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Marchio notorio: va tutelato oltre il mero rischio di confusione

marchio Gucci
marchio Gucci

Indice:

1. Premessa sul marchio notorio

2. Il caso relativo al marchio notorio

3. Le motivazioni della Suprema Corte sul marchio notorio e il parassitismo

4. Conclusioni sul marchio notorio

 

1. Premessa sul marchio notorio

Con l’ordinanza n. 27217 del 2021, depositata lo scorso 7 ottobre, i Giudici di Piazza Cavour, accogliendo con rinvio il ricorso della celebre Casa di moda italiana, Gucci, sono tornati a pronunciarsi in materia di protezione rafforzata dei marchi famosi.

Ma prima è d’uopo una preliminare e breve disamina della tipologia di marchio notorio.

Difatti, quest’ultimo è il segno distintivo noto al pubblico che gode dello stato di rinomanza, al quale ipso iure è riconosciuta una protezione ultra merceologica che va oltre il mero rischio di confusione genericamente inteso per i marchi ordinari. Ed è proprio il cd. stato di rinomanza che, contraddistinguendo i marchi notori da quelli ordinari, consente ai titolari dei primi di impedire la registrazione e l’uso di marchi relativi a segni uguali o simili, con i quali si intendano identificare prodotti o servizi anche non affini a quelli per cui gli anzidetti marchi siano già stati registrati.

Invero, il nostro Codice della proprietà industriale, in attuazione della direttiva CE 89/104, ha stabilito expressis verbis che “il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi” (art. 20, comma 1, lett. c). Non sottaciuto che per acquisire lo stato di rinomanza è necessario che il marchio venga utilizzato e, di conseguenza, relativamente alla tutela riconosciuta dalla legge, essa sarà tanto più ampia quanto più il marchio sarà notorio. In ogni caso, il precipuo fine che si vuole realizzare è quello di evitare il verificarsi di fenomeni come la diluizione o corrosione del brand e, inoltre, combattere il parassitismo.

 

2. Il caso relativo al marchio notorio

Ciò posto, la vicenda trae origine dalla causa incardinata dinanzi al Tribunale di Firenze dalla nota azienda Gucci, la quale agiva in giudizio, al fine di ottenere la declaratoria di nullità di due marchi appartenenti ad una società cinese, sostenendo il difetto di novità degli stessi, in quanto suscettibili di integrare la fattispecie di contraffazione.

Mentre il Giudice di prime cure accoglieva la domanda di declaratoria di nullità della privativa limitatamente ad un solo marchio, la Corte d’Appello di Firenze adita successivamente, ex adverso, riteneva che i marchi della nota casa di moda e quelli contestati non fossero simili, posto che quest’ultimi presentavano differenziazioni idonee ad escludere, nel consumatore, ogni rischio di confusione ed associazione.

Al contempo, il Giudice del gravame evidenziava che l’alta rinomanza del marchio Gucci contribuisse ad escludere il predetto rischio di confusione, essendo il suo acquirente medio un soggetto qualificato. In particolare, ogni margine di errore verrebbe meno proprio per la notorietà del marchio anteriore e per l’effetto di essere impresso nella mente dei consumatori.

Avverso l’anzidetta decisione veniva promosso ricorso in Cassazione. La maison fiorentina, tra i motivi di doglianza, lamentava che il Giudice di seconde cure non avesse tenuto conto della tutela rafforzata dei marchi notori (Cfr. supra).

 

3. Le motivazioni della Suprema Corte sul marchio notorio e il parassitismo

Orbene, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come “la Corte d’Appello, nell’analizzare, ai fini della valutazione di contraffazione, esclusivamente il criterio del rischio di confusione tra i segni in conflitto, abbia erroneamente omesso considerare che la tutela rafforzata che la legge italiana – in attuazione della direttiva CE 89/104 (vedi art. 5 n. 2) – riconosce ai marchi di rinomanza comporta (oltre all’estensione di detta tutela a settori merceologici non affini) che, relativamente a tale tipologia di marchi, si può del tutto prescindere dall’accertamento di un eventuale rischio di confusione tra segni”.

A tanto aggiungasi, continua la Suprema Corte, gli sviluppi della giurisprudenza comunitaria secondo la quale è sufficiente, per aversi violazione, che il grado di somiglianza tra il marchio notorio e quello contestato abbia come effetto quello di indurre il pubblico interessato a stabilire un nesso tra i due.

Inoltre, in ossequio alla normativa italiana, è “sufficiente, ai fini del diniego di registrazione o per accordare la tutela, che il contraffattore possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore ovvero che l’uso del segno senza giustificato motivo da parte del contraffattore possa recare pregiudizio al marchio di rinomanza”.

Nello specifico, precisa la Corte, il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio notorio, indicato con il termine «diluizione», “si manifesta quando risulta indebolita la sua idoneità ad identificare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato per il fatto che l’uso del segno identico o simile fa disperdere l’identità del marchio e della corrispondente presa nella mente del pubblico”. Invece, il pregiudizio arrecato alla notorietà, designato con il termine «corrosione», “si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso”.

Quanto, invece, alla nozione di vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, detto anche «parassitismo», spiegano gli Ermellini, essa va ricollegata non al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile al marchio.

In particolare, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile sussiste un palese sfruttamento parassitario nella scia del marchio che gode di notorietà senza che il titolare del marchio posteriore abbia dovuto operare sforzi propri in proposito e senza qualsivoglia remunerazione economica atta a compensare lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per crearlo e mantenerne l’immagine”.

In altri termini, il titolare del segno posteriore beneficia del potere attrattivo, della reputazione e del prestigio del marchio notorio, per di più “senza dover sborsare alcun corrispettivo economico.

Da ultimo e in generale, per la Prima Sezione civile della Suprema Corte è indubbio che una estesa commercializzazione di prodotti recanti segni identici o simili a marchi rinomati possa fondatamente cambiare le abitudini della clientela cui tali articoli sono normalmente indirizzati, soprattutto di quella che è orientata all’acquisto per il carattere esclusivo del prodotto, per l’elevatissimo target del medesimo, la quale, per non incorrere nel rischio che il suo costoso accessorio di lusso possa essere confuso con uno contraffatto, può dirigersi verso altre marche altrettanto rinomate”.

 

4. Conclusioni sul marchio notorio

I Giudici del Palazzaccio sottolineando, per quanto innanzi esposto, l’irrilevanza del ricorrere o meno del rischio confusorio, hanno cassato la decisione di secondo grado, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, la quale dovrà accertare se di fatto l’utilizzo del marchio posteriore non solo sia privo di giusta causa, da consentire di trarre indebitamente vantaggio e profitto dal carattere distintivo e dalla rinomanza del marchio Gucci, ma arrechi anche pregiudizio alle caratteristiche dello stesso.