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È lecito riprendere la vicina sotto la doccia se la casa è priva di tende

Privacy - Cassazione Penale: è lecito riprendere la vicina sotto la doccia se la casa è priva di tende
Privacy - Cassazione Penale: è lecito riprendere la vicina sotto la doccia se la casa è priva di tende

La Cassazione, con una recentissima sentenza, si è pronunciata su una delicata vicenda, emettendo un verdetto alquanto inaspettato, con il quale la Suprema Corte ha ribaltato quanto espresso dalla Corte d’Appello di Milano, affermando che non commette il reato di interferenza illecita nella vita privata chi riprende la propria vicina nuda con un comune cellulare, senza, quindi, utilizzare alcun accorgimento (ossia speciali strumenti tecnologici, come ad esempio un teleobiettivo o zoom), se l’abitazione della persona offesa è priva di tende. Un verdetto, quello della Suprema Corte, che potrebbe mettere a rischio la tutela della privacy durante il “normale” svolgimento di atti della vita privata compiuti tra le mura domestiche.

 

Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione

Nel caso in esame, un uomo impugnava dinanzi la Corte d’Appello di Milano quanto deciso dal Tribunale di Busto Arsizio, che lo aveva condannato per aver compiuto, in più occasioni, atti sessuali nei confronti di una minore di dieci anni, per essersi procurato indebitamente, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva, più immagini di tre proprie dipendenti, mentre erano intente a cambiarsi l’abito all’interno dello spogliatoio di un esercizio commerciale, considerato dalla Corte territoriale luogo di privata dimora, e, infine, per essersi procurato indebitamente video e fotografie di una donna nuda e intenta ad uscire dalla doccia mentre si trovava all’interno dell’abitazione della madre.

La Corte territoriale ha ridotto la pena inflittagli dal Tribunale di Busto Arsizio a tre anni e due mesi di reclusione, condannandolo a risarcire anche i danni sopportati in proprio dai genitori della minore vittima del reato di violenza sessuale e quelli sopportati dalle proprie dipendenti riprese nello spogliatoio.

L’uomo, avverso la sentenza della Corte d’Appello, ha proposto ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivazioni, di seguito riportate:

1) con il primo motivo l’imputato lamenta l’errata qualificazione come luogo di privata dimora del locale, trattandosi di un magazzino utilizzato saltuariamente come spogliatoio, al quale era consentito l’accesso a tutti i dipendenti dell’esercizio commerciale e al datore di lavoro;

2) con il secondo motivo il ricorrente contesta l’indebita realizzazione di filmati e fotografie nei confronti di una vicina di casa mentre si trovava nella doccia, non avendo la Corte territoriale considerato la circostanza che l’abitazione dell’imputato e quella della persona offesa erano adiacenti e che la vicina era consapevole che la propria abitazione era priva di tende e nonostante ciò si mostrava nuda e, pertanto, ritenendo insussistenti le lesioni alla riservatezza della persona fotografata;

3) con il terzo e ultimo motivo, l’imputato lamenta il mancato riconoscimento della riparazione del danno, nonostante il pagamento di una somma di denaro a favore dei genitori della vittima di reato anteriormente al giudizio di primo grado, senza esser stati compiuti accertamenti sull’entità del danno subito dalla minore.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato solamente in relazione al reato di cui al punto 2) delle suddette motivazioni. Secondo la Corte territoriale la condotta dell’imputato era punibile ai sensi dell’articolo 615 bis del Codice penale, non rilevando che la realizzazione di video e di fotografie nei confronti della persona offesa che si trovava del bagno di una abitazione privata erano state effettuate dall’imputato per l’assenza di tenda alla finestra.

La Corte di Cassazione ha ribaltato quanto affermato dalla Corte d’Appello di Milano, ritenendo che trovandosi le due abitazioni (dell’imputato e della persona offesa) frontistanti,  l’assenza di una tenda alla finestra del bagno dove si trovava la persona offesa e il mancato utilizzo da parte dell’imputato di speciali strumenti tecnologici per fotografare e filmare la donna, deve escludersi la configurabilità del reato di interferenza illecita nella vita privata. La Cassazione ha statuito che: “affinché la condotta descritta dall’articolo 615 bis del Codice penale integri il reato, non è sufficiente che la stessa abbia ad oggetto immagini che riguardino atti che si svolgano in uno dei luoghi indicati dall’articolo 614 del Codice penale (abitazione o altro luogo di privata dimora), ma è anche necessario che tale condotta sia posta in essere indebitamente”.

La Suprema Corte non ha ritenuto fondate le affermazioni dell’imputato riportate nel secondo motivo di ricorso, in merito alla responsabilità riconosciutagli dalla Corte d’Appello di Milano per essersi procurato indebitamente video ritraenti tre proprie dipendenti intente a cambiarsi nello spogliatoio dell’esercizio commerciale.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretto quanto pronunciato dalla Corte territoriale, la quale ha affermato che: “l’utilizzo solo occasionale del magazzino come spogliatoio non impedisce di considerare il locale come luogo di privata dimora, in quanto luogo destinato a consentire riservatamente il compimento di un atto della vita privata senza intrusioni esterne”.

Infondato è, per la Suprema Corte, anche il terzo motivo di ricorso dell’imputato, relativo all’esclusione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’articolo 62, n. 6 del Codice penale, pur avendo il ricorrente corrisposto ai genitori della vittima la somma di euro 50.000,00 a titolo di risarcimento del danno, anteriormente all’inizio del giudizio di primo grado. La Corte d’Appello di Milano ha escluso quanto previsto dal citato articolo in considerazione della gravità delle condotte poste in essere dall’imputato, tenendo conto della giovane età della vittima e del rapporto di parentela esistente tra l’imputato e la minore. Pertanto, secondo la Cassazione, il riferimento alla gravità delle condotte può essere ritenuto sufficiente a escludere il soddisfacimento della somma corrisposta dall’imputato a titolo risarcitorio, accettata dai genitori della minore in acconto sulla maggior somma richiesta a titolo di risarcimento del danno.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all’articolo 615 bis del Codice penale, commesso in danno della donna vicina di casa dell’imputato mediante videoriprese, perché il fatto non sussiste ed ha rigettato il ricorso per i restanti motivi.  

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 8 gennaio 2019, n. 372)