L’espropriazione di crediti nei confronti degli enti locali

L’espropriazione di crediti nei confronti degli enti locali
L’espropriazione di crediti nei confronti degli enti locali

Abstract

La condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di denaro pone il legislatore di fronte a due contrapposte posizioni: da un lato, la tutela di risorse finanziarie destinate ad assolvere funzioni di interesse pubblico, dall’altro, il diritto soggettivo del creditore di soddisfare la propria pretesa cristallizzata nel titolo esecutivo giudiziale.

Sommario: 1. Premessa. - 2. I limiti alla responsabilità “patrimoniale” della pubblica amministrazione. - 3. L’espropriazione delle risorse finanziarie degli enti locali. - 4. (Segue)… e delle entrate tributarie. - 5. Riflessi processuali. - 6. Il giudizio di ottemperanza.

1. Premessa

La realizzazione di obiettivi di interesse pubblico postula l’esistenza di un complesso di beni e risorse finanziarie destinate a soddisfare bisogni comuni, funzioni e servizi costituzionalmente garantiti la cui concreta attuazione spetta alla pubblica amministrazione. Detto complesso di beni costituisce il patrimonio dello Stato che, proprio in ragione della sua strumentale e fisiologica destinazione, gode di un regime giuridico peculiare.

È noto che la pubblica amministrazione, in tema di responsabilità patrimoniale ex articolo 2740 del codice civile, è assoggettata al diritto comune salvo alcune deroghe stabilite dalla legge. Le azioni che ne scandiscono il corso dell’attività (diretta al perseguimento dell’interesse pubblico) e il rapporto con altri soggetti giuridici portatori di interessi diversi, generano sovente controversie giudiziali che possono concludersi con la condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro. Dinanzi a siffatta evenienza, il concreto versamento delle somme medesime integra un atto dovuto rispetto al quale la pubblica amministrazione manca del tipico potere discrezionale funzionale agli interessi pubblici da essa perseguiti. Ne consegue che, in caso mancata esecuzione spontanea del giudicato, la posizione del creditore rispetto alla pubblica amministrazione debitrice assume natura e consistenza di diritto soggettivo [1].

Nasce, pertanto, l’esigenza di tutelare sia il patrimonio della pubblica amministrazione di fronte al rischio di frequenti sentenze di condanna e conseguente paralisi dell’azione amministrativa, sia la posizione del creditore pecuniario il cui diritto di azione è riconosciuto dall’articolo 24 della Costituzione e si fonda sul principio secondo cui ad ogni sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro corrisponde il diritto del creditore di soddisfare la propria pretesa nei confronti del debitore per mezzo di ogni azione esecutiva prevista e disciplinata dalla legge [2].

2. I limiti alla responsabilità “patrimoniale” della pubblica amministrazione

La materia che ci occupa è stata oggetto di diversi interventi legislativi, tutti caratterizzati dalla medesima ratio individuabile nel tentativo di contemperare i contrapposti interessi del creditore e della pubblica amministrazione mediante limiti imposti agli ordinari strumenti di esecuzione quali l’espropriazione mobiliare, immobiliare e il giudizio di ottemperanza [3].

Come si diceva, la posizione della pubblica amministrazione non è diversa da quella di ogni altro debitore e, pertanto, anche gli enti pubblici sono assoggettabili all’espropriazione forzata ai sensi dell’articolo 2910 del codice civile [4] e rispondono dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i loro beni presenti e futuri [5]. Limitazioni della responsabilità patrimoniale sono ammesse solo nei casi in cui determinate somme o crediti esistenti nel patrimonio di un ente siano stati resi indisponibili (e, pertanto, impignorabili) per effetto di una disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo che ne abbia vincolato la destinazione alla concreta realizzazione di una finalità pubblica [6].

In passato, la nozione di indisponibilità era caratterizzata da un maggior grado di ampiezza e il giudice nomofilattico distingueva tra provviste finanziarie indisponibili provenienti dall’esercizio di pubbliche potestà (come le entrate tributarie) e provviste finanziarie disponibili provenienti da rapporti di diritto privato, la cui sola iscrizione in bilancio era comunque idonea a imprimerne il vincolo di indisponibilità [7].

La giurisprudenza [8] ha ormai superato detta distinzione considerando disponibili le entrate finanziarie indipendentemente dalla loro provenienza. Si è, altresì, affermato il principio secondo cui la mera iscrizione nel bilancio preventivo dello Stato e degli enti pubblici non determina vincoli di destinazione e ciò in quanto “il bilancio – contemplando tutte le entrate e tutte le uscite in una visione globale – non consente in alcun modo di collegare singole entrate a singole uscite e, pertanto, non può essere considerato come vincolo di destinazione in senso tecnico” [9].

3. L’espropriazione delle risorse finanziarie degli enti locali

Volgendo lo sguardo verso l’apparato periferico della pubblica amministrazione (che, sul piano sostanziale, è centrale rispetto agli interessi relativi alla comunità insistente sul territorio di competenza), occorre focalizzare l’attenzione sulla disciplina che riveste carattere fondamentale in tema di espropriazione di crediti nei confronti degli enti locali [10]. La materia è regolata dall’articolo 159 del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Nell’ambito del sistema normativo afferente al processo esecutivo, la disposizione in parola assume al contempo la natura di vera e propria lex specialis (rispetto alla disciplina codicistica) in materia di esecuzione forzata e di norma di carattere generale che permea di sé l’intera disciplina [11]. Essa, da un lato, circoscrive la procedura esecutiva al solo pignoramento presso il terzo tesoriere dell’ente locale, ritenendo inefficaci gli atti esecutivi eventualmente intrapresi nei confronti di soggetti diversi da quest’ultimo, dall’altro, limita la detta azione verso il patrimonio del debitore in ragione del vincolo di destinazione delle provviste finanziarie ad un pubblico servizio o al sostentamento dell’ente [12], a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

Ora, volendo attenersi alla formulazione letterale dell’articolo 159, si impone subito una prima considerazione: la norma in esame determina una forte compressione del diritto del creditore a procedere in executivis; a quest’ultimo, infatti, non solo è preclusa un’azione mobiliare diversa dal pignoramento presso terzi (ove l’unico terzo ammissibile è il concessionario tesoriere), ma anche il pignoramento immobiliare, ancorché sul patrimonio disponibile. Di conseguenza, qualunque altra azione intrapresa, diversa dal pignoramento mobiliare presso il terzo tesoriere - ai sensi dell’articolo 159, comma 1 - non determinerebbe vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa [13].

Invero, com’è stato argutamente osservato [14], non è logicamente ammissibile, né conforme all’articolo 24 della Costituzione, riconoscere l’azionabilità del diritto del creditore in sede cognitoria e negarne la realizzazione nella successiva fase esecutiva. Parimenti non appare condivisibile, anche in relazione all’articolo 3 della Costituzione, la disparità di trattamento tra i creditori degli enti locali e quelli di altri enti pubblici [15].

Tale osservazione trova conforto nel testo dell’articolo 147 della legge finanziaria 2001 (23 dicembre 2000, n. 388), recante “Norme in materia di esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni”. La disposizione, oltre a ritardare i tempi dei pagamenti dei titoli esecutivi giudiziali da parte della pubblica amministrazione (ivi compresi gli enti locali) - elevando il termine dilatorio da 60 a 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo – non manca di precisare che “l’ente comunque risponde con tutto il patrimonio”.

Ne segue che l’esecuzione forzata, anche nei confronti degli enti locali, può avere luogo sia nella forma dell’espropriazione mobiliare presso il terzo tesoriere che nella forma dell’espropriazione immobiliare, fatta eccezione - come detto - per il patrimonio indisponibile ossia vincolato alla destinazione pubblica.

L’efficacia del vincolo di indisponibilità, ai sensi dell’articolo 159, comma 3, è subordinata all’adozione di un’apposita delibera dell’organo esecutivo che stabilisca gli importi delle somme (impignorabili) destinate alla realizzazione degli interessi pubblici diretti a salvaguardare il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente. Detta deliberazione, da adottarsi con cadenza semestrale, deve essere notificata al tesoriere dell’ente ed è opponibile ai terzi dalla data della sua adozione.

La norma è stata interessata dalla pronuncia additiva n. 211 del 2003 con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dei commi 2, 3 e 4 dell’articolo 159 nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso”.

4. (Segue)… e delle entrate tributarie

Quanto alle risorse finanziarie derivanti da entrate tributarie locali occorre fare una distinzione. Come accennato, la natura tributaria delle entrate non è idonea a determinarne l’indisponibilità anche se le stesse sono iscritte nel bilancio di un ente pubblico, derivando l’indisponibilità e, pertanto, l’impignorabilità, solo ed esclusivamente da uno specifico vincolo di destinazione imposto per legge o da un provvedimento amministrativo. Le suddette entrate, difatti, una volta convertite in denaro finiscono per confondersi con quelle di natura privatistica già presenti nelle casse dell’ente [16]. È il caso, a titolo esemplificativo, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (T.O.S.A.P.) e dell’imposta comunale sulla pubblicità (I.C.P.), che possono considerarsi escluse dal vincolo di indisponibilità giacché hanno una destinazione generica al finanziamento dell’ente e la natura pubblicistica delle stesse non ne impedisce la pignorabilità. Ricadono, invece, nel regime di indisponibilità le entrate tributarie il cui gettito è per legge vincolato a specifiche destinazioni, come avviene nel caso della tassa sui rifiuti (TARI) il cui gettito è destinato al servizio di nettezza urbana o nel caso dei contributi di urbanizzazione [17]. In ogni caso, in virtù dell’articolo 159, comma 1, il creditore non può pignorare presso il contribuente le somme di denaro che questi è tenuto a versare all’ente impositore a titolo di tributo.

5. Riflessi processuali

Come evidenziato, dunque, il tesoriere dell’ente - di regola un istituto bancario - assume la qualità di terzo pignorato nella fase giudiziale incardinata dinanzi al giudice dell’esecuzione. Detto terzo, in sede di dichiarazione di quantità ex articolo 547 del codice di procedura civile, è obbligato a trasmettere la deliberazione di vincolo adottata dall’organo esecutivo dell’ente. Pertanto, il giudice, su istanza del debitore o dello stesso terzo o d’ufficio (ex articolo 159, comma 2), rileva la nullità del pignoramento e dichiara l’estinzione della procedura esecutiva.

Diversamente, qualora il creditore procedente intenda eccepire, con prove documentali ed orali, che il vincolo di destinazione abbia perso efficacia a seguito di pagamenti eseguiti (dopo l’adozione e la successiva notifica al tesoriere della delibera di vincolo da parte dell’organo esecutivo) per debiti estranei, su mandati non emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico, l’onere della prova contraria spettante in capo all’ente locale debitore non potrà essere assolto mediante una mera certificazione proveniente da uno dei suoi uffici. Difatti, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge, anche per la pubblica amministrazione opera il principio generale del processo civile per il quale nessuno può formare prove a proprio favore [18].

6. Il giudizio di ottemperanza

Infine, l’ultimo comma dell’articolo 159 afferisce all’ipotesi in cui il creditore ricorra alla giustizia amministrativa con lo strumento del giudizio di ottemperanza, previsto dagli articoli 112 e seguenti del Decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, affinché il giudice amministrativo obblighi l’ente inadempiente a conformarsi al giudicato, anche a mezzo di un commissario ad acta. Detto ultimo comma, coerentemente col sistema di natura processualcivilistica testé delineato, prevede che i provvedimenti adottati dal commissario ad acta non possano avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 dell’articolo 159 (quantificate con delibera di vincolo); in sostanza trattasi delle stesse somme sottratte al pignoramento mobiliare. Per effetto della succitata norma, i provvedimenti del commissario ad acta devono essere muniti del visto attestante la copertura finanziaria apposto dal responsabile del servizio.

 

[1] Cassazione, 5 maggio 2009, n. 10284.

[2] Cfr. E. Bonelli, Governo locale, sussidiarietà e federalismo fiscale, Torino, 2001, 165.

[3] Cfr. ancora E. Bonelli, Governo, op. cit., 165.

[4] Cfr. A. Amorth, Fondamento e limiti delle sentenze di condanna contro la p.a., in Foro della Lombardia, 1937; F. G. Scoca, Il termine giudiziale dell’adempimento delle azioni della p.a., Milano, 1965, 100 ss.; M. Annunziata, Azioni esperibili nei confronti della pubblica amministrazione e poteri del giudice ordinario, Napoli, 1970, 47 ss.; P. Nappi, Potere del giudice ordinario di emettere sentenze di condanna, in Riv. giur. lav., 1982, III, 1576; P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della p.a., Milano, 1982, 128 ss.; V. Domenichelli, La giurisdizione ordinaria: il giudice ordinario e la pubblica amministrazione, in AA.VV., Diritto amministrativo, a cura di L. Mazzarolli, S. Pericu, A. Romano, F. Roversi Monaco e F. G. Scocca; Bologna, 1993, 1832 ss..

[5] Cfr. articolo 2740 del codice civile.

[6] Cassazione, 14 gennaio 1981, n. 323; Cassazione, 23 novembre 1985, n. 5823; Cassazione, SS.UU., 13 giugno 1996, n. 5445; Cassazione, 22 agosto 1997, n. 7864; Cassazione, 16 novembre 2000, n. 14847.

[7] Cassazione, 2 luglio 1969, n. 2428; Cassazione, SS.UU., 12 ottobre 1971, n. 2863; Cassazione, 15 settembre 1977, n. 3986.

[8] Cassazione, 22 agosto 1997, n. 7864.

[9] In questo senso cfr. Corte costituzionale, n. 138 del 21 luglio 1981; Cassazione, 14 gennaio 1981, n. 323.

[10] Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono per enti locali “i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni”.

[11] Cfr. E. Bonelli, op. cit., Governo, 173.

[12] La norma in commento esclude l’assoggettabilità ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice, delle somme destinate al pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso e all’espletamento dei servizi locali indispensabili, previa deliberazione di vincolo adottata dall’organo esecutivo dell’ente e notificata al proprio tesoriere.

[13] Cfr. E. Bonelli, Profili problematici dell’esecuzione mobiliare nei confronti degli enti locali, in Riv. Amm., 1997, 179 ss..

[14] Cfr. P. Comoglio, Principi costituzionali e processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 1994, 450 ss..

[15] Corte costituzionale, n. 285 del 29 giugno 1995; n. 69 del 20 marzo 1998.

[16] Cassazione, 22 agosto 1997 n. 7864.

[17] In tal senso, cfr. AA. VV., Testo unico degli enti locali, volume II, a cura di G. Bisso, M. Delfino, L. Falduto, M. Ferrara, F. Fontana, A. Giordano, G. Greco, M. A. Marciano, G. Mele, R. Merani, G. Panassidi, M. Pantè, A. Paschero, D. Rebuttato, M. Rossi e I. Volpe, Milano, 2000, 84 ss.; cfr. anche Cassazione, 22 agosto 1997, n. 7864; Cassazione, SS.UU., 16 novembre 2000, n. 14847.

[18] Cassazione, 25 marzo 2012, n. 4820.

Abstract

La condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di denaro pone il legislatore di fronte a due contrapposte posizioni: da un lato, la tutela di risorse finanziarie destinate ad assolvere funzioni di interesse pubblico, dall’altro, il diritto soggettivo del creditore di soddisfare la propria pretesa cristallizzata nel titolo esecutivo giudiziale.

Sommario: 1. Premessa. - 2. I limiti alla responsabilità “patrimoniale” della pubblica amministrazione. - 3. L’espropriazione delle risorse finanziarie degli enti locali. - 4. (Segue)… e delle entrate tributarie. - 5. Riflessi processuali. - 6. Il giudizio di ottemperanza.

1. Premessa

La realizzazione di obiettivi di interesse pubblico postula l’esistenza di un complesso di beni e risorse finanziarie destinate a soddisfare bisogni comuni, funzioni e servizi costituzionalmente garantiti la cui concreta attuazione spetta alla pubblica amministrazione. Detto complesso di beni costituisce il patrimonio dello Stato che, proprio in ragione della sua strumentale e fisiologica destinazione, gode di un regime giuridico peculiare.

È noto che la pubblica amministrazione, in tema di responsabilità patrimoniale ex articolo 2740 del codice civile, è assoggettata al diritto comune salvo alcune deroghe stabilite dalla legge. Le azioni che ne scandiscono il corso dell’attività (diretta al perseguimento dell’interesse pubblico) e il rapporto con altri soggetti giuridici portatori di interessi diversi, generano sovente controversie giudiziali che possono concludersi con la condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro. Dinanzi a siffatta evenienza, il concreto versamento delle somme medesime integra un atto dovuto rispetto al quale la pubblica amministrazione manca del tipico potere discrezionale funzionale agli interessi pubblici da essa perseguiti. Ne consegue che, in caso mancata esecuzione spontanea del giudicato, la posizione del creditore rispetto alla pubblica amministrazione debitrice assume natura e consistenza di diritto soggettivo [1].

Nasce, pertanto, l’esigenza di tutelare sia il patrimonio della pubblica amministrazione di fronte al rischio di frequenti sentenze di condanna e conseguente paralisi dell’azione amministrativa, sia la posizione del creditore pecuniario il cui diritto di azione è riconosciuto dall’articolo 24 della Costituzione e si fonda sul principio secondo cui ad ogni sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro corrisponde il diritto del creditore di soddisfare la propria pretesa nei confronti del debitore per mezzo di ogni azione esecutiva prevista e disciplinata dalla legge [2].

2. I limiti alla responsabilità “patrimoniale” della pubblica amministrazione

La materia che ci occupa è stata oggetto di diversi interventi legislativi, tutti caratterizzati dalla medesima ratio individuabile nel tentativo di contemperare i contrapposti interessi del creditore e della pubblica amministrazione mediante limiti imposti agli ordinari strumenti di esecuzione quali l’espropriazione mobiliare, immobiliare e il giudizio di ottemperanza [3].

Come si diceva, la posizione della pubblica amministrazione non è diversa da quella di ogni altro debitore e, pertanto, anche gli enti pubblici sono assoggettabili all’espropriazione forzata ai sensi dell’articolo 2910 del codice civile [4] e rispondono dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i loro beni presenti e futuri [5]. Limitazioni della responsabilità patrimoniale sono ammesse solo nei casi in cui determinate somme o crediti esistenti nel patrimonio di un ente siano stati resi indisponibili (e, pertanto, impignorabili) per effetto di una disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo che ne abbia vincolato la destinazione alla concreta realizzazione di una finalità pubblica [6].

In passato, la nozione di indisponibilità era caratterizzata da un maggior grado di ampiezza e il giudice nomofilattico distingueva tra provviste finanziarie indisponibili provenienti dall’esercizio di pubbliche potestà (come le entrate tributarie) e provviste finanziarie disponibili provenienti da rapporti di diritto privato, la cui sola iscrizione in bilancio era comunque idonea a imprimerne il vincolo di indisponibilità [7].

La giurisprudenza [8] ha ormai superato detta distinzione considerando disponibili le entrate finanziarie indipendentemente dalla loro provenienza. Si è, altresì, affermato il principio secondo cui la mera iscrizione nel bilancio preventivo dello Stato e degli enti pubblici non determina vincoli di destinazione e ciò in quanto “il bilancio – contemplando tutte le entrate e tutte le uscite in una visione globale – non consente in alcun modo di collegare singole entrate a singole uscite e, pertanto, non può essere considerato come vincolo di destinazione in senso tecnico” [9].

3. L’espropriazione delle risorse finanziarie degli enti locali

Volgendo lo sguardo verso l’apparato periferico della pubblica amministrazione (che, sul piano sostanziale, è centrale rispetto agli interessi relativi alla comunità insistente sul territorio di competenza), occorre focalizzare l’attenzione sulla disciplina che riveste carattere fondamentale in tema di espropriazione di crediti nei confronti degli enti locali [10]. La materia è regolata dall’articolo 159 del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Nell’ambito del sistema normativo afferente al processo esecutivo, la disposizione in parola assume al contempo la natura di vera e propria lex specialis (rispetto alla disciplina codicistica) in materia di esecuzione forzata e di norma di carattere generale che permea di sé l’intera disciplina [11]. Essa, da un lato, circoscrive la procedura esecutiva al solo pignoramento presso il terzo tesoriere dell’ente locale, ritenendo inefficaci gli atti esecutivi eventualmente intrapresi nei confronti di soggetti diversi da quest’ultimo, dall’altro, limita la detta azione verso il patrimonio del debitore in ragione del vincolo di destinazione delle provviste finanziarie ad un pubblico servizio o al sostentamento dell’ente [12], a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

Ora, volendo attenersi alla formulazione letterale dell’articolo 159, si impone subito una prima considerazione: la norma in esame determina una forte compressione del diritto del creditore a procedere in executivis; a quest’ultimo, infatti, non solo è preclusa un’azione mobiliare diversa dal pignoramento presso terzi (ove l’unico terzo ammissibile è il concessionario tesoriere), ma anche il pignoramento immobiliare, ancorché sul patrimonio disponibile. Di conseguenza, qualunque altra azione intrapresa, diversa dal pignoramento mobiliare presso il terzo tesoriere - ai sensi dell’articolo 159, comma 1 - non determinerebbe vincoli sui beni oggetto della procedura espropriativa [13].

Invero, com’è stato argutamente osservato [14], non è logicamente ammissibile, né conforme all’articolo 24 della Costituzione, riconoscere l’azionabilità del diritto del creditore in sede cognitoria e negarne la realizzazione nella successiva fase esecutiva. Parimenti non appare condivisibile, anche in relazione all’articolo 3 della Costituzione, la disparità di trattamento tra i creditori degli enti locali e quelli di altri enti pubblici [15].

Tale osservazione trova conforto nel testo dell’articolo 147 della legge finanziaria 2001 (23 dicembre 2000, n. 388), recante “Norme in materia di esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni”. La disposizione, oltre a ritardare i tempi dei pagamenti dei titoli esecutivi giudiziali da parte della pubblica amministrazione (ivi compresi gli enti locali) - elevando il termine dilatorio da 60 a 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo – non manca di precisare che “l’ente comunque risponde con tutto il patrimonio”.

Ne segue che l’esecuzione forzata, anche nei confronti degli enti locali, può avere luogo sia nella forma dell’espropriazione mobiliare presso il terzo tesoriere che nella forma dell’espropriazione immobiliare, fatta eccezione - come detto - per il patrimonio indisponibile ossia vincolato alla destinazione pubblica.

L’efficacia del vincolo di indisponibilità, ai sensi dell’articolo 159, comma 3, è subordinata all’adozione di un’apposita delibera dell’organo esecutivo che stabilisca gli importi delle somme (impignorabili) destinate alla realizzazione degli interessi pubblici diretti a salvaguardare il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente. Detta deliberazione, da adottarsi con cadenza semestrale, deve essere notificata al tesoriere dell’ente ed è opponibile ai terzi dalla data della sua adozione.

La norma è stata interessata dalla pronuncia additiva n. 211 del 2003 con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dei commi 2, 3 e 4 dell’articolo 159 nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso”.

4. (Segue)… e delle entrate tributarie

Quanto alle risorse finanziarie derivanti da entrate tributarie locali occorre fare una distinzione. Come accennato, la natura tributaria delle entrate non è idonea a determinarne l’indisponibilità anche se le stesse sono iscritte nel bilancio di un ente pubblico, derivando l’indisponibilità e, pertanto, l’impignorabilità, solo ed esclusivamente da uno specifico vincolo di destinazione imposto per legge o da un provvedimento amministrativo. Le suddette entrate, difatti, una volta convertite in denaro finiscono per confondersi con quelle di natura privatistica già presenti nelle casse dell’ente [16]. È il caso, a titolo esemplificativo, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (T.O.S.A.P.) e dell’imposta comunale sulla pubblicità (I.C.P.), che possono considerarsi escluse dal vincolo di indisponibilità giacché hanno una destinazione generica al finanziamento dell’ente e la natura pubblicistica delle stesse non ne impedisce la pignorabilità. Ricadono, invece, nel regime di indisponibilità le entrate tributarie il cui gettito è per legge vincolato a specifiche destinazioni, come avviene nel caso della tassa sui rifiuti (TARI) il cui gettito è destinato al servizio di nettezza urbana o nel caso dei contributi di urbanizzazione [17]. In ogni caso, in virtù dell’articolo 159, comma 1, il creditore non può pignorare presso il contribuente le somme di denaro che questi è tenuto a versare all’ente impositore a titolo di tributo.

5. Riflessi processuali

Come evidenziato, dunque, il tesoriere dell’ente - di regola un istituto bancario - assume la qualità di terzo pignorato nella fase giudiziale incardinata dinanzi al giudice dell’esecuzione. Detto terzo, in sede di dichiarazione di quantità ex articolo 547 del codice di procedura civile, è obbligato a trasmettere la deliberazione di vincolo adottata dall’organo esecutivo dell’ente. Pertanto, il giudice, su istanza del debitore o dello stesso terzo o d’ufficio (ex articolo 159, comma 2), rileva la nullità del pignoramento e dichiara l’estinzione della procedura esecutiva.

Diversamente, qualora il creditore procedente intenda eccepire, con prove documentali ed orali, che il vincolo di destinazione abbia perso efficacia a seguito di pagamenti eseguiti (dopo l’adozione e la successiva notifica al tesoriere della delibera di vincolo da parte dell’organo esecutivo) per debiti estranei, su mandati non emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico, l’onere della prova contraria spettante in capo all’ente locale debitore non potrà essere assolto mediante una mera certificazione proveniente da uno dei suoi uffici. Difatti, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge, anche per la pubblica amministrazione opera il principio generale del processo civile per il quale nessuno può formare prove a proprio favore [18].

6. Il giudizio di ottemperanza

Infine, l’ultimo comma dell’articolo 159 afferisce all’ipotesi in cui il creditore ricorra alla giustizia amministrativa con lo strumento del giudizio di ottemperanza, previsto dagli articoli 112 e seguenti del Decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, affinché il giudice amministrativo obblighi l’ente inadempiente a conformarsi al giudicato, anche a mezzo di un commissario ad acta. Detto ultimo comma, coerentemente col sistema di natura processualcivilistica testé delineato, prevede che i provvedimenti adottati dal commissario ad acta non possano avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 dell’articolo 159 (quantificate con delibera di vincolo); in sostanza trattasi delle stesse somme sottratte al pignoramento mobiliare. Per effetto della succitata norma, i provvedimenti del commissario ad acta devono essere muniti del visto attestante la copertura finanziaria apposto dal responsabile del servizio.

 

[1] Cassazione, 5 maggio 2009, n. 10284.

[2] Cfr. E. Bonelli, Governo locale, sussidiarietà e federalismo fiscale, Torino, 2001, 165.

[3] Cfr. ancora E. Bonelli, Governo, op. cit., 165.

[4] Cfr. A. Amorth, Fondamento e limiti delle sentenze di condanna contro la p.a., in Foro della Lombardia, 1937; F. G. Scoca, Il termine giudiziale dell’adempimento delle azioni della p.a., Milano, 1965, 100 ss.; M. Annunziata, Azioni esperibili nei confronti della pubblica amministrazione e poteri del giudice ordinario, Napoli, 1970, 47 ss.; P. Nappi, Potere del giudice ordinario di emettere sentenze di condanna, in Riv. giur. lav., 1982, III, 1576; P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della p.a., Milano, 1982, 128 ss.; V. Domenichelli, La giurisdizione ordinaria: il giudice ordinario e la pubblica amministrazione, in AA.VV., Diritto amministrativo, a cura di L. Mazzarolli, S. Pericu, A. Romano, F. Roversi Monaco e F. G. Scocca; Bologna, 1993, 1832 ss..

[5] Cfr. articolo 2740 del codice civile.

[6] Cassazione, 14 gennaio 1981, n. 323; Cassazione, 23 novembre 1985, n. 5823; Cassazione, SS.UU., 13 giugno 1996, n. 5445; Cassazione, 22 agosto 1997, n. 7864; Cassazione, 16 novembre 2000, n. 14847.

[7] Cassazione, 2 luglio 1969, n. 2428; Cassazione, SS.UU., 12 ottobre 1971, n. 2863; Cassazione, 15 settembre 1977, n. 3986.

[8] Cassazione, 22 agosto 1997, n. 7864.

[9] In questo senso cfr. Corte costituzionale, n. 138 del 21 luglio 1981; Cassazione, 14 gennaio 1981, n. 323.

[10] Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono per enti locali “i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni”.

[11] Cfr. E. Bonelli, op. cit., Governo, 173.

[12] La norma in commento esclude l’assoggettabilità ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice, delle somme destinate al pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso e all’espletamento dei servizi locali indispensabili, previa deliberazione di vincolo adottata dall’organo esecutivo dell’ente e notificata al proprio tesoriere.

[13] Cfr. E. Bonelli, Profili problematici dell’esecuzione mobiliare nei confronti degli enti locali, in Riv. Amm., 1997, 179 ss..

[14] Cfr. P. Comoglio, Principi costituzionali e processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 1994, 450 ss..

[15] Corte costituzionale, n. 285 del 29 giugno 1995; n. 69 del 20 marzo 1998.

[16] Cassazione, 22 agosto 1997 n. 7864.

[17] In tal senso, cfr. AA. VV., Testo unico degli enti locali, volume II, a cura di G. Bisso, M. Delfino, L. Falduto, M. Ferrara, F. Fontana, A. Giordano, G. Greco, M. A. Marciano, G. Mele, R. Merani, G. Panassidi, M. Pantè, A. Paschero, D. Rebuttato, M. Rossi e I. Volpe, Milano, 2000, 84 ss.; cfr. anche Cassazione, 22 agosto 1997, n. 7864; Cassazione, SS.UU., 16 novembre 2000, n. 14847.

[18] Cassazione, 25 marzo 2012, n. 4820.