Natura, motivazione ed effetti dell’informativa prefettizia antimafia
Sommario:
1. Il caso deciso
2. Natura dell’informativa antimafia
2.1. Le valutazioni spettanti al Prefetto
2.2. Brevi considerazioni sulle informative prefettizie
3. Obblighi della P.A. in caso di informative prefettizie inibitorie
4. Motivazione della risoluzione contrattuale in seguito all’informativa antimafia
5. i principi di diritto affermati
6. Precedenti giurisprudenziali
7. Spunti bibliografici
1. Il caso deciso.
La sentenza in commento interviene in una vicenda riguardante un consorzio formato da due società (S. e Q.) cui il Comune di Firenze aveva affidato lo svolgimento in forma associata delle procedure ad evidenza pubblica per la conclusione dei contratti di appalto. Nel corso di detta attività il consorzio indiceva una procedura aperta per l’affidamento del servizio di taglio e diserbo delle aree a verde e dei giardini pubblici del Comune di Firenze, della quale risultava aggiudicataria la società R.D., parte ricorrente.
Tuttavia, la Prefettura di Reggio Calabria faceva pervenire alle società consorziate la informativa antimafia interdittiva ex art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252 per effetto della quale veniva comunicato alla società R.D. la immediata revoca dell’affidamento.
Nel frattempo, la società Q. aggiudicava alla medesima società R.D. un lotto ricompreso in una procedura di cottimo fiduciario per l’affidamento dei servizi di pulizie tecniche e facchinaggio presso due discariche di propria competenza. Tale affidamento, a seguito del ricevimento della informativa antimafia, veniva tuttavia immediatamente revocato, previa comunicazione con lettera anticipata via fax e successivamente inviata per raccomandata.
La R.D. impugnava davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria sia la informativa antimafia sia, nei confronti delle consorziate Q. e S., i provvedimenti di revoca degli affidamenti contrattuali, nonché con ricorso per motivi aggiunti la revoca della aggiudicazione e i provvedimenti conseguenti.
Il Tar Calabria, sede di Reggio Calabria, dopo avere respinto la istanza cautelare con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato (ord. del 15 settembre 2010 n.4226), con sentenza 28 gennaio 2011 n.45 respingeva il ricorso. Avverso detta sentenza la società R.D. proponeva appello, contro la Prefettura di Reggio Calabria e la società Q., su cui la Sez. III del Consiglio di Stato si è pronunciata dichiarandolo in parte inammissibile, in parte infondato, così confermando la sentenza di primo grado.
2. Natura dell’informativa antimafia.
I giudici di Palazzo Spada, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, ricostruiscono la natura dell’informativa antimafia interdittiva prevista dall’art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252, definendola «misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva diversa e con funzione distinta dalle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale».[1]
Detta misura, dunque, rientra tra quelle aventi funzione inibitoria, irrogabili dal Prefetto - ai sensi dell’art. 84 del D. Lgs. 159/2011 - nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di polizia e di sicurezza, contro le ingerenze del crimine organizzato nelle attività economiche e nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Si tratta, pertanto, di strumenti anche eccezionali di reazione, previsti dalla legislazione antimafia che mirano a salvaguardare beni di primaria e fondamentale importanza per lo Stato, quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la libera determinazione degli organi elettivi, nonché il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata, purché siano commisurati alla gravità del pericolo, al rango dei valori tutelati, e alle necessità da fronteggiare.[2] Va precisato, inoltre, che la misura interdittiva de qua ha conservato la riferita natura di strumento di reazione flessibile e tempestivo, di competenza dell’Autorità amministrativa (prefetto), anche in seguito alle modifiche introdotte dal cd. "Codice Antimafia"(D. Lgs. n. 159/2011), il quale dedica il libro II alle «Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia», con l’obiettivo di riordinare e aggiornare tutta la delicata materia delle verifiche anti-criminalità negli appalti pubblici.
2.1 Le valutazioni spettanti al Prefetto.
Poiché l’informativa antimafia ha la finalità di anticipare il momento in cui la P.A. può intervenire in sede di autotutela amministrativa, al fine di evitare le possibili ingerenze della criminalità organizzata nello svolgimento dell’attività d’impresa, consiste in una informativa diretta soprattutto a verificare se l’impresa affidataria si possa considerare affidabile e, perciò, prescinde dai rilievi probatori tipici del processo penale, nonché dalla commissione di un illecito e dalla conseguente condanna, come accade, invece per le misure di sicurezza. Ciò risulta evidente anche alla luce dell’art. 84, co. 3, D. Lgs. 159/2011 in base al quale, le informative prefettizie hanno ad oggetto la verifica dell’esistenza di «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate» da cui si desume che è sufficiente anche la mera eventualità che l’impresa possa, anche in via indiretta, favorire la criminalità.
Come accennato, tale verifica spetta al Prefetto, il quale deve basare la propria valutazione su un quadro indiziario in cui assumono rilievo preponderante i fattori da cui trarre la conclusione che non sono manifestamente infondati i sospetti che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo attraverso cui le organizzazioni criminali intendano infiltrarsi negli appalti delle pubbliche amministrazioni. Egli, dunque, gode di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento discrezionale, nella ricerca e nella valutazione dei fatti sintomatici di eventuali connivenze o collegamenti di tipo mafioso; il che porta i consiglieri della Terza Sezione, ad affermare «che il sindacato del giudice amministrativo non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare, sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni», in modo da poter verificare se la valutazione del Prefetto sia sorretta da uno specifico e adeguato quadro indiziario.
In tal modo, la sentenza che si commenta si pone in linea di continuità con la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che configura le informative prefettizie in questione come esplicazione di "lata discrezionalità": come tali, non possono essere sindacate nel merito e il giudice amministrativo può soltanto sindacarne la legittimità, con particolare riguardo all’eccesso di potere, sotto i profili della motivazione insufficiente, o della manifesta illogicità, o, infine del travisamento dei fatti.
La stessa giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, che un’informativa prefettizia si può considerare adeguatamente motivata se si fonda sulle risultanze delle indagini condotte dalle forze dell’ordine, che abbiano registrato numerosi contatti e incontri, taluni di lunga durata, non occasionali o casuali "tra il titolare della società vincitrice di un appalto pubblico e soggetti pregiudicati e sospettati di essere parte attiva in consorterie appartenenti alla criminalità organizzata”.[3] Ciò discende dalla particolare valenza che la giurisprudenza di legittimità attribuisce alle relazioni di polizia, tra cui ad esempio rientra la "relazione di servizio" di un agente di polizia, considerata atto pubblico, che fa fede fino a querela di falso, con il quale il pubblico ufficiale attesta l’attività compiuta, precisando le circostanze avvenute sotto la sua diretta percezione.[4]
Ad ulteriore conferma dell’ampiezza dei poteri di valutazione attribuiti al Prefetto, giova segnalare che parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto legittima una informativa antimafia fondata su una serie di elementi i quali - singolarmente considerati - possono ritenersi insufficienti a comprovare la sussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti interdittivi in questione, ma - valutati nel loro insieme - consentono di tratteggiare un quadro sufficiente a giustificare la valutazione del Prefetto circa la sussistenza della possibilità che si verifichi un condizionamento mafioso, anche in via indiretta, dell’attività di impresa, con conseguente applicazione delle misure di carattere preventivo, introdotte dalla legislazione antimafia. [5]
Nella fattispecie posta all’esame del collegio, l’informativa prefettizia, ha evidenziato, una frequentazione reiterata, qualificata, durevole e attuale di uno dei soci della società aggiudicataria con noti capi-cosca locali, pur in assenza di precedenti penali in capo allo stesso e pur tenendo conto del particolare contesto territoriale. Il Prefetto aveva emanato il provvedimento interdittivo sulla scorta di una dettagliata relazione dell’Arma dei Carabinieri, dalla quale è emerso che costui aveva svolto attività libero professionale per conto di persone segnalate come appartenenti ad associazioni di stampo mafioso, operando non come «un imprenditore che ha offerto impersonalmente i propri servizi nel mercato senza conoscere i propri clienti», bensì come un vero e proprio consulente, instaurando con essi rapporti di natura fiduciaria, diretti, costanti e immediati, nonché di intensa «frequentazione, anche in ambito familiare, al di fuori delle necessità ordinariamente correlate a un rapporto professionale»
Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti, in primo luogo, per ravvisare il concreto pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose che giustifica l’emissione dell’informativa prevista dal legislatore allo scopo di salvaguardare i numerosi interessi pubblici coinvolti nel settore dei lavori pubblici, notoriamente assai appetito dalle organizzazioni mafiose e nel mercato dei servizi pubblici, caratterizzato dalla prevalenza della manodopera a basso tasso di qualificazione, e perciò anch’esso esposto alla ingerenza mafiosa; in secondo luogo, per assolvere all’obbligo generale di motivazione, stabilito dall’art. 3 della legge 241 del 1990, per tutti i provvedimenti amministrativi, tra cui rientra anche l’informativa de qua.
2.2 Brevi considerazioni sulle informative prefettizie.
Va precisato che, in seguito all’entrata in vigore del citato D. Lgs. n. 159/2011 (successiva al deposito della sentenza che si commenta), le fonti o le situazioni di fatto da cui possono essere tratte le indicazioni di «infiltrazione mafiosa» sono indicate dall’art. art. 84, co. 4, del "Codice Antimafia". A titolo di esempio, si possono citare i provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti connotati dal carattere mafioso [art. 84, co. 4, lett. a), D. Lgs. 159/2011] o le "sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti" destinatari di provvedimenti restrittivi o cautelari o interdittivi, qualora dette sostituzioni avvengano "con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia". [art. 84, co. 4, lett. f)]. Come rilevato dai primi commentatori del cd. "Codice Antimafia", il legislatore, oltre a prevedere "tali fonti di informazione, ha conferito al Prefetto il potere di rilevare il pericolo di infiltrazione mafiosa, oltre che da sentenze di condanna non definitiva per reati «strumentali», anche da concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa essere oggetto del condizionamento mafioso, anche indiretto (art. 91, co. 6, D. Lgs. 159/2011)"[6].
Anche in seguito alle modifiche legislative, le informative prefettizie, insieme alle certificazioni antimafia costituiscono “istituti di confine” volti a colpire talune categorie di soggetti che assumono relazioni qualificate con la criminalità mafiosa, nell’ottica di un efficace contrasto alle svariate forme di penetrazione della criminalità organizzata nelle attività economiche.[7] In tal modo, esse si affiancano agli altri strumenti coi quali lo Stato tenta di reagire alla costante minaccia rappresentata dalle organizzazioni mafiose, comunque denominate. Si tratta, in primo luogo, delle sanzioni penali, che, ai sensi dell’art. 416 bis Cod. Pen., colpiscono “chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso”, previa dimostrazione della “appartenenza” a tale associazione, certificata da un giudicato emesso dal Giudice penale. In secondo luogo, vengono in rilievo le misure di prevenzione patrimoniali e le nuove confische speciali, previste dalla L. 31 maggio 1965, n. 575 e successive modifiche ed integrazioni, dettate allo scopo di evitare che fatti illeciti di particolare gravità, connotati dalla cd. "mafiosità", potessero verificarsi in futuro. Esse sono disposte dall’Autorità giudiziaria ordinaria in seguito allo speciale procedimento di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1425 e successive modificazioni, incentrato sull’accertamento di “situazioni soggettive di pericolosità" cioè dell’esistenza di “indizi” di appartenenza a sodalizi mafiosi o a persone indiziate di particolari reati.
Le misure di prevenzione presentano qualche affinità con le informative antimafia: ne condividono, infatti, l’origine storica (derivano dalla fondamentale legge n. 646 del 1982, meglio nota come "Legge Rognoni – La Torre), alcuni effetti (la preclusione ai soggetti "in odore di mafia" di contrattare con la Pubblica Amministrazione) e le finalità; se ne differenziano per le modalità operative.[8] Infatti, mentre le misure di prevenzione colpiscono gli “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso” (art. 1 della L. 31 maggio 1965, n. 575), precludendo loro l’accesso al mondo degli appalti e dei finanziamenti pubblici, le misure amministrative di competenza del Prefetto, - come si è accennato - mirano a combattere gli “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”, come recitava l’art. 4, co.4, D. Lgs n. 490/1994, ora sostituito dall’art. 91, co. 6, del "Codice Antimafia").
3. Obblighi della P.A. in caso di informative prefettizie inibitorie.
La Terza Sezione, nella pronuncia in commento, affronta la questione se la P.A. abbia un obbligo di revocare o recedere dal rapporto contrattuale, in ipotesi di informative prefettizie rilasciate dopo la sua instaurazione.
A parere della società ricorrente, qualora l’informativa interdittiva sia emessa dopo che il contratto è stato stipulato, in capo alla P.A. procedente non sussiste alcun obbligo di revocare l’aggiudicazione o di recedere dal rapporto già instaurato, ma solo una residua "facoltà di revoca o di recesso".
I Giudici della Terza Sezione, invece, aderendo ad un orientamento interpretativo seguito da una parte della giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, confermano la decisione di primo grado, secondo cui la stazione appaltante non ha alcuna discrezionalità nell’apprezzare e valutare la sussistenza o la rilevanza dei tentativi di infiltrazione mafiosa ed è tenuta a motivare solo nell’ipotesi in cui ricorrano "stringenti ragioni di interesse pubblico giustificanti la prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata.”
A tale conclusione il Collegio perviene attraverso un’attenta disamina del quadro normativo disciplinante la misura interdittiva de qua.
Infatti, l’art. 10, comma II del D.P.R. n.252 del 1998 prevede espressamente il divieto per le amministrazioni destinatarie dell’informativa prefettizia di "stipulare, approvare o autorizzare i contratti o sub-contratti”, di “autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”, nel caso in cui dalle verifiche disposte dal Prefetto, emergano "elementi relativi a tentativi di infiltrazioni mafiosa nelle società o imprese interessate".
Detta norma va coordinata con i commi II e III del successivo art. 11, secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici se non ricevono l’informativa antimafia dall’autorità prefettizia entro quarantacinque giorni da quando questa abbia ricevuto la formale richiesta, ovvero in caso d’urgenza, procedono "anche in assenza delle informazioni del Prefetto". Tuttavia, "i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma I sono corrisposti sotto condizione risolutiva e l’amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite." Dette facoltà di revoca e di recesso "si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o alla autorizzazione del sub-contratto”.[9]
Le norme citate, dunque, prevedono, per la stazione appaltante, accanto al divieto di stipulare un contratto con un soggetto fortemente e concretamente a rischio di infiltrazione mafiosa, una facoltà di non revocare il contratto di appalto nonostante tale rischio. Il Consiglio di Stato, tuttavia, precisa che siffatta facoltà «non è nella libera disponibilità della stazione appaltante», dal momento che il rapporto contrattuale può essere proseguito soltanto se ricorrono comprovate «ragioni di interesse pubblico che giustifichino in via del tutto eccezionale, di pretermettere l’interesse superiore teso a impedire alle amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti con imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazioni mafiose.» In particolare - come precisato dallo stesso Collegio - si tratta di «una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria» e perciò l’amministrazione aggiudicatrice, al momento di decidere se proseguire nel rapporto contrattuale, deve valutare se tale soluzione sia conveniente "in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto e alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata”[10] In mancanza di tali ragioni di convenienza, appare condivisibile la soluzione adottata da quella parte di giurisprudenza che ritiene obbligatoria “la revoca del contratto qualora il condizionamento malavitoso dell’attività sia accertato a mezzo della informativa del Prefetto, il cui effetto interdittivo opera in modo automatico” e con effetti ex tunc.[11] In tal modo, si configura in capo all’amministrazione procedente un vero e proprio dovere di disporre la revoca dell’aggiudicazione o il recesso dal contratto, senza poter effettuare alcuna ponderazione, trattandosi di esercizio di un potere vincolato, col quale la stessa amministrazione si limita a riconoscere gli effetti risolutivi che la legge ricollega al verificarsi del rischio di infiltrazioni e/o condizionamenti mafiosi.[12]
Dal carattere eccezionale della facoltà di non recedere dal contratto e proseguire nel rapporto, il Collegio, nella decisione in commento, fa discendere che «il provvedimento di prosecuzione del rapporto contrattuale è soggetto a onere motivazionale rafforzato, nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia; ma, laddove, invece, la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.»
4. Motivazione della risoluzione contrattuale in seguito all’informativa antimafia.
La terza Sezione, nella pronuncia in commento, affronta, infine, la questione se l’amministrazione aggiudicatrice possa motivare "il provvedimento risolutivo del rapporto contrattuale successivo alla emanazione di informazione prefettizia negativa" attraverso un richiamo per relationem alla motivazione di quest’ultima.
A favore della soluzione positiva militano, in primo luogo, un argomento legato al tenore letterale del terzo comma dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n.241, il quale consente, come affermato dal Collegio, "la motivazione tramite rinvio a altro provvedimento per la cui legittimità è richiesto esclusivamente di portare nella sfera di conoscibilità legale del destinatario l’esistenza dell’atto richiamato potendosi all’uopo indicare gli estremi dell’atto e la tipologia dell’atto richiamato"; in secondo luogo, il fatto che "con riferimento alla materia della normativa antimafia le determinazioni amministrative in ordine alla risoluzione dei contratti di appalto in corso assumono sostanzialmente carattere vincolato non potendo l’ordinamento tollerare per ragioni di ordine pubblico la sopravvivenza di rapporti contrattuali con imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa."
Applicando tali argomentazioni alla fattispecie sottoposta al loro esame, i giudici hanno ritenuto che le società operanti per conto del Comune di Firenze, decidendo di revocare gli affidamenti disposti a favore della società ricorrente, abbiano assolto all’obbligo di motivazione ex art. 3, l. 241/90, attraverso il rinvio per relationem al contenuto della informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria
5. I principi di diritto affermati.
In conclusione, dalla sentenza in commento sono desumibili i seguenti principi.
La legislazione antimafia impone alla stazione appaltante il divieto di stipulare un contratto con una società di persone nei cui confronti emergano tentativi di infiltrazione mafiosa, a causa dei rapporti di frequentazione reiterata, qualificata, durevole e attuale, intrattenuti da uno o più soci con soggetti appartenenti alle organizzazioni mafiose, come evidenziati dalle verifiche disposto dal Prefetto, al fine del rilascio delle informazioni antimafia.
In ipotesi di informativa prefettizia antimafia pervenuta dopo che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione, l’amministrazione aggiudicatrice ha una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria in ordine alla prosecuzione del rapporto contrattuale con le imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazione mafiosa, correlato ad un onere motivazionale rafforzato nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia, ma laddove invece la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.
È da ritenersi sufficientemente motivata una informativa prefettizia antimafia che si basi sulla complessiva valutazione del quadro fattuale risultante da tutti gli elementi acquisiti per il tramite delle forze di polizia.
Deve ritenersi assolto l’obbligo motivazionale ex art. 3, l. 241/90 nell’ipotesi in cui il provvedimento di revoca dell’affidamento contrattuale, adottato in seguito ad informativa prefettizia antimafia, contenga un rinvio per relationem al contenuto di questa.
6. Precedenti giurisprudenziali.
Conformi: Cons. St., Sez. VI, 15 giugno 2011 , n. 3647; Cons. St., Sez. VI 8 aprile 2011 n. 2205; Cons. St., VI, 17 aprile 2009 n.2336; Tar Campania 7 novembre 2011 n. 5166.
7. Spunti bibliografici.
Alastra, D.S. “Le informative prefettizie antimafia: natura ed aspetti applicativi problematici”. (Nota a Cons. St. , Sez. V, sent. 12 ottobre 2010, n. 7407). in Nuove Frontiere del Diritto, rivista giuridica telematica n. 1/ gennaio 2012, pagg. 216 e ss, consultabile all’indirizzo https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0B_IxpR1msCbAZDUzY2JlYjYtMGZjNi00ZDViLWFkMDYtNjJjYTFiODhlOTEy&hl=it
Costagliola, A. Costagliola, A. "Codice antimafia (D. Lgs. 159/2011): le informative prefettizie quali strumento di contrasto alla criminalità organizzata" pubblicata in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet, ISSN 1127-8579, il 30/09/2011 all’indirizzo: http://www.diritto.it/docs/5087697-codice-antimafia-d-lgs-159-2011-le-informative-prefettizie-quali-strumento-di-contrastoalla-criminalit-organizzata?page=2&source=1&tipo=news
D’Aprile, V. La normativa antimafia nei contratti pubblici. in Nuove Frontiere del Diritto, rivista giuridica telematica n. 1/ gennaio 2012, pagg 18 e ss, consultabile all’indirizzo: https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0B_IxpR1msCbAZDUzY2JlYjYtMGZjNi00ZDViLWFkMDYtNjJjYTFiODhlOTEy&hl=it
Laperuta, L. "La relazione degli agenti di polizia supporta adeguatamente l’interdittiva antimafia." in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet, ISSN 1127-8579, il 10/11/2011, all’indirizzo: http://www.diritto.it/docs/5087720-informativa-prefettizia-circoscritto-il-sindacato-del-giudice?source=1&tipo=news
Leotta, E. “I poteri certificativi del Prefetto quali strumenti di contrasto alla criminalità organizzata: inquadramento sistematico ed aspetti problematici"( Relazione alla Conferenza Nazionale: “Le nuove disposizioni penali in materia di sicurezza pubblica – strumenti e poteri di prevenzione antimafia”, organizzata dall’Osservatorio Permanente sulla Criminalità organizzata - Siracusa, 25 – 27 giugno 2010.). Pubblicata il 24/08/2010 sul Sito Istituzionale della Giustizia Amministrativa, all’indirizzo: http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/Leotta_Informative_prefettizie_relazione_definitiva.pdf
Nuvolone, P. Voce “Misure di prevenzione e misure di sicurezza”, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1976, pag. 635.
[1] A partire dal 13 ottobre 2011, l’art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252 è confluito, con parziali modificazioni, negli artt. 90 e ss. del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il "Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché’ nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136."
[2] Tra gli interpreti sono sorti spesso dubbi sulla costituzionalità delle misure antimafia, fugati da alcuni interventi della Corte Costituzionale (cfr., ad es., Corte cost., 11-2-2002, n. 25).
[3] Cfr. Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009 n.2336.
[4] Cfr. Cass. pen., sez. V, 25- 6-2009, n. 38537.
[5] In questi termini, v. CGA 17 gennaio 2011, n. 26.
[6] Così, Costagliola, A. "Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011): le informative prefettizie quali strumento di contrasto alla criminalità organizzata". V. sub Spunti bibliografici, infra.
[7] Cfr. Leotta, E. "I poteri certificativi del Prefetto quali strumenti di contrasto alla criminalità organizzata: inquadramento sistematico ed aspetti problematici". V. sub Spunti bibliografici, infra.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2004, n. 2783.
[9] I termini per il rilascio delle informazioni sono ora disciplinati dall’art. 92, D.Lgs. n.159/2011.
[10] Così, Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2006 n.4135.
[11] Cfr.Cons. Stato, sez. V, 29 agosto 2005 n.4408.
[12] Cfr. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 12 febbraio 2007, n. 38
***
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3501 del 2011, proposto da:
R.D. Snc, A. N., G. C., rappresentati e difesi dall’avv. Michele Salazar, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini, 20;
contro
U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria in persona del Prefetto pro tempore e Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Q. Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea Grazzini e Ivan Incardona, con domicilio eletto presso Ivan Incardona in Roma, via G.B. Martini, 13; S. Spa, I. Srl, L.d.V. - Soc. Cooperativa Agricola;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00045/2011, resa tra le parti, concernente REVOCA AFFIDAMENTI - INTERDITTIVA ANTIMAFIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e di Ministero dell’Interno e di Q.Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2011 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Salazar Simona Maria Serena su delega di Salazar Michele, Incardona e dello Stato Caselli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società R.D. risultava aggiudicataria della procedura aperta per l’affidamento del servizio di taglio e diserbo delle aree a verde e dei giardini pubblici del Comune di Firenze indetta dalle società Q. e S. nel lotto n.5 (Comune di Scandicci).
Le due suddette società avevano sottoscritto un accordo consortile per lo svolgimento in forma associata delle procedure ad evidenza pubblica per la conclusione dei contratti di appalto.
Le suddette società tuttavia ricevevano in data 10 febbraio 2010 dalla Prefettura di Reggio Calabria la informativa antimafia interdittiva ex art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252 per effetto della quale S. comunicava alla R.D. la immediata revoca dell’affidamento.
Nel frattempo Q. aveva indetto una procedura di cottimo fiduciario per l’affidamento dei servizi di pulizie tecniche e facchinaggio presso due discariche di propria competenza. Con determinazione n.136 del 26 novembre 2009 il lotto 2 di tale procedura era aggiudicato alla R.D.; tuttavia a seguito del ricevimento della informativa antimafia, Q., con lettere anticipata via fax e successivamente inviata per raccomandata,comunicava alla R.D. la immediata revoca dell’affidamento.
La R.D. impugnava davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria sia la informativa antimafia sia, nei confronti di Q. e S., i provvedimenti di revoca degli affidamenti contrattuali.
Il ricorso era articolato su vari motivi diretti sia nei confronti della informativa prefettizia negativa, sia nei confronti dei provvedimenti di revoca dei rapporti contrattuali adottati dalle società Q. e S.
Successivamente la R.D. impugnava con atto di motivi aggiunti la revoca della aggiudicazione, la presa d’atto della rinunzia da parte del secondo classificato e l’aggiudicazione in via definitiva al concorrente terzo classificato della graduatoria definitiva.
Il Tar Calabria, sede di Reggio Calabria, dopo avere respinto la istanza cautelare con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato (ord. del 15 settembre 2010 n.4226), con sentenza 28 gennaio 2011 n.45 respingeva il ricorso.
Il ricorso in appello è stato affidato a molteplici motivi tutti diretti a sostenere la erroneità della sentenza.
Si sono costituiti per resistere all’appello la Prefettura di Reggio Calabria e le società Q.
Sono state depositate numerose memorie difensive. All’udienza del 24 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. La R.D. impugnava davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria, sia la informativa antimafia interdittiva ex art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n.252, sia gli atti della società S. e della società Q., di revoca dell’aggiudicazione del servizio di taglio e diserbo delle aree a verde e dei giardini pubblici del comune di Firenze e degli altri comuni soci e del servizio di pulizie tecniche e facchinaggio presso due discariche.
La R.D. ha articolato la impugnativa in quattro motivi di appello riproduttivi dei motivi del ricorso di primo grado.
2. Con il primo, secondo e terzo motivo si contesta la illegittimità dell’informativa antimafia sotto il profilo dell’eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto, della carenza della istruttoria e della motivazione insufficiente, irragionevolezza, travisamento, violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero dell’Interno n.559 del 1998.
Con il quarto si afferma che il Tar avrebbe omesso di esaminare i motivi II, IV e V del ricorso in primo grado. Nel quinto motivo di appello si afferma ancora il difetto di motivazione dei provvedimenti adottati dalle società.
3. Atteso l’esito di parziale inammissibilità e infondatezza dell’appello la Sezione ritiene di superare la eccezione preliminare avanzata dalla società Q. del pari assorbite dal Tar Calabria.
4. Il primo, il secondo e terzo motivo dedotti dalla società appellante, come esattamente rilevato dalla difesa della società Q., sono inammissibili in quanto nella lunga esposizione degli stessi, l’appellante si limita a riprodurre pedissequamente i motivi dedotti contro la misura interdittiva antimafia impugnata, senza tuttavia individuare esattamente le specifiche ragioni che depongono per la erroneità della sentenza impugnata che aveva concluso, con dovizia di argomentazioni, sulla base di elementi risultanti dalla Relazione dei Carabinieri e richiamati dal Prefetto, per la esistenza di un duraturo rapporto di contiguità e fiducia da parte del socio della società appellante con soggetti e operatori economici ritenuti gravitare nell’ambito di cosche mafiose.
5. Anche a entrare nel merito, le doglianze dell’appellante riferite ai primi tre motivi di appello non meritano accoglimento.
Secondo l’appellante, l’Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria avrebbe fondato il proprio giudizio sui tentativi di infiltrazione mafiosa ai danni della impresa ricorrente su un unico presupposto di fatto relativo alla presunzione che uno dei soci, dottor N., abbia avuto frequentazioni con mafiosi, ignorando l’assenza di altri elementi di segno contrario, pure significativi, come la assenza di procedimenti penali e di condanne a carico dello stesso “preferendo argomentare, in via discrezionale e di mera ipotesi esclusivamente su una asserita ma irrilevante frequentazione, così palesando lo scarso grado di approfondimento della istruttoria”.
Al riguardo, premesso che la interdittiva antimafia è una misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva diversa e con funzione distinta dalle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, va richiamata la giurisprudenza in materia che ha rilevato che le informative del genere di quella impugnata rappresentano una sensibile anticipazione della soglia della autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella attività dell’impresa di talché le stesse prescindono da rilievi probatori tipici del diritto penale e sono dirette a cogliere soprattutto l’affidabilità della impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa (Cons. Stato, VI, n.7777/2009).
Il Prefetto, quindi, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, per cui il sindacato del giudice amministrativo non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare, sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni. E’ stato altresì sottolineato che le informative prefettizie in questione costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2011 , n. 3647).
Sul nodo centrale della informativa antimafia impugnata, attinente la rilevanza delle frequentazioni di uno dei soci della impresa appellante, la Sezione richiama le conclusioni della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che in fattispecie similare ha sottolineato “..che si configurano come adeguato presupposto di una informativa le risultanze della forze dell’ordine che abbiano registrato numerosi contatti e incontri, taluni non di breve durata né contraddistinti dal carattere di occasionalità o causalità tra il titolare della società vincitrice di un appalto pubblico e soggetti pregiudicati e sospettati di essere parte attiva in consorterie appartenenti alla criminalità organizzata” (Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009 n.2336).
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato, pur tenendo conto della assenza di precedenti penali in capo al dottor N., ha evidenziato una frequentazione reiterata, qualificata, durevole e attuale dello stesso a seguito di controlli effettuati (ancora nell’ottobre 2008) con noti capi-cosca locali.
Più in particolare, nella Relazione dell’Arma dei Carabinieri richiamata nel provvedimento, è emerso che i rapporti intrattenuti dal dottor N. con alcuni dei soggetti segnalati come appartenenti a associazioni di stampo mafioso non rientrano in una dimensione di normalità, sia pure valutata alla stregua di un particolare contesto territoriale, ma viceversa assumono una loro specifica pregnanza alla luce di plurimi elementi, primo tra tutti il tipo di attività libero professionale svolto per conto dei soggetti medesimi. Trattasi, infatti, non di un imprenditore che ha offerto impersonalmente i propri servizi nel mercato senza conoscere i propri clienti, ma di un consulente che ha avuto un rapporto diretto, costante e immediato con essi di natura fiduciario, con rapporti connotati da assiduità (undici segnalazioni di interesse operativo) continui nel tempo (per circa un decennio), con notevole grado di intensità nella frequentazione testimoniato dalla frequentazione anche in ambito familiare, al di fuori delle necessità ordinariamente correlate a un rapporto professionale, in un settore, quale quello dei lavori pubblici, connotato notoriamente da infiltrazioni mafiose e in un mercato, quale quello dei servizi pubblici, caratterizzato dalla prevalenza della manodopera a basso tasso di qualificazione, anch’esso esposto alla ingerenza mafiosa. In particolare proprio sulla base di quanto affermato dalla appellante nei propri scritti difensivi risulta che tra il dottor N. e l’imprenditore R.P., titolare della società Ca. s.a.s. di P.R.&C. avente sede a Bovalino, ritenuto gravitare nell’ambito di una organizzazione di stampo mafioso, esistevano rapporti specifici, selettivi e reiterati nel tempo. Il signor P. infatti: “…risulta essere titolare dei mezzi d’opera noleggiati dalla impresa I. s.r.l. per la realizzazione degli scavi e il trasporto del materiale di risulta. Il dottor N. ..sorveglia sull’andamento dei lavori e esegue la contabilità degli stessi. Successivamente il dottor N. si impegna a espletare l’incarico di Direttore Tecnico della Ca. dal 2004 al 2008. Nello stesso periodo la R.D. di N. e Cu. ha svolto un cottimo fiduciario per conto della Ca. ”.
In sostanza, anche in ragione dei riferimenti della difesa dell’appellante, si può asserire che il particolare rapporto che intercorre tra il N. e il P. sia specifico, selettivo e intrinsecamente fiduciario essendo stato il N. chiamato a svolgere compiti di direttore tecnico, direttore dei lavori, responsabile di contabilità che presuppongono un mandato non certo occasionale o sporadico.
Assumono ulteriore connotazione negativa anche le frequentazioni in contesti privati dalle quali emerge che il N. ha con i propri committenti una consuetudine che va ben oltre i normali rapporti professionali.
Non sussiste nemmeno la eccepita carenza di motivazione del provvedimento prefettizio in quanto dal tenore dello stesso si evince che la Prefettura ha effettuato la complessiva valutazione di tutti gli elementi acquisiti per il tramite delle Forze di Polizia con una istruttoria specifica sul conto del dottor N. le cui risultanze sono state vagliate attentamente dando conto, infine, del concreto pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose attese le reiterate frequentazioni, non occasionali, con persone con gravi pregiudizi penali, alcuni ritenuti contigui a cosche mafiose.
Sono stati quindi applicati in modo sufficienti i dettami normativi in materia di motivazione di cui all’art. 3 della legge 241 del 1990.
Né giova alle tesi dell’appellante il richiamo alla circolare del Ministero dell’Interno 18 dicembre 1998 n.559 la quale, nel dettare disposizioni applicative del D.P.R. 3 giugno 1998 n.252, sottolinea che la soglia di attenzione per una informativa antimafia non è la prova della già avvenuta infiltrazione, come sostanzialmente sostenuto dall’appellante, ma l’accertata sussistenza di elementi da cui può’ desumersi il rischio di infiltrazioni.
In conclusione, anche in disparte i profili di inammissibilità sopra evidenziati, i primi tre motivi dedotti non appaiono fondati e le conclusioni del Tar sono complessivamente da confermare.
6. Con il quarto motivo di appello la società assume che il Tar avrebbe omesso di esaminare il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di primo grado che vengono riproposti.
Nel terzo motivo del ricorso in primo grado si deduce la illegittimità della informativa prefettizia per violazione dell’art. 3 della legge n.241 del 1990 per carente e/o insufficiente motivazione della nota prefettizia.
Il Tar ha ritenuto in proposito che gli elementi contenuti negli atti su cui poggia la informativa fossero idonei a comprovare “l’esistenza di un duraturo rapporto di contiguità e fiducia con soggetti e operatori economici ritenuti gravitare nell’ambito di cosche mafiose e che, dunque, lungi dal provare la insufficienza o l’erroneità dei presupposti della informativa, confermano la validità di un quadro fattuale rilevatore di concrete connessioni con associazioni mafiose”.
E’ evidente che il Tar ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento che, come sopra rilevato e condiviso dalla Sezione, faceva emergere un quadro fattuale atto a rilevare concrete interferenze del socio amministratore della R.D. con soggetti gravitanti nell’ambito di associazioni mafiose.
Il motivo pertanto è stato esaminato dal Tar e ritenuto infondato.
7. Nel quarto motivo del ricorso in primo grado si afferma che ”non sussiste, in ipotesi di informative prefettizie negative rilasciate dopo la instaurazione di rapporti contrattuali, alcun obbligo in capo alla P.A. procedente di revocare o recedere dal rapporto già instaurato residuando in capo alla stessa amministrazione una facoltà di revoca o di recesso”.
Rileva al riguardo la Sezione che l’art. 10, comma II del D.P.R. n.252 del 1998 dispone che “quando, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazioni mafiosa nelle società imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o sub-contratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”.
L’art. 11, commi II e III della medesima normativa prevede che “decorso il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione della richiesta (rivolta alla autorità prefettizia al fine di acquisire la informativa antimafia), ovvero in caso di urgenza, anche immediatamente dopo la richiesta, le amministrazioni procedono anche in assenza della informazioni del Prefetto. In tale caso i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma I sono corrisposti sotto condizione risolutiva e l’amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e rimborso delle spese sostenute per la esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o alla autorizzazione del sub-contratto”.
Il quadro normativo pone, quindi, da un lato il divieto per la stazione appaltante di stipulare un contratto con un soggetto nei cui confronti emergano tentativi di infiltrazione mafiosa e riconosce alla stazione appaltante, dall’altro, una facoltà di non revocare il contratto di appalto nonostante siano emersi, a carico dell’altro contraente, tentativi di infiltrazione mafiosa.
Tale facoltà tuttavia non è nella libera disponibilità della stazione appaltante perché richiede che ricorrano, per la prosecuzione del rapporto contrattuale, ragioni di interesse pubblico che giustifichino in via del tutto eccezionale, di pretermettere l’interesse superiore teso a impedire alle amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti con imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazioni mafiosa.
Nel senso che trattasi di una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria è parte della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che, ad esempio, ha ritenuto che ai fini della prosecuzione del rapporto debba essere valutata “…la convenienza in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto e alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata” (Cons. Stato, V, 27 giugno 2006 n.4135). In assenza di particolari ragioni contrarie, viceversa, diventa obbligatoria “la revoca del contratto qualora il condizionamento malavitoso dell’attività sia accertato a mezzo della informativa del Prefetto, il cui effetto interdittivo opera in modo automatico” (Cons. Stato, V, 29 agosto 2005 n.4408).
Da ciò consegue altresì che il provvedimento di prosecuzione del rapporto contrattuale è soggetto a onere motivazionale rafforzato nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia, ma laddove invece la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.
Il motivo dedotto dalla appellante in primo grado, contrariamente a quanto sostenuto, è stato valutato e deciso del primo giudice che conformandosi alla giurisprudenza sopra richiamata ha chiarito che “..non sussiste alcuna discrezionalità della stazione appaltante nell’apprezzare e valutare la sussistenza o la rilevanza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, ma per ormai consolidata giurisprudenza, la stazione appaltante è tenuta a motivare solo in ordine alla eventuale ricorrenza di stringenti ragioni di interesse pubblico giustificanti la prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata.”
Nel caso di specie il giudice, constatando che i rapporti contrattuali erano stati avviati solo da alcuni mesi con la Q. mentre con la S. non si era ancora pervenuti alla stipulazione del contratto, ha implicitamente ritenuti legittimi gli atti di revoca delle stazioni appaltanti.
Il motivo pertanto non merita accoglimento.
8. Nel quinto motivo del ricorso di primo grado l’appellante lamentava il difetto di motivazione ritenendo che “il richiamo alla motivazione per relationem ..non è pertinente in ipotesi di provvedimento risolutivo del rapporto contrattuale successivo alla emanazione di informazione prefettizia negativa”.
A riguardo si ricorda che il terzo comma dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n.241 consente la motivazione tramite rinvio a altro provvedimento per la cui legittimità è richiesto esclusivamente di portare nella sfera di conoscibilità legale del destinatario l’esistenza dell’atto richiamato potendosi all’uopo indicare gli estremi dell’atto e la tipologia dell’atto richiamato.
Assume tuttavia carattere risolutivo ai fini della disamina della censura il fatto che, come sopra rilevato, con riferimento alla materia della normativa antimafia le determinazioni amministrative in ordine alla risoluzione dei contratti di appalto in corso assumono sostanzialmente carattere vincolato non potendo l’ordinamento tollerare per ragioni di ordine pubblico la sopravvivenza di rapporti contrattuali con imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa .
Il giudice di primo grado, anche in questo caso ha valutato e deciso in ordine alla necessità della motivazione del provvedimento di revoca adottato dalla stazione appaltante ritenendo come sopra rilevato che questa è tenuta a motivare solo in ordine a stringenti ragioni di interesse pubblico giustificanti la prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione già ampiamente inoltrata.
Nel caso in esame quindi poiché Q. e S. hanno deciso di revocare gli affidamenti disposti nella R.D., il rinvio per relationem al contenuto della informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria costituisce una modalità idonea all’osservanza dei dettami di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990 in materia di motivazione dell’atto amministrativo.
9. In conclusione l’appello è in parte inammissibile, in parte infondato.
10. Spese e onorari seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e in parte infondato.
Condanna Spese a carico della l’appellante al pagamento delle spese del grado del giudizio, che si liquidano nella misura di euro 4.000,00 (quattromila) complessive, 2.000,00 (duemila) a favore della Prefettura di Reggio Calabria e del Ministero dell’Interno, 2.000,00 (duemila) a favore della società Q.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Lanfranco Balucani, Consigliere
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 05/10/2011
Sommario:
1. Il caso deciso
2. Natura dell’informativa antimafia
2.1. Le valutazioni spettanti al Prefetto
2.2. Brevi considerazioni sulle informative prefettizie
3. Obblighi della P.A. in caso di informative prefettizie inibitorie
4. Motivazione della risoluzione contrattuale in seguito all’informativa antimafia
5. i principi di diritto affermati
6. Precedenti giurisprudenziali
7. Spunti bibliografici
1. Il caso deciso.
La sentenza in commento interviene in una vicenda riguardante un consorzio formato da due società (S. e Q.) cui il Comune di Firenze aveva affidato lo svolgimento in forma associata delle procedure ad evidenza pubblica per la conclusione dei contratti di appalto. Nel corso di detta attività il consorzio indiceva una procedura aperta per l’affidamento del servizio di taglio e diserbo delle aree a verde e dei giardini pubblici del Comune di Firenze, della quale risultava aggiudicataria la società R.D., parte ricorrente.
Tuttavia, la Prefettura di Reggio Calabria faceva pervenire alle società consorziate la informativa antimafia interdittiva ex art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252 per effetto della quale veniva comunicato alla società R.D. la immediata revoca dell’affidamento.
Nel frattempo, la società Q. aggiudicava alla medesima società R.D. un lotto ricompreso in una procedura di cottimo fiduciario per l’affidamento dei servizi di pulizie tecniche e facchinaggio presso due discariche di propria competenza. Tale affidamento, a seguito del ricevimento della informativa antimafia, veniva tuttavia immediatamente revocato, previa comunicazione con lettera anticipata via fax e successivamente inviata per raccomandata.
La R.D. impugnava davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria sia la informativa antimafia sia, nei confronti delle consorziate Q. e S., i provvedimenti di revoca degli affidamenti contrattuali, nonché con ricorso per motivi aggiunti la revoca della aggiudicazione e i provvedimenti conseguenti.
Il Tar Calabria, sede di Reggio Calabria, dopo avere respinto la istanza cautelare con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato (ord. del 15 settembre 2010 n.4226), con sentenza 28 gennaio 2011 n.45 respingeva il ricorso. Avverso detta sentenza la società R.D. proponeva appello, contro la Prefettura di Reggio Calabria e la società Q., su cui la Sez. III del Consiglio di Stato si è pronunciata dichiarandolo in parte inammissibile, in parte infondato, così confermando la sentenza di primo grado.
2. Natura dell’informativa antimafia.
I giudici di Palazzo Spada, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, ricostruiscono la natura dell’informativa antimafia interdittiva prevista dall’art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252, definendola «misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva diversa e con funzione distinta dalle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale».[1]
Detta misura, dunque, rientra tra quelle aventi funzione inibitoria, irrogabili dal Prefetto - ai sensi dell’art. 84 del D. Lgs. 159/2011 - nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di polizia e di sicurezza, contro le ingerenze del crimine organizzato nelle attività economiche e nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Si tratta, pertanto, di strumenti anche eccezionali di reazione, previsti dalla legislazione antimafia che mirano a salvaguardare beni di primaria e fondamentale importanza per lo Stato, quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la libera determinazione degli organi elettivi, nonché il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata, purché siano commisurati alla gravità del pericolo, al rango dei valori tutelati, e alle necessità da fronteggiare.[2] Va precisato, inoltre, che la misura interdittiva de qua ha conservato la riferita natura di strumento di reazione flessibile e tempestivo, di competenza dell’Autorità amministrativa (prefetto), anche in seguito alle modifiche introdotte dal cd. "Codice Antimafia"(D. Lgs. n. 159/2011), il quale dedica il libro II alle «Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia», con l’obiettivo di riordinare e aggiornare tutta la delicata materia delle verifiche anti-criminalità negli appalti pubblici.
2.1 Le valutazioni spettanti al Prefetto.
Poiché l’informativa antimafia ha la finalità di anticipare il momento in cui la P.A. può intervenire in sede di autotutela amministrativa, al fine di evitare le possibili ingerenze della criminalità organizzata nello svolgimento dell’attività d’impresa, consiste in una informativa diretta soprattutto a verificare se l’impresa affidataria si possa considerare affidabile e, perciò, prescinde dai rilievi probatori tipici del processo penale, nonché dalla commissione di un illecito e dalla conseguente condanna, come accade, invece per le misure di sicurezza. Ciò risulta evidente anche alla luce dell’art. 84, co. 3, D. Lgs. 159/2011 in base al quale, le informative prefettizie hanno ad oggetto la verifica dell’esistenza di «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate» da cui si desume che è sufficiente anche la mera eventualità che l’impresa possa, anche in via indiretta, favorire la criminalità.
Come accennato, tale verifica spetta al Prefetto, il quale deve basare la propria valutazione su un quadro indiziario in cui assumono rilievo preponderante i fattori da cui trarre la conclusione che non sono manifestamente infondati i sospetti che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo attraverso cui le organizzazioni criminali intendano infiltrarsi negli appalti delle pubbliche amministrazioni. Egli, dunque, gode di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento discrezionale, nella ricerca e nella valutazione dei fatti sintomatici di eventuali connivenze o collegamenti di tipo mafioso; il che porta i consiglieri della Terza Sezione, ad affermare «che il sindacato del giudice amministrativo non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare, sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni», in modo da poter verificare se la valutazione del Prefetto sia sorretta da uno specifico e adeguato quadro indiziario.
In tal modo, la sentenza che si commenta si pone in linea di continuità con la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che configura le informative prefettizie in questione come esplicazione di "lata discrezionalità": come tali, non possono essere sindacate nel merito e il giudice amministrativo può soltanto sindacarne la legittimità, con particolare riguardo all’eccesso di potere, sotto i profili della motivazione insufficiente, o della manifesta illogicità, o, infine del travisamento dei fatti.
La stessa giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, che un’informativa prefettizia si può considerare adeguatamente motivata se si fonda sulle risultanze delle indagini condotte dalle forze dell’ordine, che abbiano registrato numerosi contatti e incontri, taluni di lunga durata, non occasionali o casuali "tra il titolare della società vincitrice di un appalto pubblico e soggetti pregiudicati e sospettati di essere parte attiva in consorterie appartenenti alla criminalità organizzata”.[3] Ciò discende dalla particolare valenza che la giurisprudenza di legittimità attribuisce alle relazioni di polizia, tra cui ad esempio rientra la "relazione di servizio" di un agente di polizia, considerata atto pubblico, che fa fede fino a querela di falso, con il quale il pubblico ufficiale attesta l’attività compiuta, precisando le circostanze avvenute sotto la sua diretta percezione.[4]
Ad ulteriore conferma dell’ampiezza dei poteri di valutazione attribuiti al Prefetto, giova segnalare che parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto legittima una informativa antimafia fondata su una serie di elementi i quali - singolarmente considerati - possono ritenersi insufficienti a comprovare la sussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti interdittivi in questione, ma - valutati nel loro insieme - consentono di tratteggiare un quadro sufficiente a giustificare la valutazione del Prefetto circa la sussistenza della possibilità che si verifichi un condizionamento mafioso, anche in via indiretta, dell’attività di impresa, con conseguente applicazione delle misure di carattere preventivo, introdotte dalla legislazione antimafia. [5]
Nella fattispecie posta all’esame del collegio, l’informativa prefettizia, ha evidenziato, una frequentazione reiterata, qualificata, durevole e attuale di uno dei soci della società aggiudicataria con noti capi-cosca locali, pur in assenza di precedenti penali in capo allo stesso e pur tenendo conto del particolare contesto territoriale. Il Prefetto aveva emanato il provvedimento interdittivo sulla scorta di una dettagliata relazione dell’Arma dei Carabinieri, dalla quale è emerso che costui aveva svolto attività libero professionale per conto di persone segnalate come appartenenti ad associazioni di stampo mafioso, operando non come «un imprenditore che ha offerto impersonalmente i propri servizi nel mercato senza conoscere i propri clienti», bensì come un vero e proprio consulente, instaurando con essi rapporti di natura fiduciaria, diretti, costanti e immediati, nonché di intensa «frequentazione, anche in ambito familiare, al di fuori delle necessità ordinariamente correlate a un rapporto professionale»
Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti, in primo luogo, per ravvisare il concreto pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose che giustifica l’emissione dell’informativa prevista dal legislatore allo scopo di salvaguardare i numerosi interessi pubblici coinvolti nel settore dei lavori pubblici, notoriamente assai appetito dalle organizzazioni mafiose e nel mercato dei servizi pubblici, caratterizzato dalla prevalenza della manodopera a basso tasso di qualificazione, e perciò anch’esso esposto alla ingerenza mafiosa; in secondo luogo, per assolvere all’obbligo generale di motivazione, stabilito dall’art. 3 della legge 241 del 1990, per tutti i provvedimenti amministrativi, tra cui rientra anche l’informativa de qua.
2.2 Brevi considerazioni sulle informative prefettizie.
Va precisato che, in seguito all’entrata in vigore del citato D. Lgs. n. 159/2011 (successiva al deposito della sentenza che si commenta), le fonti o le situazioni di fatto da cui possono essere tratte le indicazioni di «infiltrazione mafiosa» sono indicate dall’art. art. 84, co. 4, del "Codice Antimafia". A titolo di esempio, si possono citare i provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti connotati dal carattere mafioso [art. 84, co. 4, lett. a), D. Lgs. 159/2011] o le "sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti" destinatari di provvedimenti restrittivi o cautelari o interdittivi, qualora dette sostituzioni avvengano "con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia". [art. 84, co. 4, lett. f)]. Come rilevato dai primi commentatori del cd. "Codice Antimafia", il legislatore, oltre a prevedere "tali fonti di informazione, ha conferito al Prefetto il potere di rilevare il pericolo di infiltrazione mafiosa, oltre che da sentenze di condanna non definitiva per reati «strumentali», anche da concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa essere oggetto del condizionamento mafioso, anche indiretto (art. 91, co. 6, D. Lgs. 159/2011)"[6].
Anche in seguito alle modifiche legislative, le informative prefettizie, insieme alle certificazioni antimafia costituiscono “istituti di confine” volti a colpire talune categorie di soggetti che assumono relazioni qualificate con la criminalità mafiosa, nell’ottica di un efficace contrasto alle svariate forme di penetrazione della criminalità organizzata nelle attività economiche.[7] In tal modo, esse si affiancano agli altri strumenti coi quali lo Stato tenta di reagire alla costante minaccia rappresentata dalle organizzazioni mafiose, comunque denominate. Si tratta, in primo luogo, delle sanzioni penali, che, ai sensi dell’art. 416 bis Cod. Pen., colpiscono “chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso”, previa dimostrazione della “appartenenza” a tale associazione, certificata da un giudicato emesso dal Giudice penale. In secondo luogo, vengono in rilievo le misure di prevenzione patrimoniali e le nuove confische speciali, previste dalla L. 31 maggio 1965, n. 575 e successive modifiche ed integrazioni, dettate allo scopo di evitare che fatti illeciti di particolare gravità, connotati dalla cd. "mafiosità", potessero verificarsi in futuro. Esse sono disposte dall’Autorità giudiziaria ordinaria in seguito allo speciale procedimento di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1425 e successive modificazioni, incentrato sull’accertamento di “situazioni soggettive di pericolosità" cioè dell’esistenza di “indizi” di appartenenza a sodalizi mafiosi o a persone indiziate di particolari reati.
Le misure di prevenzione presentano qualche affinità con le informative antimafia: ne condividono, infatti, l’origine storica (derivano dalla fondamentale legge n. 646 del 1982, meglio nota come "Legge Rognoni – La Torre), alcuni effetti (la preclusione ai soggetti "in odore di mafia" di contrattare con la Pubblica Amministrazione) e le finalità; se ne differenziano per le modalità operative.[8] Infatti, mentre le misure di prevenzione colpiscono gli “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso” (art. 1 della L. 31 maggio 1965, n. 575), precludendo loro l’accesso al mondo degli appalti e dei finanziamenti pubblici, le misure amministrative di competenza del Prefetto, - come si è accennato - mirano a combattere gli “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”, come recitava l’art. 4, co.4, D. Lgs n. 490/1994, ora sostituito dall’art. 91, co. 6, del "Codice Antimafia").
3. Obblighi della P.A. in caso di informative prefettizie inibitorie.
La Terza Sezione, nella pronuncia in commento, affronta la questione se la P.A. abbia un obbligo di revocare o recedere dal rapporto contrattuale, in ipotesi di informative prefettizie rilasciate dopo la sua instaurazione.
A parere della società ricorrente, qualora l’informativa interdittiva sia emessa dopo che il contratto è stato stipulato, in capo alla P.A. procedente non sussiste alcun obbligo di revocare l’aggiudicazione o di recedere dal rapporto già instaurato, ma solo una residua "facoltà di revoca o di recesso".
I Giudici della Terza Sezione, invece, aderendo ad un orientamento interpretativo seguito da una parte della giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, confermano la decisione di primo grado, secondo cui la stazione appaltante non ha alcuna discrezionalità nell’apprezzare e valutare la sussistenza o la rilevanza dei tentativi di infiltrazione mafiosa ed è tenuta a motivare solo nell’ipotesi in cui ricorrano "stringenti ragioni di interesse pubblico giustificanti la prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata.”
A tale conclusione il Collegio perviene attraverso un’attenta disamina del quadro normativo disciplinante la misura interdittiva de qua.
Infatti, l’art. 10, comma II del D.P.R. n.252 del 1998 prevede espressamente il divieto per le amministrazioni destinatarie dell’informativa prefettizia di "stipulare, approvare o autorizzare i contratti o sub-contratti”, di “autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”, nel caso in cui dalle verifiche disposte dal Prefetto, emergano "elementi relativi a tentativi di infiltrazioni mafiosa nelle società o imprese interessate".
Detta norma va coordinata con i commi II e III del successivo art. 11, secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici se non ricevono l’informativa antimafia dall’autorità prefettizia entro quarantacinque giorni da quando questa abbia ricevuto la formale richiesta, ovvero in caso d’urgenza, procedono "anche in assenza delle informazioni del Prefetto". Tuttavia, "i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma I sono corrisposti sotto condizione risolutiva e l’amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite." Dette facoltà di revoca e di recesso "si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o alla autorizzazione del sub-contratto”.[9]
Le norme citate, dunque, prevedono, per la stazione appaltante, accanto al divieto di stipulare un contratto con un soggetto fortemente e concretamente a rischio di infiltrazione mafiosa, una facoltà di non revocare il contratto di appalto nonostante tale rischio. Il Consiglio di Stato, tuttavia, precisa che siffatta facoltà «non è nella libera disponibilità della stazione appaltante», dal momento che il rapporto contrattuale può essere proseguito soltanto se ricorrono comprovate «ragioni di interesse pubblico che giustifichino in via del tutto eccezionale, di pretermettere l’interesse superiore teso a impedire alle amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti con imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazioni mafiose.» In particolare - come precisato dallo stesso Collegio - si tratta di «una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria» e perciò l’amministrazione aggiudicatrice, al momento di decidere se proseguire nel rapporto contrattuale, deve valutare se tale soluzione sia conveniente "in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto e alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata”[10] In mancanza di tali ragioni di convenienza, appare condivisibile la soluzione adottata da quella parte di giurisprudenza che ritiene obbligatoria “la revoca del contratto qualora il condizionamento malavitoso dell’attività sia accertato a mezzo della informativa del Prefetto, il cui effetto interdittivo opera in modo automatico” e con effetti ex tunc.[11] In tal modo, si configura in capo all’amministrazione procedente un vero e proprio dovere di disporre la revoca dell’aggiudicazione o il recesso dal contratto, senza poter effettuare alcuna ponderazione, trattandosi di esercizio di un potere vincolato, col quale la stessa amministrazione si limita a riconoscere gli effetti risolutivi che la legge ricollega al verificarsi del rischio di infiltrazioni e/o condizionamenti mafiosi.[12]
Dal carattere eccezionale della facoltà di non recedere dal contratto e proseguire nel rapporto, il Collegio, nella decisione in commento, fa discendere che «il provvedimento di prosecuzione del rapporto contrattuale è soggetto a onere motivazionale rafforzato, nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia; ma, laddove, invece, la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.»
4. Motivazione della risoluzione contrattuale in seguito all’informativa antimafia.
La terza Sezione, nella pronuncia in commento, affronta, infine, la questione se l’amministrazione aggiudicatrice possa motivare "il provvedimento risolutivo del rapporto contrattuale successivo alla emanazione di informazione prefettizia negativa" attraverso un richiamo per relationem alla motivazione di quest’ultima.
A favore della soluzione positiva militano, in primo luogo, un argomento legato al tenore letterale del terzo comma dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n.241, il quale consente, come affermato dal Collegio, "la motivazione tramite rinvio a altro provvedimento per la cui legittimità è richiesto esclusivamente di portare nella sfera di conoscibilità legale del destinatario l’esistenza dell’atto richiamato potendosi all’uopo indicare gli estremi dell’atto e la tipologia dell’atto richiamato"; in secondo luogo, il fatto che "con riferimento alla materia della normativa antimafia le determinazioni amministrative in ordine alla risoluzione dei contratti di appalto in corso assumono sostanzialmente carattere vincolato non potendo l’ordinamento tollerare per ragioni di ordine pubblico la sopravvivenza di rapporti contrattuali con imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa."
Applicando tali argomentazioni alla fattispecie sottoposta al loro esame, i giudici hanno ritenuto che le società operanti per conto del Comune di Firenze, decidendo di revocare gli affidamenti disposti a favore della società ricorrente, abbiano assolto all’obbligo di motivazione ex art. 3, l. 241/90, attraverso il rinvio per relationem al contenuto della informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria
5. I principi di diritto affermati.
In conclusione, dalla sentenza in commento sono desumibili i seguenti principi.
La legislazione antimafia impone alla stazione appaltante il divieto di stipulare un contratto con una società di persone nei cui confronti emergano tentativi di infiltrazione mafiosa, a causa dei rapporti di frequentazione reiterata, qualificata, durevole e attuale, intrattenuti da uno o più soci con soggetti appartenenti alle organizzazioni mafiose, come evidenziati dalle verifiche disposto dal Prefetto, al fine del rilascio delle informazioni antimafia.
In ipotesi di informativa prefettizia antimafia pervenuta dopo che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione, l’amministrazione aggiudicatrice ha una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria in ordine alla prosecuzione del rapporto contrattuale con le imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazione mafiosa, correlato ad un onere motivazionale rafforzato nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia, ma laddove invece la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.
È da ritenersi sufficientemente motivata una informativa prefettizia antimafia che si basi sulla complessiva valutazione del quadro fattuale risultante da tutti gli elementi acquisiti per il tramite delle forze di polizia.
Deve ritenersi assolto l’obbligo motivazionale ex art. 3, l. 241/90 nell’ipotesi in cui il provvedimento di revoca dell’affidamento contrattuale, adottato in seguito ad informativa prefettizia antimafia, contenga un rinvio per relationem al contenuto di questa.
6. Precedenti giurisprudenziali.
Conformi: Cons. St., Sez. VI, 15 giugno 2011 , n. 3647; Cons. St., Sez. VI 8 aprile 2011 n. 2205; Cons. St., VI, 17 aprile 2009 n.2336; Tar Campania 7 novembre 2011 n. 5166.
7. Spunti bibliografici.
Alastra, D.S. “Le informative prefettizie antimafia: natura ed aspetti applicativi problematici”. (Nota a Cons. St. , Sez. V, sent. 12 ottobre 2010, n. 7407). in Nuove Frontiere del Diritto, rivista giuridica telematica n. 1/ gennaio 2012, pagg. 216 e ss, consultabile all’indirizzo https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0B_IxpR1msCbAZDUzY2JlYjYtMGZjNi00ZDViLWFkMDYtNjJjYTFiODhlOTEy&hl=it
Costagliola, A. Costagliola, A. "Codice antimafia (D. Lgs. 159/2011): le informative prefettizie quali strumento di contrasto alla criminalità organizzata" pubblicata in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet, ISSN 1127-8579, il 30/09/2011 all’indirizzo: http://www.diritto.it/docs/5087697-codice-antimafia-d-lgs-159-2011-le-informative-prefettizie-quali-strumento-di-contrastoalla-criminalit-organizzata?page=2&source=1&tipo=news
D’Aprile, V. La normativa antimafia nei contratti pubblici. in Nuove Frontiere del Diritto, rivista giuridica telematica n. 1/ gennaio 2012, pagg 18 e ss, consultabile all’indirizzo: https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0B_IxpR1msCbAZDUzY2JlYjYtMGZjNi00ZDViLWFkMDYtNjJjYTFiODhlOTEy&hl=it
Laperuta, L. "La relazione degli agenti di polizia supporta adeguatamente l’interdittiva antimafia." in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet, ISSN 1127-8579, il 10/11/2011, all’indirizzo: http://www.diritto.it/docs/5087720-informativa-prefettizia-circoscritto-il-sindacato-del-giudice?source=1&tipo=news
Leotta, E. “I poteri certificativi del Prefetto quali strumenti di contrasto alla criminalità organizzata: inquadramento sistematico ed aspetti problematici"( Relazione alla Conferenza Nazionale: “Le nuove disposizioni penali in materia di sicurezza pubblica – strumenti e poteri di prevenzione antimafia”, organizzata dall’Osservatorio Permanente sulla Criminalità organizzata - Siracusa, 25 – 27 giugno 2010.). Pubblicata il 24/08/2010 sul Sito Istituzionale della Giustizia Amministrativa, all’indirizzo: http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/Leotta_Informative_prefettizie_relazione_definitiva.pdf
Nuvolone, P. Voce “Misure di prevenzione e misure di sicurezza”, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1976, pag. 635.
[1] A partire dal 13 ottobre 2011, l’art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252 è confluito, con parziali modificazioni, negli artt. 90 e ss. del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il "Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché’ nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136."
[2] Tra gli interpreti sono sorti spesso dubbi sulla costituzionalità delle misure antimafia, fugati da alcuni interventi della Corte Costituzionale (cfr., ad es., Corte cost., 11-2-2002, n. 25).
[3] Cfr. Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009 n.2336.
[4] Cfr. Cass. pen., sez. V, 25- 6-2009, n. 38537.
[5] In questi termini, v. CGA 17 gennaio 2011, n. 26.
[6] Così, Costagliola, A. "Codice antimafia (D.Lgs. 159/2011): le informative prefettizie quali strumento di contrasto alla criminalità organizzata". V. sub Spunti bibliografici, infra.
[7] Cfr. Leotta, E. "I poteri certificativi del Prefetto quali strumenti di contrasto alla criminalità organizzata: inquadramento sistematico ed aspetti problematici". V. sub Spunti bibliografici, infra.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2004, n. 2783.
[9] I termini per il rilascio delle informazioni sono ora disciplinati dall’art. 92, D.Lgs. n.159/2011.
[10] Così, Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2006 n.4135.
[11] Cfr.Cons. Stato, sez. V, 29 agosto 2005 n.4408.
[12] Cfr. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 12 febbraio 2007, n. 38
***
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3501 del 2011, proposto da:
R.D. Snc, A. N., G. C., rappresentati e difesi dall’avv. Michele Salazar, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini, 20;
contro
U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria in persona del Prefetto pro tempore e Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Q. Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea Grazzini e Ivan Incardona, con domicilio eletto presso Ivan Incardona in Roma, via G.B. Martini, 13; S. Spa, I. Srl, L.d.V. - Soc. Cooperativa Agricola;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00045/2011, resa tra le parti, concernente REVOCA AFFIDAMENTI - INTERDITTIVA ANTIMAFIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e di Ministero dell’Interno e di Q.Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2011 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Salazar Simona Maria Serena su delega di Salazar Michele, Incardona e dello Stato Caselli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società R.D. risultava aggiudicataria della procedura aperta per l’affidamento del servizio di taglio e diserbo delle aree a verde e dei giardini pubblici del Comune di Firenze indetta dalle società Q. e S. nel lotto n.5 (Comune di Scandicci).
Le due suddette società avevano sottoscritto un accordo consortile per lo svolgimento in forma associata delle procedure ad evidenza pubblica per la conclusione dei contratti di appalto.
Le suddette società tuttavia ricevevano in data 10 febbraio 2010 dalla Prefettura di Reggio Calabria la informativa antimafia interdittiva ex art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n.252 per effetto della quale S. comunicava alla R.D. la immediata revoca dell’affidamento.
Nel frattempo Q. aveva indetto una procedura di cottimo fiduciario per l’affidamento dei servizi di pulizie tecniche e facchinaggio presso due discariche di propria competenza. Con determinazione n.136 del 26 novembre 2009 il lotto 2 di tale procedura era aggiudicato alla R.D.; tuttavia a seguito del ricevimento della informativa antimafia, Q., con lettere anticipata via fax e successivamente inviata per raccomandata,comunicava alla R.D. la immediata revoca dell’affidamento.
La R.D. impugnava davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria sia la informativa antimafia sia, nei confronti di Q. e S., i provvedimenti di revoca degli affidamenti contrattuali.
Il ricorso era articolato su vari motivi diretti sia nei confronti della informativa prefettizia negativa, sia nei confronti dei provvedimenti di revoca dei rapporti contrattuali adottati dalle società Q. e S.
Successivamente la R.D. impugnava con atto di motivi aggiunti la revoca della aggiudicazione, la presa d’atto della rinunzia da parte del secondo classificato e l’aggiudicazione in via definitiva al concorrente terzo classificato della graduatoria definitiva.
Il Tar Calabria, sede di Reggio Calabria, dopo avere respinto la istanza cautelare con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato (ord. del 15 settembre 2010 n.4226), con sentenza 28 gennaio 2011 n.45 respingeva il ricorso.
Il ricorso in appello è stato affidato a molteplici motivi tutti diretti a sostenere la erroneità della sentenza.
Si sono costituiti per resistere all’appello la Prefettura di Reggio Calabria e le società Q.
Sono state depositate numerose memorie difensive. All’udienza del 24 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. La R.D. impugnava davanti al Tar Calabria, Sezione di Reggio Calabria, sia la informativa antimafia interdittiva ex art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n.252, sia gli atti della società S. e della società Q., di revoca dell’aggiudicazione del servizio di taglio e diserbo delle aree a verde e dei giardini pubblici del comune di Firenze e degli altri comuni soci e del servizio di pulizie tecniche e facchinaggio presso due discariche.
La R.D. ha articolato la impugnativa in quattro motivi di appello riproduttivi dei motivi del ricorso di primo grado.
2. Con il primo, secondo e terzo motivo si contesta la illegittimità dell’informativa antimafia sotto il profilo dell’eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto, della carenza della istruttoria e della motivazione insufficiente, irragionevolezza, travisamento, violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero dell’Interno n.559 del 1998.
Con il quarto si afferma che il Tar avrebbe omesso di esaminare i motivi II, IV e V del ricorso in primo grado. Nel quinto motivo di appello si afferma ancora il difetto di motivazione dei provvedimenti adottati dalle società.
3. Atteso l’esito di parziale inammissibilità e infondatezza dell’appello la Sezione ritiene di superare la eccezione preliminare avanzata dalla società Q. del pari assorbite dal Tar Calabria.
4. Il primo, il secondo e terzo motivo dedotti dalla società appellante, come esattamente rilevato dalla difesa della società Q., sono inammissibili in quanto nella lunga esposizione degli stessi, l’appellante si limita a riprodurre pedissequamente i motivi dedotti contro la misura interdittiva antimafia impugnata, senza tuttavia individuare esattamente le specifiche ragioni che depongono per la erroneità della sentenza impugnata che aveva concluso, con dovizia di argomentazioni, sulla base di elementi risultanti dalla Relazione dei Carabinieri e richiamati dal Prefetto, per la esistenza di un duraturo rapporto di contiguità e fiducia da parte del socio della società appellante con soggetti e operatori economici ritenuti gravitare nell’ambito di cosche mafiose.
5. Anche a entrare nel merito, le doglianze dell’appellante riferite ai primi tre motivi di appello non meritano accoglimento.
Secondo l’appellante, l’Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria avrebbe fondato il proprio giudizio sui tentativi di infiltrazione mafiosa ai danni della impresa ricorrente su un unico presupposto di fatto relativo alla presunzione che uno dei soci, dottor N., abbia avuto frequentazioni con mafiosi, ignorando l’assenza di altri elementi di segno contrario, pure significativi, come la assenza di procedimenti penali e di condanne a carico dello stesso “preferendo argomentare, in via discrezionale e di mera ipotesi esclusivamente su una asserita ma irrilevante frequentazione, così palesando lo scarso grado di approfondimento della istruttoria”.
Al riguardo, premesso che la interdittiva antimafia è una misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva diversa e con funzione distinta dalle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, va richiamata la giurisprudenza in materia che ha rilevato che le informative del genere di quella impugnata rappresentano una sensibile anticipazione della soglia della autotutela amministrativa a fronte di possibili ingerenze criminali nella attività dell’impresa di talché le stesse prescindono da rilievi probatori tipici del diritto penale e sono dirette a cogliere soprattutto l’affidabilità della impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa (Cons. Stato, VI, n.7777/2009).
Il Prefetto, quindi, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, per cui il sindacato del giudice amministrativo non può impingere nel merito, restando, di conseguenza, circoscritto a verificare, sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni. E’ stato altresì sottolineato che le informative prefettizie in questione costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2011 , n. 3647).
Sul nodo centrale della informativa antimafia impugnata, attinente la rilevanza delle frequentazioni di uno dei soci della impresa appellante, la Sezione richiama le conclusioni della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che in fattispecie similare ha sottolineato “..che si configurano come adeguato presupposto di una informativa le risultanze della forze dell’ordine che abbiano registrato numerosi contatti e incontri, taluni non di breve durata né contraddistinti dal carattere di occasionalità o causalità tra il titolare della società vincitrice di un appalto pubblico e soggetti pregiudicati e sospettati di essere parte attiva in consorterie appartenenti alla criminalità organizzata” (Cons. Stato, VI, 17 aprile 2009 n.2336).
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato, pur tenendo conto della assenza di precedenti penali in capo al dottor N., ha evidenziato una frequentazione reiterata, qualificata, durevole e attuale dello stesso a seguito di controlli effettuati (ancora nell’ottobre 2008) con noti capi-cosca locali.
Più in particolare, nella Relazione dell’Arma dei Carabinieri richiamata nel provvedimento, è emerso che i rapporti intrattenuti dal dottor N. con alcuni dei soggetti segnalati come appartenenti a associazioni di stampo mafioso non rientrano in una dimensione di normalità, sia pure valutata alla stregua di un particolare contesto territoriale, ma viceversa assumono una loro specifica pregnanza alla luce di plurimi elementi, primo tra tutti il tipo di attività libero professionale svolto per conto dei soggetti medesimi. Trattasi, infatti, non di un imprenditore che ha offerto impersonalmente i propri servizi nel mercato senza conoscere i propri clienti, ma di un consulente che ha avuto un rapporto diretto, costante e immediato con essi di natura fiduciario, con rapporti connotati da assiduità (undici segnalazioni di interesse operativo) continui nel tempo (per circa un decennio), con notevole grado di intensità nella frequentazione testimoniato dalla frequentazione anche in ambito familiare, al di fuori delle necessità ordinariamente correlate a un rapporto professionale, in un settore, quale quello dei lavori pubblici, connotato notoriamente da infiltrazioni mafiose e in un mercato, quale quello dei servizi pubblici, caratterizzato dalla prevalenza della manodopera a basso tasso di qualificazione, anch’esso esposto alla ingerenza mafiosa. In particolare proprio sulla base di quanto affermato dalla appellante nei propri scritti difensivi risulta che tra il dottor N. e l’imprenditore R.P., titolare della società Ca. s.a.s. di P.R.&C. avente sede a Bovalino, ritenuto gravitare nell’ambito di una organizzazione di stampo mafioso, esistevano rapporti specifici, selettivi e reiterati nel tempo. Il signor P. infatti: “…risulta essere titolare dei mezzi d’opera noleggiati dalla impresa I. s.r.l. per la realizzazione degli scavi e il trasporto del materiale di risulta. Il dottor N. ..sorveglia sull’andamento dei lavori e esegue la contabilità degli stessi. Successivamente il dottor N. si impegna a espletare l’incarico di Direttore Tecnico della Ca. dal 2004 al 2008. Nello stesso periodo la R.D. di N. e Cu. ha svolto un cottimo fiduciario per conto della Ca. ”.
In sostanza, anche in ragione dei riferimenti della difesa dell’appellante, si può asserire che il particolare rapporto che intercorre tra il N. e il P. sia specifico, selettivo e intrinsecamente fiduciario essendo stato il N. chiamato a svolgere compiti di direttore tecnico, direttore dei lavori, responsabile di contabilità che presuppongono un mandato non certo occasionale o sporadico.
Assumono ulteriore connotazione negativa anche le frequentazioni in contesti privati dalle quali emerge che il N. ha con i propri committenti una consuetudine che va ben oltre i normali rapporti professionali.
Non sussiste nemmeno la eccepita carenza di motivazione del provvedimento prefettizio in quanto dal tenore dello stesso si evince che la Prefettura ha effettuato la complessiva valutazione di tutti gli elementi acquisiti per il tramite delle Forze di Polizia con una istruttoria specifica sul conto del dottor N. le cui risultanze sono state vagliate attentamente dando conto, infine, del concreto pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose attese le reiterate frequentazioni, non occasionali, con persone con gravi pregiudizi penali, alcuni ritenuti contigui a cosche mafiose.
Sono stati quindi applicati in modo sufficienti i dettami normativi in materia di motivazione di cui all’art. 3 della legge 241 del 1990.
Né giova alle tesi dell’appellante il richiamo alla circolare del Ministero dell’Interno 18 dicembre 1998 n.559 la quale, nel dettare disposizioni applicative del D.P.R. 3 giugno 1998 n.252, sottolinea che la soglia di attenzione per una informativa antimafia non è la prova della già avvenuta infiltrazione, come sostanzialmente sostenuto dall’appellante, ma l’accertata sussistenza di elementi da cui può’ desumersi il rischio di infiltrazioni.
In conclusione, anche in disparte i profili di inammissibilità sopra evidenziati, i primi tre motivi dedotti non appaiono fondati e le conclusioni del Tar sono complessivamente da confermare.
6. Con il quarto motivo di appello la società assume che il Tar avrebbe omesso di esaminare il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di primo grado che vengono riproposti.
Nel terzo motivo del ricorso in primo grado si deduce la illegittimità della informativa prefettizia per violazione dell’art. 3 della legge n.241 del 1990 per carente e/o insufficiente motivazione della nota prefettizia.
Il Tar ha ritenuto in proposito che gli elementi contenuti negli atti su cui poggia la informativa fossero idonei a comprovare “l’esistenza di un duraturo rapporto di contiguità e fiducia con soggetti e operatori economici ritenuti gravitare nell’ambito di cosche mafiose e che, dunque, lungi dal provare la insufficienza o l’erroneità dei presupposti della informativa, confermano la validità di un quadro fattuale rilevatore di concrete connessioni con associazioni mafiose”.
E’ evidente che il Tar ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento che, come sopra rilevato e condiviso dalla Sezione, faceva emergere un quadro fattuale atto a rilevare concrete interferenze del socio amministratore della R.D. con soggetti gravitanti nell’ambito di associazioni mafiose.
Il motivo pertanto è stato esaminato dal Tar e ritenuto infondato.
7. Nel quarto motivo del ricorso in primo grado si afferma che ”non sussiste, in ipotesi di informative prefettizie negative rilasciate dopo la instaurazione di rapporti contrattuali, alcun obbligo in capo alla P.A. procedente di revocare o recedere dal rapporto già instaurato residuando in capo alla stessa amministrazione una facoltà di revoca o di recesso”.
Rileva al riguardo la Sezione che l’art. 10, comma II del D.P.R. n.252 del 1998 dispone che “quando, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazioni mafiosa nelle società imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o sub-contratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”.
L’art. 11, commi II e III della medesima normativa prevede che “decorso il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione della richiesta (rivolta alla autorità prefettizia al fine di acquisire la informativa antimafia), ovvero in caso di urgenza, anche immediatamente dopo la richiesta, le amministrazioni procedono anche in assenza della informazioni del Prefetto. In tale caso i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui al comma I sono corrisposti sotto condizione risolutiva e l’amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e rimborso delle spese sostenute per la esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o alla autorizzazione del sub-contratto”.
Il quadro normativo pone, quindi, da un lato il divieto per la stazione appaltante di stipulare un contratto con un soggetto nei cui confronti emergano tentativi di infiltrazione mafiosa e riconosce alla stazione appaltante, dall’altro, una facoltà di non revocare il contratto di appalto nonostante siano emersi, a carico dell’altro contraente, tentativi di infiltrazione mafiosa.
Tale facoltà tuttavia non è nella libera disponibilità della stazione appaltante perché richiede che ricorrano, per la prosecuzione del rapporto contrattuale, ragioni di interesse pubblico che giustifichino in via del tutto eccezionale, di pretermettere l’interesse superiore teso a impedire alle amministrazioni pubbliche di intrattenere rapporti con imprese pregiudicate da tentativi di infiltrazioni mafiosa.
Nel senso che trattasi di una facoltà del tutto eccezionale e derogatoria è parte della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che, ad esempio, ha ritenuto che ai fini della prosecuzione del rapporto debba essere valutata “…la convenienza in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto e alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata” (Cons. Stato, V, 27 giugno 2006 n.4135). In assenza di particolari ragioni contrarie, viceversa, diventa obbligatoria “la revoca del contratto qualora il condizionamento malavitoso dell’attività sia accertato a mezzo della informativa del Prefetto, il cui effetto interdittivo opera in modo automatico” (Cons. Stato, V, 29 agosto 2005 n.4408).
Da ciò consegue altresì che il provvedimento di prosecuzione del rapporto contrattuale è soggetto a onere motivazionale rafforzato nel senso che l’amministrazione deve dare ampia e dettagliata motivazione quando ritenga di non aderire alla portata inibitoria della informativa prefettizia, ma laddove invece la stazione appaltante non intenda fare uso della facoltà di prosecuzione, non si impone alcun obbligo motivazionale specifico e risulta sufficiente il mero rinvio alla misura interdittiva.
Il motivo dedotto dalla appellante in primo grado, contrariamente a quanto sostenuto, è stato valutato e deciso del primo giudice che conformandosi alla giurisprudenza sopra richiamata ha chiarito che “..non sussiste alcuna discrezionalità della stazione appaltante nell’apprezzare e valutare la sussistenza o la rilevanza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, ma per ormai consolidata giurisprudenza, la stazione appaltante è tenuta a motivare solo in ordine alla eventuale ricorrenza di stringenti ragioni di interesse pubblico giustificanti la prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione ampiamente inoltrata.”
Nel caso di specie il giudice, constatando che i rapporti contrattuali erano stati avviati solo da alcuni mesi con la Q. mentre con la S. non si era ancora pervenuti alla stipulazione del contratto, ha implicitamente ritenuti legittimi gli atti di revoca delle stazioni appaltanti.
Il motivo pertanto non merita accoglimento.
8. Nel quinto motivo del ricorso di primo grado l’appellante lamentava il difetto di motivazione ritenendo che “il richiamo alla motivazione per relationem ..non è pertinente in ipotesi di provvedimento risolutivo del rapporto contrattuale successivo alla emanazione di informazione prefettizia negativa”.
A riguardo si ricorda che il terzo comma dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n.241 consente la motivazione tramite rinvio a altro provvedimento per la cui legittimità è richiesto esclusivamente di portare nella sfera di conoscibilità legale del destinatario l’esistenza dell’atto richiamato potendosi all’uopo indicare gli estremi dell’atto e la tipologia dell’atto richiamato.
Assume tuttavia carattere risolutivo ai fini della disamina della censura il fatto che, come sopra rilevato, con riferimento alla materia della normativa antimafia le determinazioni amministrative in ordine alla risoluzione dei contratti di appalto in corso assumono sostanzialmente carattere vincolato non potendo l’ordinamento tollerare per ragioni di ordine pubblico la sopravvivenza di rapporti contrattuali con imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa .
Il giudice di primo grado, anche in questo caso ha valutato e deciso in ordine alla necessità della motivazione del provvedimento di revoca adottato dalla stazione appaltante ritenendo come sopra rilevato che questa è tenuta a motivare solo in ordine a stringenti ragioni di interesse pubblico giustificanti la prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento, se la causa di decadenza sopravviene a esecuzione già ampiamente inoltrata.
Nel caso in esame quindi poiché Q. e S. hanno deciso di revocare gli affidamenti disposti nella R.D., il rinvio per relationem al contenuto della informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria costituisce una modalità idonea all’osservanza dei dettami di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990 in materia di motivazione dell’atto amministrativo.
9. In conclusione l’appello è in parte inammissibile, in parte infondato.
10. Spese e onorari seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e in parte infondato.
Condanna Spese a carico della l’appellante al pagamento delle spese del grado del giudizio, che si liquidano nella misura di euro 4.000,00 (quattromila) complessive, 2.000,00 (duemila) a favore della Prefettura di Reggio Calabria e del Ministero dell’Interno, 2.000,00 (duemila) a favore della società Q.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Lanfranco Balucani, Consigliere
Marco Lipari, Consigliere
Angelica Dell’Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 05/10/2011