L'incontro tra Mozart e il giovane Beethoven
Wolfgang Amadeus Mozart non finisce mai di sorprendere.
Pur essendo un instancabile lavoratore e pur avendo una capacità ferrea di tradurre in opere il proprio formidabile talento creativo, amava scherzare con tutti con l’ingenuità di un fanciullo, avvolgendo persino la sua musica più sofferta con il velo di un ironico distacco, con la leggiadria di intenzioni giocose e, a volte, persino di spirito libertino. Nella Messa K66 utilizza un ritmo di valzer.
Osa concludere la Messa solenne K337 addirittura con una tarantella. Introduce nel brindisi licenzioso del Così fan tutte, con sotterranea malinconia, un’intonazione religiosa. La cifra in cui forse si compendia la sua musica è il Dramma giocoso. Un fragilissimo equilibrio di sofferenza e di gioia, di tragedia e di gioco, di tristezza e di ironia.
L’anno che meglio esprime nella vita di Mozart questa ambivalenza è forse il 1787: l’anno del dolore, mischiato a un ambiguo senso di liberazione, per la morte del padre Leopold. L’anno del trionfo praghese dell’indecente Nozze di Figaro (su libretto di Da Ponte), l’anno del Dramma giocoso (pure su libretto di Da Ponte) del Don Giovanni. A Praga, Mozart diresse le Nozze per la giovane arciduchessina Maria Tiresia, e dopo aver diretto in maniera trascinante la sublime Sinfonia K504, appena finita e ancora fresca di stampa, si produsse in una serie strepitosa di variazioni che mandarono il pubblico in visibilio. È probabile che a quel concerto assistette lo scrittore e avventuriero Giacomo Casanova, ammiratore del librettista e poeta Lorenzo Da Ponte.
Il 1787 fu anche l’anno in cui l’affermato Maestro incontrò a Vienna Ludwig van Beethoven. A quel tempo Mozart aveva orecchi solo per il suo allievo Johann Nepomuk Hummel, un bambino prodigio che, all’età di dieci anni, si esibiva al pianoforte in virtuosistiche acrobazie. Nel suo allievo Mozart vedeva ripetersi la sua storia, e ne aveva ad un tempo ammirazione e pietà.
Alcuni amici comuni pregarono Mozart di concedere una audizione a un giovanetto di sedici anni, tale Ludwig van Beethoven, che stimavano piuttosto promettente e che avrebbero desiderato inserire nella Scuola dell’affermato maestro salisburghese. A metà di aprile del 1787 avvenne dunque l’incontro: Mozart aveva trentuno anni, elegantissimo, occhi grandi, cerulei, malinconici.
Beethoven, di appena sedici anni, sembrava più vecchio della sua età. Aveva capelli spessi e disordinati e un fare spigoloso, alquanto trasandato. Aveva ciglia folte che celavano uno sguardo penetrante e oscuro. Mozart diede al giovane un tema da sviluppare e questi, emozionato e confuso, si sedette al pianoforte e cominciò a improvvisare. Mozart se ne uscì con un commento implacabile e raggelante: “Davvero molto grazioso, ma troppo meccanico”. Il giovane rimase ammutolito, gli amici intervennero e implorarono una prova d’appello. Mozart allora indicò al giovanotto un altro tema, che il giovanotto sviluppò con irruenza e forse troppo ardore. Per togliersi di torno quel ragazzotto e quegli importuni amici, congedò entrambi con una frase che rimase nella leggenda:
«Tenete d’occhio questo giovane, avrà qualcosa da raccontarvi»
Poi Beethoven fu costretto a abbandonare precipitosamente Vienna per accorrere al capezzale di sua madre e delle lezioni con Mozart non se ne fece più niente. Mozart non aveva capito cosa fosse successo su quella tastiera, ma aveva intuito che la storia della musica stava voltando pagina e che sarebbe incominciato un mondo nuovo con il quale non aveva nulla da spartire e del quale qualcun altro sarebbe stato il cantore.
L'articolo è già stato pubblicato il 2 novembre 2007 sul sito ViaSarfatti25
Per la gentile concessione, si ringrazia l'Editore, Università Bocconi di Milano, e l'Autore, il professor Giovanni Iudica.