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Profili problematici della composizione delle Commissioni giudicatrici delle gare d’appalto: una ricostruzione giurisprudenziale

Appalti
Ph. Mario Lamma / Appalti

Una recente pronuncia del TAR Sicilia, sede di Catania (sentenza n. 2377 del 14.10.2019, resa dalla sezione V) costituisce l’occasione per approfondire il tema della corretta composizione delle commissioni aggiudicatrici di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Il punto di partenza obbligato per le sintetiche riflessioni che si svilupperanno infra è rappresentato, ovviamente, dal dato normativo, ossia dalle disposizioni dettate dall’articolo 77 del Decreto Legislativo n. 50 del 2016 (c.d. Codice degli Appalti).

In buona sostanza nelle procedure da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa la stazione appaltante, dopo la scadenza del termine stabilito per la presentazione delle domande di partecipazione, procede alla nomina di commissari di gara, in numero dispari non superiore a cinque, esperti nello specifico ambito materiale che di volta in volta viene in rilievo.

Prescindendo, in questa sede, dall’inoperatività, allo stato sino alla data del 31.12.2020, delle statuizioni di cui al comma 3 della previsione normativa sopra richiamata, risulta irrevocabile in dubbio come la fattispecie connotata da profili di maggiore complessità ermeneutica sia costituita da quella disciplinata dal successivo comma 4.

Detto comma così, testualmente, recita: “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”.

Dalla semplice e piana lettura della disposizione che precede, come non sfuggirà all’attento lettore, emerge un profilo di sostanziale difformità rispetto alle corrispondenti previsioni dettate dall’articolo 84, comma 4, del previgente Decreto Legislativo n. 163 del 2006 che così disponeva: “I commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”, poiché, per effetto dello ius superveniens è venuto meno il “salvacondotto” per il Presidente della Commissione giudicatrice, la cui posizione risulta, consequenzialmente, equiparata in toto a quella degli altri commissari.

Orbene, operata tale doverosa premessa, volta a delineare i termini essenziali del contesto normativo di riferimento, passiamo ora a considerare la vicenda che ha originato la pronuncia giurisdizionale sopra richiamata.

Una IPAB siciliana ha impugnato gli atti di gara adottati dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Enna, volti alla selezione, tramite avviso pubblico, di partner per la presentazione di progetti da finanziare a valere sul Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione 2014-2010 – Obiettivo Specifico 2 – Obiettivo Nazionale 2.3 – Qualificazione dei servizi pubblici a supporto dei cittadini a supporto dei cittadini di Paesi terzi (Capacity building), adducendo la sussistenza di vari profili di illegittimità nella condotta serbata dalla stazione appaltante.

In particolare, e per quanto di specifico interesse ai fini del presente scritto, il primo motivo di ricorso veniva così esplicitato: “Perché il Direttore dell’U.O. proponente era stato nominato Responsabile del Procedimento omissis, aveva inoltre proposto di nominare se stesso Presidente della commissione per la valutazione delle proposte progettuali ed infine era stato delegato – nella qualità di direttore dell’UOC Salute Mentale – a svolgere gli atti amministrativi. E ciò in violazione dell’articolo 77 comma 4 del Decreto Legislativo n. 50/2016, che intende prevenire il pericolo di possibili effetti distorsivi prodotti da la partecipazione alle Commissioni giudicatrici di soggetti che, a diverso titolo, siano già intervenuti nella procedura concorsuale, definendone i contenuti e le regole”.

I giudici amministrativi aditi hanno ritenuto tale doglianza pienamente fondata, qualificandola come assorbente rispetto alle ulteriori censure formulate da parte ricorrente, evidenziando come, nel caso di specie, uno stesso soggetto avesse rivestito la qualifica di responsabile unico del procedimento, di Presidente della Commissione di gara, nonché di soggetto proponente l’indizione della gara e della nomina dei componenti della Commissione medesima (e quindi di se stesso come Presidente).

Con deliberazione n. 2 del 02.01.2019, infatti, il Commissario Straordinario dell’Amministrazione resistente, in conformità alla proposta del direttore dell’UOC salute mentale, approvava l’avviso pubblico, nominando la Commissione giudicatrice con Presidente il medesimo direttore dell’UOC salute mentale, che veniva altresì delegato a svolgere gli atti amministrativi ed individuato quale RUP.

All’esito della ricostruzione degli elementi fattuali della vicenda devoluta alla cognizione del TAR Sicilia la conclusione inevitabile è costituita, come già accennato supra, dalla declaratoria di illegittimità degli atti assunti dalla stazione appaltante, evidenziando, in particolare, che il descritto “coacervo di funzioni non appare compatibile con i principi … al rispetto dei quali l’Azienda resistente era tenuta, e tanto esime il Collegio dall’indugiare nella questione dibattuta tra le parti circa l’applicabilità o meno del codice dei contratti alla procedura in questione”.

A sostegno della propria decisione i giudici di prime cure richiamano alcune pronunce del massimo organo di giustizia amministrativa, ed in particolare la sentenza n. 1387 del 27.02.2019, resa dalla sezione V, che ha affermato come il fondamento ultimo di razionalità della disposizione dettata dell’articolo 77, comma 4, del Codice degli Appalti sia individuabile nell’incompatibilità fra soggetto redattore della lex specialis e la veste di componente della Commissione giudicatrice, “costituendo il principio della separazione tra chi predisponga il regolamento di gara e chi è chiamato a concretamente applicarlo una regola generale, posta a tutela della trasparenza della procedura, e dunque a garanzia del diritto delle parti ad una decisione adottata da un organo terzo ed imparziale mediante valutazioni il più possibile oggettive, e cioè non influenzate dalle scelte che l’hanno preceduta”[1].

Per le medesime motivazioni, e con un implicito, ma significativo, richiamo al principio costituzionale di imparzialità dell’azione amministrativa, il TAR Sicilia adduce, a riprova della validità dell’arresto raggiunto, un’ulteriore sentenza dei giudici di Palazzo Spada (la n. 193 del 09.01.2019, anch’essa resa dalla sezione V) che qualifica come inammissibile e contra legem la commistione di funzioni rilevabile nella vicenda in esame, sussistendo, “in ogni caso una situazione di incompatibilità sostanziale nel caso in cui il presidente della Commissione è stato il RUP, ha partecipato alla elaborazione degli atti di gara e del capitolato speciale, da lui approvato, e ha nominato la Commissione giudicatrice, indicando sé stesso quale Presidente”.

Al di là delle indubbie peculiarità connotanti la fattispecie che ha originato il contenzioso risolto dal TAR Sicilia con la sentenza sopra specificata, non può non evidenziarsi come, anche in questo caso, si registrino, come troppo soventemente accade nel nostro ordinamento giuridico, orientamenti giurisprudenziali contrastanti e non univoci (e ciò ad icastica riprova della veridicità dell’affermazione secondo cui la certezza del diritto costituisce, nel nostro Paese, una mera petizione di principio, priva di ogni contenuto sostanziale).

Si oscilla, infatti, nell’ambito materiale considerato, fra posizioni connotate da rigore, forse, financo eccessivo, e visioni ispirate ad un’interpretazione teleologica delle norme che vengono in rilievo e che tentano di dare il giusto peso anche alle concrete condizioni operative ed organizzative in cui si trovano ad operare le stazioni appaltanti.

Nel primo filone sembra inserirsi la sentenza n. 408 del 30.09.2019, resa dal TAR Friuli Venezia Giulia, sezione I, che ha annullato una procedura di gara sulla scorta del presupposto che il Presidente della Commissione giudicatrice, che non rivestiva la qualità di RUP, in veste di Dirigente della competente struttura della stazione appaltante, aveva verificato la regolarità della procedura medesima, provvedendo, per l’effetto, all’approvazione dei verbali della commissione giudicatrice ed all’aggiudicazione.

La riferita circostanza integra, a giudizio del TAR adito, una violazione dell’articolo 77, comma 4, del Codice degli Appalti, poiché “l’aver approvato gli atti di gara implica, necessariamente, un’analisi degli stessi, una positiva valutazione e - attraverso la formalizzazione - una piena condivisione”.

Da ciò discende, seguendo la traiettoria argomentativa sottesa al dictum in discorso, “che l’approvazione degli atti di gara integra proprio una funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta” (in senso conforme si veda anche TAR Puglia, sede di Lecce, sezione II, sentenza n. 1040 del 27.06.2016, non appellata) il cui svolgimento è precluso ai componenti la Commissione giudicatrice.

Tale approccio al tema oggetto delle presenti riflessioni appare, a giudizio di chi scrive, francamente eccessivo ed idoneo a produrre potenzialmente, ad abundantiam, ripercussioni perniciose sulla funzionalità ed il buon andamento dell’attività amministrativa (anche in termini di eventuali oneri finanziari che la stazione appaltante potrebbe sopportare per il reperimento ab externo di figure professionali, a vario titolo, coinvolte nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti d’appalto).

Nella prospettiva considerata risultano pienamente condivisibili, per contro, i principi affermati dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2835 del 11.05.2018, resa dalla sezione III, che con riferimento ad una procedura indetta sotto la vigenza dell’articolo 84, comma 4, del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, ha enunciato una serie di principi pacificamente traslabili, quanto ad applicazione, sulla corrispondente statuizione del decreto legislativo n. 50 del 2016, ed in appresso dettagliati:

“è fisiologico che il Dirigente preposto al Settore interessato, e quindi in qualche misura coinvolto per obbligo d’ufficio, svolga nello specifico lavoro, servizio o fornitura oggetto dell’appalto, le verifiche formali estranee alla determinazione del contenuto degli atti di gara (cfr. Cons. Stato, sezione III, 22.1.2015, n. 226);

la situazione di incompatibilità deve ricavarsi dal dato sostanziale della concreta partecipazione alla redazione degli atti di gara, al di là del profilo formale della sottoscrizione o della mancata sottoscrizione degli stessi e indipendentemente dal fatto che egli sia il funzionario responsabile dell’ufficio competente (Cons. Stato, sezione V, 28.4.2014, n. 2191);

la previsione del principio di cui all’articolo 84 non vale a rendere incompatibili tutti i soggetti che, in quanto dipendenti della stazione appaltante, siano in qualche misura coinvolti nell’appalto dato che la predetta incompatibilità non può desumersi ex se dalla semplice appartenenza del funzionario, componente della Commissione, alla struttura organizzativa preposta (cfr. T.A.R. Lazio, sezione III, 6.5.2014, n. 4728; T.A.R. Lecce, sezione III, 7.1.2015, n. 32);

diversamente opinando, ne discenderebbe l’irragionevole impossibilità di espletamento delle gare nelle stazioni appaltanti di piccole dimensioni ed il contrasto, parimenti irragionevole, con le regole che impongono, nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti, di valutare previamente l’esistenza di professionalità nella stessa Pubblica Amministrazione, prima di nominare componenti esterni delle Commissioni giudicatrici (cfr. Cons. Stato, 5 febbraio 2018 n. 695)”.

Sulla scorta delle sopra individuate regole ermeneutiche i giudici di Palazzo Spada pervengono ad una conclusione, rispetto alla quale si esprime integrale adesione, ossia che “nessuna implicazione di incompatibilità si ritiene possa conseguire dalla mera sottoscrizione della delibera di indizione della gara e di aggiudicazione, trattandosi di atti estranei alla fase di definizione e predisposizione dei contenuti e delle regole della procedura”.

Con un’ulteriore, e più recente, pronuncia, inoltre, il Consiglio di Stato ha ribadito, con sentenza n. 6135 del 11.09.2019, resa dalla sezione V, come non possa sussistere un’incompatibilità per motivi di interferenza e di condizionamento tra chi ha predisposto un avviso pubblico e chi ha verificato la documentazione di gara, non essendo tale evenienza idonea a determinare una lesione del diritto dei partecipanti alla procedura che, di volta in volta, viene in rilievo, ad una valutazione oggettiva ed imparziale.

Nel medesimo solco giurisprudenziale può collocarsi, altresì, la pronuncia n. 819 del 04.02.2019, resa, anch’essa, dalla sezione V del Consiglio di Stato che, nel respingere l’appello proposto da un operatore economico avverso una sentenza del TAR Veneto, ha affermato il principio della legittimità della coincidenza soggettiva dei ruoli di componente della Commissione giudicatrice e di Direttore dell’Esecuzione Contrattuale, non sussistendo ipotesi di incompatibilità e ciò anche per effetto delle modifiche apportate all’articolo 77, comma 4, del Codice degli Appalti, dal Decreto Legislativo n. 56 del 2017, che ha inserito nel corpo della richiamata statuizione normativa il periodo “ La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”.

I giudici di Palazzo Spada hanno osservato, infatti, come la novella apportata dal c.d. decreto correttivo all’articolo 77 del Codice degli Appalti, abbia determinato un’attenuazione del rigido principio di incompatibilità ivi previsto, imponendo una verifica in concreto in ordine all’effettiva sussistenza di ragioni giustificative della preclusione.

Lo ius superveniens inoltre, a seguire il percorso motivazionale del massimo organo di giustizia amministrativa, avrebbe avuto la mera finalità di assicurare portata normativa ad “orientamenti consolidati nella giurisprudenza (la cui ratio non può essere limitata – per evidenti ragioni sistematiche – alla sola figura del RUP, ma che vanno riferiti a qualunque attore del ciclo di vita dell’appalto)”.

Al fine di rafforzare il tessuto eziologico sotteso alla reiezione del motivo d’appello proposto dall’originario ricorrente, il Consiglio di Stato rileva che “quand’anche si accedesse alla lettura più restrittiva della previsione di cui all’articolo 77, comma 4 (riferendola anche alla figura del direttore esecutivo), non potrebbe comunque pervenirsi a conclusioni diverse da quelle già esposte”, e ciò sulla scorta della considerazione, invero assorbente, che il Direttore dell’Esecuzione Contrattuale esplica, ovviamente, le proprie funzioni essenzialmente nella fase esecutiva dell’appalto.

Dalla superiore notazione discende che la disposizione di cui al richiamato articolo 77, comma 4, a voler tutto concedere “potrebbe al più comportare la preclusione al conferimento dell’incarico di direttore esecutivo in capo a chi abbia fatto parte della commissione di gara, ma non può – correlativamente – comportare la preclusione ad assumere le funzioni di commissario da parte di chi svolgerà solo in una fase successiva le funzioni di direttore esecutivo”, non ravvisandosi ragioni sistemiche che impongano di configurare cause di incompatibilità riferite ad “un incarico anteriore nel tempo in ragione delle preclusioni che – quand’anche sussistenti – deriveranno solo dall’assunzione di un incarico posteriore”.

Prescindendo in questa sede, al fine di non tediare eccessivamente il cortese lettore, dall’esame delle molteplici pronunce del Consiglio di Stato che hanno affermato il principio secondo non può essere ravvisata “alcuna automatica incompatibilità tra le funzioni di RUP e quelle di componente della commissione giudicatrice, a meno che essa non venga dimostrata in concreto – nell’ottica di una lettura dell’articolo 77 comma 4 del Decreto Legislativo n. 50/2016 che si ponga in continuità con l’indirizzo interpretativo formatosi sul comma 4 dell’articolo 84 del previgente Decreto Legislativo n. 163/2006”[2], non può non evidenziarsi, come già accennato in precedenza, la presenza, nel panorama giurisprudenziale, di orientamenti più restrittivi rispetto a quelli, invero maggioritari, sopra citati, che si fondano su criteri ermeneutici volti a privilegiare un’applicazione eminentemente formale-letterale del dato normativo, senza attribuire, per contro, il giusto peso alle finalità sostanziali che il legislatore ha inteso perseguire in subiecta materia.

Nel descritto contesto si inserisce la deliberazione n. 760 del 04.09.2019 dell’ANAC che, in sede di parere di precontenzioso, accogliendo le doglianze di un operatore economico sulla composizione della Commissione giudicatrice di una procedura di appalto ha affermato che:

l’articolo 77, comma 4, del Decreto Legislativo 50/2016 … rappresenta un’evoluzione di quanto previsto dall’articolo 84, comma 4, del Decreto Legislativo 163/2006 in quanto estende al Presidente della Commissione di gara la causa di incompatibilità dello svolgimento di altra funzione o incarico tecnico o amministrativo, prima prevista solo nei confronti degli altri commissari (Delibera ANAC n. 27 del 18 gennaio 2017)”;

detta disposizione risponde all’esigenza di rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di gara da quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi (ex multis cfr. Cons. Stato, sezione V, 14 gennaio 2019, n. 283; Cons. Stato, III, 22 gennaio 2015, n. 226; Cons. Stato, Ad. Plen., 7 maggio 2013, n. 13);

in definitiva, tale divieto è destinato a prevenire il pericolo concreto di possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti, dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale, definendo i contenuti e le regole della procedura (Cons. Stato, sezione V, 28 aprile 2014, n. 2191);

che la giurisprudenza amministrativa ha sottolineato, a più riprese, come tale causa di incompatibilità vada accertata in concreto, escludendo dalle commissioni di gara soltanto coloro che abbiano svolto un’attività effettivamente idonea ad interferire con il giudizio di merito sull’appalto, in grado di incidere sul processo formativo della volontà che conduce alla valutazione delle offerte e a condizionare l’esito della gara (ex multis, Cons. St., sezione V, 28 aprile 2014, n. 2191; 14 giugno 2013, n. 3316; sezione VI, 21 luglio 2011, n. 4438; 29 ottobre 2010, n. 9577);

che, nel caso di specie, il Presidente della Commissione giudicatrice … è lo stesso soggetto che, in qualità di Responsabile dell’U.O. Pubblica Istruzione e Servizi Sociali del Comune di ... omissis… ha adottato la Determinazione n. 190 del 2 aprile 2019 con cui è stata indetta la procedura di gara e contestualmente approvato il capitolato speciale d’appalto e i criteri di valutazione delle offerte;

che l’approvazione degli atti di gara non costituisce un’operazione di natura meramente formale ma, essendo un controllo preventivo di merito, implica necessariamente un’analisi degli stessi, una positiva valutazione e – attraverso la formalizzazione – una piena condivisione;

pertanto l’approvazione degli atti di gara integra proprio una funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta il cui svolgimento è precluso ai componenti della Commissione giudicatrice (in tal senso TAR Brescia, 4 novembre 2017, n. 1306; TAR Puglia, Lecce, sezione II, 27 giugno 2016, n. 1040)”.

Non v’è chi non veda, dunque, come l’ANAC, prescindendo per il momento dalla questione relativa all’effettiva latitudine delle attribuzioni ad essa demandate ope legis, aderisca, con toni perentori[3], all’orientamento giurisprudenziale più stringente, non dando alcun concreto rilievo, per converso, a molteplici sentenze del Consiglio di Stato che, pur muovendo dalla considerazione del medesimo dato normativo, pervengono a conclusioni del tutto antitetiche.

Per parafrasare, a guisa di chiosa conclusiva di queste disorganiche e scarne riflessioni, la celebre frase di Mao Zedong è possibile affermare che “grande è la confusione sotto il cielo” ma la situazione è tutt’altro che eccellente, atteso che l’acclarata impossibilità di addivenire nel nostro Paese ad un’interpretazione uniforme delle disposizioni normative, anche per effetto della mediocre qualità della formulazione delle stesse, costringe, de facto, gli operatori giuridici chiamati a svolgere funzioni di amministrazione attiva ad assumere atteggiamenti prudenziali ed autodifensivi, con le perniciose ricadute, in termini di dilatazione dei tempi di conclusione dei procedimenti e di efficienza complessiva dell’apparato burocratico, che è facile immaginare.

 

[1] Circa le finalità perseguite dalla disposizione normativa in discorso si veda anche TAR Campania, sede di Napoli, sez. V, sentenza n. 3587 del 30.05.2018, laddove si legge che: “ L’art. 77, comma 4, d.lgs. 18.04.2016 n. 50, ha il duplice scopo di garantire la libertà di elaborazione delle offerte e l’imparzialità della valutazione delle stesse, a garanzia tanto dei concorrenti quanto della Stazione appaltante, impedendo che i medesimi soggetti possano influire sul contenuto del servizio da aggiudicare e sul risultato della procedura di gara. Il principio di imparzialità dei componenti del seggio di gara va declinato nel senso di garantire loro la c.d. virgin mind, ossia la totale mancanza di un pregiudizio nei riguardi dei partecipanti alla gara stessa”.

[2] Si vedano, ex plurimis, le sentenze del Consiglio di Stato n. 695 del 18.01.2018 e n. 6089 del 20.10.2018, entrambe rese dalla sez. III, che hanno affermato i seguenti principi, già peraltro, almeno in parte, supra richiamati:

la garanzia di trasparenza ed imparzialità nella conduzione della gara impedisce la presenza nella commissione di gara di soggetti che abbiano svolto un’attività idonea a interferire con il giudizio di merito sull’appalto di che trattasi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2011, n. 4438, parere n. 46 del 21 marzo 2012);

la situazione di incompatibilità deve ricavarsi dal dato sostanziale della concreta partecipazione alla redazione degli atti di gara, al di là del profilo formale della sottoscrizione o mancata sottoscrizione degli stessi e indipendentemente dal fatto che il soggetto in questione sia il funzionario responsabile dell’ufficio competente (Consiglio di Stato, sez. V, 28.4.2014 n. 2191);

per predisposizione materiale della legge di gara deve quindi intendersi “non già un qualsiasi apporto al procedimento di approvazione dello stesso, quanto piuttosto una effettiva e concreta capacità di definirne autonomamente il contenuto, con valore univocamente vincolante per l’amministrazione ai fini della valutazione delle offerte, così che in definitiva il suo contenuto prescrittivo sia riferibile esclusivamente al funzionario” (Consiglio di Stato, sez. V, 22.01.2015 n. 255 e 23.03.2015, n. 1565); ad integrare la prova richiesta, non è sufficiente il mero sospetto di una possibile situazione di incompatibilità, dovendo l’art. 84, comma 4, essere interpretato in senso restrittivo, in quanto disposizione limitativa delle funzioni proprie dei funzionari dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 22.01.2015, n. 255);

detto onere della prova grava sulla parte che deduce la condizione di incompatibilità (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23.03.2017 n. 1320 e 25.01.2016 n. 242; Id., sez. III, 22.1.2015, n. 226);

in ogni caso, la predetta incompatibilità non può desumersi ex se dall’appartenenza del funzionario componente della Commissione, alla struttura organizzativa preposta, nella fase preliminare di preparazione degli atti di gara e nella successiva fase di gestione, all’appalto stesso (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 6.5.2014, n. 4728; T.A.R. Lecce, sez. III, 7.1.2015, n. 32).

Per completezza d’esposizione si segnala, inoltre, anche la sentenza n. 5958 del 18.10.2018, resa dalla sez. V del Consiglio di Stato, che richiamando quanto disposto dall’articolo 77, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ribadendone nei termini già espressi la ratio, afferma  “che nella sua applicazione sia da escludere ogni automatismo, e si debba, invece, valutare caso per caso se i pregressi incarichi possano condizionare le scelte da assumere in veste di componente della commissione, secondo un’interpretazione…….. sostanzialistica e non meramente formale del dato normativo”.

[3] Dimostrati, peraltro, dalla sostanziale irrilevanza che l’ANAC attribuisce alle previsioni dettate dall’articolo 107 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), declinando le funzioni e prerogative dirigenziali, attribuiscono ai Dirigenti degli enti locali territoriali, fra l’altro, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso (comma 3, lett. a) e la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso (comma 3, lett. b), e ciò in quanto il rapporto fra TUEL e Codice degli Appalti viene ricostruito, con opzione interpretativa di dubbia validità, in termini di relazione fra legge generale e legge speciale, con conseguente prevalenza di quest’ultima.