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Quanto vale l'articolo 18?

Abstract

Il dibattito sulle modifiche o sulla cancellazione integrale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavori contiene quattro inesattezze di fondo.

La prima: che la reintegrazione nel posto di lavoro sia una specificità anomala italiana.

La seconda: che il nanismo delle imprese italiane si spieghi con la soglia dei 15 addetti dipendenti a tempo indeterminato oltre quale scattano le previsioni sulla reintegrazione.

La terza: che l’articolo 18 non coinvolga alcun diritto fondamentale, altrimenti la sua difesa non riguarderebbe solo le imprese al di sopra della soglia dei 15.

La quarta: che la rimozione dell’articolo 18 sia una passaggio di modernizzazione pro-lavoro che aiuterà il rilancio dell’economia.

La creazione di lavoro passa per il rilancio della domanda aggregata, per la riduzione non estemporanea della pressione fiscale e contributiva (il cuneo), per la creazione di fiducia nelle Istituzioni e nei rapporti civili di cui quello di lavoro è parte. Dietro la riforma non si riconosce né l’attenzione dei Democratici per le tematiche del lavoro e della coesione, né l’attenzione dei Liberali per l’efficienza e il ridimensionamento del peso fiscale.

Si è detto che è un successo che all’Italia serve per sedersi nel consesso europeo con più credibilità, dopo aver dimostrato di saper essere incisiva nelle riforme di struttura e di non aver paura del cambiamento. Peccato, però, che intervenire sul 18 ci allontanerebbe dai modelli giuslavoristici europei. Quello che appare, alla fine, è una scelta poco ragionata, relativamente facile da attuarsi, e per ciò stesso sintomo delle difficoltà a riformare e a cambiare. Restiamo in attesa del passaggio parlamentare.

Per visualizzare l'intero contributo clicca qui.

Abstract

Il dibattito sulle modifiche o sulla cancellazione integrale dell’articolo 18 dello Statuto dei lavori contiene quattro inesattezze di fondo.

La prima: che la reintegrazione nel posto di lavoro sia una specificità anomala italiana.

La seconda: che il nanismo delle imprese italiane si spieghi con la soglia dei 15 addetti dipendenti a tempo indeterminato oltre quale scattano le previsioni sulla reintegrazione.

La terza: che l’articolo 18 non coinvolga alcun diritto fondamentale, altrimenti la sua difesa non riguarderebbe solo le imprese al di sopra della soglia dei 15.

La quarta: che la rimozione dell’articolo 18 sia una passaggio di modernizzazione pro-lavoro che aiuterà il rilancio dell’economia.

La creazione di lavoro passa per il rilancio della domanda aggregata, per la riduzione non estemporanea della pressione fiscale e contributiva (il cuneo), per la creazione di fiducia nelle Istituzioni e nei rapporti civili di cui quello di lavoro è parte. Dietro la riforma non si riconosce né l’attenzione dei Democratici per le tematiche del lavoro e della coesione, né l’attenzione dei Liberali per l’efficienza e il ridimensionamento del peso fiscale.

Si è detto che è un successo che all’Italia serve per sedersi nel consesso europeo con più credibilità, dopo aver dimostrato di saper essere incisiva nelle riforme di struttura e di non aver paura del cambiamento. Peccato, però, che intervenire sul 18 ci allontanerebbe dai modelli giuslavoristici europei. Quello che appare, alla fine, è una scelta poco ragionata, relativamente facile da attuarsi, e per ciò stesso sintomo delle difficoltà a riformare e a cambiare. Restiamo in attesa del passaggio parlamentare.

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