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Enrico Caruso: il tenore dei due mondi

La vita del grande Enrico Caruso, a cent'anni dalla morte
Enrico Caruso
Enrico Caruso

Enrico Caruso: il tenore dei due mondi

Una voce profonda come quella di un baritono, ma leggera come quella di un tenore. Una voce che arriva dentro e ti conquista. Una voce tanto possente da non avere limiti, tale da superare l’oceano e arrivare in America.  La prima voce a divenire immortale grazie ai dischi.

La voce: Enrico Caruso.

Enrico Caruso:  dalla giovinezza ai primi successi

Nato a Napoli il 25 febbraio del 1873, Enrico Caruso inizia a lavorare a 10 anni con il padre Marcellino in fonderia. Sin da piccolo dimostra  di essere amante dell’arte. Infatti, grazie alla madre Anna Baldini, inizia le scuole serali, ove scopre l’amore per il disegno.

Lavora e canta, allietando la giornata dei suoi compagni di lavoro. Inizia a studiare con i maestri Schirardi e De Lutio e a esibirsi in piccoli teatri locali. Tuttavia, l’amore per il bel canto va oltre tali spettacoli. La morte della madre per tubercolosi e le resistenze del padre, che lo voleva suo erede in fonderia,  sono dei veri ostacoli per il giovane Enrico Caruso.

Tuttavia, Seneca diceva: “La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione”. Ed ecco, il talento del giovane Enrico Caruso incontra la sua occasione quando il baritono Eduardo Missiano sente la voce di Caruso mentre canta ad una messa, quella di Saverio Mercadante.  

Il baritono comprende subito il talento inespresso del giovane Enrico e per tale motivo lo presenta al maestro Vergine.

Nulla si fa per nulla. Infatti, quest’ultimo, comprendendo sin da subito la possibilità di una carriera stellare, accetta di dare lezioni a Enrico Caruso ma in cambio richiede da lui il 25 % dei compensi con un contratto di almeno 5 anni.

Soltanto il 15 marzo 1895 Enrico Caruso fa il suo esordio nello spettacolo di Mario Morelli, dal titolo “L’amico Francesco”. Ecco,  i primi giornali iniziano a parlare del giovane tenore, destando la curiosità degli esperti e del popolo. Infatti, nel 1885 interpreta Turiddu in Cavalleria Rusticana al teatro Cimarosa di Caserta; poi si esibisce a Napoli e Salerno.

Seppur per un mese, Enrico Caruso canta al Cairo, percependo 600 lire. Grazie al direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi, si esibisce a Livorno e qui conosce Ada Giachetti, soprano e moglie di un importante e ricco commerciante. Nonostante tale matrimonio, Ada ed Enrico intraprendono una relazione, che dura quasi 11 anni. Rodolfo ed Enrico Junior: sono questi i nomi scelti da Enrico e Ada per i loro figli. Ada, tuttavia, lo tradisce e scappa via con l’autista di Enrico Caruso.
 

Il San Carlo e Caruso: il sogno di ogni tenore (e anche di Enrico Caruso).

Dopo il successo che ottiene nel 1889 al Teatro Lirico di Milano con L’Arlesiana di Cilea, Enrico Caruso va in tournèe prima in Russia, poi a Lisbona, poi a Montecarlo e infine a Londra con il Rigoletto di Verdi.

Dunque, Enrico Caruso inizia a esibirsi anche all’estero, ottenendo grandi successi. Infatti, nel 1897 si esibisce anche a Buenos Aires e nel 1899 al Royal Opera House di Londra con la Bohème di Puccini.

Nel 1900 Enrico Caruso canta alla Scala la Bohème diretta da Arturo Toscanini.

Il sogno di ogni tenore, soprattutto se napoletano, è quello di cantare al San Carlo. È evidente che numerosi sono i sogni e le aspettative del Caruso per quel momento tanto atteso, ma altrettanto sofferta è la sua l’esibizione.

Infatti, Enrico Caruso torna a Napoli nel 1901 per portare in scena al San Carlo l’Elisir d’amore.  Tuttavia, l’esibizione del Caruso non è apprezzata dal pubblico così come egli l’aveva più e più volte sognata. Alcuni dicono sia stata l’eccessiva emozione, altri sostengono che le aspettative del pubblico fossero eccessivamente alte, ma la verità è che tale esibizione fu per Caruso una delusione assoluta, tale da indurlo a non cantare mai più a Napoli.

“Napoli non mi sentirà mai più! Tornerò a Napoli solamente per rivedere la mia cara mamma e per mangiare i vermicelli alle vongole”.

Su il Pungolo, giornale che rappresentava la vita teatrale di Napoli ed in particolare quella del San Carlo, Saverio Procida riporta una dura critica al tenore napoletano.

“Il Caruso ha una voce di valido timbro baritonale, di bel volume eguale, abbastanza estesa, gagliarda in certi suoni che costituiscono il segreto del suo successo teatrale, con note di una potenza rara.           
Ma pari alle qualità naturali di un organo privilegiato, a me non risulta il possesso di una sapienza tecnica che disciplini codesti spontanei doni e renda più pastosa la voce, più eguale la successione dei suoni, più elastiche le agilità d'un canto leggero e fiorito come quello dell'Elisir, più impeccabili i passaggi, più precisa l'intonazione, che ieri, e mi auguro per la commozione del debutto, fu talvolta incerta: insomma, io non scorgo ancora nel Caruso l'artista che stia all'altezza cui lo colloca la fama e lo destinerebbe un organo singolarmente dotato.     
E c'è di più. lo non so perché il Caruso si ostini a cantare la musica di mezzo carattere come l'Elisir.
So bene: alla Scala di Milano ebbe un successo strepitoso proprio in quest'opera frivola e leggiadra del sommo bergamasco.   


E che conta? Un artista deve studiare le proprie facoltà e non esaltarsi a un giudizio, mettiamo errato, di pubblico.        


Ora il Caruso dà colore e fiamma alla sua voce, non ancora levigata e domata, con un accento profondo, impetuoso di una stupenda passionalità.  


Accento che ieri sera gli valse un gran successo soltanto in fondo all'opera, dopo cioè la celeberrima “Furtiva lagrima” bissata da Caruso a furor di popolo.
E con qualità così passionali, elementi di un temperamento drammatico così esplicito, egli s'illude di poter coltivare anche un tipo di musica che richiede una disciplina paziente, quasi glaciale, inesorabile della sua voce? (...)     
Occorrerebbe possedere la magistralità di uno Stagno, avere avvezzata la propria gola a tale elasticità, averla resa così duttile da non temere le insidie del doppio repertorio.     
Ma il Caruso, non si dolga della mia franchezza affettuosa, è ben lontano da quest'arte prodigiosa che ci dette i Duprez e i Tiberini e i Gayarre e gli Stagno e, per ora, deve optare per uno dei due generi.”

 

Enrico Caruso e il nuovo mondo.

La modernità è alla base della vita di Enrico Caruso. Due sono gli elementi legati al nuovo mondo che Caruso, di cui ne riconosce sin da subito l’importanza:

Il primo è quello del disco; il secondo è il successo legato alle esibizioni in America.

Infatti, a Milano l’11 aprile 1902 Enrico Caruso incide 10 dischi, finanziati dalla casa discografica Gramophone & Typewriter Company. Caruso è il primo cantante, soprattutto nel mondo della lirica, a comprendere l’importanza della tecnologia. I nuovi dischi sono apprezzati in tutto il mondo. Infatti, Vesti la giubba, tratta dai Pagliacci, viene premiata con il Grammy Hall of Fame Award 1975 e vende più di un milione di dischi.

L’altro elemento che ha caratterizzato la vita ma soprattutto la carriera di Enrico Caruso è stato il successo che ha ricevuto negli USA. Diviene l’idolo dei melomani dell’epoca.

Enrico Caruso canta al Metropolitan Opera House.

È  Cavaradossi in Tosca, Rodolfo nella La Bohème, Radamès nell’Aida, ma soprattutto Nemorino in L’Elisir d’Amore. Caruso si esalta in America. Canta ed è osannato in ogni teatro. È  il Dio della musica lirica e lui lo sa bene. Infatti, Caruso chiede alla Tiffany & Co. di produrre una medaglia in oro con il suo profilo per ricordare i successi del Metropolitan. Caruso è Caruso.

Il suo nome riempie i titoli dei giornali, mentre la sua voce riempie il cuore del pubblico.

 Così, per alleviare le sofferenze degli emigranti italiani in America, Enrico Caruso canta gratis, subendo l’ira dei propri impresari che pretendono ingaggi elevatissimi in ogni teatro.

Dal 1904 al 1905 ritorna in Europa, ove si esibisce a Montecarlo con il Rigoletto  e  poi a Parigi. Tuttavia, l’amore per l’America è così forte da ricondurlo al Metropolitan, ove si esibisce nel novembre 1905 interpretando Fernando in La Favorita.

Nel 1907 si esibisce a New Orleans nella prima rappresentazione al French Opera House.                           Nel dicembre 1907 canta ad Osaka in Iris.  Nel 1910 interpreta Federico in Germania diretto da Arturo Toscanini e Rinaldo nell’Armide di Gluck sempre al Mertropolitan Opera House di New York.

Il 28 agosto del 1918 sposa Dorothy Benjamin, dalla quale ha una figlia, Gloria. Dopo un grande successo nel Nord America, nel 1920 Caruso inizia a manifestare i primi problemi di salute più evidenti. Infatti, l’11 dicembre, durante una rappresentazione ha una forte emorragia dalla gola. Nonostante i divieti perentori dei medici, Caruso continua a cantare in America.

Numerose sono le diagnosi fatte al Tenore, ma quella più nota è quella consistente in una pleurite infetta. È questa la causa dell’operazione al polmone sinistro. Nonostante, l’amore per l’America Caruso sceglie di trascorrere il periodo post operatorio a Sorrento. È qui che conosce Giuseppe Moscati.  Tuttavia, vani sono gli sforzi del Santo medico. Infatti, a Napoli Caruso muore il 2 agosto 1921.

Possiamo dire che Enrico Caruso sia legato alla terra americana così come alla terra napoletana.

Il calore del pubblico americano è così forte da indurlo ad esibirsi ben 836 volte al Metropolitan, ma il cuore di Enrico Caruso è a Napoli. Egli vuole trascorrere la sua convalescenza a Sorrento, vicino Napoli, e  chiede di essere sepolto nella sua città natale.
 

Enrico Caruso: la sua voce ispira ancora

 

Potenza della lirica,

Dove ogni dramma è un falso

Che con un po' di trucco e con la mimica

Puoi diventare un altro

Ma due occhi che ti guardano

Così vicini e veri

Ti fan scordare le parole,

Confondono i pensieri

Così diventa tutto piccolo,

Anche le notti là in America

Ti volti e vedi la tua vita

Come la scia di un'elica

Ma sì, è la vita che finisce,

Ma lui non ci pensò poi tanto

Anzi si sentiva già felice,

E ricominciò il suo canto

Te voglio bene assaje,

Ma tanto tanto bene sai

è una catena ormai,

Che scioglie il sangue dint' ‘e ‘vvene sai

 

1986.  Lucio Dalla, dopo un guasto alla sua imbarcazione, è costretto a soggiornare a Sorrento. Beh, più che di una costrizione è un segno del destino. Egli, recatosi in albergo a Sorrento, viene accompagnato nella stanza ove aveva soggiornato Enrico Caruso.

Il panorama, l’odore del mare e il pensiero della voce del tenore tra quelle quattro mura sono per Dalla motivo di ispirazione.  Una canzone nasce: Caruso. Un capolavoro assoluto. È evidente il richiamo al tenore, non solo nel titolo ma soprattutto nella terza strofa.    

Dalla, racconta “mi ero inventato la scena dei suoi ultimi momenti, quando pensa alle notti là in America. Era un passaggio che nel 1986 per me, che stavo per partire per un tour negli Stati Uniti, aveva un significato particolare. Per me quel “Te vojo bene assaje” messo in quel punto della canzone, significava darle il marchio della napoletanità”.