Ordinanza del 10.5.2023 Tribunale di Torino: sul locus commissi delicti del delitto di manipolazione del mercato ex art. 185 t.u.f.
Ordinanza del 10.5.2023 Tribunale di Torino: sul locus commissi delicti del delitto di manipolazione del mercato ex art. 185 t.u.f.
ABSTRACT
La recente questione di competenza territoriale avanzata dalle difese del club juventino e dei suoi dirigenti è stata rimessa dal Giudice per l’Udienza Preliminare torinese, dr. Picco, dinanzi alla Corte di cassazione, in applicazione del nuovo istituto introdotto dalla riforma Cartabia all’art. 24 bis c.p.p. in materia di rinvio pregiudiziale alla Corte per dirimere la questione sulla competenza territoriale. Questione non nuova con riferimento all’art. 185 bis T.U.F. sul quale, da sempre, si contendono due orientamenti giurisprudenziali in materia: quell’orientamento che vede Milano come il Foro esclusivo, ossia quello del giudice del luogo in cui ha sede la Borsa valori presso la quale si sono svolte le operazioni che si assumono illecite, in considerazione del fatto che le condizioni necessarie ai fini della consumazione dell'illecito si realizzano soltanto nel momento dell'incrocio tra gli ordini di acquisto e quelli di vendita sul mercato telematico e quell’altro che, invece, vede il Foro competente in quello in cui soggetto attivo decide di palesare all’esterno la condotta decettiva» e ancora che è «rilevante il luogo e il momento in cui sia stata decisa la diffusione e non quello in cui un impiegato abbia provveduto alla digitazione.
Toccherà, ora, alla Suprema Corte dirimere la questione: se riterrà l’incompetenza territoriale del giudice torinese, disporrà la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto territorialmente competente.
IL CRITERIO DEL LOCUS COMMISSI DELICTI AI FINI DELL’INDIVIDUAZIONE DELLA COMPETENZA TERRITORIALE: ART. 8 C.P.P.
Ai sensi dell’art. 8, comma I, c.p.p. costituisce principio generale quello secondo cui la competenza territoriale del giudice si radica nel c.d. locus commissi delicti, ossia nel “luogo in cui il reato è stato consumato”. Apparentemente scontato e banale per certi delitti, più complessa per certi altri, atteso che per le modalità e la particolare insidiosità di talune condotte non sempre è agevole individuare il luogo - o i luoghi tra i molteplici in astratto possibili – in cui si è consumato il reato.
La dottrina ha chiarito che il «luogo in cui il reato è stato consumato» è quello in cui si è verificato l'evento (nei reati c.d. materiali) od in cui è stata realizzata la condotta (in quelli formali, o di pura condotta); criterio che «si ispira sia a valutazioni di opportunità, sia ad esigenze di natura politico-giuridica. Difatti, se, da un lato, i giudici del locus commissi delicti appaiono come i più idonei a prenderne cognizione, quanto meno perché è possibile raccogliere e valutare le prove con maggiore immediatezza, dall'altro, l'attività giurisdizionale esercitata nel medesimo luogo, e quindi nel medesimo ambiente sociale in cui è stato commesso il fatto disapprovato, rafforza la ragione stessa dell'ordinamento».
Da un punto di vista più strettamente processuale, la giurisprudenza ha affermato che sulla parte che eccepisce l'incompetenza per territorio non incombe alcun onere probatorio, e che sarebbe, pertanto, non corretto il rigetto dell'eccezione motivato unicamente in relazione al difetto di prova della sua fondatezza: « il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale non può costituire (...) la sanzione, in danno di chi avanza l'eccezione stessa, per non essere riuscito a provarla. Al relativo accertamento, infatti, il giudice penale deve procedere di ufficio, e ben può, anche di ufficio, senza dunque essere stato sollecitato dalle parti del processo, dichiarare la propria incompetenza. Il che significa che l'accoglimento o il rigetto dell'eccezione non può che essere il risultato di una o una serie di argomentazioni positivamente e concretamente svolte dal giudicante» (Cass. III, n. 3048/2008).
La parte che eccepisce l'incompetenza per territorio del giudice che procede ha, peraltro, l'onere di indicare il giudice a suo avviso territorialmente competente: «in nessun caso l'interessato può limitarsi a contestare genericamente la competenza territoriale del giudice procedente senza indicare quello che a suo dire sarebbe competente, anche perché diversi sono i criteri di attribuzione della competenza de qua nel caso in cui il luogo rilevante ex art. 8 sia asseritamente diverso da quello valorizzato dal giudice procedente, ovvero sia ignoto (operando, in tal caso, le regole suppletive dettate dall'art. 9)» (Cass. II, n. 12071/2015). Sarebbe, pertanto, inammissibile per genericità l'eccezione di incompetenza per territorio che non contenga l'indicazione del diverso giudice che si prospetta essere competente. Si è anche ritenuto che, nel caso in cui l'imputato abbia eccepito l'incompetenza per territorio indicando fori alternativi, e l'eccezione sia stata accolta con riferimento a quello indicato in via subordinata, non è consentita l'impugnazione della decisione per far valere la competenza del foro indicato in via principale (Cass. II, n. 10126/2016).
Altrettanto importante la norma di cui all’art. 16 c.p.p., a mente del quale “La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato”.
LA QUESTIONE DI INCOMPETENZA TERRITORIALE DEL GIUDICE TORINESE SOLLEVATA IN ORDINE AL REATO EX ART. 185 TUF (D.LGS. 58/98)
Come anticipato, una delle questioni preliminari sollevate dalle difese del Club Juventino e dei suoi dirigenti concerne proprio la ritenuta incompetenza territoriale del giudice piemontese, in favore di quello milanese ovvero di quello romano. La questione, tutt’altro che “meramente accademica”, ha carattere eminentemente pratico: pur non conoscendo – evidentemente – gli elementi fattuali posti a sostegno dell’eccezione di incompetenza territoriale sollevata, appare in ogni caso verosimile che le argomentazioni impiegate dalle difese abbiano tratto spunto dall’orientamento dottrinale e giurisprudenziale formatasi sul tema. Gli orientamenti attualmente esistenti si fondano, preliminarmente, sulle diverse interpretazioni e letture in ordine (prima ancora che sul luogo) sul momento consumativo del reato di cui all’art. 185 TUF nonché sulla natura stessa del reato.
Su tale ultimo aspetto, affrontato e sollecitato a più riprese da dottrina e giurisprudenza, meritano alcune osservazioni. Il reato in esame è fattispecie di mera condotta, e quest’ultima deve assumere modalità concrete tali da esprimere l’effettiva offensività (sub specie messa in pericolo) del bene protetto (genericamente, il mercato). Assente, dunque, come certa giurisprudenza di legittimità ha invece richiesto in talune pronunce, un “evento di pericolo”, un elemento che il legislatore non ha contemplato e che la fattispecie, interamente polarizzata sulla condotta, articolata secondo distinte modalità (diffusione di notizie false, compimento di operazioni simulate o di altri artifizi) che incorporano integralmente il disvalore del fatto, non può consentire. In altri termini, il complesso degli elementi denotativi delle condotte contemplate dall’art. 185 TUF racchiude in sé ed esaurisce la portata offensiva delle condotte medesime e il carattere della idoneità, se per un tratto costituisce elemento selettivo, per l’altro arricchisce la fattispecie, connotandola come figura di reato di pericolo concreto. Della diffusione di una notizia price sensitive falsa ben può predicarsi l’idoneità concreta ad alterare il prezzo di strumenti finanziari: ma ciò non determina affatto alcuna modificazione della realtà fenomenica (il prezzo non muta e il mercato non subisce, in forza di ciò, alcuna variazione) poiché tale giudizio prescinde dall’effettivo prodursi dell’alterazione del prezzo. Ma nel momento nel quale l’alterazione dovesse effettivamente verificarsi, in quello stesso momento il pericolo si dissolverebbe, essendo divenuta attuale la lesione al bene giuridico presidiato dalla norma incriminatrice [F. MUCCIARELLI, Il locus commissi delicti della manipolazione di mercato aporie normative e sistematiche della decisione ex art. 54-bis c.p.p. nel caso Fonsai, in Diritto Penale Contemporaneo].
Come sostenuto da eguale autorevole dottrina, «quello che si presenta come evento (di pericolo) si rivela in realtà come uno pseudo-evento, mera amplificazione verbale della sola condotta, che nella condotta si dissolve» [C.E. PALIERO, Nuove prospettive degli abusi di mercato, in AA.VV., La crisi finanziaria: banche, regolatori, sanzioni, Atti del Convegno a cura del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, Milano, 2010].
Naturale e fisiologica conseguenza di tale accorta lettura del dato normativo è che – in prima battuta - la consumazione è ravvisabile nel «momento stesso in cui la notizia, foriera di scompenso valutativo del titolo, viene comunicata o diffusa e, cioè, esce dalla sfera del soggetto attivo»: a rilevare è dunque – in coerenza con il non flessibile dato normativo – il momento della diffusione, quando cioè la notizia price sensitive falsa è diretta verso una cerchia indeterminata di destinatari (eventualmente anche per il tramite di soggetti a ciò preposti per funzione, ovvero per ragioni di mestiere o professione) senza che l’agente abbia più possibilità di controllarne la emissione e la propagazione. Come ognun vede, si tratta di una ben precisa situazione di fatto, che corrisponde alla condotta tipizzata dalla norma (in questi termini la sentenza della Corte di legittimità nel c.d. caso Parmalat: «l’illecito si consuma (…) soltanto con il formale ‘invio’ e con il comunicato stampa, autorizzato dai preposti alla governance della società, potendo ravvisare la effettiva comunicazione al mercato (…). La sentenza della Cassazione relativa al filone milanese del caso Parmalat segna, difatti, una svolta. Il luogo di consumazione delle condotte incriminate, consistenti nella periodica diffusione di notizie false, tramite comunicati stampa e conferenze al mercato, era stato fissato, dai Giudici del merito, in Milano, poiché, posta la natura di reato di mera condotta, «la divulgazione al pubblico, che consuma il reato di aggiotaggio, [ha] luogo solo mediante il contributo ultimo della stessa società di gestione del mercato, dal cui server (Network Information System - NIS) il comunicato viene posto a disposizione della generalità indistinta degli investitori». Non sarebbe corretto, invece, a parere della Corte, distinguere «il momento dell’invio della notizia rispetto a quello della possibilità della rilevante alterazione del corso dei valori», prendendo in considerazione «un successivo tempo della condotta illecita». Tale soluzione discende dalla struttura del reato in oggetto: di mera condotta, unisussistente, senza evento naturalistico (in specie senza produzione necessaria di un “inganno” nei confronti dei destinatari), bensì fondato sull’«evento giuridico […] costituito dalla distorsione del gioco della domanda e dell’offerta sul mercato mobiliare, dipendente da situazione volutamente incidente sul corretto processo di formazione dei prezzi», accertabile in base ad una prognosi postuma. Il criterio individuato si affida all’interpretazione del termine “diffondere”: la fuoriuscita della notizia dalla sfera del soggetto attivo in direzione di un numero indeterminato di persone («la platea dei risparmiatori»), con esclusione delle comunicazioni a pochi destinatari o a persone tenute ad obblighi di riservatezza [A. NISCO, Manipolazione informativa del mercato e luogo di consumazione del reato Note a margine dell’ordinanza del Tribunale di Torino, Sez. IV pen., 30 gennaio 2014, in Diritto Penale Contemporaneo].
Con una nuova, importante decisione, resa in occasione del c.d. “caso Antonveneta”, la Suprema Corte è tornata sulla struttura del reato di manipolazione e sulla nozione di “diffusione”, rilanciando, di fatto, l’ipotesi di una tendenziale “esclusività” del Foro milanese. Il risultato consiste, comunque, nel situare la consumazione «nel tempo e nel luogo in cui si concretizza, quale conseguenza della condotta, la rilevante possibilità di verificazione della sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario», facendo coincidere il luogo con il mercato e con la sede della società che lo gestisce. Stando a questo criterio, la manipolazione mediante altri artifici si consuma nel «luogo in cui avviene l’abbinamento automatico delle proposte di negoziazione in acquisto e vendita degli strumenti finanziari», coincidente col sistema informatico di Borsa Italiana SpA . Sono al contempo respinti sia il criterio del luogo di invio dell’ordine, fatto proprio da alcune pronunce di merito, sia quello del luogo in cui avviene l’annotazione dell’acquisto sul dossier titoli dell’acquirente da parte dell’intermediario autorizzato, che invece è stato adottato per il reato di abuso di informazioni privilegiate (art. 184 T.U.F.). Per contro, si assegna rilievo al momento nel quale l’operazione è manifestata al mercato, cogliendo in ciò un’analogia tra manipolazione informativa e operativa, entrambe incentrate sulla necessità che la condotta giunga a conoscenza del mercato, affinché se ne determinino le potenzialità lesive. Con più specifico riferimento alla manipolazione informativa, la sentenza Antonveneta ne qualifica la condotta come «atto per sua natura recettizio», intendendo, cioè, l’informazione giuridicamente rilevante, solo nella misura in cui sia portata a conoscenza di un destinatario. Ne segue la necessità «che la notizia che si vuol diffondere venga a conoscenza del suo primo destinatario, Borsa Italiana, perché possa parlarsi di diffusione. Diversamente si finisce con l’anticipare il momento della consumazione del reato a quello del compimento di un’attività unilaterale priva di qualsiasi rilievo anche materiale. Non basta, in altre parole, che il comunicato stampa esca dalla sfera di controllo dell’emittente; esso deve, per essere un “comunicato”, giungere, cioè, a destinazione». La consumazione, di conseguenza, cade «nel luogo di successiva diffusione al pubblico delle informazioni in grado di incidere nel mercato dei titoli», cioè la sede della Borsa Valori in Milano. In tale ultimo filone, si effettua un passo avanti rispetto al caso Parmalat: non è sufficiente l’invio della notizia (cioè, nei termini della sentenza Parmalat, l’“uscita dalla sfera del soggetto” che la emette), ma occorre la ricezione da parte della società di gestione, la quale “media” tra invio della notizia e sua comunicazione al pubblico [A. NISCO, cit.].
Altra giurisprudenza, forzando il dato normativo e l’orientamento sopra riportato, ha ritenuto invece che «il momento consumativo del reato va collocato nel momento in cui il soggetto attivo decide di palesare all’esterno la condotta decettiva» e ancora che è «rilevante il luogo e il momento in cui sia stata decisa la diffusione e non quello in cui un impiegato abbia provveduto alla digitazione». Nella prospettiva di questo orientamento a venire in rilievo è dunque non già la condotta, bensì la componente volitiva, la decisione rispetto al comportamento attraverso il quale la decisione stessa si realizza. In altri termini, una iper-valorizzazione dell’elemento volitivo (la decisione), giungendo a punire l’intenzione più che la condotta!
L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DEL GUP TORINESE ALLA CORTE DI CASSAZIONE
A seguito di una breve ricostruzione sull’attività investigativa condotta dall’Ufficio di Procura, prevalentemente incentrata (ed illustrata dal giudice a quo nell’ordinanza in commento) a ricostruire accuratamente il flusso informativo e operativo seguito dall’emittente per il caricamento del comunicato oggetto del capo di imputazione più grave (aggiotaggio informativo, ex art. 185, comma 1 tuf) nei sistemi di diffusione al pubblico, l’ordinanza ricostruisce la posizione accusatoria, prima, e difensiva, poi, in ordine alla questione circa la competenza territoriale.
Secondo la prospettazione accusatoria, l’eccezione di competenza territoriale sollevata andrebbe risolta a favore del Tribunale di Torino i) poiché – secondo l’orientamento formatosi sul tema a partire dal c.d. caso Parmalat (comunque perfezionatosi ed evolutosi nel tempo come visto ut supra) -la condotta di aggiotaggio informativo si perfezionerebbe nel momento in cui la notizia mendace esce dalla sfera del soggetto attivo (momento – nel caso di specie – identificato con quello in cui il preposto dall’ufficio torinese ha inviato il documento alla piattaforma “1INFO”, piattaforma utilizzata da una società autorizzata da Consob all’esercizio del “Sistema di Diffusione delle Informazioni Regolamentate – SDIR – e all’esercizio del meccanismo di stoccaggio centralizzato delle informazioni regolamentate); ii) poiché il suddetto meccanismo SDIR – 1INFO per la diffusione del comunicato di cui al contestato capo di imputazione differirebbe dal precedente sistema NIS (sistema gestito da Borsa Italiana S.p.A., con sede legale in Milano, impiegato per la diffusione al pubblico dei comunicati ricevuti dalle società emittenti attraverso l’invio degli stessi alle agenzie di stampa).
Se, quindi, nel previgente sistema NIS Borsa Italiana S.p.A. ricopre/iva un ruolo nella fase della diffusione della notizia al pubblico comunicata dall’emittente (precisamente, quello di canale di distribuzione verso il pubblico), con la normativa SDIR Borsa Italiana S.p.A. non svolgerebbe alcun ruolo, atteso che le emittenti trasmettono e diffondono in proprio i comunicati al pubblico senza intermediario, e questo poiché lo SDIR assumerebbe su di sé i due ruoli di strumento tecnico e canale di distribuzione della notizia al pubblico.
Secondo la prospettazione difensiva, al contrario, il sistema SDIR sarebbe del tutto equiparabile al precedente sistema NIS determinando la competenza territoriale del Foro di Milano ovvero, in alternativa, di quello di Roma (quest’ultimo poiché il sistema 1INFO si avvale di data center, dislocati in tutta Italia, tra cui in Roma quello utilizzato da 1INFO per erogare il servizio richiesto da Juventus F.C.).
La base giuridica si ricaverebbe dall’art. 113 ter, comma 4, lett. a) del TUF che, unitamente alla normativa secondaria (Regolamento Emittenti), dimostrerebbe come l’impiego del sistema SDIR non elimina il coinvolgimento della Consob, non potendo quindi ritenere la società che ricorre a tale meccanismo come “autonoma” e “in proprio” nel momento di diffusione dei comunicati; al contrario, la società imputata sottolinea come la stessa abbia fatto ricorso – per la diffusione dei comunicati al pubblico – sì ad un soggetto terzo ma autorizzato da Consob.
In altri termini, quindi, similmente al precedente meccanismo NIS, anche con lo SDIR si verificherebbe quel momento di incontro tra Borsa Italiana e Consob, da un lato (dotate di accesso riservato e diretto al sistema SDIR), e l’emittente.
Il GUP dr. Picco, rilevato poi, ed esaustivamente illustrato il contrasto giurisprudenziale in materia, dando atto dei rispettivi orientamenti (di cui sopra) - sinteticamente riassumibili, da un lato, in quello del caso Parmalat, che ritiene rilevante ai fini della determinazione del locus commissi delicti quello nel quale la notizia viene (formalmente) inviata dall’ufficio della società a ciò preposto, momento nel quale la stessa “esce dalla sfera del soggetto attivo”, e, dall’altro, in quello del caso Antonveneta, che ha ritenuto rilevante al momento e al luogo “in cui si manifesta l’idoneità dell’azione a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari” perciò essendo “nel mercato che si consuma il reato e, quindi, nel luogo in cui ha sede la società di gestione del mercato stesso (Borsa Italiana s.p.a.” – solleva giudizio incidentale dinanzi alla Corte di cassazione per la risoluzione dell’eccezione di incompetenza territoriale avanzata dalle difese, sulla quale toccherà ora attendere la pronuncia del Giudice adito, a definizione della questione sollevata e – auspicabilmente – del contrasto giurisprudenziale e dottrinale formatosi sul tema