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Mobilità per compensazione – non occorre seguire la procedura prevista dall’art. 30 del dlg. 165/2010

Delibera Corte dei Conti Veneto
I particolari adempimenti procedurali a carico delle amministrazioni che vogliono attivare la procedura di mobilità di cui all’art. 30, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 49, comma 1, del D. Lgs. n. 150/2009, che impone l’adozione di appositi bandi di mobilità con l’indicazione dei posti disponibili in dotazione organica che si intendono coprire attraverso il ricorso al predetto istituto, previa definizione dei requisiti richiesti e dei criteri di scelta su cui si fonderà la valutazione delle candidature pervenute, non vanno espletati qualora l’amministrazione voglia ricorrere alla cosiddetta mobilità diretta o reciproca (o per compensazione), quella cioè attuata per passaggio diretto tra diverse amministrazioni nella quale gli enti si scambiano i dipendenti, su iniziativa o con il consenso degli stessi.

In ogni caso, alla luce dei nuovi compiti assegnati alla dirigenza dal Decreto Brunetta, che ha introdotto importanti innovazioni in ordine alla formazione, valutazione e responsabilizzazione dei dirigenti prevedendo, tra l’altro il rafforzamento delle prerogative dirigenziali e l’introduzione di un più rigoroso sistema di valutazione della performance del personale nell’ottica di una riforma dell’impiego pubblico mirante al rafforzamento della meritocrazia, gli enti che vogliono attivare la procedura di mobilità ex art. 30 del D. Lgs. n. 165/2001 dovranno acquisire, comunque, il parere favorevole dei dirigenti responsabili dei settori presso i quali i dipendenti in mobilità presteranno servizio, parere che dovrà tenere in debita evidenza la professionalità del dipendente in entrata.

Lo ha precisato la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto con la deliberazione n. 227/2010, depositata il 9 novembre 2010.

La problematica relativa all’utilizzo della procedura di mobilità di cui all’articolo 30 del D. Lgs 165/2001 per sopperire al fabbisogno di personale è strettamente correlata a quella del rispetto da parte degli enti locali dei vincoli di spesa per il personale e assunzionali imposti a tutela degli equilibri di finanza pubblica dalle normative susseguitesi negli ultimi anni.

L’art. 30, del d.lgs 165/2001 disciplina l’istituto della mobilità del personale tra amministrazioni.

La norma, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Brunetta disponeva: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell’amministrazione di appartenenza”.

Proprio in relazione all’utilizzo dell’istituto della mobilità esterna la Corte dei Conti aveva già avuto modo di affermare che la mobilità in entrata non genera assunzione e la mobilità in uscita non genera cessazione del rapporto di lavoro, in quanto l’istituto della mobilità esterna, soprattutto a seguito della novella introdotta dall’art. 16 della legge 28 novembre 2005 n. 246, non determina più un “passaggio tra amministrazioni diverse”, bensì una “cessione del contratto” di lavoro, ossia una mera modificazione dal lato soggettivo (datoriale) del contratto di lavoro (Deliberazione n. 185/2008/PAR).

Tali considerazioni erano state già state evidenziate nella delibera 183/2008/PAR, nella quale con riferimento alla mobilità in entrata, si segnalava anche la vigenza dell’art. 1, comma 47 della legge n. 311/2004, che in presenza di regimi di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato consente espressamente trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime medesimo, purché avessero rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente.

La violazione del patto di stabilità nell’esercizio precedente costituisce, dunque, un’ipotesi limite, in presenza della quale, a tutela degli equilibri generali di finanza pubblica e dell’osservanza degli impegni assunti dal Paese in sede comunitaria, è previsto il blocco totale di assunzioni, che si estende espressamente anche alla mobilità esterna (Deliberazione 183/2008/PAR).

A seguito della riscrittura intervenuta con D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 (Decreto Brunetta) il comma 1 dell’articolo 30 attualmente dispone: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire”.

La riforma Brunetta, in un’ottica di maggior responsabilizzazione, assegna ai dirigenti la valutazione delle professionalità dei lavoratori destinatari della procedura di mobilità, subordinando questa ultima al loro parere favorevole.

Si deve poi ulteriormente evidenziare che l’art. 1, comma 557, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria per il 2005), prevede che «i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre Amministrazioni locali purché autorizzati dall’Amministrazione di provenienza».

Mentre l’art. 1 comma 47 della medesima Legge prevede che “In vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente”.

Peraltro, sempre la Sezione del Veneto aveva anche chiarito, in relazione ad una fattispecie nella quale la richiesta di esperire la procedura di mobilità proveniva da parte di un ente che aveva violato il Patto di stabilità, che la mobilità esterna seppure inidonea sotto il profilo giuslavoristico a determinare una soluzione di continuità nel rapporto di lavoro, è da considerare, dal punto di vista dei vincoli di finanza pubblica imposti agli enti inottemperanti al patto di stabilità, quale strumento di incremento dei contratti e della spesa del personale, e dunque temporaneamente vietato al fine di consentire le necessarie misure di rientro all’interno dei limiti legislativamente imposti (Deliberazione n. 172 /2009/ PAR).

Altresì, nella deliberazione da ultimo citata, si legge che “La violazione del patto di stabilità nell’esercizio precedente costituisce, dunque, un’ipotesi limite, in presenza della quale, a tutela degli equilibri generali di finanza pubblica e dell’osservanza degli impegni assunti dal Paese in sede comunitaria, è previsto il blocco totale di assunzioni, che si estende espressamente anche alla mobilità esterna”, affermando tuttavia che “Mentre, infatti, in una logica di turn over e di spesa di comparto la mobilità in entrata può essere neutrale se posta in correlazione con una mobilità in uscita, in un’ottica sanzionatoria, invece, quale quella del blocco totale delle assunzioni, che prende in considerazione solo l’ente inottemperante al patto, la mobilità in entrata risulta vietata in quanto causa di incremento sostanziale delle posizioni contrattuali facenti capo all’ente, e della conseguente spesa di personale”.

Già in quella sede, dunque, la Sezione sosteneva che l’esperimento di una procedura di mobilità in entrata, se posta in relazione ad una in uscita da parte di enti soggetti al Patto (ma che non lo avevano violato) poteva ben effettuarsi determinandosi quale conseguenza una neutralità in termini di spesa a livello di comparto.

Viceversa, l’esperimento di una procedura di mobilità in entrata se posta in relazione ad una in uscita (da parte di un ente che abbia violato il Patto di stabilità) determinerebbe un aggiramento dei divieti assunzionali quali sanzioni poste a carico delle amministrazioni violatrici.

A detta conclusione perveniva anche il Dipartimento della Funzione pubblica con la Circolare n. 4/2008 nella quale si specificava (anche se in relazione alla particolare mobilità tra amministrazioni appartenenti a compartimenti diversi) che: “la mobilità intercompartimentale all’interno dei due diversi blocchi delle amministrazioni soggette a regimi di limitazione delle assunzioni e di quelle non soggette a limitazioni, garantisce la necessaria neutralità della mobilità sugli equilibri economico-finanziari ed impedisce che essa sia esperita come leva per nuove assunzioni di personale. In proposito, appare opportuno ricordare che la mobilità di personale non può essere considerata cessazione: a seguito del trasferimento infatti, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro e dunque l’amministrazione cedente può solo beneficiare dell’avvenuta cessione del contratto in termini di risparmio di spesa e di razionalizzazione degli organici, mentre la spesa permane in termini globali. Ciò significa che occorre operare una distinzione fra cessazione in un’ottica aziendale e cessazione come economia di spesa per l’intero settore pubblico; distinzione in base al quale il legislatore ha costruito la disciplina vigente in tema di assunzioni. Pertanto, la cessazione per mobilità non può essere considerata utile ai fini delle assunzioni vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente.”

Sulla problematica generale del ricorso alla mobilità esterna, è intervenuta anche la Sezione delle Autonomie nella Deliberazione 27 novembre 2009 n. 21/QMIG affermando che “…………occorre considerare che la mobilità di personale in uscita, comporta che, a seguito del trasferimento, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro per cui l’amministrazione cedente può solo beneficiare, in termini di risparmio di spesa, dell’avvenuta cessazione del contratto – terminologia quest’ultima utilizzata dall’art. 16 della legge 28 novembre 2005, n. 246 per qualificare la mobilità – spesa che rimane inalterata in termini globali nell’ambito dell’intero settore pubblico. Occorre altresì tenere conto che, ai sensi dell’art. 1, comma 47, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte a disciplina limitativa, è libera in quanto tale modalità di trasferimento non genera alcuna variazione della spesa complessiva e quindi l’operazione risulta neutra per la finanza pubblica. Viceversa se, a fronte di una mobilità in uscita, fosse consentito di procedere a nuova assunzione, ciò darebbe luogo, oltre che a un incremento complessivo numerico di personale anche a un nuovo onere a carico della finanza. Del resto, corrisponde ad un principio di carattere generale che per effettiva cessazione debba intendersi il collocamento di un soggetto al di fuori del circuito di lavoro, con conseguente venire meno della remunerazione, caratteristica che non si attaglia al fenomeno della mobilità. Pertanto questa Sezione, ferme restando tutte le altre prescrizioni poste dalla norma, concernenti vincoli e limiti assunzionali, ritiene che la cessazione per mobilità non sia idonea a consentire assunzioni che, come stabilito dall’art. 1, comma 562, della legge n. 296/2006, siano vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente”.

La stessa Sezione delle Autonomie sembra propendere dunque verso una qualificazione della mobilità dei dipendenti tra enti in termini di neutralità della spesa non idonea, dunque, a caratterizzare una vera e propria cessazione che, come tale, possa considerarsi quale presupposto per attivare una procedura di assunzione.

Tuttavia, va anche evidenziato che si è formato un consolidato orientamento interpretativo, anteriore alla ricordata pronuncia della Sezione delle autonomie ma anche successivo alla stessa, da parte di alcune Sezioni della Corte dei conti in base al quale i processi di mobilità esterna presso altro ente, non avendo più l’ente cedente alcuna titolarità del pregresso rapporto di lavoro, vanno considerati equivalenti alla cessazione.

In tale ottica, dunque, il trasferimento per mobilità seppure inidoneo, sotto il profilo giuslavoristico, a determinare una soluzione di continuità nel rapporto di lavoro è da considerare, dal punto di vista della disciplina di contabilità e finanza pubblica, quale cessazione del rapporto di lavoro presso l’ente di provenienza e, di contro, quale assunzione presso l’ente di destinazione.

Per tale tesi il trasferimento per mobilità non deve essere configurato ed utilizzato come un grimaldello volto a scardinare i ricordati vincoli assunzionali mediante un operazione che consenta l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro al fuori dei limiti numerici e di spesa previsti dalla disciplina vigente.

In base a tale ultima ricostruzione consegue che il trasferimento per mobilità è a tutti gli effetti da considerare, da un lato, quale cessazione per l’ente di partenza e, dall’altro, quale assunzione, per l’ente di destinazione cosicché, può procedersi al trasferimento solo se quest’ultimo è nelle condizioni finanziarie di poter assumere (Sezione regionale di controllo per la Lombardia ex multis Deliberazioni nn. 33 e n. 91 del 2008 e n. 18 del 2009, nonché nn. 123/2010 e 443/2010). Sostiene infatti la Sezione lombarda che la mobilità si configurerebbe pertanto “ex se in termini di neutralità di spesa solo se la stessa avvenga tra amministrazioni entrambe sottoposte a vincoli in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Al contrario, la mobilità non è considerata neutrale, quando l’amministrazione cedente non è sottoposta a vincoli sulle assunzioni e invece lo è l’amministrazione ricevente che, in questo caso, potrà procedere alla costituzione di un nuovo rapporto solo nei limiti in cui potrà procedere a nuove assunzioni e a incrementi di spesa del personale” ed ancora “….se, a fronte di una mobilità in uscita, fosse consentito procedere a nuove assunzioni, ciò darebbe luogo oltre ad un incremento complessivo numerico di personale anche ad un onere aggiuntivo a carico della finanza pubblica. Conseguentemente, l’esclusione dal novero delle cessazioni di lavoro di quelle derivanti da trasferimento per mobilità deve essere riconducibile esclusivamente ai casi in cui si intenda procedere alla relativa sostituzione con una nuova assunzione dall’ esterno e quindi con un aumento numerico del personale e del complessivo onere. Mentre la sostituzione con una corrispondente mobilità in entrata non genera alcuna variazione della spesa pubblica complessiva.” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia Deliberazione n. 524 del 28 aprile 2010).

In particolare la linea interpretativa sopra ricordata evidenzia che la mobilità può essere attuata anche fra enti che debbono rispondere a limiti differenziati (soggetti e non soggetti al Patto di stabilità) purché, a conclusione dell’operazione, non vi sia stata alcuna variazione nella consistenza numerica e nell’ammontare della spesa di personale, fatte salve le specifiche possibilità di incremento accordate dalla disciplina di settore a ciascun ente (Sezione regionale di controllo per la Lombardia Deliberazione n. 524 del 28 aprile 2010 citata).

La possibilità dunque di esperire la procedura di mobilità si pone in stretta correlazione con la problematica relativa alla disciplina normativa che impone vincoli sulla spesa del personale ed assunzionali.

La Corte chiarisce quindi la modalità da seguire.

Il ricordato comma 1, dell’art. 30, come riscritto dal Decreto Brunetta, prevede una serie di adempimenti a carico delle amministrazioni che vogliono attivare la procedura di mobilità di seguito riassumibili:

• rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni (comma 1, secondo periodo):

• preventiva fissazioni dei criteri di scelta (comma 1, secondo periodo);

• possesso da parte del dipendente della professionalità necessaria in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (comma 1, terzo periodo)

• acquisizione del parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (Comma 1, terzo periodo)

La Corte ritiene che i predetti adempimenti vadano espletati qualora si voglia procedere senza ricorrere alla cosiddetta mobilità diretta o reciproca (o per compensazione): quella cioè attuata per passaggio diretto tra diverse amministrazioni nella quale gli enti si scambiano i dipendenti (su iniziativa o con il consenso degli stessi) realizzando una scelta organizzativa a somma zero che non lascia margini alle aspettative di altri soggetti.

In ogni caso, alla luce dei nuovi compiti assegnati alla dirigenza dal Decreto Brunetta (che ha introdotto importanti innovazioni in ordine alla formazione, valutazione e responsabilizzazione dei dirigenti prevedendo, tra l’altro il rafforzamento delle prerogative dirigenziali e l’introduzione di un più rigoroso sistema di valutazione della performance del personale nell’ottica di una riforma dell’impiego pubblico mirante al rafforzamento della meritocrazia), gli enti che vogliono attivare la procedura di mobilità ex art. 30 del d. lgs 165/2001 dovranno acquisire, comunque, il parere favorevole dei dirigenti responsabili dei settori presso i quali i dipendenti in mobilità presteranno servizio: parere che dovrà tenere in debita evidenza la professionalità del dipendente in entrata.

I particolari adempimenti procedurali a carico delle amministrazioni che vogliono attivare la procedura di mobilità di cui all’art. 30, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 49, comma 1, del D. Lgs. n. 150/2009, che impone l’adozione di appositi bandi di mobilità con l’indicazione dei posti disponibili in dotazione organica che si intendono coprire attraverso il ricorso al predetto istituto, previa definizione dei requisiti richiesti e dei criteri di scelta su cui si fonderà la valutazione delle candidature pervenute, non vanno espletati qualora l’amministrazione voglia ricorrere alla cosiddetta mobilità diretta o reciproca (o per compensazione), quella cioè attuata per passaggio diretto tra diverse amministrazioni nella quale gli enti si scambiano i dipendenti, su iniziativa o con il consenso degli stessi.

In ogni caso, alla luce dei nuovi compiti assegnati alla dirigenza dal Decreto Brunetta, che ha introdotto importanti innovazioni in ordine alla formazione, valutazione e responsabilizzazione dei dirigenti prevedendo, tra l’altro il rafforzamento delle prerogative dirigenziali e l’introduzione di un più rigoroso sistema di valutazione della performance del personale nell’ottica di una riforma dell’impiego pubblico mirante al rafforzamento della meritocrazia, gli enti che vogliono attivare la procedura di mobilità ex art. 30 del D. Lgs. n. 165/2001 dovranno acquisire, comunque, il parere favorevole dei dirigenti responsabili dei settori presso i quali i dipendenti in mobilità presteranno servizio, parere che dovrà tenere in debita evidenza la professionalità del dipendente in entrata.

Lo ha precisato la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto con la deliberazione n. 227/2010, depositata il 9 novembre 2010.

La problematica relativa all’utilizzo della procedura di mobilità di cui all’articolo 30 del D. Lgs 165/2001 per sopperire al fabbisogno di personale è strettamente correlata a quella del rispetto da parte degli enti locali dei vincoli di spesa per il personale e assunzionali imposti a tutela degli equilibri di finanza pubblica dalle normative susseguitesi negli ultimi anni.

L’art. 30, del d.lgs 165/2001 disciplina l’istituto della mobilità del personale tra amministrazioni.

La norma, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Brunetta disponeva: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell’amministrazione di appartenenza”.

Proprio in relazione all’utilizzo dell’istituto della mobilità esterna la Corte dei Conti aveva già avuto modo di affermare che la mobilità in entrata non genera assunzione e la mobilità in uscita non genera cessazione del rapporto di lavoro, in quanto l’istituto della mobilità esterna, soprattutto a seguito della novella introdotta dall’art. 16 della legge 28 novembre 2005 n. 246, non determina più un “passaggio tra amministrazioni diverse”, bensì una “cessione del contratto” di lavoro, ossia una mera modificazione dal lato soggettivo (datoriale) del contratto di lavoro (Deliberazione n. 185/2008/PAR).

Tali considerazioni erano state già state evidenziate nella delibera 183/2008/PAR, nella quale con riferimento alla mobilità in entrata, si segnalava anche la vigenza dell’art. 1, comma 47 della legge n. 311/2004, che in presenza di regimi di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato consente espressamente trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime medesimo, purché avessero rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente.

La violazione del patto di stabilità nell’esercizio precedente costituisce, dunque, un’ipotesi limite, in presenza della quale, a tutela degli equilibri generali di finanza pubblica e dell’osservanza degli impegni assunti dal Paese in sede comunitaria, è previsto il blocco totale di assunzioni, che si estende espressamente anche alla mobilità esterna (Deliberazione 183/2008/PAR).

A seguito della riscrittura intervenuta con D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 (Decreto Brunetta) il comma 1 dell’articolo 30 attualmente dispone: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire”.

La riforma Brunetta, in un’ottica di maggior responsabilizzazione, assegna ai dirigenti la valutazione delle professionalità dei lavoratori destinatari della procedura di mobilità, subordinando questa ultima al loro parere favorevole.

Si deve poi ulteriormente evidenziare che l’art. 1, comma 557, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria per il 2005), prevede che «i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre Amministrazioni locali purché autorizzati dall’Amministrazione di provenienza».

Mentre l’art. 1 comma 47 della medesima Legge prevede che “In vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente”.

Peraltro, sempre la Sezione del Veneto aveva anche chiarito, in relazione ad una fattispecie nella quale la richiesta di esperire la procedura di mobilità proveniva da parte di un ente che aveva violato il Patto di stabilità, che la mobilità esterna seppure inidonea sotto il profilo giuslavoristico a determinare una soluzione di continuità nel rapporto di lavoro, è da considerare, dal punto di vista dei vincoli di finanza pubblica imposti agli enti inottemperanti al patto di stabilità, quale strumento di incremento dei contratti e della spesa del personale, e dunque temporaneamente vietato al fine di consentire le necessarie misure di rientro all’interno dei limiti legislativamente imposti (Deliberazione n. 172 /2009/ PAR).

Altresì, nella deliberazione da ultimo citata, si legge che “La violazione del patto di stabilità nell’esercizio precedente costituisce, dunque, un’ipotesi limite, in presenza della quale, a tutela degli equilibri generali di finanza pubblica e dell’osservanza degli impegni assunti dal Paese in sede comunitaria, è previsto il blocco totale di assunzioni, che si estende espressamente anche alla mobilità esterna”, affermando tuttavia che “Mentre, infatti, in una logica di turn over e di spesa di comparto la mobilità in entrata può essere neutrale se posta in correlazione con una mobilità in uscita, in un’ottica sanzionatoria, invece, quale quella del blocco totale delle assunzioni, che prende in considerazione solo l’ente inottemperante al patto, la mobilità in entrata risulta vietata in quanto causa di incremento sostanziale delle posizioni contrattuali facenti capo all’ente, e della conseguente spesa di personale”.

Già in quella sede, dunque, la Sezione sosteneva che l’esperimento di una procedura di mobilità in entrata, se posta in relazione ad una in uscita da parte di enti soggetti al Patto (ma che non lo avevano violato) poteva ben effettuarsi determinandosi quale conseguenza una neutralità in termini di spesa a livello di comparto.

Viceversa, l’esperimento di una procedura di mobilità in entrata se posta in relazione ad una in uscita (da parte di un ente che abbia violato il Patto di stabilità) determinerebbe un aggiramento dei divieti assunzionali quali sanzioni poste a carico delle amministrazioni violatrici.

A detta conclusione perveniva anche il Dipartimento della Funzione pubblica con la Circolare n. 4/2008 nella quale si specificava (anche se in relazione alla particolare mobilità tra amministrazioni appartenenti a compartimenti diversi) che: “la mobilità intercompartimentale all’interno dei due diversi blocchi delle amministrazioni soggette a regimi di limitazione delle assunzioni e di quelle non soggette a limitazioni, garantisce la necessaria neutralità della mobilità sugli equilibri economico-finanziari ed impedisce che essa sia esperita come leva per nuove assunzioni di personale. In proposito, appare opportuno ricordare che la mobilità di personale non può essere considerata cessazione: a seguito del trasferimento infatti, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro e dunque l’amministrazione cedente può solo beneficiare dell’avvenuta cessione del contratto in termini di risparmio di spesa e di razionalizzazione degli organici, mentre la spesa permane in termini globali. Ciò significa che occorre operare una distinzione fra cessazione in un’ottica aziendale e cessazione come economia di spesa per l’intero settore pubblico; distinzione in base al quale il legislatore ha costruito la disciplina vigente in tema di assunzioni. Pertanto, la cessazione per mobilità non può essere considerata utile ai fini delle assunzioni vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente.”

Sulla problematica generale del ricorso alla mobilità esterna, è intervenuta anche la Sezione delle Autonomie nella Deliberazione 27 novembre 2009 n. 21/QMIG affermando che “…………occorre considerare che la mobilità di personale in uscita, comporta che, a seguito del trasferimento, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro per cui l’amministrazione cedente può solo beneficiare, in termini di risparmio di spesa, dell’avvenuta cessazione del contratto – terminologia quest’ultima utilizzata dall’art. 16 della legge 28 novembre 2005, n. 246 per qualificare la mobilità – spesa che rimane inalterata in termini globali nell’ambito dell’intero settore pubblico. Occorre altresì tenere conto che, ai sensi dell’art. 1, comma 47, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte a disciplina limitativa, è libera in quanto tale modalità di trasferimento non genera alcuna variazione della spesa complessiva e quindi l’operazione risulta neutra per la finanza pubblica. Viceversa se, a fronte di una mobilità in uscita, fosse consentito di procedere a nuova assunzione, ciò darebbe luogo, oltre che a un incremento complessivo numerico di personale anche a un nuovo onere a carico della finanza. Del resto, corrisponde ad un principio di carattere generale che per effettiva cessazione debba intendersi il collocamento di un soggetto al di fuori del circuito di lavoro, con conseguente venire meno della remunerazione, caratteristica che non si attaglia al fenomeno della mobilità. Pertanto questa Sezione, ferme restando tutte le altre prescrizioni poste dalla norma, concernenti vincoli e limiti assunzionali, ritiene che la cessazione per mobilità non sia idonea a consentire assunzioni che, come stabilito dall’art. 1, comma 562, della legge n. 296/2006, siano vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente”.

La stessa Sezione delle Autonomie sembra propendere dunque verso una qualificazione della mobilità dei dipendenti tra enti in termini di neutralità della spesa non idonea, dunque, a caratterizzare una vera e propria cessazione che, come tale, possa considerarsi quale presupposto per attivare una procedura di assunzione.

Tuttavia, va anche evidenziato che si è formato un consolidato orientamento interpretativo, anteriore alla ricordata pronuncia della Sezione delle autonomie ma anche successivo alla stessa, da parte di alcune Sezioni della Corte dei conti in base al quale i processi di mobilità esterna presso altro ente, non avendo più l’ente cedente alcuna titolarità del pregresso rapporto di lavoro, vanno considerati equivalenti alla cessazione.

In tale ottica, dunque, il trasferimento per mobilità seppure inidoneo, sotto il profilo giuslavoristico, a determinare una soluzione di continuità nel rapporto di lavoro è da considerare, dal punto di vista della disciplina di contabilità e finanza pubblica, quale cessazione del rapporto di lavoro presso l’ente di provenienza e, di contro, quale assunzione presso l’ente di destinazione.

Per tale tesi il trasferimento per mobilità non deve essere configurato ed utilizzato come un grimaldello volto a scardinare i ricordati vincoli assunzionali mediante un operazione che consenta l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro al fuori dei limiti numerici e di spesa previsti dalla disciplina vigente.

In base a tale ultima ricostruzione consegue che il trasferimento per mobilità è a tutti gli effetti da considerare, da un lato, quale cessazione per l’ente di partenza e, dall’altro, quale assunzione, per l’ente di destinazione cosicché, può procedersi al trasferimento solo se quest’ultimo è nelle condizioni finanziarie di poter assumere (Sezione regionale di controllo per la Lombardia ex multis Deliberazioni nn. 33 e n. 91 del 2008 e n. 18 del 2009, nonché nn. 123/2010 e 443/2010). Sostiene infatti la Sezione lombarda che la mobilità si configurerebbe pertanto “ex se in termini di neutralità di spesa solo se la stessa avvenga tra amministrazioni entrambe sottoposte a vincoli in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Al contrario, la mobilità non è considerata neutrale, quando l’amministrazione cedente non è sottoposta a vincoli sulle assunzioni e invece lo è l’amministrazione ricevente che, in questo caso, potrà procedere alla costituzione di un nuovo rapporto solo nei limiti in cui potrà procedere a nuove assunzioni e a incrementi di spesa del personale” ed ancora “….se, a fronte di una mobilità in uscita, fosse consentito procedere a nuove assunzioni, ciò darebbe luogo oltre ad un incremento complessivo numerico di personale anche ad un onere aggiuntivo a carico della finanza pubblica. Conseguentemente, l’esclusione dal novero delle cessazioni di lavoro di quelle derivanti da trasferimento per mobilità deve essere riconducibile esclusivamente ai casi in cui si intenda procedere alla relativa sostituzione con una nuova assunzione dall’ esterno e quindi con un aumento numerico del personale e del complessivo onere. Mentre la sostituzione con una corrispondente mobilità in entrata non genera alcuna variazione della spesa pubblica complessiva.” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia Deliberazione n. 524 del 28 aprile 2010). >I particolari adempimenti procedurali a carico delle amministrazioni che vogliono attivare la procedura di mobilità di cui all’art. 30, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 49, comma 1, del D. Lgs. n. 150/2009, che impone l’adozione di appositi bandi di mobilità con l’indicazione dei posti disponibili in dotazione organica che si intendono coprire attraverso il ricorso al predetto istituto, previa definizione dei requisiti richiesti e dei criteri di scelta su cui si fonderà la valutazione delle candidature pervenute, non vanno espletati qualora l’amministrazione voglia ricorrere alla cosiddetta mobilità diretta o reciproca (o per compensazione), quella cioè attuata per passaggio diretto tra diverse amministrazioni nella quale gli enti si scambiano i dipendenti, su iniziativa o con il consenso degli stessi.

In ogni caso, alla luce dei nuovi compiti assegnati alla dirigenza dal Decreto Brunetta, che ha introdotto importanti innovazioni in ordine alla formazione, valutazione e responsabilizzazione dei dirigenti prevedendo, tra l’altro il rafforzamento delle prerogative dirigenziali e l’introduzione di un più rigoroso sistema di valutazione della performance del personale nell’ottica di una riforma dell’impiego pubblico mirante al rafforzamento della meritocrazia, gli enti che vogliono attivare la procedura di mobilità ex art. 30 del D. Lgs. n. 165/2001 dovranno acquisire, comunque, il parere favorevole dei dirigenti responsabili dei settori presso i quali i dipendenti in mobilità presteranno servizio, parere che dovrà tenere in debita evidenza la professionalità del dipendente in entrata.

Lo ha precisato la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto con la deliberazione n. 227/2010, depositata il 9 novembre 2010.

La problematica relativa all’utilizzo della procedura di mobilità di cui all’articolo 30 del D. Lgs 165/2001 per sopperire al fabbisogno di personale è strettamente correlata a quella del rispetto da parte degli enti locali dei vincoli di spesa per il personale e assunzionali imposti a tutela degli equilibri di finanza pubblica dalle normative susseguitesi negli ultimi anni.

L’art. 30, del d.lgs 165/2001 disciplina l’istituto della mobilità del personale tra amministrazioni.

La norma, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Brunetta disponeva: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell’amministrazione di appartenenza”.

Proprio in relazione all’utilizzo dell’istituto della mobilità esterna la Corte dei Conti aveva già avuto modo di affermare che la mobilità in entrata non genera assunzione e la mobilità in uscita non genera cessazione del rapporto di lavoro, in quanto l’istituto della mobilità esterna, soprattutto a seguito della novella introdotta dall’art. 16 della legge 28 novembre 2005 n. 246, non determina più un “passaggio tra amministrazioni diverse”, bensì una “cessione del contratto” di lavoro, ossia una mera modificazione dal lato soggettivo (datoriale) del contratto di lavoro (Deliberazione n. 185/2008/PAR).

Tali considerazioni erano state già state evidenziate nella delibera 183/2008/PAR, nella quale con riferimento alla mobilità in entrata, si segnalava anche la vigenza dell’art. 1, comma 47 della legge n. 311/2004, che in presenza di regimi di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato consente espressamente trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime medesimo, purché avessero rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente.

La violazione del patto di stabilità nell’esercizio precedente costituisce, dunque, un’ipotesi limite, in presenza della quale, a tutela degli equilibri generali di finanza pubblica e dell’osservanza degli impegni assunti dal Paese in sede comunitaria, è previsto il blocco totale di assunzioni, che si estende espressamente anche alla mobilità esterna (Deliberazione 183/2008/PAR).

A seguito della riscrittura intervenuta con D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 (Decreto Brunetta) il comma 1 dell’articolo 30 attualmente dispone: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire”.

La riforma Brunetta, in un’ottica di maggior responsabilizzazione, assegna ai dirigenti la valutazione delle professionalità dei lavoratori destinatari della procedura di mobilità, subordinando questa ultima al loro parere favorevole.

Si deve poi ulteriormente evidenziare che l’art. 1, comma 557, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria per il 2005), prevede che «i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre Amministrazioni locali purché autorizzati dall’Amministrazione di provenienza».

Mentre l’art. 1 comma 47 della medesima Legge prevede che “In vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente”.

Peraltro, sempre la Sezione del Veneto aveva anche chiarito, in relazione ad una fattispecie nella quale la richiesta di esperire la procedura di mobilità proveniva da parte di un ente che aveva violato il Patto di stabilità, che la mobilità esterna seppure inidonea sotto il profilo giuslavoristico a determinare una soluzione di continuità nel rapporto di lavoro, è da considerare, dal punto di vista dei vincoli di finanza pubblica imposti agli enti inottemperanti al patto di stabilità, quale strumento di incremento dei contratti e della spesa del personale, e dunque temporaneamente vietato al fine di consentire le necessarie misure di rientro all’interno dei limiti legislativamente imposti (Deliberazione n. 172 /2009/ PAR).

Altresì, nella deliberazione da ultimo citata, si legge che “La violazione del patto di stabilità nell’esercizio precedente costituisce, dunque, un’ipotesi limite, in presenza della quale, a tutela degli equilibri generali di finanza pubblica e dell’osservanza degli impegni assunti dal Paese in sede comunitaria, è previsto il blocco totale di assunzioni, che si estende espressamente anche alla mobilità esterna”, affermando tuttavia che “Mentre, infatti, in una logica di turn over e di spesa di comparto la mobilità in entrata può essere neutrale se posta in correlazione con una mobilità in uscita, in un’ottica sanzionatoria, invece, quale quella del blocco totale delle assunzioni, che prende in considerazione solo l’ente inottemperante al patto, la mobilità in entrata risulta vietata in quanto causa di incremento sostanziale delle posizioni contrattuali facenti capo all’ente, e della conseguente spesa di personale”.

Già in quella sede, dunque, la Sezione sosteneva che l’esperimento di una procedura di mobilità in entrata, se posta in relazione ad una in uscita da parte di enti soggetti al Patto (ma che non lo avevano violato) poteva ben effettuarsi determinandosi quale conseguenza una neutralità in termini di spesa a livello di comparto.

Viceversa, l’esperimento di una procedura di mobilità in entrata se posta in relazione ad una in uscita (da parte di un ente che abbia violato il Patto di stabilità) determinerebbe un aggiramento dei divieti assunzionali quali sanzioni poste a carico delle amministrazioni violatrici.

A detta conclusione perveniva anche il Dipartimento della Funzione pubblica con la Circolare n. 4/2008 nella quale si specificava (anche se in relazione alla particolare mobilità tra amministrazioni appartenenti a compartimenti diversi) che: “la mobilità intercompartimentale all’interno dei due diversi blocchi delle amministrazioni soggette a regimi di limitazione delle assunzioni e di quelle non soggette a limitazioni, garantisce la necessaria neutralità della mobilità sugli equilibri economico-finanziari ed impedisce che essa sia esperita come leva per nuove assunzioni di personale. In proposito, appare opportuno ricordare che la mobilità di personale non può essere considerata cessazione: a seguito del trasferimento infatti, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro e dunque l’amministrazione cedente può solo beneficiare dell’avvenuta cessione del contratto in termini di risparmio di spesa e di razionalizzazione degli organici, mentre la spesa permane in termini globali. Ciò significa che occorre operare una distinzione fra cessazione in un’ottica aziendale e cessazione come economia di spesa per l’intero settore pubblico; distinzione in base al quale il legislatore ha costruito la disciplina vigente in tema di assunzioni. Pertanto, la cessazione per mobilità non può essere considerata utile ai fini delle assunzioni vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente.”

Sulla problematica generale del ricorso alla mobilità esterna, è intervenuta anche la Sezione delle Autonomie nella Deliberazione 27 novembre 2009 n. 21/QMIG affermando che “…………occorre considerare che la mobilità di personale in uscita, comporta che, a seguito del trasferimento, il rapporto di lavoro prosegue con un altro datore di lavoro per cui l’amministrazione cedente può solo beneficiare, in termini di risparmio di spesa, dell’avvenuta cessazione del contratto – terminologia quest’ultima utilizzata dall’art. 16 della legge 28 novembre 2005, n. 246 per qualificare la mobilità – spesa che rimane inalterata in termini globali nell’ambito dell’intero settore pubblico. Occorre altresì tenere conto che, ai sensi dell’art. 1, comma 47, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte a disciplina limitativa, è libera in quanto tale modalità di trasferimento non genera alcuna variazione della spesa complessiva e quindi l’operazione risulta neutra per la finanza pubblica. Viceversa se, a fronte di una mobilità in uscita, fosse consentito di procedere a nuova assunzione, ciò darebbe luogo, oltre che a un incremento complessivo numerico di personale anche a un nuovo onere a carico della finanza. Del resto, corrisponde ad un principio di carattere generale che per effettiva cessazione debba intendersi il collocamento di un soggetto al di fuori del circuito di lavoro, con conseguente venire meno della remunerazione, caratteristica che non si attaglia al fenomeno della mobilità. Pertanto questa Sezione, ferme restando tutte le altre prescrizioni poste dalla norma, concernenti vincoli e limiti assunzionali, ritiene che la cessazione per mobilità non sia idonea a consentire assunzioni che, come stabilito dall’art. 1, comma 562, della legge n. 296/2006, siano vincolate alle cessazioni verificatesi nell’anno precedente”.

La stessa Sezione delle Autonomie sembra propendere dunque verso una qualificazione della mobilità dei dipendenti tra enti in termini di neutralità della spesa non idonea, dunque, a caratterizzare una vera e propria cessazione che, come tale, possa considerarsi quale presupposto per attivare una procedura di assunzione.

Tuttavia, va anche evidenziato che si è formato un consolidato orientamento interpretativo, anteriore alla ricordata pronuncia della Sezione delle autonomie ma anche successivo alla stessa, da parte di alcune Sezioni della Corte dei conti in base al quale i processi di mobilità esterna presso altro ente, non avendo più l’ente cedente alcuna titolarità del pregresso rapporto di lavoro, vanno considerati equivalenti alla cessazione.

In tale ottica, dunque, il trasferimento per mobilità seppure inidoneo, sotto il profilo giuslavoristico, a determinare una soluzione di continuità nel rapporto di lavoro è da considerare, dal punto di vista della disciplina di contabilità e finanza pubblica, quale cessazione del rapporto di lavoro presso l’ente di provenienza e, di contro, quale assunzione presso l’ente di destinazione.

Per tale tesi il trasferimento per mobilità non deve essere configurato ed utilizzato come un grimaldello volto a scardinare i ricordati vincoli assunzionali mediante un operazione che consenta l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro al fuori dei limiti numerici e di spesa previsti dalla disciplina vigente.

In base a tale ultima ricostruzione consegue che il trasferimento per mobilità è a tutti gli effetti da considerare, da un lato, quale cessazione per l’ente di partenza e, dall’altro, quale assunzione, per l’ente di destinazione cosicché, può procedersi al trasferimento solo se quest’ultimo è nelle condizioni finanziarie di poter assumere (Sezione regionale di controllo per la Lombardia ex multis Deliberazioni nn. 33 e n. 91 del 2008 e n. 18 del 2009, nonché nn. 123/2010 e 443/2010). Sostiene infatti la Sezione lombarda che la mobilità si configurerebbe pertanto “ex se in termini di neutralità di spesa solo se la stessa avvenga tra amministrazioni entrambe sottoposte a vincoli in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Al contrario, la mobilità non è considerata neutrale, quando l’amministrazione cedente non è sottoposta a vincoli sulle assunzioni e invece lo è l’amministrazione ricevente che, in questo caso, potrà procedere alla costituzione di un nuovo rapporto solo nei limiti in cui potrà procedere a nuove assunzioni e a incrementi di spesa del personale” ed ancora “….se, a fronte di una mobilità in uscita, fosse consentito procedere a nuove assunzioni, ciò darebbe luogo oltre ad un incremento complessivo numerico di personale anche ad un onere aggiuntivo a carico della finanza pubblica. Conseguentemente, l’esclusione dal novero delle cessazioni di lavoro di quelle derivanti da trasferimento per mobilità deve essere riconducibile esclusivamente ai casi in cui si intenda procedere alla relativa sostituzione con una nuova assunzione dall’ esterno e quindi con un aumento numerico del personale e del complessivo onere. Mentre la sostituzione con una corrispondente mobilità in entrata non genera alcuna variazione della spesa pubblica complessiva.” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia Deliberazione n. 524 del 28 aprile 2010).

In particolare la linea interpretativa sopra ricordata evidenzia che la mobilità può essere attuata anche fra enti che debbono rispondere a limiti differenziati (soggetti e non soggetti al Patto di stabilità) purché, a conclusione dell’operazione, non vi sia stata alcuna variazione nella consistenza numerica e nell’ammontare della spesa di personale, fatte salve le specifiche possibilità di incremento accordate dalla disciplina di settore a ciascun ente (Sezione regionale di controllo per la Lombardia Deliberazione n. 524 del 28 aprile 2010 citata).

La possibilità dunque di esperire la procedura di mobilità si pone in stretta correlazione con la problematica relativa alla disciplina normativa che impone vincoli sulla spesa del personale ed assunzionali.

La Corte chiarisce quindi la modalità da seguire.

Il ricordato comma 1, dell’art. 30, come riscritto dal Decreto Brunetta, prevede una serie di adempimenti a carico delle amministrazioni che vogliono attivare la procedura di mobilità di seguito riassumibili:

• rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni (comma 1, secondo periodo):

• preventiva fissazioni dei criteri di scelta (comma 1, secondo periodo);

• possesso da parte del dipendente della professionalità necessaria in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (comma 1, terzo periodo)

• acquisizione del parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire (Comma 1, terzo periodo)

La Corte ritiene che i predetti adempimenti vadano espletati qualora si voglia procedere senza ricorrere alla cosiddetta mobilità diretta o reciproca (o per compensazione): quella cioè attuata per passaggio diretto tra diverse amministrazioni nella quale gli enti si scambiano i dipendenti (su iniziativa o con il consenso degli stessi) realizzando una scelta organizzativa a somma zero che non lascia margini alle aspettative di altri soggetti.

In ogni caso, alla luce dei nuovi compiti assegnati alla dirigenza dal Decreto Brunetta (che ha introdotto importanti innovazioni in ordine alla formazione, valutazione e responsabilizzazione dei dirigenti prevedendo, tra l’altro il rafforzamento delle prerogative dirigenziali e l’introduzione di un più rigoroso sistema di valutazione della performance del personale nell’ottica di una riforma dell’impiego pubblico mirante al rafforzamento della meritocrazia), gli enti che vogliono attivare la procedura di mobilità ex art. 30 del d. lgs 165/2001 dovranno acquisire, comunque, il parere favorevole dei dirigenti responsabili dei settori presso i quali i dipendenti in mobilità presteranno servizio: parere che dovrà tenere in debita evidenza la professionalità del dipendente in entrata.