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Tenuità del danno: applicazione concreta dell’articolo 131 bis Codice Penale

il dono del giorno
Ph. Ermes Galli / il dono del giorno

Tenuità del danno: applicazione concreta dell’articolo 131 bis Codice Penale

 

Indice

La ratio di fondo dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE

La “particolare tenuità” e la “non abitualità” del fatto illecito

Alcune fattispecie concrete di utilizzabilità/non utilizzabilità dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE

Il problema dell’applicabilità dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE da parte del giudice di pace (Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683)

Il primo orientamento ermeneutico

Il secondo orientamento ermeneutico

 La soluzione di Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683

 

Articolo 131 bis Codice Penale

Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto

Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’Articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie, o, ancora, ha approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli Artt. 336, 337 e 341 bis, quando il reato è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o di un agente di polizia giudiziaria, nell’esercizio delle proprie funzioni, e nell’ipotesi di cui all’Articolo 343

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma, non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso, ai fini dell’applicazione del primo comma, non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’Articolo 69

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.


La ratio di fondo dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE

L’Articolo 131 bis CODICE PENALE è stato introdotto dal DLVO 28/2015, nei cui Lavori Preparatori è specificato che tale nuove Norma “ha inteso delineare una causa di non punibilità rispondente alla concezione gradualistica del reato e ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità del Diritto Penale”.

Come rimarcato nei Lavori Preparatori del DLVO 28/2015, il nuovo Articolo 131 bis CODICE PENALE attenua l’obbligatorietà tassativa dell’azione penale, in tanto in quanto esso “mira ad attuare una deflazione dei carichi giudiziari, nel rispetto dei principi fondamentali di offensività [non astratta], sussidiarietà e proporzionalità, posto che la norma tende ad escludere la punibilità in ordine a fattispecie che, astrattamente, ben configurano ipotesi di reato, ma che, in concreto, sono espressione di un minimo grado di offensività. Si tratta, infatti, di una causa di non punibilità che lascia presupporre la commissione di un reato, ma che è legata a valutazioni di opportunità”.

In Dottrina non è pacifica la qualificazione della natura strutturale dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE.

Secondo un primo orientamento esegetico, tale Norma, dal punto di vista del Diritto Costituzionale, costituisce una “condizione dell’azione penale” che viene a mitigare l’obbligatorietà dell’azione penale ex Articolo 112 Costituzione.

Secondo, viceversa, un secondo approccio ermeneutico, non contano i profili di Diritto Costituzionale, bensì quelli di Diritto Penale sostanziale; ovverosia, dal punto di vista giuspenalistico, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE costituisce una “causa di non punibilità”. Quest’ultima posizione dottrinaria è anche quella solitamente condivisa dalla Giurisprudenza di legittimità posteriore al 2015. Tuttavia, che redige preferisce rimarcare l’incontro-scontro tra l’Articolo 131 bis CODICE PENALE e l’Articolo 112 Costituzione, giacché l’istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ha finalmente svelato l’inapplicabilità operativa della tassatività dell’azione penale.

In effetti, esistono ambiti, come nel caso del Diritto Penale minorile, in cui l’obbligatorietà dell’azione penale contrasta con l’altrettanto fondamentale ratio della proporzionalità ragionevole della pena. Analoga osservazione vale pure per i reati bagatellari in materia di stupefacenti ex TU 309/90. Più latamente, non è conforme al criterio della proporzionalità colpire in misura eguale tanto i delitti estremamente anti-sociali quanto quelli di lieve entità, soprattutto se il reo è incensurato, minorenne o, come affermato, ad esempio, nello StGB svizzero, “già adeguatamente e pesantemente colpito dalle conseguenze del proprio illecito”.

Ormai, nel 2015, l’Articolo 112 Costituzione cominciava a manifestare la propria natura antinomica nei confronti di un “giusto processo”, ex Articolo 111 Costituzione, nel quale la pena va commisurata alla concreta anti-socialità e, per conseguenza, anti-giuridicità del reato. Viceversa, l’obbligatorietà non attenuata dell’azione penale trasforma il Magistrato requirente in un arido calcolatore elettronico che non tiene conto della reale pericolosità socio-giuridica dell’infrazione penale. Il Diritto Penale non si sostanzia in una formula algebrica assoluta, dogmatica e de-contestualizzata. Tuttavia, ex Articolo 651 bis Codice Penalep, il prosciolto ex Articolo 131 bis CODICE PENALE è comunque tenuto, in sede civilistica, al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. Pertanto, nel bene o nel male, l’attenuazione della responsabilità penale non esclude la responsabilità civile, dunque di carattere pecuniario. Quindi, il Legislatore ha scelto di mantenere una discrasia evidente tra il Diritto Penale, ex Articolo 131 bis CODICE PENALE, ed il Diritto Civile o, meglio, le conseguenze civilistiche dell’illecito penale, ex Articolo 651 bis Codice Penalep. A parere di chi scrive, è antinomico, dal punto di vista logico, che la non punibilità penalistica, ex Articolo 131 bis CODICE PENALE, per mancanza di pericolosità del delitto o della contravvenzione, venga contraddetta dalla punibilità civilistica ex Articolo 651 bis Codice Penalep. Infatti, non si comprende perché parlare di risarcimento dei danni se la fattispecie penale reca una pericolosità meramente ed astrattamente simbolica o formale.

La prima condizione di applicabilità dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE è che il reato per il quale si procede preveda una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni; ovvero una pena esclusivamente pecuniaria, essa sola o congiunta alla pena detentiva predetta (Codice Penalev. 1 comma 1 Articolo 131 bis CODICE PENALE). Inoltre, ex comma 2 Articolo 131 bis CODICE PENALE, “l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’ autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa, ovvero quando la condotta ha cagionato, o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

L’offesa non può, altresì, essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti puniti con una pena superiore, nel massimo, a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli Artt. 336, 337 e 341 bis CODICE PENALE, quando il reato è commesso nei confronti di un ufficiale o di un agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o di un agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, e nell’ipotesi di cui all’Articolo 343 CODICE PENALE”.

La seconda parte del comma 2 Articolo 131 bis CODICE PENALE è stata novellata dall’Articolo 16 comma 1 lett. b) DL 53/2019.

Come notato in Dottrina, la “particolare tenuità del fatto” e la “non abitualità” del comportamento sono valutate secondo il libero e prudente apprezzamento del Giudice, fatti salvi i limiti autentici ope legis previsti nel comma 2 e nel comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE

Secondo l’interpretazione di Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683, “l’istituto [ex Articolo 131 bis CODICE PENALE] trova applicazione solo nei giudizi dinanzi al giudice ordinario, ad esclusione di quelli di competenza del Giudice di pace penale”. Viceversa, secondo l’opinione, per il vero minoritaria, di Cass., sez. pen. IV, 29 settembre 2016, n. 40699, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE sarebbe precettivo anche innanzi al giudice di pace, nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali di matrice penale. Nella Giurisprudenza di legittimità, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE risulta applicabile anche al delitto tentato che, ex Articolo 56 CODICE PENALE, se consumato fino in fondo, avrebbe recato ad un’offesa giuridica “di particolare tenuità”.

A parere di chi commenta, è inutile parlare di un’eventuale precettività dell’istituto in parola nei confronti dei “delitti a pericolosità astratta”. Infatti, sotto il profilo strutturale, il reato concretamente non pericoloso, dal punto di vista socio-giuridico, si sostanzia in un “non-reato”, che non rinviene alcuna effettiva cittadinanza nel Diritto Penale. Parlare di un’offesa penale astratta significa postulare l’inesistenza ontologica dell’atto infrattivo.

Ha senso applicare la Giuspenalistica, d’altronde, alle sole infrazioni non-astratte, poiché un pericolo puramente teorico non lede il bene tutelato sotto il riguardo dell’anti-socialità del comportamento. Una contravvenzione o un delitto astratti sono caratterizzati da una radicale inconsistenza ontologica, la quale, per conseguenza, rende pleonastico dissertare circa la punibilità o la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Molto importante è pure il comma 4 Articolo 131 bis CODICE PENALE, ai sensi del quale “ai fini della determinazione della pena detentiva prevista dal primo comma [non superiore, nel massimo, a cinque anni di reclusione] non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso, [Articolo 63 CODICE PENALE], ai fini dell’applicazione del primo comma [dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE] non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’Articolo 69 CODICE PENALE”.


La “particolare tenuità” e la “non abitualità” del fatto illecito

Quando l’Articolo 131 bis CODICE PENALE parla di “particolare tenuità del fatto”, tale lieve entità va calibrata sulla base delle tre seguenti variabili:

  1. le modalità con cui è stato consumato o, al limite, tentato il fatto
  2. l’entità del danno o del pericolo cagionato
  3. il grado di non abitualità del comportamento

La “abitualità” sub 3) reca il pregio di essere autenticamente definita dal comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE, ai sensi del quale “il comportamento è abituale nel caso in cui l’ autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reato che abbiano ad oggetto condotte plurime abituali o reiterate”.

Ora, è più che pacifico che la “particolare tenuità” di un illecito penalmente rilevante varia in relazione ai parametri indicati nei numeri 1), 2) e 3) comma 1 Articolo 133 CODICE PENALE, ovverosia “nell’ esercizio del potere discrezionale […] il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

  1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione
  2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionati alla persona offesa dal reato
  3. dall’intensità del dolo o dal grado della colpa

Come si può notare, senza alcun dubbio, i numeri 1), 2) e 3 ) comma 1 Articolo 133 CODICE PENALE costituiscono le migliori variabili sulla cui base calibrare la maggiore o minore “tenuità del fatto” ex Articolo 131 bis CODICE PENALE. I numeri 1), 2) e 3) comma 1 Articolo 133 CODICE PENALE sono la naturale e primaria base codicistica del comma 1 Articolo 131 bis CODICE PENALE. Oltretutto, si tratta di criteri legali non inficiati dalle incerte soggettività delle personali interpretazioni dottrinarie o giurisprudenziali. L’oggettività quasi assoluta dei numeri 1), 2) e 3) comma 1 Articolo 133 CODICE PENALE aiuta grandemente e lodevolmente il Magistrato nella quotidiana applicazione, o meno, dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE.

Anche Cass., sez. pen. III, 11 gennaio 2018, n. 776 conferma la necessità, per l’applicazione dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE, di un “comportamento non abituale” ex comma 3 del medesimo Articolo, ossia “la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’Articolo 131 bis CODICE PENALE non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto Articolo, qualora l’ imputato […] abbia commesso più reati della stessa indole, ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi, anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità [come previsto dal comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE]”.

In Giurisprudenza non è pacifica l’applicabilità dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE alla fattispecie del reato continuato, il quale, in fin dei conti, costituisce una sorta di “comportamento abituale” ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE.

A tal proposito, Cass., sez. pen. II, 2 marzo 2018, n. 9495 si dimostra possibilista ed iper-garantista, nel senso che l’Articolo 131 bis CODICE PENALE è reputato sempre precettivo, anche in caso di reato continuato, “purché le violazioni legate dal vincolo della continuazione non siano in numero tale da costituire ex se una dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa, indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva”. Come si può notare, Cass., sez. pen. II, 2 marzo 2018, n. 9495 manifesta uno spiccato favor rei, anche in presenza di più reati tra di loro connessi dalla continuazione, dunque dall’abitualità ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE. Del pari, Cass., sez. pen. V, 5 febbraio 2018, n. 5358 afferma che “ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’Articolo 131 bis CODICE PENALE, non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardano azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo, di luogo e nei confronti della medesima persona, elementi da cui emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l’abitualità presa in considerazione in negativo dall’Articolo 131 bis CODICE PENALE”. Dunque, anche Cass., sez. pen. V, 5 febbraio 2018, n. 5358 propende per una concessione assai elastica dei benefici di cui all’Articolo 131 bis CODICE PENALE, purché sussista una “univocità finalistica nel piano criminoso”, tale da escludere una “pluri-offensività variegata” conforme alla ratio escludente espressa nel comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE.

Viceversa, più rigoristica e formalistica è Cass., sez. pen. VI, 24 gennaio 2018, n. 3353 (assai simile a Cass., sez. pen. I, 12 dicembre 2017, n. 55450), la quale sostiene, invece, che “la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto [ex comma 1 Articolo 131 bis CODICE PENALE] non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale [ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE] per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza non occasionale”. Pertanto, Cass., sez. pen. VI, 24 gennaio 2018, n. 3353, nonché Cass., sez. pen. I, 12 dicembre 2017, n. 55450 effettuano un’equazione: reato continuato=comportamento abituale ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE=negazione dell’applicabilità del comma 1 Articolo 131 bis CODICE PENALE. I predetti Precedenti del 2017 e del 2018 risultano meno sensibili al garantismo oltranzisticamente applicato nelle Sentenze di legittimità secondo le quali non deve essere automatico equiparare il vincolo della continuazione all’abitualità del comportamento ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE.

A parere di chi commenta, il Precedente migliore è senz’altro Cass., sez. pen. II, 2 marzo 2018, n. 9495, in tanto in quanto la “serialità” dei reati non dipende, in maniera automatica, dalla continuazione. Infatti, secondo chi redige, è sempre e comunque necessario contestualizzare la singola realtà criminologica e fattuale di ciascun reato. La nozione di “abitualità” ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE non va utilizzata alla stregua di una formula algebrica. Molto dipende dallo specifico e concreto contesto in cui si colloca la serie di reati connessi dal vincolo della continuazione. L’abitualità della condotta, o meno, va valutata caso per caso e non come se si trattasse di un teorema geometrico. Non esiste né può esistere una precettività automatica o de-contestualizzata del comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE

Un’altra variabile in cui potrebbe innestarsi l’Articolo 131 bis CODICE PENALE è quella della commissione, da parte del reo, di più reati tra di loro connessi. A tal proposito, di nuovo e pertinentemente, Cass., sez. pen. III, 21 dicembre 2017, n. 57108 invita ad una instancabile contestualizzazione, poiché “ai fini della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, dove la commissione di un reato sia stata funzionale alla realizzazione di un altro reato, ovvero, comunque, essa si sia inserita in una serie causale il cui sbocco sia il determinarsi di altri illeciti, nella valutazione sulla gravità del fatto [ex commi 1), 2) e 3) Articolo 131 bis CODICE PENALE] bisogna tenere conto anche degli eventuali reati connessi, anche se siano stati oggetto di una dichiarazione di prescrizione”.

A tal proposito, alla luce della ratio del “comportamento abituale” ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE, Cass., sez. pen. III, 5 aprile 2017, n. 30134 asserisce che “la particolare tenuità del fatto non può essere applicata ai reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica, in quanto viene a configurarsi una ipotesi di comportamento abituale [ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE] ostativa al riconoscimento del beneficio”. Dunque, Cass., sez. pen. III, 5 aprile 2017, n. 30134 assimila la “reiterazione della condotta tipica” ai lemmi “comportamento abituale” di cui al comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE. Tuttavia, Cass., sez. pen. VI, 20 marzo 2019, n. 18192 afferma che “esiste la possibilità, anche in caso di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, reiterate ed abituali, di applicare l’Articolo 131 bis CODICE PENALE […] se sussiste una particolare tenuità delle singole condotte o dei singoli reati”. Quindi, Cass., sez. pen. VI, 20 marzo 2019, n. 18192 predica, molto garantisticamente, la precettività dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE anche nella fattispecie di più reati connessi, alla condizione che tale serie di illeciti si sostanzi in una combinazione di più fatti, ma tutti “di lieve entità”, dunque abituali, ma lievi. Come si nota, anche Cass., sez. pen. VI, 20 marzo 2019, n. 18192 rinviene un compromesso tra “abitualità” e “lievità” dell’insieme dei reati connessi; e ciò costituisce una positiva manifestazione del favor rei, il quale deve sempre prevalere nell’interpretazione delle Norme penali. Viceversa, perlomeno nella Giuspenalistica, un approccio formalistico e restrittivo non è conforme alle regole generali del temperamento ordinamentale sancito nell’Articolo 111 Costituzione.

In ogni caso, Cass., sez. pen. III, 13 novembre 2019, n. 45947 tiene ben fermo il principio per cui è e rimane non applicabile l’Articolo 131 bis CODICE PENALE nella ben più grave fattispecie di reati non lievi commessi, in maniera abituale, in un breve tempo e con modalità spazio-temporali simili. In tal caso, non v’è dubbio circa la non precettività del beneficio di cui all’Articolo 131 bis CODICE PENALE, in tanto in quanto manca completamente la “particolare tenuità” dei fatti connessi. Molto interessante è pure Cass., sez. pen. III, 29 gennaio 2018, n. 4123, che, sempre in tema di “non abitualità della condotta” ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE, osserva che “ai fini dell’applicazione [o meno] della causa di non punibilità di cui all’Articolo 131 bis CODICE PENALE, […] assumono rilievo anche i comportamenti successivi alla commissione del reato”.

Dunque, nuovamente, anche Cass., sez. pen. III, 29 gennaio 2018, n. 4123 esorta il Magistrato del merito a valutare complessivamente la fattispecie infrattiva, contestualizzando accuratamente l’illecito all’interno della propria specifica modalità attuativa. Il Giudice, anche con afferenza all’Articolo 131 bis CODICE PENALE, non è mai un arido calcolatore elettronico assolutizzante e de-contestualizzante. L’”abitualità del comportamento” ex comma 3 Articolo 161 bis CODICE PENALE dev’essere sempre e comunque calata nello specifico contesto che accompagna ciascun singolo reato. È comunque, ad ogni modo, necessaria un’accurata osservazione personologica del reo e del proprio ambito criminogenetico di riferimento.
 

Alcune fattispecie concrete di utilizzabilità/non utilizzabilità dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE

  1. il reato di omesso versamento dell’IVA. Secondo Cass., sez. pen. III, 12 ottobre 2015, n. 37875, “quando si procede per il reato di omesso versamento dell’ IVA, la non punibilità per particolare tenuità del fatto [ex Articolo 131 bis CODICE PENALE] è applicabile solo se l’ammontare dell’imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità”
  2. reati in materia di obbligazione agli alimenti. Secondo Cass., sez. pen. III, 18 settembre 2015, n. 37875, non si applica la ratio della “particolare tenuità del fatto” ex Articolo 131 bis CODICE PENALE, bensì quella di “non particolare gravità” specificamente prevista dalla L. 283/62 in tema di obbligo alla somministrazione degli alimenti tra familiari
  3. reato di guida in stato di ebbrezza. Secondo Cass., sez. pen. IV, 2 novembre 2015, n. 44132, “la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’Articolo 131 bis CODICE PENALE, è applicabile anche la reato di guida in stato di ebbrezza, non essendo incompatibile, con il giudizio di particolare tenuità, la previsione [di vari gradi di positività alcolemica]”. Dunque, un “lieve” superamento della soglia dello 0,5 per mille è “particolarmente tenue” ex comma 1 Articolo 131 bis CODICE PENALE. Anzi, secondo Cass., sez. pen. IV, 19 febbraio 2019, n. 7526, un “tenue stato di ebbrezza” provoca la non confiscabilità del mezzo di guida.
  4. reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Cass., sez. pen. III, 16 settembre 2016, n. 38488 è possibilista, quanto al tema delle false fatturazioni; ovverosia, “ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto [ex Articolo 131 bis CODICE PENALE] […] trattandosi di un reato di pericolo, occorre valutare la condotta [dell’emissione di fatture false] in base ai criteri generali dettati dall’Articolo 131 bis CODICE PENALE, con particolare riferimento alla sua reiterazione [rectius: abitualità ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE] e con riferimento al [grado di] messa in pericolo del bene protetto”. Come si può notare, anche Cass., sez. pen. III, 16 settembre 2016, n. 38488 adotta una qualificazione “a gradi” della gravità del reato. Ossia, dopo la Riforma del 2015, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE ha contribuito ad abbandonare una visione monolitica, categorica ed apodittica dell’illecito penale. Da cui, la non-assolutizzazione dell’obbligatorietà dell’azione penale ex Articolo 112 Costituzione.
  5. reato di esercizio abusivo di una professione (Articolo 348 CODICE PENALE). Cass., sez. pen.  VI, 13 febbraio 2017, n. 6664 nega la eventuale precettività dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE con attinenza al delitto p. e p. ex Articolo 348 CODICE PENALE, “in quanto tale delitto presuppone una condotta che, poiché connotata da ripetitività, continuatività o, comunque, pluralità [ed abitudinarietà] degli atti tipici, è [ontologicamente] ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità [giacché il comportamento è abituale ex comma 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE]”
  6. reato di ricettazione. Secondo Cass., sez. pen. II, 12 maggio 2017, n. 23419, la ricettazione non configura mai un “fatto di particolare tenuità”. Rimane, tuttavia, precettiva la ratio della “particolare tenuità” strutturalmente ed appositamente inserita nel comma 2 Articolo 648 CODICE PENALE
  7. reato di responsabilità amministrativa degli enti. Secondo Cass., sez. pen. III, 15 gennaio 2020, n. 1420, tale reato non s’interseca mai con l’Articolo 131 bis CODICE PENALE” in considerazione della differenza [ontologica] esistente tra la responsabilità penale e quella amministrativa dell’ente, per il fatto commesso da chi, al suo interno, si trovi in posizione apicale o sia soggetto all’altrui direzione “


Il problema dell’applicabilità dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE da parte del giudice di pace (Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683)

La III Sezione Penale della Cassazione, ex comma 1 Articolo 618 Codice Penalep, ha sottoposto alle Sezioni Unite il seguente quesito di Diritto: “se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’Articolo 131 bis CODICE PENALE, sia applicabile nei Procedimenti relativi ai reati di competenza del giudice di pace”


Il primo orientamento ermeneutico

Un primo filone interpretativo giurisprudenziale afferma che l’Articolo 131 bis CODICE PENALE non è applicabile ai reati sottoposti alla cognizione penale del giudice di pace. Secondo Cass., sez. pen. V, 28 novembre 2016, n. 54173, va evidenziato che i reati conoscibili dal giudice ordinario non sono “sovrapponibili” a quelli di competenza del giudice di pace, la cui ratio operativa è, eminentemente, quella conciliativa, incompatibile con l’Articolo 131 bis CODICE PENALE, precettivo nei confronti di ipotesi infrattive ben più pesanti. Analogamente, Cass., sez. pen. V, 20 ottobre 2016, n. 55039 asserisce che i reati sussumibili entro il campo precettivo dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE rispondono ad un’istanza fortemente punitiva, mentre, in maniera totalmente diversa, al giudice di pace “è richiesta la valutazione di [altri e differenti] interessi individuali, [quali] il grado di colpevolezza, l’occasionalità del fatto, nonché l’eventuale pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento potrebbe arrecare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato”.

Similmente, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2016, n. 47518 precisa che i principi di fondo cui si ispira la giurisdizione penale del giudice di pace sono simili, ancorché diversi, dai presupposti applicativi dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE. Come notato, infatti, da Cass., sez. pen. VII, 4 dicembre 2015, n. 1510, anche sotto il profilo dei rinvii normativi de jure condito, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE va riservato ad ipotesi delittuose o, al limite, contravventive comunque caratterizzate da un peso anti-sociale ed anti-normativo più grande di quello dei reati sottoponibili alla cognizione del giudice di pace, il quale tratta, come osservato giustamente da Cass., sez. F, 20 agosto 2015, n. 38876, fattispecie bagatellari o pressoché bagatellari.

D’altronde, se si pone mente ai commi 2 e 3 Articolo 131 bis CODICE PENALE, si nota subito che si tratta di eventi infrattivi per nulla rientranti nelle ben più modeste competenze del giudice di pace. Del resto, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE nemmeno cita quella “natura eminentemente conciliativa della giurisdizione di pace” così come espressamente delineata da Cass., SS.UU., 16 luglio 2015, n. 43264. La ratio della “conciliazione”, assente nell’Articolo 131 bis CODICE PENALE, è sottolineata pure in Corte Costituzionale, Ordinanze 64/2009, 27/2007, 228/2005, 349, 201, 57, 56, 55, 11, 10/2004 e 231/2003. Viceversa, il principio di fondo sotteso all’Articolo 131 bis CODICE PENALE è la limitazione della punitività del Diritto Penale, ma a prescindere da qualsivoglia mediazione penale tra reo e parte lesa. In buona sostanza, anche ex Articolo 16 CODICE PENALE, il giudice di pace amministra in modo speciale ambiti per nulla riconducibili all’ordinario Articolo 131 bis CODICE PENALE
 

Il secondo orientamento ermeneutico

Tale secondo filone interpretativo afferma che il giudice di pace, nell’ambito della propria giurisdizione penale, può fare uso dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE.

P.e., Cass., sez. pen. V, 12 gennaio 2017, n. 9713 sostiene che “è irragionevole l’esclusione dell’Articolo 131 bis CODICE PENALE proprio in relazione a fatti di minima offensività, quali sono quelli di competenza del giudice di pace […] [Oltretutto], si contraddicono [con il primo orientamento ermeneutico], le finalità deflative perseguite con la Riforma del 2015, che ha dato vita [nell’ Articolo 131 bis CODICE PENALE] alla nuova causa di esclusione della punibilità”.

Del pari, la celebre Sentenza Cass., SS.UU., 25 febbraio 2016, n. 13681 afferma che “va applicato l’Articolo 131 bis CODICE PENALE ai Procedimenti Penali pendenti [innanzi al giudice di pace] al momento dell’entrata in vigore del DLVO 28/2015 […] perché [vanno sfruttati] gli effetti di maggior favore della nuova causa di non punibilità”. Anzi, secondo l’ardita Cass., sez. pen. V, 6 maggio 2017, n. 24768, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE va senza dubbio applicato, da parte del giudice di pace, alla luce del favor rei addirittura retroattivo predicato dall’Articolo 7 CEDU. Similmente, Cass., sez. pen. V, 13 gennaio 2017, n. 15579 reputa che l’Articolo 131 bis CODICE PENALE è un ottimo strumento nelle mani del giudice di pace, la cui giurisdizione penale è fondata, in maniera speciale ex Articolo 16 CODICE PENALE, sulla ratio della conciliazione e della tendenziale non punibilità dei reati bagatellari, soprattutto in presenza di infrattori minorenni o, ognimmodo, socialmente disagiati.

Parimenti, Cass., sez. pen. II, 20 dicembre 2016, n. 1906 rimarca anch’essa, sempre nell’ottica dell’Articolo 16 CODICE PENALE, che il giudice di pace è tenuto ad amministrare uno “speciale rito”, nel cui contesto l’Articolo 131 bis CODICE PENALE s’innesta perfettamente, in tanto in quanto esso presuppone la “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, il che costituisce uno dei principali fini dello jus dicere del giudice di pace. Eguale è pure l’orientamento seguito da Cass., sez. pen. IV, 19 aprile 2016, n. 40699, nonché da Cass., sez. pen. V, 9 giugno 2017, n. 28737.


La soluzione di Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683

In conformità al primo orientamento ermeneutico, Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683 hanno concluso, nel dispositivo finale, che “la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’Articolo 131 bis CODICE PENALE, non [dicesi: non] è applicabile nei Procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace”

Va, anzitutto, chiarito che l’applicazione della “non punibilità” ex Articolo 131 bis CODICE PENALE reca ad una Sentenza di assoluzione ex comma 1 Articolo 530 Codice Penalep (“se il fatto […] è stato commesso da persona non punibile, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione, indicandone la causa [ex Articolo 131 bis CODICE PENALE] nel dispositivo”). A sua volta, l’Articolo 131 bis CODICE PENALE è

  1. applicabile, se, ex nn. 1), 2) e 3) comma 1 Articolo 133 CODICE PENALE, la gravità del reato è minima
  2. non applicabile, se ricorrono le aggravanti ex comma 2 Articolo 131 bis CODICE PENALE

Un altro punto interessante di Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683 consta nell’osservazione storico-giuridica secondo cui “come ben messo in luce nella Relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo poi divenuto il DLVO 28/2015, l’istituto della non punibilità per irrilevanza [e] per particolare tenuità del fatto non era affatto inedito, ma aveva i propri antecedenti storici nell’Ordinamento minorile (Articolo 27 DPR 448/1988) ed in quello relativo alla competenza penale del giudice di pace (Articolo 34 DLVO 274/2000), di cui ha  rappresentato il naturale sviluppo […]. Più specificamente, peraltro, la novella del 2015 [che ha introdotto l’Articolo 131 bis CODICE PENALE] si è posta come disciplina che […] dà corpo alla volontà del Legislatore di realizzare, attraverso l’opera interpretativa del giudice, la depenalizzazione di un fatto tipico e, pertanto, costitutivo di reato, ma da ritenere non punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale”.

Tuttavia, a prescindere dai Lavori Preparatori al DLVO 28/2015, Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683 fa notare che l’Articolo 131 bis CODICE PENALE “ha una vocazione deflativa [ma] esso è nato per operare nella giustizia ordinaria [e non innanzi al giudice di pace], senza che potessero prevedersi [nell’ Articolo 131 bis CODICE PENALE] confronti e/o conflitti con istituti di mediazione e con la loro funzione conciliativa [tipica del giudice di pace], essendo l’Articolo 131 bis CODICE PENALE una nuova causa di non punibilità dichiaratamente estranea rispetto all’ambito [della mediazione penale e della conciliazione]”.

Dunque, secondo Cass., SS.UU., 28 novembre 2017, n. 53683, nel DLVO 274/2000, relativo al giudice di pace, predomina la ratio straordinaria della mediazione riconciliativa, allorquando, viceversa, nel DLVO 28/2015, introducente l’Articolo 131 bis CODICE PENALE, prevale la ratio ordinaria della depenalizzazione. Quindi, la giurisdizione penale del giudice di pace è legata al principio di “specialità” ex Articolo 16 CODICE PENALE, mentre l’Articolo 131 bis CODICE PENALE è connesso alla giurisdizione “ordinaria”. L’unico punto di contatto tra il DLVO 274/2000 ed il DLVO 28/2015 consta nell’influenza del neo-riduzionismo, ma ciò non autorizza a far sconfinare l’Articolo 131 bis CODICE PENALE all’interno delle competenze processuali del giudice di pace.