenore letterale e grafico delle email.

La ripetizione dell’intervento a brevi intervalli, infatti, sottolinea il trascorrere del tempo, l’inadeguatezza dei risultati e la crescente difficoltà di recuperarli tempestivamente. L’uso di grassetto, sottolineatura, caratteri più ampi, plurimi punti interrogativi ed esclamativi, espressioni figurate prese in prestito da altri contesti per incitare all’azione ed espressioni scandalizzate, d’altronde, sottolinea ed esalta i contenuti”.

Ulteriore fattore di stress è stato il continuo coinvolgimento dei superiori: sebbene infatti il mancato raggiungimento degli obiettivi non abbia portato all’apertura di procedimenti disciplinari nei confronti di alcun dipendente, la consapevolezza della continua esposizione ai propri superiori dei propri insuccessi può ingenerare nel dipendente la paura di ripercussioni.

In conclusione, per il Giudice, l’imposizione costante di obiettivi serrati e difficilmente raggiungibili, realizzata con modalità pressanti e accompagnata da controlli e sollecitazioni continui finisce di fatto per rendere obbligatorio il raggiungimento dell’obiettivo, trasformando pertanto l’obbligazione di mezzi in un’obbligazione di risultato.

Pertanto, conclude sul punto il Giudice, il ricorrente ha ampiamente dimostrato la nocività dell’ambiente di lavoro, che presentava caratteristiche idonee a generare stress lavoro correlato.
 

4. Stress lavoro correlato: il danno alla salute e il nesso di causalità

In merito alla sussistenza di un danno alla salute e del nesso di causalità, il Giudice nella propria valutazione richiama integralmente quanto riconosciuto dal Consulente Tecnico d’Ufficio nella propria relazione peritale.

Il perito ha, infatti, stabilito che il ricorrente soffre di disturbo dell’adattamento con ansia di tipo cronico e ha ricollegato tale disturbo a fattori stressanti sul luogo di lavoro costituiti da richieste di prestazioni, che, sia sotto l’aspetto quantitativo sia qualitativo, il ricorrente non era in grado di reggere. Tali richieste, reiterate nel tempo e accompagnate da costanti sollecitazioni a rispettare gli obiettivi comunicati, hanno portato alla manifestazione di sintomi latenti quali ansia, irritabilità e somatizzazioni. Ha escluso invece la presenza di fattori causali o concausali relativi alla vita personale del dipendente.

Il Consulente ha, poi, specificato che il periodo dal 2011 al 2016 (quando si è manifestata la sintomatologia) ha costituito un “terreno di coltura” per la sviluppo del disturbo, periodo durante il quale il ricorrente ha cercato di adattarsi al nuovo ruolo professionale, all’interno del quale faceva fatica a esprimere le proprie capacità. Nel 2016 non ha più retto e si è quindi manifestata in maniera palese la patologia.

Per il CTU è, quindi, evidente sia il danno alla salute sia il nesso causale tra ambiente di lavoro stressogeno e disturbo dell’ansia sviluppato dal ricorrente.
 

5. Stress lavoro correlato: il profilo soggettivo, la colpa del datore di lavoro

Da ultimo, il Giudice esamina l’aspetto soggettivo: ribadisce, infatti, che per poter affermare una responsabilità del datore di lavoro non è sufficiente la presenza di un danno causalmente ricollegabile al lavoro, ma è altresì necessario che tale danno fosse prevedibile ed evitabile mediante una condotta esigibile da parte del datore di lavoro, che però l’ha omessa. E l’onere della prova che il fatto non fosse prevedibile né evitabile grava sul datore di lavoro, stante la natura contrattuale della responsabilità ex articolo 2087 Codice Civile.

Il Giudice ricorda come, ai sensi dell’articolo 17 e seguenti del Decreto Legislativo 81/2008, il datore di lavoro debba procedere con la valutazione del rischio e debba in particolare elaborare, ai sensi dell’articolo 28, il documento di valutazione del rischio nel quale tenere conto di tutti i fattori di rischio, ivi compresi quelli collegati allo stress lavoro correlato.

Il comma 1 bis di tale articolo prevede che la valutazione del rischio, in relazione allo stress lavorato correlato, vada effettuata seguendo le linee guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche. Tali linee guida sono state pubblicate per la prima volta a novembre 2010 e poi integrate e riviste nel 2017.

Il Giudice passa, quindi, a verificare il rispetto formale di tale obbligo ed evidenzia come il datore di lavoro abbia prontamente dato attuazione alla normativa, inserendo lo stress lavoro correlato e la sua relativa valutazione all’interno del Documento di Valutazione del Rischio. Erano infatti previsti, per le situazioni di rischio non rilevante, il monitoraggio annuale dell’andamento degli eventi sentinella; per il rischio medio e alto, erano altresì previsti l’adozione delle misure correttive, con monitoraggio anche dell’efficacia di tali interventi e, in caso di inefficacia dei rimedi posti in essere, un’analisi più approfondita.

In merito ai dipendenti, il Giudice rileva che è indicato l’obbligo di rispettare il Codice Etico e il CCNL, con particolare attenzione alle situazioni di disagio provocate al lavoratore nell’ambiente di lavoro. Ed infine sono previsti, da una parte, l’obbligo di ogni dipendente di informare i dipendenti di dinamiche che possono interferire sulla corretta gestione dell’attività lavorativa; dall’altro lato ogni responsabile deve prontamente intervenire in relazione a dette segnalazioni.

Alla luce di questa situazione formale, il Giudice valuta il rispetto operativo delle indicazioni di cui al Documento di Valutazione dei Rischi, per accertare se davvero il danno lamentato dal ricorrente fosse del tutto imprevedibile ed inevitabile.

Sul punto, il datore di lavoro si è difeso sostenendo di non essere mai stato informato di tale circostanza e che non vi fossero eventi sentinella che avrebbero potuto costituire dei campanelli d’allarme sulla configurabilità del rischio di stress lavoro correlato in capo al ricorrente.

Il Giudice, nella propria sentenza, smonta entrambe le tesi difensive del datore di lavoro. In primo luogo, il Giudice riporta la testimonianza della dirigente responsabile dell’ufficio in cui lavorava il ricorrente.

Tale dirigente ha infatti dichiarato: “lui contestava il fatto di dover fare ad ogni costo. Si lamentava del fatto che pativa la pressione commerciale ma non capisco come potesse essere perché faceva poco” Per poi aggiungere: “Non riferii a (…) o ai superiori che il ricorrente diceva di patire la pressione commerciale perché non chiedeva che venissero presi dei provvedimenti”.

Tali dichiarazioni, secondo il Giudice, da un lato, sono la migliore sintesi di che cosa sia in concreto lo stress lavoro correlato e, dall’altro, dimostrano come vi sia stata una palese violazione dell’obbligo in capo a una dirigente di intervenire prontamente in merito alle situazioni di disagio lamentate dal ricorrente.

La consapevolezza della dirigente, che conosceva la situazione del dipendente da ben 4 anni, e la sua inerzia sono per il Giudice, quindi, sufficienti a far sì che l’evento non si potesse considerare imprevedibile né inevitabile e quindi attivano la responsabilità del datore di lavoro.

Ma il Giudice rileva come vi fossero, nel caso di specie, anche due elementi che avrebbero dovuto suonare come campanelli d’allarme per il datore di lavoro in relazione a una situazione di possibile stress lavoro correlato in capo al ricorrente.

In primo luogo, a partire dal 2015 il ricorrente ha iniziato ad assentarsi per prolungati periodi per malattia, come eccepito dallo stesso datore di lavoro. E l’assenza prolungata per malattia costituisce uno degli eventi sentinella per antonomasia, tanto da essere addirittura incluso nella check list usata dal datore di lavoro per la valutazione del rischio.

In secondo luogo, da fine 2014 il ricorrente ha iniziato a manifestare un calo di produttività, accompagnato dalla difficoltà di ottenere dal lavoratore stesso un adeguamento agli standard operativi aziendali: e tale circostanza era talmente ben nota al datore di lavoro, che il ricorrente ha avuto due colloqui con dirigenti della società al fine di individuare una possibile soluzione a tale calo di produttività. Tale fattore costituisce un chiaro segnale di difficoltà del lavoratore, che non può non attirare l’attenzione del datore di lavoro e indurlo a cercare una soluzione, sia sotto il profilo della produzione, sia per verificare che non sia causato da una situazione di disagio di cui doversi fare carico ai sensi dell’articolo 2087 codice civile.

E, peraltro, una tale verifica è tanto più necessaria, quando, come nel caso di specie, si è in presenza di caratteristiche stressogene e i rimedi studiati per stimolare il lavoratore alla produzione si sono rivelati inefficaci.

Il Giudice, inoltre, osserva come il calo di produttività e la natura stressogena dell’attività lavorativa avrebbero dovuto essere prese in considerazione, in sede di valutazione del rischio stress lavoro correlato del consulente commerciale, rispettivamente come evento sentinella e nell’ambito dell’analisi del contesto e del contenuto del lavoro.

Il Giudice non approfondisce la rilevanza di tale mancanza sotto l’aspetto dell’eventuale responsabilità del datore di lavoro, sottolineando come l’effettiva conoscenza da parte della società di più elementi idonei a concretizzare il rischio stress lavoro correlato in capo al ricorrente sia sufficiente a configurare la responsabilità datoriale.
 

6. Stress lavoro correlato: la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno biologico

In conclusione, pertanto, riconosciuti

la natura nociva dell’ambiente di lavoro,

il danno alla salute del ricorrente,

il nesso causale tra ambiente nocivo e danno e, infine,

la natura colpevole del comportamento del datore di lavoro,

il Giudice ha statuito che le condotte commerciali aggressive potessero configurare un’ipotesi che ha determinato lo stress lavoro correlato in capo al dipendente.

Il Giudice ha, quindi, condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal ricorrente e determinato dal CTU in un danno biologico pari al 15% e un danno temporaneo al 30% per 6 mesi e al 20% per altri 6 mesi.