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Libertà di stampa: Rai, Report e il diritto di accesso

Tv e ragazzi
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Il servizio di Report e la richiesta negata di accesso

Il 26 ottobre 2020 la trasmissione Report condotta da Sigfrido Ranucci manda in onda il servizio “Vassalli, valvassori e valvassini” realizzato da Giorgio Mottola.

Riguarda la Lombardia, contiene interviste a imprenditori e politici, accredita la tesi che in quella regione il sistema degli appalti pubblici sia pesantemente condizionato da un reticolo di faccendieri e imprenditori legati alla ‘ndrangheta e di “eminenze grigie” che agirebbero all’ombra della Lega.

Nel servizio viene ripetutamente menzionato l’avvocato AM che vari intervistati definiscono come uno dei protagonisti di quel sistema.

Pochi giorni dopo l’interessato chiede alla RAI l’accesso documentale e civico agli atti della trasmissione ma l’emittente pubblica respinge la sua istanza.

AM ricorre al TAR Lazio: chiede l’annullamento del provvedimento di diniego, l’accertamento del suo diritto di accesso, la condanna della RAI all’ostensione di tutti gli atti, documenti, dati e informazioni che richiesto.

Si costituisce in giudizio la RAI: eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse (il materiale richiesto è irrilevante ai fini di un’eventuale azione risarcitoria sicché l’accesso assume una finalità meramente esplorativa); la prestazione professionale dell’autore del servizio è un’opera creativa e intellettuale e non può essere ricondotta nell’ambito dell’attività svolta dalla RAI medesima come concessionaria di un servizio pubblico; invoca, come causa di esclusione del diritto all’accesso, il segreto professionale che consente ai giornalisti di proteggere le loro fonti (intese non solo come individui che narrano un fatto ma anche come qualsiasi realtà capace di documentare direttamente un accadimento); afferma di non essere soggetta alla disciplina dell’accesso civico in quanto società emittente di strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.

La sentenza del TAR Lazio

Il TAR del Lazio, terza sezione, definisce la controversia con la sentenza 7333/2021 depositata il 18 giugno 2021.

Decide in questi termini:

  • accoglie l’eccezione  della convenuta in punto di accesso civico e dichiara inammissibile il ricorso per questa parte;
  • afferma per contro che la RAI è soggetta al diritto di accesso documentale in quanto, pur avendo una veste formalmente privatistica ed agendo con atti di diritto privato, è gestore di un pubblico servizio;
  • riconosce l’interesse all’accesso del ricorrente, esclude la necessità della sua strumentalità a un’azione risarcitoria e individua come suo presupposto la diffusione di notizie tramite il servizio di Report che hanno rappresentato fatti riguardanti il ricorrente medesimo e l’esercizio della sua attività professionale;
  • rigetta l’eccezione fondata sulla pretesa carenza di legittimazione passiva della RAI poiché “Da un lato, la rappresentazione di notizie operata all’interno di un servizio trasmesso nel corso di un programma di inchiesta giornalistica in onda su una rete RAI non può configurarsi come attività distinta da quella di “informazione pubblica” riconducibile nell’ambito della nozione di servizio pubblico radiotelevisivo affidato in gestione alla medesima Società, del quale sono ritenuti caratteri essenziali il pluralismo, la democraticità e l’imparzialità dell’informazione (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 112/1993; in senso analogo, cfr. TAR Lazio, sede di Roma, sez. I, sent. 14 giugno 2019, n. 7761). Dall’altro, l’attività consistente nella rappresentazione di notizie non può ritenersi disgiunta da quella preparatoria, volta all’acquisizione, alla raccolta e all’elaborazione delle notizie poi oggetto di rappresentazione”;
  • specifica l’ambito legittimo dell’accesso documentale  e lo limita alla “documentazione connessa all’attività preparatoria di acquisizione e di raccolta di informazioni riguardanti le prestazioni di carattere professionale svolte dal ricorrente in favore di soggetti pubblici, confluite nell’elaborazione del contenuto del servizio di inchiesta giornalistica mandato in onda, nello specifico avente ad oggetto la rete di rapporti di consulenza professionale instaurati su incarico di enti territoriali e locali”;
  • specifica ulteriormente che sono esclusi dall’accesso gli atti non documentati o non documentabili in quanto non più esistenti o mai formati.

Le reazioni

Questa è la decisione del competente giudice amministrativo e non è piaciuta affatto al conduttore di Report, alla RAI, alla Federazione della Stampa e all’USIGRAI.

Tutti costoro affermano che è stata messa a rischio la libertà di stampa, che i giornalisti del servizio pubblico sono stati considerati professionisti di serie B, che nessuno si fiderà più di loro sapendo che se gli rivelasse qualcosa il suo anonimato non sarebbe più garantito, che è improponibile e anche ingeneroso equiparare un servizio giornalistico a un procedimento amministrativo e giornalisti a funzionari della p.a.

Sigfrido Ranucci, in particolare, non la prende affatto bene e dichiara che “Report non svelerà le proprie fonti, non darà gli atti a M, non lo faremo neppure da morti. Devono venire a prenderli con l’esercito”.

Pensieri finali

Solo qualche riflessione in chiusura.

La questione di cui si parla è uno dei tanti frammenti dell’eterno conflitto tra la libertà della stampa (e il diritto a una corretta e completa informazione della collettività che da essa dipende) e il diritto di ogni individuo di difendersi da eventuali abusi di quella libertà che ne mettano a repentaglio l’identità e la reputazione.

L’equilibrio tra quella libertà e quel diritto è sempre in movimento e dipende molto dagli umori popolari profondi di ogni periodo.

Francamente, non pare che la libertà di stampa stia soffrendo compressioni intollerabili né che ci sia un rischio concreto di sottoporla a limiti in grado di snaturarne l’essenza di baluardo democratico.

Pare anzi il contrario.

Veniamo da un periodo, tutt’altro che concluso, in cui la libertà di stampa è stata non di rado utilizzata come attualizzazione della gogna e come strumento per soddisfare o addirittura creare il bisogno di un’inesauribile colonna infame.

Queste caratteristiche si sono manifestate precipuamente in ambiti che si incrociano con la giustizia penale e di sicuro non le hanno fatto bene.

Anche per questo, oltre che per il rispetto che si deve ad ogni sentenza emessa in nome del popolo italiano, suonano male le urla e le trincee e la rivendicazione di una libertà senza limiti.