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L’impedimento del reato da parte dell’ente collettivo

Alpe di Siusi, Bolzano
Ph. Simona Loprete / Alpe di Siusi, Bolzano

L’art 26 d.lg. 231/2001

L’art 26 del d.lg. 231/2001 disciplina la responsabilità dell’ente in relazione alla commissione dei reati-presupposto nella forma del tentativo.

Secondo il comma 1, le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei reati-presupposto.

Interessa, in questa sede, il comma 2, il quale recita:

L'ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell'azione o la realizzazione dell'evento.

Trattasi di causa di esclusione della responsabilità derivante dall’istituto tradizionalmente definito – nel diritto penale della persona fisica - recesso attivo o pentimento operoso.

Il d.lg. 231 prevede pertanto due distinte cause di esclusione della responsabilità:

  • art 6: l’ente non risponde se prova di aver adottato ed effettivamente attuato modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

  • art 26: l’ente non risponde se volontariamente impedisce la consumazione del reato.

Nel primo caso, il reato si è verificato, ma l’ente non risponde perché dimostra di essersi comunque adeguatamente impegnato per la sua prevenzione; nel secondo caso invece, il reato non viene portato a consumazione, perché la prevenzione apprestata si è dimostrata addirittura “paralizzante”.

 

L’impedimento del compimento dell’azione o della realizzazione dell’evento

L’impedimento del compimento della condotta può riguardare soltanto quelle fattispecie attuabili attraverso il compimento di una pluralità di atti (c.d. plurisussistenti).

Distinta l’ipotesi in cui si impedisce la realizzazione dell’evento allorchè la condotta è esaurita, ma l’evento non si è ancora verificato.

Si pensi alla domanda per l’ottenimento di un contributo pubblico basata su falsa documentazione, nell’ipotesi in cui la stessa è stata presentata, ma il contributo non ancora erogato.

 

La volontarietà dell’impedimento

Di certo l’avverbio “volontariamente” è poco adatto con riferimento all’ente collettivo (Gennai – Traversi).

Comunque, a ben vedere, il punctum dolens consiste nella individuazione di quali comportamenti volontari siano richiesti all’ente per rientrare nell’ambito di applicazione dell’istituto.

Fermo restando, ovviamente, che per individuare se l’impedimento della condotta o dell’evento sia effettivamente riconducibile al comportamento volontario dell’ente debba valutarsi la sussistenza del nesso di causalità fra l’attività dell’ente e, appunto, la mancata realizzazione della condotta o il compimento dell’evento.

Secondo alcuni commentatori, rileverebbe, a tal fine, anche l’impedimento della commissione del reato dovuto ad un comportamento antecedente (tenuto in un certo momento pro futuro) dell’ente, il quale, tipicamente, abbia adottato ed attuato procedure interne che siano giunte a paralizzare il verificarsi dell’evento perseguito dal soggetto attivo del reato presupposto.

In altri termini: la volontarietà consisterebbe nell’avvenuta adozione ed attuazione delle procedure in questione.

Trattasi certamente di interpretazione estensiva del comma 2 (Presutti).

Questa dottrina si premura, tuttavia, di precisare che non deve però trattarsi del Modello organizzativo considerato negli artt 6 e 7.

Tale Modello, se idoneo ed attuato, escluderebbe la responsabilità dell’ente a prescindere dall’effettivo impedimento del reato (arg. ex art 6).

Altra opinione ritiene, invece, di poter considerare rilevante, a questi fini, il Modello organizzativo dell’ente, ma ovviamente se in concreto riesce ad impedire il reato.

Secondo questa tesi (De Simone) la “controazione” dell’ente rispetto al reato potrà voler dire che un Modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello che avrebbe potuto verificarsi è stato adottato ed efficacemente implementato.

L’avvenuto impedimento dell’azione o dell’evento illecito da parte dell’ente dovrebbe infatti costituire conferma dell’efficacia del Modello organizzativo adottato e dovrebbe altresì comprovare l’effettività della vigilanza (Russo).

Tali ultimi autori vedono l’effettivo impedimento come “prova provata” dell’effettività ed efficacia del Modello.

Riassuntivamente, appare condivisibile quanto affermato in un contributo sullo specifico tema (De Falco):

sembra corretto argomentare che il giudizio premiale in ordine alla condotta dell’ente improntata alla legalità e concretamente efficace nel senso di impedire la consumazione del reato si ancori, nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001, innanzi tutto all’adozione ed efficace attuazione del Modello organizzativo ed all’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza, nel caso in cui tali elementi abbiano oggettivamente impedito la consumazione del reato, ma sia anche collegato, sia nel caso in cui il Modello organizzativo non esista, sia nel caso in cui lo stesso non si sia rivelato concretamente idoneo ad impedire l’azione criminosa, all’adozione di specifiche determinazioni, comportamenti, atti, procedure, ecc. che valgano di fatto ad impedire la consumazione del reato, vuoi in quanto intervengono sull’azione, vuoi in quanto impediscono la realizzazione dell’evento causalmente connesso ad un’azione già compiuta...

 

La riferibilità all’ente della condotta impeditiva

In concreto, quindi, si dovrebbe fare riferimento all’effettiva utilità ed idoneità allo scopo di atti o decisioni assunte da soggetti afferenti all’ente (Giarda).

Tuttavia, affinché l’ente possa beneficiare della disposizione premiale è necessario che l’intervento sia comunque riconducibile ad una determinazione dell’ente in quanto tale, e cioè ad una determinazione organizzativa e/o gestionale della persona giuridica, e non sia invece frutto estemporaneo di risoluzioni di persone fisiche che operano all’interno dell’ente ma abbiano agito in

modo autonomo e personale (al di fuori cioè di procedure aziendali).

A ben vedere, l’art 26 si riferisce alla condotta impeditiva “dell’ente”, la quale può evidentemente essere tenuta da vari organi e/o soggetti (anche se tali soggetti devono avere adeguati poteri di intervento).

Ad esempio: nel corso delle attività di verifica previste dal Modello, ci si accorga di infrazioni giunte allo stadio del tentativo e si allertino i soggetti che, a seguito della segnalazione, impediscano la consumazione del reato.

 

Una considerazione collaterale

L’effettivo impedimento del reato è – nel sistema introdotto dal d.lg. 231 – “opzionale”: se l’ente impedisce il reato, entra in gioco l’art 26 comma 2.

Quindi – anche per questa via, ove non fosse sufficiente il chiaro disposto dell’art 6 – si può concludere che la finalità del Modello non è quella di impedire il reato in concreto commesso.

Incisive le parole usate in un recente contributo (Blaiotta):

Si può dunque affermare che la colpa d’organizzazione è in connessione causale con un peculiare evento di pericolo, intermedio rispetto a quello del reato: l’indebito aumento del rischio di alcuni tipi di reato. Di tale esito categoriale l’evento del reato storico costituisce una contingente manifestazione. Occorre, cioè, che il reato rappresenti la concretizzazione del rischio che la cautela organizzativa mirava a mitigare. Nulla di più che una connessione teleologica può essere pensata tra modello organizzativo, attività dell’Organismo di vigilanza ed evento storico…

Sarebbe quindi vano tentare di connettere eziologicamente la condotta inappropriata dei componenti dell’Organismo con il reato. Conviene insistere: è la stessa tipologia delle cautele, “frappositive” e non impeditive, che conclama l’impossibilità di istituire una relazione eziologica in senso proprio tra esse ed uno specifico evento illecito.

L’addebito nei confronti dell’ente non è l’omesso impedimento del reato: ne deriva, pertanto, che l’OdV non partecipa ad una funzione di impedimento del reato.

In definitiva, mi sembra che si tratti di ulteriore argomento a supporto della tesi che nega che all’OdV possa essere contestato un concorso omissivo nel reato altrui che trovi fondamento nell’art 40 cpv. c.p.