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Ministero Lavoro: privacy nelle tessere di riconoscimento

DIREZIONE GENERALE PER L’ATTIVITÀ ISPETTIVA

Prot. 25/I/0013426

Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – art. 36 bis, comma 3, D.L. n. 223/2006 conv. da L. n. 248/2006 – dati da riportare sul tesserino di riconoscimento per il personale occupato nei cantieri edili e rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003).

L’ANIE – Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche, ha formulato istanza di interpello al fine di conoscere l’interpretazione di questa Direzione sul seguente quesito.

L’art. 36 bis, comma 3, del D.L. n. 223/2006 (conv. da L. n. 248/2006) dispone che: “nell’ambito dei cantieri edili i datori di lavoro debbono munire, a decorrere dal 1° ottobre 2006, il personale occupato di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. I lavoratori sono tenuti ad esporre detta tessera di riconoscimento”. Questo Ministero, con circolare n. 29/2006, ha precisato che “i dati contenuti nella tessera di riconoscimento devono consentire l’inequivoco e immediato riconoscimento del lavoratore interessato e pertanto, oltre alla fotografia, deve essere riportato in modo leggibile almeno il nome, il cognome e la data di nascita. La tessera inoltre deve indicare il nome o la ragione sociale dell’impresa datrice di lavoro”.

Tenuto conto che, ai sensi della normativa in materia di privacy (D.Lgs. n. 196/2003), i dati personali trattati devono essere pertinenti e non eccedenti rispetto alla finalità perseguita, anche se derivanti da obblighi di legge, l’ANIE chiede se – rispetto alle finalità generali perseguite dal citato art. 36 bis e rispetto all’esigenza che i dati riportati su detta tessera consentano l’identificazione del lavoratore – l’indicazione della data di nascita non risulti sproporzionata e possa, pertanto, essere omessa, risultando sufficiente l’indicazione degli altri elementi indicati dalla circolare n. 29/2006 (fotografia, nome e cognome del lavoratore, nome o ragione sociale del datore di lavoro).

Il lettore della norma di cui all’art. 36 bis, comma 3, D.L. cit., potrebbe essere indotto a darne una suggestiva interpretazione sulla scorta dei concetti di “pertinenza” e “non eccedenza” di cui all’art. 11 del Codice in materia di protezione dei dati personali (ma v. anche il precedente art. 9, comma 1, della L. n. 675/1996), così come tratteggiati nel Provvedimento del giorno 11 dicembre 2000 del Garante per la protezione dei dati personali e avente ad oggetto proprio i cartellini identificativi dei lavoratori.

In tale contesto, il provvedimento del Garante affrontava la problematica della conformità alla legislazione sulla privacy delle norme contrattuali e organizzative che impongono al personale (del settore privato o di quello pubblico), a contatto con l’utenza, di appuntare sul vestito o sulla divisa un cartellino identificativo contenente vari dati personali: tutto ciò al fine di realizzare una maggiore responsabilizzazione dei lavoratori verso il pubblico, agevolando quest’ultimo nell’identificazione del personale con cui è entrato in contatto e quindi – se del caso – consentendogli di tutelarsi in modo adeguato.

In tale prospettiva – e solo nei limiti di essa – il Garante ha ritenuto che i cartellini identificativi contenenti anche i dati anagrafici del lavoratore riportassero dati non pertinenti in quanto l’informazione contenuta nei cartellini e, grazie ad essi, diffusa in modo indifferenziato non fosse rilevante in relazione alle finalità perseguite, finalità di mera trasparenza e correttezza nel contatto con il pubblico o i clienti.

A questa interpretazione – e alle osservazioni dell’interpellante – questa Direzione non ritiene di dover aderire per il caso in esame.

La tutela del diritto alla riservatezza può, da parte del Legislatore, subire una limitazione (proporzionale) a fronte del disvalore e della pericolosità sociali di talune condotte che si vogliono combattere e reprimere, proprio a salvaguardia di concorrenti e superiori valori e garanzie costituzionali. In definitiva, la tutela del diritto alla riservatezza può essere graduata ad opera del Legislatore in rapporto ad un’esigenza concreta – purché costituzionalmente protetta – posta come termine di paragone (v. il caso di legittimità costituzionale dell’art. 132 D.Lgs. n. 196/2003 in Corte Cost. n. 372/2006); la maggiore o minore limitazione alla tutela del diritto alla riservatezza sarà costituzionalmente fondata se posta in relazione con la maggiore o minore gravità attribuita dal Legislatore ad illeciti diversi individuati secondo scelte di politica legislativa.

In questo senso, gli strumenti di cui all’art. 36 bis cit. rispondono tutti in modo costituzionalmente adeguato agli intenti programmatici del Legislatore e di cui al comma 1 dello stesso articolo (“al fine di garantire la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori nei settori dell’edilizia, nonché al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare…)”; e tutto ciò nel rispetto dei principi inderogabili sanciti dagli artt. 2, 32, 35 e 41 comma 2, Cost. Pertanto, la indicazione contenuta nella circolare ministeriale – che, peraltro, ha solamente esplicitato il concetto di “generalità del lavoratore” senza apportare alcuna indebita integrazione concettuale e terminologica del precetto legislativo – risulta essere sotto ogni profilo, formale e sostanziale, rispettosa del principio del trattamento dei soli dati personali che siano pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per cui sono raccolti e trattati (v. art. 11, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 196/2003).

Oltre a ciò, si consideri anche la necessità di leggere la norma de quo in correlazione con quanto sancito dal successivo comma 4: “i datori di lavoro con meno di dieci dipendenti possono assolvere all’obbligo di cui al comma 3 mediante annotazione, su apposito registro di cantiere vidimato dalla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente da tenersi sul luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori”. Il Registro di cantiere di cui all’art. 36 bis, comma 4, del D.L. n. 223/2006 – vidimato dalla competente D.P.L. e da tenersi sul luogo di lavoro – è strutturato sul modello del “vecchio” libro di matricola. Infatti sullo stesso dovranno essere trascritti gli estremi (id est i dati anagrafici) del personale giornalmente impiegato in cantiere e ciò al fine di soddisfare, se pur in altro modo, il contenuto precettivo di cui al precedente comma 3 dell’art. 36 bis.

IL DIRETTORE GENERALE

(f.to Paolo Pennesi)

LC

DIREZIONE GENERALE PER L’ATTIVITÀ ISPETTIVA

Prot. 25/I/0013426

Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – art. 36 bis, comma 3, D.L. n. 223/2006 conv. da L. n. 248/2006 – dati da riportare sul tesserino di riconoscimento per il personale occupato nei cantieri edili e rispetto del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003).

L’ANIE – Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche, ha formulato istanza di interpello al fine di conoscere l’interpretazione di questa Direzione sul seguente quesito.

L’art. 36 bis, comma 3, del D.L. n. 223/2006 (conv. da L. n. 248/2006) dispone che: “nell’ambito dei cantieri edili i datori di lavoro debbono munire, a decorrere dal 1° ottobre 2006, il personale occupato di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. I lavoratori sono tenuti ad esporre detta tessera di riconoscimento”. Questo Ministero, con circolare n. 29/2006, ha precisato che “i dati contenuti nella tessera di riconoscimento devono consentire l’inequivoco e immediato riconoscimento del lavoratore interessato e pertanto, oltre alla fotografia, deve essere riportato in modo leggibile almeno il nome, il cognome e la data di nascita. La tessera inoltre deve indicare il nome o la ragione sociale dell’impresa datrice di lavoro”.

Tenuto conto che, ai sensi della normativa in materia di privacy (D.Lgs. n. 196/2003), i dati personali trattati devono essere pertinenti e non eccedenti rispetto alla finalità perseguita, anche se derivanti da obblighi di legge, l’ANIE chiede se – rispetto alle finalità generali perseguite dal citato art. 36 bis e rispetto all’esigenza che i dati riportati su detta tessera consentano l’identificazione del lavoratore – l’indicazione della data di nascita non risulti sproporzionata e possa, pertanto, essere omessa, risultando sufficiente l’indicazione degli altri elementi indicati dalla circolare n. 29/2006 (fotografia, nome e cognome del lavoratore, nome o ragione sociale del datore di lavoro).

Il lettore della norma di cui all’art. 36 bis, comma 3, D.L. cit., potrebbe essere indotto a darne una suggestiva interpretazione sulla scorta dei concetti di “pertinenza” e “non eccedenza” di cui all’art. 11 del Codice in materia di protezione dei dati personali (ma v. anche il precedente art. 9, comma 1, della L. n. 675/1996), così come tratteggiati nel Provvedimento del giorno 11 dicembre 2000 del Garante per la protezione dei dati personali e avente ad oggetto proprio i cartellini identificativi dei lavoratori.

In tale contesto, il provvedimento del Garante affrontava la problematica della conformità alla legislazione sulla privacy delle norme contrattuali e organizzative che impongono al personale (del settore privato o di quello pubblico), a contatto con l’utenza, di appuntare sul vestito o sulla divisa un cartellino identificativo contenente vari dati personali: tutto ciò al fine di realizzare una maggiore responsabilizzazione dei lavoratori verso il pubblico, agevolando quest’ultimo nell’identificazione del personale con cui è entrato in contatto e quindi – se del caso – consentendogli di tutelarsi in modo adeguato.

In tale prospettiva – e solo nei limiti di essa – il Garante ha ritenuto che i cartellini identificativi contenenti anche i dati anagrafici del lavoratore riportassero dati non pertinenti in quanto l’informazione contenuta nei cartellini e, grazie ad essi, diffusa in modo indifferenziato non fosse rilevante in relazione alle finalità perseguite, finalità di mera trasparenza e correttezza nel contatto con il pubblico o i clienti.

A questa interpretazione – e alle osservazioni dell’interpellante – questa Direzione non ritiene di dover aderire per il caso in esame.

La tutela del diritto alla riservatezza può, da parte del Legislatore, subire una limitazione (proporzionale) a fronte del disvalore e della pericolosità sociali di talune condotte che si vogliono combattere e reprimere, proprio a salvaguardia di concorrenti e superiori valori e garanzie costituzionali. In definitiva, la tutela del diritto alla riservatezza può essere graduata ad opera del Legislatore in rapporto ad un’esigenza concreta – purché costituzionalmente protetta – posta come termine di paragone (v. il caso di legittimità costituzionale dell’art. 132 D.Lgs. n. 196/2003 in Corte Cost. n. 372/2006); la maggiore o minore limitazione alla tutela del diritto alla riservatezza sarà costituzionalmente fondata se posta in relazione con la maggiore o minore gravità attribuita dal Legislatore ad illeciti diversi individuati secondo scelte di politica legislativa.

In questo senso, gli strumenti di cui all’art. 36 bis cit. rispondono tutti in modo costituzionalmente adeguato agli intenti programmatici del Legislatore e di cui al comma 1 dello stesso articolo (“al fine di garantire la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori nei settori dell’edilizia, nonché al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare…)”; e tutto ciò nel rispetto dei principi inderogabili sanciti dagli artt. 2, 32, 35 e 41 comma 2, Cost. Pertanto, la indicazione contenuta nella circolare ministeriale – che, peraltro, ha solamente esplicitato il concetto di “generalità del lavoratore” senza apportare alcuna indebita integrazione concettuale e terminologica del precetto legislativo – risulta essere sotto ogni profilo, formale e sostanziale, rispettosa del principio del trattamento dei soli dati personali che siano pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per cui sono raccolti e trattati (v. art. 11, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 196/2003).

Oltre a ciò, si consideri anche la necessità di leggere la norma de quo in correlazione con quanto sancito dal successivo comma 4: “i datori di lavoro con meno di dieci dipendenti possono assolvere all’obbligo di cui al comma 3 mediante annotazione, su apposito registro di cantiere vidimato dalla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente da tenersi sul luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori”. Il Registro di cantiere di cui all’art. 36 bis, comma 4, del D.L. n. 223/2006 – vidimato dalla competente D.P.L. e da tenersi sul luogo di lavoro – è strutturato sul modello del “vecchio” libro di matricola. Infatti sullo stesso dovranno essere trascritti gli estremi (id est i dati anagrafici) del personale giornalmente impiegato in cantiere e ciò al fine di soddisfare, se pur in altro modo, il contenuto precettivo di cui al precedente comma 3 dell’art. 36 bis.

IL DIRETTORE GENERALE

(f.to Paolo Pennesi)

LC