L’omologazione italiana dei ricevitori di radiodiffusione: un vulnus illegittimo del "diritto al radioascolto"

SOMMARIO

1. IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO

2. LA LEGISLAZIONE SULLE RADIODIFFUSIONI

3. LA NORMATIVA NAZIONALE SUI RADIODISTURBI: I DECRETI MINISTERIALI 25.6.1985 E 27.8.1987

4. UN PARAGRAFO DI TROPPO

5. IL DECRETO MINISTERIALE 28.8.1995, N. 548: UN’ABILE OPERA DI “IMBALSAMAZIONE”

6. IL PIANO NAZIONALE DI RIPARTIZIONE DELLE FREQUENZE

7. I RADIODISTURBI ED IL NUOVO CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

8. IL TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE

9. LA LIMITAZIONE ALLE FREQUENZE RICEVIBILI DAI RICEVITORI DI RADIODIFFUSIONE: UNA NORMATIVA ILLEGITTIMA

10. LE NUOVE TECNICHE DI TRASMISSIONE

11. UNA SPERANZA DALL’UNIONE EUROPEA

12. CONCLUSIONI

1. IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO

All’interno del più generale diritto di libertà di pensiero, la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana (sentenze 22 gennaio 1981, n. 1 e 24-26 marzo 1993, n. 112) ha enucleato l’autonomo concetto di diritto all’informazione, che si articola in diritto di informare, diritto di informarsi e diritto di essere informati.

Riteniamo che l’ordinamento giuridico italiano tuteli anche il diritto al radioascolto, che definiamo come il diritto di informarsi e di essere informati mediante la radiodiffusione circolare (in inglese broadcasting), cioè grazie all’ascolto – libero e tutelato dalla legge – delle emittenti radiofoniche di tutto il mondo.

Ciascuno di noi - più o meno consapevolmente - è un BCL (broadcasting listener), termine coniato dagli appassionati del radioascolto per indicare l’ascoltatore delle stazioni di radiodiffusione, in particolare di quelle straniere. Ebbene, in Italia tale sterminata categoria di radioascoltatori corre il rischio di violare la legge: questo può avvenire ascoltando frequenze non consentite mediante l’utilizzo di normalissimi ricevitori, costruiti e messi in commercio per l’ascolto delle stazioni di radiodiffusione internazionale.

Come può essere che con un normalissimo ricevitore delle onde corte-medie-lunghe o della modulazione di frequenza, si rischi di ascoltare qualcosa di vietato? E’ l’argomento di quest’articolo, naturale prosecuzione del precedente “L’omologazione dei ricevitori di radiodiffusione: fonti normativa e soggetti”, pubblicato il 6 giugno 2005 nel n. 143 di Filodiritto.

2. LA LEGISLAZIONE SULLE RADIODIFFUSIONI

I cittadini appartenenti ai Paesi CEPT possono “detenere ed usare le apparecchiature radio, portatili o veicolari, solo riceventi, per i servizi di radiodiffusione, di radiodeterminazione e di radioamatore, nonché per il servizio mobile a scopo di teleavviso personale”. La CEPT (Conferenza Europea delle Amministrazioni delle Poste e delle Telecomunicazioni) è l’organizzazione regionale europea di cui si è parlato nell’articolo citato al paragrafo 1.

Questo è quanto prevede il D.P.R. 27.1.2000, n. 64 (Regolamento recante norme per il recepimento di decisioni della CEPT in materia di libera circolazione di apparecchiature radio). Non appena tale decreto venne emanato, tra i praticanti l’hobby del radioascolto subito si diffuse un sentimento di generale soddisfazione per una norma che avrebbe dovuto rendere certo e garantito una volta per tutte il diritto di ascolto delle radiodiffusioni.

Ricordiamo che la normativa italiana (un esempio per tutti, la legge 6.8.1990, n. 223 meglio nota come “legge Mammì”) opera la suddivisione tra radiodiffusione sonora e radiodiffusione televisiva, anche se ora si preferisce distinguere tra “trasmissione televisiva” e “trasmissione radiofonica” (vedi la legge 3 maggio 2004, n. 112, c.d. “legge Gasparri”).

Il vigente “Codice delle Comunicazioni elettroniche” (approvato con D.lgs. 1.8.2003, n. 259) utilizza anche i termini “diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi” e " diffusione circolare radiotelevisiva".

Anche il recentissimo "Testo unico della radiotelevisione", promulgato con D.lgs. 31 luglio 2005, n.177, distingue tra radiodiffusione sonora e televisiva.

La sentenza della Corte costituzionale n. 225/1974 parlò invece di "radiotelediffusione circolare", mentre la sentenza n. 112/1993 coniò i termini "radiotelecomunicazione circolare" e "radiotrasmissione televisiva".

In altre parole, il linguaggio giuridico ha preso atto che le trasmissioni televisive altro non sono che emissioni di segnali radio. A tale proposito, segnaliamo che i documenti dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) parlano di sound broadcasting (BC) e di television broadcasting (BT).

Riteniamo che qualunque azione repressiva contro i BCL (motivata con norme di vecchi o nuovi codici) fosse e sia tuttora contraria alla “legislazione vigente sulle radiodiffusioni” e che il D.P.R. 64/2000 giunse certamente graditissimo in una Nazione che tuttavia – proprio per le leggi già in vigore - non ne avrebbe dovuto sentire il bisogno.

Questa affermazione trova fondamento nel vecchio codice postale del 1973 (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), all’art. 411 (Legislazione sulle radiodiffusioni: “Nulla è innovato nella legislazione vigente sulle radiodiffusioni”) non abrogato dal vigente Codice delle comunicazioni elettroniche.

Esiste pertanto una legislazione specifica per le radiodiffusioni, diversa non solo da quella del Codice postale ma anche da quella dettata dal Codice 2003. Crediamo sia possibile rinvenire tale normativa nelle seguenti fonti:

n Regio decreto-legge 21.2.1938, n. 246 (Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni): disciplina nel dettaglio l’obbligo di pagamento del canone di abbonamento,

n Regio decreto 8.7.1938, n. 1415 (Approvazione dei testi della legge di guerra e della legge di neutralità): prevede la possibilità di imporre restrizioni al diritto al radioascolto, limitatamente però al periodo bellico,

n Regio decreto 16.6.1940, n. 765 e Decreto legislativo luogotenenziale 3.4.1945, n. 152: disposizioni a carattere transitorio che diedero rispettivamente inizio e fine al regime giuridico di divieto al radioascolto di molte emittenti radiofoniche straniere durante la seconda guerra mondiale.

Recentemente è stato emanato il D.lgs. 31 luglio 2005, n.177 (Testo unico della radiotelevisione), di cui parleremo oltre al paragrafo 8.

E’ possibile pertanto affermare che certamente vi è stato - nella storia d’Italia - un periodo (la seconda guerra mondiale) durante il quale – in virtù di norme aventi rango primario - fu proibito l’ascolto di emittenti BC sia degli Stati nemici (per esempio Radio Londra o Radio Mosca) così come di quelli neutrali (per esempio la Radio Svizzera): ma solamente tale periodo, non prima (pur tra adempimenti burocratici e difficoltà pratiche) e tanto meno adesso che siamo in democrazia.

Infatti, gli adempimenti legati alla corresponsione del canone di abbonamento – rimasti sostanzialmente invariati prima e dopo la guerra – sono certamente da vedere con sfavore nei confronti del pieno diritto al radioascolto; ad ogni modo – una volta soddisfatti – gli obblighi del radioascoltatore sono terminati.

Le leggi italiane, quindi, non vietano in alcun modo il radioascolto. Ma le nostre Autorità – che agiscono mediante atti di normazione secondaria - lo sanno?

A tale proposito, osserviamo che fino a non molto tempo fa gli apparecchi radioricevitori riportavano un bollino di omologazione, indicante i decreti del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987. Sono tali decreti ancora in vigore?

3. LA NORMATIVA NAZIONALE SUI RADIODISTURBI: I DECRETI MINISTERIALI 25.6.1985 E 27.8.1987

A prima vista, si potrebbe dire che i due decreti ministeriali siano stati implicitamente abrogati in virtù del principio generale di libertà sotteso dal DPR 64/2000. Purtroppo, l’entusiasmo per il contenuto delle disposizioni dell’articolo 1 ha fatto passare in secondo piano quanto affermato dal successivo articolo 2, il cui primo comma afferma che nei confronti dei cittadini dei Paesi CEPT - in visita od in transito in Italia – che detengano ed usino le apparecchiature radio (comprese quelle solo riceventi per i servizi di radiodiffusione) “è fatta salva la normativa in materia di prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni.” La formulazione del comma non deve trarre in inganno: l’indicazione dei destinatari (cittadini dei Paesi CEPT, in visita od in transito in Italia) sta a significare l’estensione ad essi della normativa in materia di radiodisturbi già in vigore per i residenti in Italia, e non certo la previsione di una posizione giuridica di (ulteriore) svantaggio rispetto a questi ultimi.

Qual è questa normativa? Nell’articolo citato in premessa abbiamo esaminato una direttiva dell’Unione europea, la 1999/5/CE (nota anche come Direttiva R&TTE), riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazioni ed il reciproco riconoscimento della loro conformità. Tale norma comunitaria - recepita dall’Italia con il decreto legislativo 9.5.2001, n. 269 – all’articolo 1 detta le seguenti definizioni a valenza interpretativa:

a) apparecchio: qualsiasi apparecchiatura che sia un’apparecchiatura radio o un’apparecchiatura terminale di telecomunicazione o entrambe,

c) apparecchiatura radio: un prodotto, o un su componente essenziale, in grado di comunicare mediante l’emissione e la ricezione di onde radio impiegando lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali,

d) onde radio: onde elettromagnetiche di frequenza compresa tra 9 kHz e 3000 GHz, che si propagano nello spazio senza guida artificiale,

k) interferenze dannose: interferenze che pregiudicano il funzionamento di un servizio di radionavigazione o di altri servizi di sicurezza o che deteriorano gravemente, ostacolano o interrompono ripetutamente un servizio di radiocomunicazione che opera conformemente alle normative comunitarie o nazionali applicabili,

mentre all’articolo 8 (libera circolazione degli apparecchi) dispone che “Non è vietata, limitata o impedita l’immissione sul mercato e la messa in servizio di apparecchi recanti la marcatura CE che ne indica la conformità alle disposizioni del presente decreto.”

Quali sono dette disposizioni, nei confronti delle quali gli apparecchi devono essere conformi? L’articolo 13 (marcatura CE) rinvia all’articolo 3 (requisiti essenziali), il quale ultimo elenca i requisiti che devono essere posseduti da tutti gli apparecchi oppure solo da determinate categorie o tipi.

Mentre i requisiti essenziali “specifici” non sono pertinenti ai semplici ricevitori BC, i requisiti essenziali“ generali” sono:

- la protezione della salute e della sicurezza dell’utente o di qualsiasi altra persona (compresi quelli della direttiva

LVD),

- la protezione per quanto riguarda la compatibilità elettromagnetica (già previsti dalla direttiva EMC).

Le due direttive sono state esaminate nell’articolo di Filodiritto citato nel paragrafo 1.

A tale proposito, rileviamo che da alcuni anni i ricevitori BC in vendita in Italia riportano – in rilievo sull’esterno dell’apparecchiatura oppure su una placca di identificazione – non più il bollino con citati i due D.M. del 1985 e del 1987 bensì il marchio “CE”.

Sembrerebbe allora che l’omologazione ai due decreti ministeriali sia stata sostituita da quella indicata mediante marcatura CE. Questa conclusione è però errata.

Sappiamo, infatti, che il combinato disposto dell’art. 2, comma 4 con l’allegato I del D.lgs. 269/2001 esclude recisamente la propria applicazione “alle apparecchiature radio di sola ricezione utilizzate esclusivamente per ricevere servizi di radiodiffusione sonora e televisiva”. Ma, allora, da cosa è costituita la normativa in materia di prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni applicabile ai nostri ricevitori BC? Come vedremo nel prossimo paragrafo, i due D.M. Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987 sono in parte ancora vigenti nel nostro ordinamento giuridico. Per rispondere alla domanda, siamo quindi costretti a prenderli in esame.

4. UN PARAGRAFO DI TROPPO

Il Codice postale del 1973 conteneva l’articolo 398 (Prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni) – ora abrogato e sostituito dall’art. 210 del Codice 2003 – il quale subordinava anche il semplice utilizzo di apparecchi radioelettrici al rispetto delle norme stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.

Riportiamo di seguito il testo dell’articolo, come modificato dalla legge 22 maggio 1980, n.209, mentre l’esame dell’art. 210 del nuovo Codice verrà effettuato nel paragrafo 7:

Art. 398 (Prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni) E’ vietato costruire od importare nel territorio nazionale, a scopo di commercio, usare od esercitare, a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici, radioelettrici o linee di trasmissione di energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.

All’emanazione di dette norme, che determinano anche il metodo da seguire per l’accertamento della rispondenza, si provvede con decreto del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, in conformità alle direttive delle Comunità europee (…).

Il testo originario dell’articolo 398 era il seguente: “E’ vietato costruire od importare, a scopo di commercio nel territorio nazionale, usare od esercitare, a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici, radioelettrici, o linee di trasmissione di energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per l’eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.

All’emanazione di dette norme si provvede con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le poste e le telecomunicazioni.

Nelle norme di cui al primo comma verrà determinato il metodo da seguire per l’accertamento della rispondenza, nonché, eventualmente, per la apposizione di un contrassegno che la certifichi.

L’immissione in commercio e l’importazione a scopo di commercio sono subordinate alla certificazione di rispondenza, rilasciata dall’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni.”

Le norme - dettate per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi - giunsero a distanza di tempo con il Decreto Ministeriale Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 (Disposizioni per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 22 luglio 1985). E allora sorsero notevoli problemi d’interpretazione:

1) l’oggetto del provvedimento: il codice postale aveva previsto l’emanazione di un decreto contenente disposizioni aventi lo scopo di “prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni”. Nel decreto del 1985, invece, esse sono divenute disposizioni destinate a “la prevenzione e l’eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”.

2) le norme tecniche: l’articolo 1 del decreto dispone che l’allegato A al decreto riporti “le norme per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni, provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva, nonché per l’immunità degli stessi ricevitori dai disturbi”. Nell’allegato invece troviamo:

► requisiti minimi nei confronti dei disturbi

► requisiti minimi per l’immunità

► relativi metodi di misura

► prescrizioni relative alle frequenze (paragrafo 3)

In considerazione della quasi integrale disapplicazione (come vedremo al paragrafo 5) di quanto disposto dal decreto del 1985, è ormai pressoché impossibile reperire – sia in rete che nei supporti cartacei o informatici - il testo integrale e, in particolare, l’allegato A oggetto del presente studio. Riportiamo pertanto anche l’intero documento, così come pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Osserviamo che - nonostante la chiarezza della rubrica dell’articolo 398 del codice – entrambi i decreti contengono nei propri allegati un paragrafo (il numero 3) contenente “prescrizioni relative alle frequenze utilizzabili in Italia dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”.

L’articolo 1, invece, precisa che le norme (tecniche) per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni sono quelle stabilite nell’allegato A al decreto, riportandone anche il seguente sommario:

- prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni (riportata

poi al paragrafo 4 - radiodisturbi prodotti dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva);

- immunità dei ricevitori dai disturbi (riportata poi ai paragrafi 5 - immunità interna e 6 –

immunità esterna).

Il paragrafo 2 (campo di applicazione) del decreto si premura invece di precisare che “sono compresi nel campo di applicazione delle presenti norme anche i ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva che sono combinati con altri apparecchi (ad esempio giradischi, registratori, orologi digitali, ecc.) oppure che siano costituiti da più parti separate (ad esempio sintonizzatore ed amplificatore, ecc.).”

L’articolo 1, quindi, non fa alcun cenno alle prescrizioni relative alle frequenze che dal nulla, invece, compaiono al paragrafo 3: per l’appunto, un paragrafo di troppo!

Cosa c’entrino i limiti delle bande di frequenze captabili da semplici ricevitori con la prevenzione dei disturbi radioelettrici, è veramente un mistero. Mistero reso ancora più fitto dal fatto che l’articolo 398 del Codice 1973 richiedeva soltanto la prevenzione e l’eliminazione dei disturbi e nient’altro. Parimenti, nemmeno il preambolo al decreto ministeriale faceva il benché minimo riferimento ad una necessità di porre limiti alle frequenze ricevibili.

Vediamo tali limiti, riportati alla tabella I del paragrafo 3 del decreto:

gammalimiti di frequenzatolleranze (kHz)
onde lunghe 148,5 - 283,5 kHz 0 / -20 20 / 0
onde medie 526,5 - 1606,5 kHz0 / -20 50 / 0
onde corte 3950 - 26100 kHz 0 / -160 300 / 0
onde metriche 87,5 - 108 MHz 0 / -300 500 / 0

Nota: il limite di 283,5 kHz per le onde lunghe può essere esteso a 343 kHz per i ricevitori predisposti per la ricezione dei canali di filodiffusione.

Al decreto del 25 giugno 1985 se ne aggiunse un altro in data 27 agosto 1987 (“Revisione della normativa per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 31 agosto 1987). Quest’ultimo provvedimento, però, non ha apportato alcuna apertura sui limiti delle bande di frequenza sintonizzabili (anzi, mediante la disapplicazione dei limiti interni, consente addirittura una restrizione delle gamme d’onda sintonizzabili mediante i semplici ricevitori a batteria). Ecco perché detto decreto era indicato, assieme al primo, nel bollino di omologazione applicato ai ricevitori BC. Il D.M. del 1987 era stato preceduto dai due adottati in data 22 febbraio 1986 (Proroga dell’immissione in commercio degli apparati sprovvisti della certificazione di rispondenza alle norme) e 8 agosto 1986 (Proroga del termine per l’effettuazione di limitate prove di rispondenza).

Riportiamo per completezza l’unica variazione apportata al paragrafo 3, integrativa della nota in calce alla tabella I:

“Le prove si eseguono con eventuale circuito CAF disinserito. Con ricevitori privi di morsetti d’antenna o con CAF non disinseribile, le prove vanno eseguite al limite di sensibilità.

Per i ricevitori di radiodiffusione sonora di tipo sintetizzato, controllati a quarzo o da dispositivi di analoga stabilità (per es. ceramici), non è necessario il rispetto delle tolleranze interne della tabella I (“0 kHz”), purché essi siano in grado di ricevere su tutte le frequenze portanti oggetto di canalizzazio

SOMMARIO

1. IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO

2. LA LEGISLAZIONE SULLE RADIODIFFUSIONI

3. LA NORMATIVA NAZIONALE SUI RADIODISTURBI: I DECRETI MINISTERIALI 25.6.1985 E 27.8.1987

4. UN PARAGRAFO DI TROPPO

5. IL DECRETO MINISTERIALE 28.8.1995, N. 548: UN’ABILE OPERA DI “IMBALSAMAZIONE”

6. IL PIANO NAZIONALE DI RIPARTIZIONE DELLE FREQUENZE

7. I RADIODISTURBI ED IL NUOVO CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

8. IL TESTO UNICO DELLA RADIOTELEVISIONE

9. LA LIMITAZIONE ALLE FREQUENZE RICEVIBILI DAI RICEVITORI DI RADIODIFFUSIONE: UNA NORMATIVA ILLEGITTIMA

10. LE NUOVE TECNICHE DI TRASMISSIONE

11. UNA SPERANZA DALL’UNIONE EUROPEA

12. CONCLUSIONI

1. IL DIRITTO AL RADIOASCOLTO

All’interno del più generale diritto di libertà di pensiero, la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana (sentenze 22 gennaio 1981, n. 1 e 24-26 marzo 1993, n. 112) ha enucleato l’autonomo concetto di diritto all’informazione, che si articola in diritto di informare, diritto di informarsi e diritto di essere informati.

Riteniamo che l’ordinamento giuridico italiano tuteli anche il diritto al radioascolto, che definiamo come il diritto di informarsi e di essere informati mediante la radiodiffusione circolare (in inglese broadcasting), cioè grazie all’ascolto – libero e tutelato dalla legge – delle emittenti radiofoniche di tutto il mondo.

Ciascuno di noi - più o meno consapevolmente - è un BCL (broadcasting listener), termine coniato dagli appassionati del radioascolto per indicare l’ascoltatore delle stazioni di radiodiffusione, in particolare di quelle straniere. Ebbene, in Italia tale sterminata categoria di radioascoltatori corre il rischio di violare la legge: questo può avvenire ascoltando frequenze non consentite mediante l’utilizzo di normalissimi ricevitori, costruiti e messi in commercio per l’ascolto delle stazioni di radiodiffusione internazionale.

Come può essere che con un normalissimo ricevitore delle onde corte-medie-lunghe o della modulazione di frequenza, si rischi di ascoltare qualcosa di vietato? E’ l’argomento di quest’articolo, naturale prosecuzione del precedente “L’omologazione dei ricevitori di radiodiffusione: fonti normativa e soggetti”, pubblicato il 6 giugno 2005 nel n. 143 di Filodiritto.

2. LA LEGISLAZIONE SULLE RADIODIFFUSIONI

I cittadini appartenenti ai Paesi CEPT possono “detenere ed usare le apparecchiature radio, portatili o veicolari, solo riceventi, per i servizi di radiodiffusione, di radiodeterminazione e di radioamatore, nonché per il servizio mobile a scopo di teleavviso personale”. La CEPT (Conferenza Europea delle Amministrazioni delle Poste e delle Telecomunicazioni) è l’organizzazione regionale europea di cui si è parlato nell’articolo citato al paragrafo 1.

Questo è quanto prevede il D.P.R. 27.1.2000, n. 64 (Regolamento recante norme per il recepimento di decisioni della CEPT in materia di libera circolazione di apparecchiature radio). Non appena tale decreto venne emanato, tra i praticanti l’hobby del radioascolto subito si diffuse un sentimento di generale soddisfazione per una norma che avrebbe dovuto rendere certo e garantito una volta per tutte il diritto di ascolto delle radiodiffusioni.

Ricordiamo che la normativa italiana (un esempio per tutti, la legge 6.8.1990, n. 223 meglio nota come “legge Mammì”) opera la suddivisione tra radiodiffusione sonora e radiodiffusione televisiva, anche se ora si preferisce distinguere tra “trasmissione televisiva” e “trasmissione radiofonica” (vedi la legge 3 maggio 2004, n. 112, c.d. “legge Gasparri”).

Il vigente “Codice delle Comunicazioni elettroniche” (approvato con D.lgs. 1.8.2003, n. 259) utilizza anche i termini “diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi” e " diffusione circolare radiotelevisiva".

Anche il recentissimo "Testo unico della radiotelevisione", promulgato con D.lgs. 31 luglio 2005, n.177, distingue tra radiodiffusione sonora e televisiva.

La sentenza della Corte costituzionale n. 225/1974 parlò invece di "radiotelediffusione circolare", mentre la sentenza n. 112/1993 coniò i termini "radiotelecomunicazione circolare" e "radiotrasmissione televisiva".

In altre parole, il linguaggio giuridico ha preso atto che le trasmissioni televisive altro non sono che emissioni di segnali radio. A tale proposito, segnaliamo che i documenti dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) parlano di sound broadcasting (BC) e di television broadcasting (BT).

Riteniamo che qualunque azione repressiva contro i BCL (motivata con norme di vecchi o nuovi codici) fosse e sia tuttora contraria alla “legislazione vigente sulle radiodiffusioni” e che il D.P.R. 64/2000 giunse certamente graditissimo in una Nazione che tuttavia – proprio per le leggi già in vigore - non ne avrebbe dovuto sentire il bisogno.

Questa affermazione trova fondamento nel vecchio codice postale del 1973 (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), all’art. 411 (Legislazione sulle radiodiffusioni: “Nulla è innovato nella legislazione vigente sulle radiodiffusioni”) non abrogato dal vigente Codice delle comunicazioni elettroniche.

Esiste pertanto una legislazione specifica per le radiodiffusioni, diversa non solo da quella del Codice postale ma anche da quella dettata dal Codice 2003. Crediamo sia possibile rinvenire tale normativa nelle seguenti fonti:

n Regio decreto-legge 21.2.1938, n. 246 (Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni): disciplina nel dettaglio l’obbligo di pagamento del canone di abbonamento,

n Regio decreto 8.7.1938, n. 1415 (Approvazione dei testi della legge di guerra e della legge di neutralità): prevede la possibilità di imporre restrizioni al diritto al radioascolto, limitatamente però al periodo bellico,

n Regio decreto 16.6.1940, n. 765 e Decreto legislativo luogotenenziale 3.4.1945, n. 152: disposizioni a carattere transitorio che diedero rispettivamente inizio e fine al regime giuridico di divieto al radioascolto di molte emittenti radiofoniche straniere durante la seconda guerra mondiale.

Recentemente è stato emanato il D.lgs. 31 luglio 2005, n.177 (Testo unico della radiotelevisione), di cui parleremo oltre al paragrafo 8.

E’ possibile pertanto affermare che certamente vi è stato - nella storia d’Italia - un periodo (la seconda guerra mondiale) durante il quale – in virtù di norme aventi rango primario - fu proibito l’ascolto di emittenti BC sia degli Stati nemici (per esempio Radio Londra o Radio Mosca) così come di quelli neutrali (per esempio la Radio Svizzera): ma solamente tale periodo, non prima (pur tra adempimenti burocratici e difficoltà pratiche) e tanto meno adesso che siamo in democrazia.

Infatti, gli adempimenti legati alla corresponsione del canone di abbonamento – rimasti sostanzialmente invariati prima e dopo la guerra – sono certamente da vedere con sfavore nei confronti del pieno diritto al radioascolto; ad ogni modo – una volta soddisfatti – gli obblighi del radioascoltatore sono terminati.

Le leggi italiane, quindi, non vietano in alcun modo il radioascolto. Ma le nostre Autorità – che agiscono mediante atti di normazione secondaria - lo sanno?

A tale proposito, osserviamo che fino a non molto tempo fa gli apparecchi radioricevitori riportavano un bollino di omologazione, indicante i decreti del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987. Sono tali decreti ancora in vigore?

3. LA NORMATIVA NAZIONALE SUI RADIODISTURBI: I DECRETI MINISTERIALI 25.6.1985 E 27.8.1987

A prima vista, si potrebbe dire che i due decreti ministeriali siano stati implicitamente abrogati in virtù del principio generale di libertà sotteso dal DPR 64/2000. Purtroppo, l’entusiasmo per il contenuto delle disposizioni dell’articolo 1 ha fatto passare in secondo piano quanto affermato dal successivo articolo 2, il cui primo comma afferma che nei confronti dei cittadini dei Paesi CEPT - in visita od in transito in Italia – che detengano ed usino le apparecchiature radio (comprese quelle solo riceventi per i servizi di radiodiffusione) “è fatta salva la normativa in materia di prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni.” La formulazione del comma non deve trarre in inganno: l’indicazione dei destinatari (cittadini dei Paesi CEPT, in visita od in transito in Italia) sta a significare l’estensione ad essi della normativa in materia di radiodisturbi già in vigore per i residenti in Italia, e non certo la previsione di una posizione giuridica di (ulteriore) svantaggio rispetto a questi ultimi.

Qual è questa normativa? Nell’articolo citato in premessa abbiamo esaminato una direttiva dell’Unione europea, la 1999/5/CE (nota anche come Direttiva R&TTE), riguardante le apparecchiature radio, le apparecchiature terminali di telecomunicazioni ed il reciproco riconoscimento della loro conformità. Tale norma comunitaria - recepita dall’Italia con il decreto legislativo 9.5.2001, n. 269 – all’articolo 1 detta le seguenti definizioni a valenza interpretativa:

a) apparecchio: qualsiasi apparecchiatura che sia un’apparecchiatura radio o un’apparecchiatura terminale di telecomunicazione o entrambe,

c) apparecchiatura radio: un prodotto, o un su componente essenziale, in grado di comunicare mediante l’emissione e la ricezione di onde radio impiegando lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali,

d) onde radio: onde elettromagnetiche di frequenza compresa tra 9 kHz e 3000 GHz, che si propagano nello spazio senza guida artificiale,

k) interferenze dannose: interferenze che pregiudicano il funzionamento di un servizio di radionavigazione o di altri servizi di sicurezza o che deteriorano gravemente, ostacolano o interrompono ripetutamente un servizio di radiocomunicazione che opera conformemente alle normative comunitarie o nazionali applicabili,

mentre all’articolo 8 (libera circolazione degli apparecchi) dispone che “Non è vietata, limitata o impedita l’immissione sul mercato e la messa in servizio di apparecchi recanti la marcatura CE che ne indica la conformità alle disposizioni del presente decreto.”

Quali sono dette disposizioni, nei confronti delle quali gli apparecchi devono essere conformi? L’articolo 13 (marcatura CE) rinvia all’articolo 3 (requisiti essenziali), il quale ultimo elenca i requisiti che devono essere posseduti da tutti gli apparecchi oppure solo da determinate categorie o tipi.

Mentre i requisiti essenziali “specifici” non sono pertinenti ai semplici ricevitori BC, i requisiti essenziali“ generali” sono:

- la protezione della salute e della sicurezza dell’utente o di qualsiasi altra persona (compresi quelli della direttiva

LVD),

- la protezione per quanto riguarda la compatibilità elettromagnetica (già previsti dalla direttiva EMC).

Le due direttive sono state esaminate nell’articolo di Filodiritto citato nel paragrafo 1.

A tale proposito, rileviamo che da alcuni anni i ricevitori BC in vendita in Italia riportano – in rilievo sull’esterno dell’apparecchiatura oppure su una placca di identificazione – non più il bollino con citati i due D.M. del 1985 e del 1987 bensì il marchio “CE”.

Sembrerebbe allora che l’omologazione ai due decreti ministeriali sia stata sostituita da quella indicata mediante marcatura CE. Questa conclusione è però errata.

Sappiamo, infatti, che il combinato disposto dell’art. 2, comma 4 con l’allegato I del D.lgs. 269/2001 esclude recisamente la propria applicazione “alle apparecchiature radio di sola ricezione utilizzate esclusivamente per ricevere servizi di radiodiffusione sonora e televisiva”. Ma, allora, da cosa è costituita la normativa in materia di prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiocomunicazioni applicabile ai nostri ricevitori BC? Come vedremo nel prossimo paragrafo, i due D.M. Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 e 27.8.1987 sono in parte ancora vigenti nel nostro ordinamento giuridico. Per rispondere alla domanda, siamo quindi costretti a prenderli in esame.

4. UN PARAGRAFO DI TROPPO

Il Codice postale del 1973 conteneva l’articolo 398 (Prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni) – ora abrogato e sostituito dall’art. 210 del Codice 2003 – il quale subordinava anche il semplice utilizzo di apparecchi radioelettrici al rispetto delle norme stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.

Riportiamo di seguito il testo dell’articolo, come modificato dalla legge 22 maggio 1980, n.209, mentre l’esame dell’art. 210 del nuovo Codice verrà effettuato nel paragrafo 7:

Art. 398 (Prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni) E’ vietato costruire od importare nel territorio nazionale, a scopo di commercio, usare od esercitare, a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici, radioelettrici o linee di trasmissione di energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.

All’emanazione di dette norme, che determinano anche il metodo da seguire per l’accertamento della rispondenza, si provvede con decreto del Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, in conformità alle direttive delle Comunità europee (…).

Il testo originario dell’articolo 398 era il seguente: “E’ vietato costruire od importare, a scopo di commercio nel territorio nazionale, usare od esercitare, a qualsiasi titolo, apparati od impianti elettrici, radioelettrici, o linee di trasmissione di energia elettrica non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione e per l’eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni.

All’emanazione di dette norme si provvede con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le poste e le telecomunicazioni.

Nelle norme di cui al primo comma verrà determinato il metodo da seguire per l’accertamento della rispondenza, nonché, eventualmente, per la apposizione di un contrassegno che la certifichi.

L’immissione in commercio e l’importazione a scopo di commercio sono subordinate alla certificazione di rispondenza, rilasciata dall’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni.”

Le norme - dettate per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi - giunsero a distanza di tempo con il Decreto Ministeriale Poste e Telecomunicazioni 25.6.1985 (Disposizioni per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 22 luglio 1985). E allora sorsero notevoli problemi d’interpretazione:

1) l’oggetto del provvedimento: il codice postale aveva previsto l’emanazione di un decreto contenente disposizioni aventi lo scopo di “prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni”. Nel decreto del 1985, invece, esse sono divenute disposizioni destinate a “la prevenzione e l’eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”.

2) le norme tecniche: l’articolo 1 del decreto dispone che l’allegato A al decreto riporti “le norme per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni, provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva, nonché per l’immunità degli stessi ricevitori dai disturbi”. Nell’allegato invece troviamo:

► requisiti minimi nei confronti dei disturbi

► requisiti minimi per l’immunità

► relativi metodi di misura

► prescrizioni relative alle frequenze (paragrafo 3)

In considerazione della quasi integrale disapplicazione (come vedremo al paragrafo 5) di quanto disposto dal decreto del 1985, è ormai pressoché impossibile reperire – sia in rete che nei supporti cartacei o informatici - il testo integrale e, in particolare, l’allegato A oggetto del presente studio. Riportiamo pertanto anche l’intero documento, così come pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Osserviamo che - nonostante la chiarezza della rubrica dell’articolo 398 del codice – entrambi i decreti contengono nei propri allegati un paragrafo (il numero 3) contenente “prescrizioni relative alle frequenze utilizzabili in Italia dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”.

L’articolo 1, invece, precisa che le norme (tecniche) per la prevenzione e per la eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni sono quelle stabilite nell’allegato A al decreto, riportandone anche il seguente sommario:

- prevenzione ed eliminazione dei disturbi alle radiotrasmissioni ed alle radioricezioni (riportata

poi al paragrafo 4 - radiodisturbi prodotti dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva);

- immunità dei ricevitori dai disturbi (riportata poi ai paragrafi 5 - immunità interna e 6 –

immunità esterna).

Il paragrafo 2 (campo di applicazione) del decreto si premura invece di precisare che “sono compresi nel campo di applicazione delle presenti norme anche i ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva che sono combinati con altri apparecchi (ad esempio giradischi, registratori, orologi digitali, ecc.) oppure che siano costituiti da più parti separate (ad esempio sintonizzatore ed amplificatore, ecc.).”

L’articolo 1, quindi, non fa alcun cenno alle prescrizioni relative alle frequenze che dal nulla, invece, compaiono al paragrafo 3: per l’appunto, un paragrafo di troppo!

Cosa c’entrino i limiti delle bande di frequenze captabili da semplici ricevitori con la prevenzione dei disturbi radioelettrici, è veramente un mistero. Mistero reso ancora più fitto dal fatto che l’articolo 398 del Codice 1973 richiedeva soltanto la prevenzione e l’eliminazione dei disturbi e nient’altro. Parimenti, nemmeno il preambolo al decreto ministeriale faceva il benché minimo riferimento ad una necessità di porre limiti alle frequenze ricevibili.

Vediamo tali limiti, riportati alla tabella I del paragrafo 3 del decreto:

gammalimiti di frequenzatolleranze (kHz)
onde lunghe 148,5 - 283,5 kHz 0 / -20 20 / 0
onde medie 526,5 - 1606,5 kHz0 / -20 50 / 0
onde corte 3950 - 26100 kHz 0 / -160 300 / 0
onde metriche 87,5 - 108 MHz 0 / -300 500 / 0

Nota: il limite di 283,5 kHz per le onde lunghe può essere esteso a 343 kHz per i ricevitori predisposti per la ricezione dei canali di filodiffusione.

Al decreto del 25 giugno 1985 se ne aggiunse un altro in data 27 agosto 1987 (“Revisione della normativa per la prevenzione e la eliminazione dei radiodisturbi provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 202 del 31 agosto 1987). Quest’ultimo provvedimento, però, non ha apportato alcuna apertura sui limiti delle bande di frequenza sintonizzabili (anzi, mediante la disapplicazione dei limiti interni, consente addirittura una restrizione delle gamme d’onda sintonizzabili mediante i semplici ricevitori a batteria). Ecco perché detto decreto era indicato, assieme al primo, nel bollino di omologazione applicato ai ricevitori BC. Il D.M. del 1987 era stato preceduto dai due adottati in data 22 febbraio 1986 (Proroga dell’immissione in commercio degli apparati sprovvisti della certificazione di rispondenza alle norme) e 8 agosto 1986 (Proroga del termine per l’effettuazione di limitate prove di rispondenza).

Riportiamo per completezza l’unica variazione apportata al paragrafo 3, integrativa della nota in calce alla tabella I:

“Le prove si eseguono con eventuale circuito CAF disinserito. Con ricevitori privi di morsetti d’antenna o con CAF non disinseribile, le prove vanno eseguite al limite di sensibilità.

Per i ricevitori di radiodiffusione sonora di tipo sintetizzato, controllati a quarzo o da dispositivi di analoga stabilità (per es. ceramici), non è necessario il rispetto delle tolleranze interne della tabella I (“0 kHz”), purché essi siano in grado di ricevere su tutte le frequenze portanti oggetto di canalizzazio