Su taluni aspetti della questione «affitti brevi»
Su taluni aspetti della questione affitti brevi
La prima impressione del lettore della presente Nota potrebbe essere quella di un intervento che travalica i confini della rubrica «Osservatorio tre Bio». Sotto un certo profilo l'impressione potrebbe apparire fondata. Sotto un altro profilo essa non considererebbe una questione di fondo sia del diritto sia della politica. In altre parole essa non considererebbe che anche diritti individuali per loro natura biogiuridici vengono spesso fatti dipendere da valutazioni e da criteri economici o, in termini più generali, da interessi collettivi, talvolta impropriamente definiti pubblici solamente per la vischiosità del linguaggio: l'interesse pubblico, infatti, non è in sé e per sé l'interesse collettivo ma l'interesse della persona civitatis come «costruita» adottando i canoni delle moderne (e ormai superate) dottrine politiche (quelle «costruttivistiche» per intenderci).
L'affermazione non è astratta; non è solamente un'affermazione teorica, lontana dall'effettività giuridica. Basterebbe pensare, per esempio, alla Sentenza n. 14/2023 della Corte costituzionale italiana (che ha considerato la normativa relativa alla pandemia da Covid-19), cui abbiamo riservato un primo commento con la Nota apparsa in questa rubrica in data 14 marzo 2023.
La presente Nota, investendo in parte un problema generale (quello del rapporto diritto/interesse), riguarda anche i temi della rubrica «Osservatorio tre Bio».
Intendiamo considerare, sia pure molto brevemente, alcuni problemi posti da una proposta (nel momento in cui scriviamo non sappiamo se sarà presentata al Parlamento come Disegno di legge o se troverà regolamentazione concreta con un Decreto legge) relativa ai cosiddetti «affitti brevi», da definirsi più propriamente «locazioni brevi».
Che cosa prevede la proposta de quo?. Innanzitutto che il proprietario di appartamenti o camere da lui locati debba provvedere a una loro sistemazione in conformità alla vigente normativa di sicurezza (pena l'illegittimità della locazione); che non possa, poi, locare il proprio appartamento (o la camera) per meno di due notti; che chi è proprietario di più di due appartamenti destinati a locazione sia tenuto all'apertura di una Partita IVA, essendo considerato ope legis imprenditore.
Tutto ciò implica innanzitutto una limitazione del diritto di proprietà sia per le imposizioni normative relative alla sicurezza (che, fra l'altro, dovrebbe valere anche per le abitazioni private) sia per la libertà contrattuale (perché non è consentita la locazione per un solo giorno?). Il proprietario, intendiamoci, resterebbe formalmente tale. Esso, però, sarebbe un semplice gestore della proprietà le cui caratteristiche ed i cui modi di godimento sarebbero determinati dai pubblici poteri. Implica, poi, un’assunzione di imprenditore diversa, forse addirittura contraria, a quella prevista dal Codice civile italiano in vigore, secondo il quale – giustamente (anche se le norme del 1942 risentono pesantemente dell'indirizzo politico del regime del tempo) – imprenditore è colui che esercita professionalmente un'attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082).
Per quel che riguarda le cosiddette affittanze delle camere come per quel che riguarda le attività stagionali è opinione dottrinale condivisa e diffusa che esse non rientrino nelle attività economiche organizzate e professionali. Esse non rientrano nemmeno nell’impresa sociale (D. Lgs. n. 155/2006). Pertanto, la previsione della proposta de quo va contro la normativa in vigore, modificandola ab imis funtamentis. È vero che lex posterior derogat priori. Essa, però, dovrebbe derogare, non instaurare un nuovo regime assolutamente contrario al precedente, come di fatto avverrebbe se la proposta di legge Santanché trovasse consensi in Parlamento (approvazione del Disegno di legge) o nel Governo (approvazione del Decreto legge). Nulla vieta ovviamente che si instauri una nuova normativa. Essa, però, non può legalizzare l’iniquità. Il che avverrebbe nel caso in cui il proprietario di almeno tre appartamenti o camere da locare fosse tenuto a mettere a norma (sulla base di criteri in parte opinabili) la sua proprietà e ad aprire una Partita IVA, per la gestione, la quale comporta non solamente la tenuta dei registri contabili ma anche oneri finanziari che assorbirebbero gran parte o addirittura tutte le (eventuali) entrate. Per capirci basterà un esempio. Le locazioni sono molto diverse fra loro. Una cosa è locare un appartamento in piazza di Spagna a Roma, altra cosa è locare un appartamento in uno sperduto paese; altra cosa ancora è il ricavo da un’attività di lussuosi resorts, altra cosa ancora è ricavare – realisticamente – 12/15 mila euro da locazioni stagionali in località di villeggiatura non particolarmente rinomate. Nei primi casi (locazione di un appartamento in piazza di Spagna a Roma o ricavo dall’attività di lussuosi resorts) il proprietario o il gestore può essere considerato imprenditore; nei secondi casi (locazione di un appartamento in uno sperduto paese o locazioni stagionali di modesti appartamenti in località di villeggiatura non rinomate) è difficile poter considerare imprenditore il proprietario che li loca. Equiparare le due realtà è un’iniquità. Non solo. Nei secondi casi gli oneri a carico del definito (ope legis) imprenditore, il ricavo non è generalmente sufficiente alla copertura delle imposte (IRPEF, IMU, ora in taluni casi denominate ILIA, IMI o IMIS) e delle tasse (TARI) e degli oneri comportati dalla Partita IVA, nonché delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria del bene e delle spese di gestione (luce, acqua, gas, etc.). L’imprenditore, in questo caso, sarebbe costretto a lavorare in passivo (il che rappresenta un altro aspetto iniquo, che tale resterebbe anche qualora il proprietario decidesse – costretto a ciò dalla normativa – di non locare (gli oneri fiscali, di manutenzione e di gestione, in questo caso, resterebbero comunque a suo carico).
L’equità è problema essenzialmente giuridico. Lo Stato non deve imporre norme inique. Per nessuna ragione.
Va sottolineato, poi, che l’interesse, nessun tipo di interesse, è criterio del diritto. Il diritto è regola dell’interesse, non viceversa. L’interesse rileva giuridicamente unicamente sotto il profilo della giustizia la quale non deve essere subordinata all’economia.
C’è un secondo aspetto che emerge (e che va considerato) dalla proposta Santanché. La politica è considerata in questa proposta secondo le indicazioni della dottrina politologica della stessa. Regola e fine della politica in questo caso sarebbero gli interessi, non la giustizia. Fine della politica, invece, è il bene dell’uomo in quanto uomo, non i vantaggi individuali o collettivi e nemmeno i vantaggi dello Stato. I vantaggi riguardano l’economia, non la politica. La proposta de quo è stata formulata sulla base di pressioni corporative: innanzitutto degli albergatori che – erroneamente – ritengono di essere (ingiustamente) danneggiati dai proprietari che locano i loro beni (appartamenti e camere). Per questo reclamano una normativa che elimini il più possibile ogni forma di concorrenza (definita) sleale.
Il Governo Conte era già intervenuto a questo proposito. Ora viene chiesto di adottare maglie della rete normativa ancora più piccole. Lo Stato – si chiede, anche se non lo si dice apertamente – deve stabilire gestioni conformi alla legge. Il che corrisponde alla ratio relativa alla proprietà che ha guidato la redazione del Codice civile del 1942.
C’è un terzo aspetto che è opportuno considerare. Imprenditore ai sensi dell’art. 2082 CC è colui che esercita professionalmente un’attività economica. Dunque, questa attività è esercitata con le caratteristiche proprie della «professionalità». Il proprietario locatore di appartamenti e/o di camere non è un professionista delle locazioni: loca e basta. Il reddito della locazione va denunciato ai fini fiscali. Per questo, però, non è necessaria l’apertura di una Partita IVA. Il locatore, poi, non organizza alcunché: cede temporaneamente l’uso di un suo bene in cambio di un compenso. Non produce e non scambia né beni né servizi. Dunque, la proposta Santanché intende innovare prescindendo dall’effettiva realtà. La proposta, quindi, assume finzioni e le impone come fossero realtà. È un’assurdità propria del razionalismo giuridico, adottato da diversi regimi dopo la Rivoluzione francese.