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Locazioni brevi: “airbnb” è sostituto d’imposta per la riscossione dell’imposta di soggiorno

Air bnb
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La locazione breve effettuata attraverso un operatore terzo intermediario (anche telematico) a cui si applica il regime agevolato della cedolare secca ex articolo 3 del decreto legislativo n. 23/2011, comporta l’obbligo per gli intermediari di riscuotere la tassa di soggiorno in qualità di sostituto di imposta e operare, al momento del versamento del denaro al locatore, una ritenuta d’imposta da versare poi ai Comuni.

Tale principio è stato confermato dal TAR Lazio, sez. II–ter, 18 febbraio 2019, n. 2207, che ha ritenuto non ammissibile il ricorso presentato da Airbnb avverso il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che ha dato attuazione al regime fiscale introdotto per le locazioni brevi, rilevando la carenza di interesse in relazione alla tassa di soggiorno in quanto il profilo contestato non era oggetto del provvedimento impugnato.

Al fine di comprendere appieno la questione è necessario fare riferimento all’articolo 4 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, ribattezzato “tassa Airbnb”, che ha introdotto una specifica disciplina per le locazioni brevi, stabilendo il regime fiscale da applicare ai relativi canoni e prevedendo l’attribuzione di compiti di comunicazione dei dati e di sostituzione nel prelievo dell’imposta in capo a determinati intermediari.

Tale regime si applica ai contratti di locazione di immobili a uso abitativo, stipulati a partire dal 1° giugno 2017, di durata non superiore a 30 giorni, conclusi da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, ai quali sono equiparati i contratti di sublocazione e i contratti di concessione in godimento dell’immobile stipulati dal comodatario, aventi medesima durata.

In particolare, ai sensi della citata norma, è stato previsto che le locazioni brevi possono essere stipulate, sia mediante intermediari immobiliari, sia tramite soggetti che gestiscono portali telematici. Con riferimento a questi ultimi, si osserva che nello scenario della home sharing, grande rilevanza ha assunto la startup americana Airbnb, oramai leader mondiale della rental economy del comparto accomodation. Essa non è altro che un marketplace all’interno del quale si incontrano domanda e offerta di alloggi privati e, dunque, una piattaforma internazionale che mette in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di un’unità immobiliare da locare (c.d. host).

Il nuovo regime introdotto dalla normativa citata, ha previsto per tali soggetti obblighi di natura informativa tutte le volte che intervengono nella stipula di un contratto di locazione breve nonché l’obbligo di operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e corrispettivi all’atto del pagamento, da versare poi al Fiscomma La “tassa” è quindi più propriamente una ritenuta che gli intermediari o i gestori telematici applicano nel caso in cui il pagamento del canone non sia diretto, ma avvenga tramite il loro intervento.

Con particolare riguardo alla tassa di soggiorno, l’articolo 4, al comma 5-ter, espressamente prevede che <<Il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo, ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, è responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e del contributo di soggiorno di cui all’articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale>>.

Ne discende che AirBnb, applicando l'imposta di soggiorno direttamente alla fonte, cioè ai suoi utenti, e riversando in seguito l'importo al Comune, diventa a tutti gli effetti, un agente contabile.

Nell’ottica di perseguire obiettivi di semplificazione ed efficienza, dunque, tale schema di "collect and remit" operato da AirBnb comporta benefici sia ai proprietari delle strutture che operano attraverso la piattaforma online – in quanto viene semplificata l’attività di gestione, eliminando la necessità di raccogliere, custodire e versare trimestralmente l’imposta- che all’ente territoriale - che può intercettare alla fonte eventuali situazioni di inadempienze riducendo così l’evasione dell’imposta e, conseguentemente, l’attività sanzionatoria.

Le modalità con le quali gli operatori devono assolvere gli adempimenti di comunicazione e conservazione dei dati, nonché di versamento, certificazione e dichiarazione delle ritenute operate, sono state individuate dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 12 luglio 2017 (n. prot. 132395/2017). Tuttavia, tale provvedimento non fa riferimento all’imposta di soggiorno.

Tanto premesso, avverso il suddetto provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che ha dato attuazione al regime fiscale introdotto per le locazioni brevi dall’articolo 4, commi 4, 5 e 5-bis del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96), ha proposto ricorso innanzi al TAR la società Airbnb, tramite le due società collegate che gestiscono il portale relativo all’Europea (una di diritto irlandese Airbnb Ireland Unlimited Company e, l’altra, Airbnb Payments UK Limited, connessa alla gestione dei pagamenti).

In particolare, sebbene il provvedimento impugnato non sia attuativo della disposizione relativa all’imposta di soggiorno (articolo 4, comma 5 ter), tuttavia, secondo le società ricorrenti, <<tale previsione ostacola la libera prestazione di servizi e altera il gioco concorrenziale nel mercato di riferimento>>.

Ed invero, la startup ricorrente, tra i motivi di doglianza, ha censurato il provvedimento impugnato nella parte in cui impone alle piattaforme online di svolgere un’attività di sostituto d’imposta, in quanto contrastante con i principi del diritto europeo in materia di concorrenza e non discriminazione, diritto di stabilimento e libertà di circolazione dei servizi. Ed invero, la normativa nazionale in commento impone all’intermediario obblighi informativi e gli attribuisce il ruolo di sostituto o responsabile di imposta, comportando, così, l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato, costituendo altresì un ostacolo allo sviluppo di modelli di business innovativi nell’ambito della c.d. sharing economy. Ad avviso della società ricorrente, infatti, <<la disciplina in esame discrimina un intero modello di business (quale è quello di Airbnb) e attribuisce agli intermediari immobiliari che non intervengono nel pagamento un'indebita agevolazione in termini di minori oneri amministrativi, suscettibile di tradursi in un indebito vantaggio competitivo>> e, in particolare, con riguardo all’imposta di soggiorno << si riscontrerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai titolari degli hotel che non essendo qualificati come responsabili d’imposta, non rispondono del pagamento della tassa di soggiorno, al contrario degli intermediari che, essendo responsabili in solido per effetto della nuova normativa.>>.

Si costituivano la società Renting Services Group SRLS quale controinteressata - rilevando che l’adeguamento ai nuovi oneri non comportasse alcun ingente onere gestionale amministrativo – nonché l’Agenzia delle Entrate a mezzo dell’Avvocatura di Stato. In particolare, secondo la difesa erariale l’accesso al servizio di intermediazione immobiliare non sarebbe assolutamente condizionato dalla previsione di un peculiare regime di tassazione dei redditi che ne scaturiscono, né tanto meno esso inciderebbe sul suo esercizio, ben potendo il servizio essere esercitato secondo modalità non implicanti l’intervento nel pagamento. Ed invero, a parere dell’Amministrazione <<la scelta di un modello che implichi anche tale intermediazione non può condizionare la valutazione in termini di disparità di trattamento e di distorsività del gioco concorrenziale delle misure che ne conseguano sul piano fiscale>>.

Tanto premesso, il Tar Lazio con l’ordinanza 5442/2017 respingeva l’istanza di Airbnb e, avverso il suddetto provvedimento, le ricorrenti proponevano appello cautelare che veniva, invece, accolto dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 5403/2017, ai soli fini dell’immediata fissazione del merito da parte del TAR.

Ed ancora, con ricorso per motivi aggiunti, Airbnb impugnava la Circolare n. 24/E del 12 ottobre 2017 (cd. “circolare interpretativa”), con la quale l’Agenzia delle entrate ha illustrato il contenuto delle disposizioni sinteticamente richiamate tenendo conto delle questioni emerse nel corso del tavolo tecnico di confronto con le associazioni di categoria e i principali operatori interessati. Anche in questo caso, i chiarimenti forniti dalla citata circolare non riguardano l’imposta di soggiorno ma solo l’applicazione dei tributi rientrati nella competenza dell’Agenzia delle entrate.

Proponeva, altresì, intervento ad opponendum la Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi, eccependo preliminarmente il difetto assoluto di giurisdizione, essendo il ricorso volto a provocare un sindacato sulla normativa primaria, ovvero il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario o, in via subordinata, in favore del giudice tributario , rilevando che il provvedimento gravato con il ricorso introduttivo non fa altro che consentire allo Stato italiano il recupero di un gettito fiscale significativo, a fronte di un sacrificio tecnico minimo da parte della ricorrente.

Le società ricorrenti riproponevano istanza cautelare ai sensi dell’articolo 58 c.p.a. che veniva, tuttavia, nuovamente respinta con ordinanza n. 4144/2018.

Tanto premesso, il Tar, al fine di valutare se effettivamente nel caso de quo si fosse concretizzata una violazione dei principi europei - partendo dall’analisi dell’articolo 56 TFUE che vieta l’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere più difficile la prestazione di servizi tra Stati membri rispetto alla prestazione di servizi puramente interna - ha ritenuto che <<la normativa contestata impone identici obblighi sia a carico dei soggetti intermediari che hanno residenza in Italia sia di quelli non residenti né stabiliti in Italia che gestiscono portali telematici mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare>>.  

Secondo i giudici amministrativi l’unico profilo differenziale tra i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato e i soggetti che – come Airbnb – non sono stabiliti in Italia risiede nel fatto che mentre i primi operano, in qualità di sostituti d'imposta, una ritenuta del 21 per cento sull'ammontare dei canoni e corrispettivi all'atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento, invece, i secondi, ottemperano ai medesimi obblighi in qualità di responsabili di imposta, mediante la nomina di un rappresentante fiscale (articolo 4, comma 5 bis).

Ed invero, a parere del Collegio, la previsione dell’obbligo di nomina del rappresentante fiscale è giustificata da motivi imperativi di pubblico interesse e dalla necessità di garantire la riscossione di un’imposta che è stato in concreto accertato essere oggetto di una rilevantissima evasione fiscale, non ravvisandosi misure meno gravose effettivamente e concretamente idonee ad assicurare lo stesso risultato.

Sotto il profilo della imposizione degli obblighi informativi e degli obblighi di ritenuta e versamento, dunque, a parere del TAR non si ravvisa nessuna disparità di trattamento, in quanto tutti gli operatori del mercato, residenti, stabiliti in Italia e non stabiliti soggiacciono alla medesima normativa e devono adempiere ai medesimi obblighi.

Tuttavia, nonostante l’interesse delle argomentazioni affrontate in sentenza, con espresso riferimento agli oneri connessi alla riscossione dell’imposta di soggiorno, previsto dall’articolo 4, comma 5-ter, del d.l. 50/2017, i giudici hanno rigettato il ricorso principale e quello per motivi aggiunti, ritenendo le doglianze di Airbnb non ammissibili per carenza di interesse <<in quanto il profilo contestato non è oggetto del provvedimento impugnato>>. Ed invero, a parere dei giudici, i provvedimenti impugnati - provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 12 luglio 2017 e la successiva Circolare n. 24/E del 12 ottobre 2017 (cd. “circolare interpretativa”) - non riguardano l’imposta di soggiorno.

In conclusione, Airbnb è tenuta a svolgere la funzione di sostituto d’imposta in relazione all’imposta di soggiorno occupandosi, dunque, del calcolo dell’imposta e della sua riscossione dagli ospiti al momento della prenotazione.

Infine, in questo contesto si inquadrano le varie intese raggiunte da Airbnb con le amministrazioni comunali per la riscossione automatica dell’imposta di soggiorno al posto degli host (da ultimo si segnala la convenzione conclusa tra Airbnb e il Comune di Parma, operante dal 1° maggio 2019). La suddette imposta varia in base ai diversi regolamenti comunali, potendo essere ad importo fisso o in percentuale calcolata in base al numero di ospiti, numero di notti e tipo di alloggio.