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Locazione: inadempimento del conduttore e danno subito

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Locazione: inadempimento del conduttore e danno subito

 

Nel caso di inadempimento da parte del conduttore all’obbligazione di pagamento dei canoni, non può essere riconosciuto al locatore un “danno” commisurato ai canoni stessi.

In the event of failure by the tenant to fulfill the obligation to pay the rent, the lessor cannot be entitled to "damage" commensurate with the rent itself.


La Cassazione Sezione Terza, con ordinanza n. 31276 del 09.11.2023, ha rimesso alle SSUU la seguente questione: se, in relazione alla risoluzione per inadempimento della locazione di immobili da parte del conduttore, sia configurabile (e, in caso positivo, in quali termini) un risarcimento del danno successivo al rilascio, commisurato ai canoni che il locatore avrebbe potuto percepire fino alla scadenza del contratto.

Il “danno commisurato ai canoni non pagati” rientra nel concetto di “danno emergente”, intendendosi con quest’ultimo il mancato conseguimento dell’utile contrattuale a seguito dell’inadempimento del conduttore.

Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano rigettato la richiesta risarcitoria proposta dal locatore.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva motivato la propria decisione richiamando la sentenza della Cassazione n. 27614 del 2013, la quale aveva affermato quanto segue: “In ipotesi di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenuto il rilascio del bene locato, la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, ovvero fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configura di per sé un danno da "perdita subita", né un danno da "mancato guadagno", non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore - locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l'inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento. Un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può, invece, configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l'immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell'inesatto adempimento dell'obbligazione di rilascio nei sensi dell'art. 1590 cod. civ.»

La disciplina civilistica del contratto di locazione è contenuta negli artt. 1571 – 1654 e pone a carico del conduttore l’obbligo di risarcire il danno al locatore nei seguenti casi:

 - quando il conduttore non abbia avvisato il locatore delle molestie dei terzi che pretendano di avere diritti sulla cosa (art. 1586 comma 1 c.c.)

- nel caso di incendio o deterioramento (art. 1589 comma 1 c.c.)

- restituzione della cosa in ritardo (art. 1591 c.c.)

L’art. 1591 c.c. stabilisce che “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno”.

L’obbligo di pagare i canoni fino alla scadenza sussiste nel caso in cui il conduttore, che non ha adempiuto all’obbligo di restituire la cosa entro il termine convenuto, si sia trattenuto la cosa stessa: il locatore ha riscontrato l’inadempimento, e, al fine di ottenere la restituzione, propone l’azione giudiziale di rilascio dell’immobile.

Il Giudice, in accoglimento della domanda, condanna il conduttore al rilascio, il che comporta obbligo di pagare i canoni fino alla riconsegna e risarcimento del maggior danno.

Quale potrebbe essere questo “maggior danno”? il fatto che il locatore (Tizio), se la cosa gli fosse stata consegnata   a tempo debito, avrebbe potuto stipulare un altro contratto di locazione con un soggetto diverso (Caio) e per un canone quanto meno pari a quello del contratto in essere, ossia il c.d. “danno da lucro cessante”, intendendosi con quest’ultimo che il locatore, se il suo immobile non fosse stato occupato da Caio, avrebbe potuto destinarlo alla stipula di altri contratti di locazione, i quali avrebbero potuto essere per lui fonte di arricchimento.

Il locatore, naturalmente, dovrà fornire un’adeguata dimostrazione di ciò, e quindi dovrà esibire dinanzi al Giudice un accordo preliminare stipulato con Caio in virtù del quale quest’ultimo, una volta terminata la locazione in corso, si sarebbe impegnato a sottoscrivere un contratto definitivo di locazione con Tizio.

Quindi l’art. 1591 c.c., nel caso di inadempimento del conduttore, ammette la risarcibilità di un danno in favore del locatore, ma si tratta di un danno da “lucro cessante”, il quale non consiste – come invece accade nella fattispecie in oggetto – nell’ obbligo di pagare i canoni fino alla scadenza: nel caso dell’art. 1591 c.c. tale obbligo discende direttamente dal fatto di non aver adempiuto all’obbligo di riconsegna entro i termini, e quindi è connaturato all’inadempimento; i suddetti canoni altro non sono che il corrispettivo convenuto contrattualmente, e quindi il mancato pagamento degli stessi costituisce “l’inadempimento”, ma non attiene alla sfera del “danno”, il quale è una ”conseguenza dell’inadempimento”.

Cosa si ricava da ciò? Che il diritto del locatore di percepire i canoni fino alla scadenza del contratto, siccome nasce dall’inadempimento contrattuale della controparte, non può essere esercitato a titolo di richiesta risarcitoria, perché il risarcimento è un effetto dell’inadempimento ma non coincide con quest’ultimo.

Il principio è quello in base al quale la parte non può pretendere di conseguire, attraverso il risarcimento, un’utilità (il lucro cessante) maggiore di quella che essa può ottenere facendo valere l’inadempimento contrattuale: se il conduttore non ha adempiuto e gli si vuole richiedere il saldo dei canoni non pagati, lo si deve fare con la domanda di risoluzione per inadempimento e non con una richiesta di risarcimento.

La Cassazione tuttavia, nell’ordinanza in commento, dà atto dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale secondo cui il locatore, il quale abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore.

In base a tale orientamento, il danno deve considerarsi insito nel fatto stesso dell’inadempimento.

Questa concezione si basa sul fatto che il mancato od inesatto adempimento, oltre che costituire la violazione degli obblighi dedotti in contratto, rappresenta la lesione di quei valori morali di buona fede e correttezza negoziali che sono previsti dall’art. 1375 c.c. quali criteri fondamentali dei rapporti contrattuali e la cui inosservanza pertanto merita un’adeguata sanzione, qual è quella risarcitoria.

Il fatto stesso che il locatore si sia visto costretto a risolvere anticipatamente il rapporto e si sia visto privare dei canoni, ossia dell’utilità contrattuale, ha generato una lesione della sua sfera morale, ossia della sua buona fede, la quale è anch’essa un “diritto contrattuale” a tutti gli effetti.

Pertanto, chiedere al conduttore, oltre al pagamento dei canoni, anche un “danno” commisurato al mancato pagamento dei medesimi, non costituisce una duplicazione degli strumenti di tutela, in quanto esso consegue alla violazione di un obbligo contrattuale preciso che è quello della buona fede.

Il problema però è che, aderendo a tale orientamento, la responsabilità contrattuale viene assimilata alla responsabilità precontrattuale.

Quest’ultima si configura quando la controparte, pur dopo la stipula di un accordo preliminare, non sia addivenuta alla stipula del contratto definitivo, causando in tal modo alla parte un danno che deriva dal diritto a non essere coinvolti in trattative inutili od inefficaci, diritto quest’ultimo che a sua volta trova il suo fondamento nell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza nelle trattative preliminari.

In tal caso, effettivamente, chiedere il risarcimento di simile danno, inteso quale lesione della sfera morale e non come violazione degli obblighi negoziali, è del tutto normale, poiché, vista la mancata stipula, tali obblighi ancora non sussistono.

Ma quando un contratto è stato stipulato, l’assunzione dell’impegno ad eseguire una certa prestazione supera, ingloba ed assorbe l’obbligo della buona fede, in quanto dal “piano astratto della buona fede” si è passati al “piano concreto degli obblighi contrattuali”.

Pertanto, quando si parla di responsabilità contrattuale, l’inadempimento degli obblighi negoziali costituisce esso stesso l’essenza della violazione dell’obbligo della buona fede, e di conseguenza la lesione di quest’ultima non può essere utilizzata per chiedere un’utilità maggiore di quella ottenibile con la domanda di risoluzione per inadempimento.

Inoltre, aderendo al suddetto orientamento, la responsabilità contrattuale viene assimilata alla responsabilità extra – contrattuale. Quest’ultima è disciplinata dall’art. 2043 c.c., il quale così dispone: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Per “danno ingiusto” si intende una lesione prodotta attraverso la violazione di norme giuridiche le quali, pur non essendo state trasfuse in un contratto, sono comunque poste a tutela della sfera giuridico – patrimoniale dei soggetti di diritto privato: l’esempio classico è quello del danno provocato dalla circolazione di veicoli, che deriva dalla violazione delle norme del Codice della Strada.

In questo caso, tra i soggetti coinvolti, non c’è un “contratto” che prevede dei diritti e degli obblighi, e quindi il soggetto danneggiato non può agire, oltre che per il risarcimento, anche per ottenere la cessazione del rapporto negoziale, dal momento che questo non esiste.

Ma, quando c’è un contratto, vi è l’assunzione di precisi e specifici obblighi, la cui violazione attribuisce alla parte il diritto di esperire gli strumenti di tutela contrattuale previsti (ossia la risoluzione), ma non anche quello di conseguire (vedi risarcimento) un vantaggio maggiore di quello ottenibile attraverso l’attivazione di tali strumenti: il danno deriva sicuramente dall’inadempimento ma non coincide con la prestazione rimasta inadempiuta, perché per ottenere quest’ultima esiste un rimedio che è quello della domanda di risoluzione, e pertanto esso non può essere commisurato a tale prestazione, ma deve costituire oggetto di una domanda specifica, separata da quella di risoluzione.

Anche la penale sottoscritta per il caso di inadempimento di una delle parti, è un’obbligazione che è limitata al valore della prestazione inadempiuta, e potrà essere chiesto un danno solo se la risarcibilità di quest’ultimo sia stata espressamente stabilita (art. 1382 c.c.).

A ciò si aggiunga che, a norma dell’art. 1374 c.c.,il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge”.

Quanto è espresso nel contratto” significa “la prestazione da adempiere” (nel caso di specie, il pagamento dei canoni di locazione), mentre “le conseguenze che ne derivano secondo legge” sono quelle risarcitorie.

Viene operata una distinzione tra l’inadempimento degli obblighi contrattuali e gli effetti di tale inadempimento, e ciò indica che un conto è essere obbligati a fare la prestazione, un altro conto è rispondere dei danni che all’inadempimento conseguono e che però non possono identificarsi con l’inadempimento stesso.

Una riflessione va fatta sull’istituto della caparra, ossia la somma che una delle parti (Tizio) versa all’altra (Caio) a titolo di garanzia dell’esecuzione della propria prestazione.

L’art. 1385 comma 2 c.c. prevede che se l’inadempiente è Caio, ossia colui che ha ricevuto la somma a titolo di caparra, Tizio può esigere il doppio di quest’ultima, ossia una somma superiore a quella versata a titolo di garanzia.

Chi non adempie è tenuto, a causa dell’inadempimento, a corrispondere alla controparte una somma superiore (doppia) rispetto a quella che quest’ultima (che è la parte adempiente) gli aveva versato.

Nel caso di cui all’ordinanza in commento, se al locatore venisse riconosciuto un danno commisurato ai canoni non pagati, accadrebbe questo: chi non adempie (ossia il conduttore) è tenuto a corrispondere alla controparte una somma (risarcimento) superiore a quella (canoni) alla quale l’inadempiente stesso era tenuto.

Quindi sono due casi diversi: nel primo, la maggior somma è commisurata alla prestazione (caparra) che l’inadempiente ha ricevuto; nel secondo, tale somma è parametrata alla prestazione (canoni) che dall’inadempiente era dovuta.

Per tutte le ragioni su esposte, sembra doversi ritenere che, nel caso di inadempimento da parte del conduttore all’obbligazione di pagamento dei canoni, non possa essere riconosciuto al locatore un “danno” commisurato ai canoni stessi.