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La Compartecipazione alla spesa

Considerazioni a margine del Patto della Salute 2014-2016

Il Fondo sanitario nazionale per il 2014 supera i 109 miliardi di Euro. Il Ministro Lorenzin sottolinea gli sforzi fatti per non ridurre le risorse, in un momento in cui la Legge di Stabilità va alla ricerca di risparmi in tutti i capitoli.

Tuttavia, non si possono ignorare almeno quattro criticità:

  1. lo stanziamento resta inferiore alla spesa sanitaria a consuntivo degli anni 2009 e 2010, ed è noto da tempo che l’Italia dedica alla sanità quote di Pil inferiori rispetto ai Partner UE più direttamente comparabili;
  2. le richieste di risparmi di spesa che la Legge di Stabilità rivolge alle Regioni (4 miliardi) potrebbero alla fine incidere sulla sanità, decurtando de facto i Fondi sanitari regionali (la spesa sanitaria conta mediamente il 75-80% dei bilanci delle Regioni);
  3. la fase di grande incertezza in cui l’economia e la finanza pubblica restano coinvolte non esclude, purtroppo, che le risorse disponibili possano rivelarsi, in corso d’opera, inferiori a quelle preventivate;
  4. questa incertezza si estende anche ai prossimi anni, se si considerano i dati più recenti sull’andamento del Pil e dell’occupazione (una vera ripresa potrebbe arrivare solo dopo il 2016, cioè oltre l’orizzonte coperto dal Patto per la salute).

 

Dal Patto per la Salute 2014-2016

Articolo 8

Revisione disciplina partecipazione alla spesa sanitaria ed esenzioni

  1. È necessaria una revisione del sistema della partecipazione alla spesa sanitaria e delle esenzioni che eviti che la partecipazione  rappresenti una barriera per l’accesso ai servizi ed alle prestazioni così da caratterizzarsi per equità ed universalismo. Il sistema, in fase di prima applicazione, dovrà considerare la condizione reddituale e la composizione del nucleo familiare e dovrà connotarsi per chiarezza e semplicità applicativa. Successivamente, compatibilmente con le informazioni disponibili, potrà essere presa in considerazione la condizione “economica” del nucleo familiare.
  2. Si conviene altresì che il nuovo sistema della partecipazione dovrà garantire per ciascuna regione il medesimo gettito previsto dalla vigente legislazione nazionale, garantendo comunque l’unitarietà del sistema.
  3. A tal fine si conviene che uno specifico gruppo di lavoro misto con la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, del Ministero della salute, del Ministero dell’economia e delle finanze, di Agenas, coordinato dal Ministero della salute, definisca i contenuti della revisione del sistema di partecipazione entro il 30 novembre 2014.

In questa prospettiva, di particolare importanza è l’articolo 8 del Patto della Salute, che chiama a una revisione della compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria pubblica. Non è una novità; si tratta, anzi, di un tema ricorrente nel dibattito di politica economica, al crocevia tra adeguatezza e sostenibilità delle prestazioni Lea. Se ne discute almeno dal 2001, anno in cui lo schema di compartecipazione nazionale fu cancellato e le scelte demandate, senza sufficiente coordinamento e senza adeguata responsabilizzazione, alle Regioni.

Già l’articolo 17 della Legge n. 11/2011 aveva annunciato che, a decorrere dal 2014, si sarebbero introdotte compartecipazioni sistematiche dei cittadini ai costi delle prestazioni sanitarie. Le nuove compartecipazioni sarebbero state aggiuntive rispetto a quelle già eventualmente disposte dalle Regioni. Le Regioni le avrebbero potute evitare solo nella misura in cui dimostrassero di saper comunque garantire l’equilibrio economico-finanziario del loro Ssr.

Per similitudine e differenza tra il Patto della Salute e la Legge n. 11/2011 si possono fare due principali commenti di policy.

Universalismo selettivo

Non è un ossimoro come si legge in qualche critica. Quando le risorse sono scarse e difficilmente programmabili, quale scelta è più coerente con gli obiettivi di tutela della salute: mantenere la quasi gratuità dei Lea erga omnes anche se poi non si può procedere alla loro effettiva e tempestiva erogazione? oppure chiedere ai cittadini di concorrere alla copertura pubblica secondo una logica razionale e welfarista?

Secondo questa logica, il concorso dei cittadini andrebbe graduato per tener conto dei redditi disponibili e delle condizioni di salute. Introdurre regole di compartecipazione significa fare in modo di mantenere un pieno controllo su come le risorse sanitarie si traducono in prestazioni per i cittadini in tutte le aree del Paese, obiettivo che è nella nostra Costituzione. Una selettività disegnata e verificabile al posto di razionamenti di fatto che possono accadere dovunque e a danno di chiunque.

Sia il Patto per la Salute che la Legge n. 11/2011 fanno una scelta di universalismo selettivo. Il Patto potrebbe esser visto come l’attuazione dell’articolo 17 della Legge n. 11/2011.

Caratteristiche della selettività

Tra il testo del Patto e quello dell’articolo 18 ci sono però due differenze su cui riflettere.

La Legge n. 11/2011 faceva chiaro riferimento a uno schema di compartecipazione di livello nazionale, aggiuntivo rispetto agli schemi eventualmente già esistenti nelle Regioni e funzionante di vita propria. La finalità era di ricreare una base normativa e regolatoria nazionale, di riportare una logica di sistema laddove, dopo il 2001, si è affermata una parcellizzazione tra Regioni o addirittura all’interno della singola Regione (tra Asl o addirittura tra Ospedali).

Inoltre, non si citava alcun limite di gettito, lasciando spazio al Legislatore per un incremento di rilevanza quantitativa della compartecipazione rispetto allo status quo. L’altra domanda da porsi a questo proposito è infatti: è preferibile uno schema di copay che abbia un gettito di grandezza sufficiente per contribuire al regolare e proficuo svolgimento dei Lea? oppure che il mancato raggiungimento di un apporto sufficiente di risorse renda il copay solo pro forma e continui a lasciare i Ssr di fronte a possibili razionamenti e cadute di qualità?

Adesso, nel testo del Patto, da un lato la visione Paese sembra indebolita (non c’è un esplicito cenno a uno schema di compartecipazione nazionale); dall’altro lato, il comma 2 dell’articolo 8 fa riferimento a una invarianza che deve esser garantita, Regione per Regione, tra il gettito del nuovo schema di compartecipazione e il gettito già raccolto grazie allo schema nazionale vigente. Questa invarianza è criticabile per due motivi: perché pone un limite alla dimensione aggregata del copay a livello regionale, impedendo anche il nuovo disegno possa funzionare come meccanismo di coesione territoriale (gettito maggiore nelle Regioni dove i redditi sono mediamente più elevati); e perché fa riferimento allo schema nazionale vigente, quando in realtà un sistema completo e coerente di compartecipazione valido su tutto il territorio nazionale non c’è, se non come sommatoria di interventi cumulatisi nel tempo, sovrapposti a quelli regionali e locali e senza una visione di insieme.

La seconda differenza riguarda gli strumenti disponibili per realizzare l’universalismo selettivo. Contrariamente alla Legge n. 11/2011, adesso l’articolo 8 del Patto della Salute lo afferma chiarezza: se non è possibile costruire lo schema con le proprietà e le garanzie ideali, si avvii comunque l’universalismo selettivo facendo riferimento al reddito e alla composizione familiare. Poi, di pari passo che altre informazioni diverranno disponibili e misurabili in maniera affidabile, la selettività potrà considerare anche altre dimensioni (in primo luogo il patrimonio). Insomma, è il vecchio adagio “il meglio può esser nemico del bene” o, per dirla più nobilmente con Churchill, “è sbagliato non far niente con la scusa che non si può far tutto”.

Le conclusioni di questa breve nota possono derivare proprio dal confronto tra la Legge n. 11/2011 e il Patto della Salute. Sono tre le conclusioni di seguito sintetizzabili.

Il Patto dovrebbe muoversi nel solco tracciato della Legge e puntare a costruire uno schema di compartecipazione omogeneo su tutto il territorio nazionale, a garanzia che la selettività risponda dappertutto, in ogni area del Paese, agli stessi principi equitativi. Non ci si può permettere, soprattutto in questo momento, frammentazioni, incoerenze o addirittura dissidi e contenziosi tra Stato e Regioni. In questo senso va recuperata appieno l’indicazione della Legge di una applicazione sistematica del copay su scala nazionale.

Il contenuto della Legge n. 11/2011 andrebbe rispettato anche in un altro passaggio: non compariva allora la parità di gettito tra le nuove e le vecchie compartecipazioni. Questa parità, applicata Regione per Regione, può essere un vincolo distorsivo nel disegno dello schema di compartecipazione nazionale, a cui andrebbe chiesto di rispettare i principi di equità orizzontale e verticale tra cittadini nazionali, indipendentemente dai confini geografici. Se i Lea devono esser assicurati in maniera il più possibile omogena sul territorio nazionale, e se il copay è parte della definizione e del contenuto dei Lea, allora la selettività deve trovare applicazione su tutti i cittadini nazionali, creando un ordinamento unico che cozza con vincoli sull’andamento storico dei gettiti regionali, tra l’altro derivanti da un assetto regolatorio sinora mai sistematizzato. Il comma 2 dell’articolo 8 contiene una contraddizione: va garantita l’unitarietà del sistema, ma contemporaneamente l’invarianza di gettito e lo status quo regionale. Se si fa questo passo, lo si deve con più coraggio.

C’è, infine, una terza conclusione. Il Patto completa in maniera operativa la Legge n. 11/2011 nella parte che riguarda le grandezze da prendere a riferimento per graduare il copay. La scelta è di pieno buon senso. In attesa di avere banche dati affidabili su un numero maggiore di grandezze economico-patrimoniali, la compartecipazione può essere definita in base al reddito (l’ultima o una media delle due-tre ultime dichiarazioni presentate) e alla composizione del nucleo familiare. In attesa di disporre di una soluzione ottimale, è insano rinunciare a qualunque tipo di soluzione anche di second o third best. Tra l’altro, se l’obiettivo è quello di sostenere l’accesso alle cure Ssn per le fasce meno abbienti subito, nell’immediato di questa stagione di crisi e di incertezze sulle risorse, allora il riferimento ai redditi disponibili e al nucleo familiare bastano a suddividere i cittadini nelle macrocategorie più rilevanti. Il punto essenziale è dare risalto alle fasce più bisognose da esentare totalmente o alle quali richiedere copay contenuti. Se per adesso non si riesce a creare un ordinamento dettagliato e completo per le fasce più elevate, per qualche anno, ad esempio sull’orizzonte del Patto per la Salute o sino a quando non si vedranno segnali concreti di ripresa del Pil, l’errore può essere accettato ed esser visto come una scelta politica di gestione del welfare system durante la crisi.

I suggerimenti che si lanciano al gruppo di lavoro incaricato di definire le nuove compartecipazioni sono:

  1. un unico schema nazionale,
  2. non vincolato alla parità di gettito col sistema vigente,
  3. capace di graduare il copay tenendo conto dei redditi disponibili e della composizione del nucleo familiare,
  4. dove i redditi disponibili sono quelli ricavabili dall’ultima o da una media delle ultime dichiarazioni dei redditi,
  5. dove la composizione del nucleo familiare dà evidenza della presenza di casi di cronicità.

Si deve cercare una formulazione trasparente ed efficace, che possa essere attivata subito e che, in attesa di miglioramenti, possa anche svolgere una funzione di sensibilizzazione e di “educazione” dei cittadini e dell’opinione pubblica su uno strumento - il copay o il ticket che dir si voglia - spesso frainteso nelle sue caratteristiche tecniche e nelle sue finalità politiche. 

Il Fondo sanitario nazionale per il 2014 supera i 109 miliardi di Euro. Il Ministro Lorenzin sottolinea gli sforzi fatti per non ridurre le risorse, in un momento in cui la Legge di Stabilità va alla ricerca di risparmi in tutti i capitoli.

Tuttavia, non si possono ignorare almeno quattro criticità:

  1. lo stanziamento resta inferiore alla spesa sanitaria a consuntivo degli anni 2009 e 2010, ed è noto da tempo che l’Italia dedica alla sanità quote di Pil inferiori rispetto ai Partner UE più direttamente comparabili;
  2. le richieste di risparmi di spesa che la Legge di Stabilità rivolge alle Regioni (4 miliardi) potrebbero alla fine incidere sulla sanità, decurtando de facto i Fondi sanitari regionali (la spesa sanitaria conta mediamente il 75-80% dei bilanci delle Regioni);
  3. la fase di grande incertezza in cui l’economia e la finanza pubblica restano coinvolte non esclude, purtroppo, che le risorse disponibili possano rivelarsi, in corso d’opera, inferiori a quelle preventivate;
  4. questa incertezza si estende anche ai prossimi anni, se si considerano i dati più recenti sull’andamento del Pil e dell’occupazione (una vera ripresa potrebbe arrivare solo dopo il 2016, cioè oltre l’orizzonte coperto dal Patto per la salute).

 

Dal Patto per la Salute 2014-2016

Articolo 8

Revisione disciplina partecipazione alla spesa sanitaria ed esenzioni

  1. È necessaria una revisione del sistema della partecipazione alla spesa sanitaria e delle esenzioni che eviti che la partecipazione  rappresenti una barriera per l’accesso ai servizi ed alle prestazioni così da caratterizzarsi per equità ed universalismo. Il sistema, in fase di prima applicazione, dovrà considerare la condizione reddituale e la composizione del nucleo familiare e dovrà connotarsi per chiarezza e semplicità applicativa. Successivamente, compatibilmente con le informazioni disponibili, potrà essere presa in considerazione la condizione “economica” del nucleo familiare.
  2. Si conviene altresì che il nuovo sistema della partecipazione dovrà garantire per ciascuna regione il medesimo gettito previsto dalla vigente legislazione nazionale, garantendo comunque l’unitarietà del sistema.
  3. A tal fine si conviene che uno specifico gruppo di lavoro misto con la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, del Ministero della salute, del Ministero dell’economia e delle finanze, di Agenas, coordinato dal Ministero della salute, definisca i contenuti della revisione del sistema di partecipazione entro il 30 novembre 2014.

In questa prospettiva, di particolare importanza è l’articolo 8 del Patto della Salute, che chiama a una revisione della compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria pubblica. Non è una novità; si tratta, anzi, di un tema ricorrente nel dibattito di politica economica, al crocevia tra adeguatezza e sostenibilità delle prestazioni Lea. Se ne discute almeno dal 2001, anno in cui lo schema di compartecipazione nazionale fu cancellato e le scelte demandate, senza sufficiente coordinamento e senza adeguata responsabilizzazione, alle Regioni.

Già l’articolo 17 della Legge n. 11/2011 aveva annunciato che, a decorrere dal 2014, si sarebbero introdotte compartecipazioni sistematiche dei cittadini ai costi delle prestazioni sanitarie. Le nuove compartecipazioni sarebbero state aggiuntive rispetto a quelle già eventualmente disposte dalle Regioni. Le Regioni le avrebbero potute evitare solo nella misura in cui dimostrassero di saper comunque garantire l’equilibrio economico-finanziario del loro Ssr.

Per similitudine e differenza tra il Patto della Salute e la Legge n. 11/2011 si possono fare due principali commenti di policy.

Universalismo selettivo

Non è un ossimoro come si legge in qualche critica. Quando le risorse sono scarse e difficilmente programmabili, quale scelta è più coerente con gli obiettivi di tutela della salute: mantenere la quasi gratuità dei Lea erga omnes anche se poi non si può procedere alla loro effettiva e tempestiva erogazione? oppure chiedere ai cittadini di concorrere alla copertura pubblica secondo una logica razionale e welfarista?

Secondo questa logica, il concorso dei cittadini andrebbe graduato per tener conto dei redditi disponibili e delle condizioni di salute. Introdurre regole di compartecipazione significa fare in modo di mantenere un pieno controllo su come le risorse sanitarie si traducono in prestazioni per i cittadini in tutte le aree del Paese, obiettivo che è nella nostra Costituzione. Una selettività disegnata e verificabile al posto di razionamenti di fatto che possono accadere dovunque e a danno di chiunque.

Sia il Patto per la Salute che la Legge n. 11/2011 fanno una scelta di universalismo selettivo. Il Patto potrebbe esser visto come l’attuazione dell’articolo 17 della Legge n. 11/2011.

Caratteristiche della selettività

Tra il testo del Patto e quello dell’articolo 18 ci sono però due differenze su cui riflettere.

La Legge n. 11/2011 faceva chiaro riferimento a uno schema di compartecipazione di livello nazionale, aggiuntivo rispetto agli schemi eventualmente già esistenti nelle Regioni e funzionante di vita propria. La finalità era di ricreare una base normativa e regolatoria nazionale, di riportare una logica di sistema laddove, dopo il 2001, si è affermata una parcellizzazione tra Regioni o addirittura all’interno della singola Regione (tra Asl o addirittura tra Ospedali).

Inoltre, non si citava alcun limite di gettito, lasciando spazio al Legislatore per un incremento di rilevanza quantitativa della compartecipazione rispetto allo status quo. L’altra domanda da porsi a questo proposito è infatti: è preferibile uno schema di copay che abbia un gettito di grandezza sufficiente per contribuire al regolare e proficuo svolgimento dei Lea? oppure che il mancato raggiungimento di un apporto sufficiente di risorse renda il copay solo pro forma e continui a lasciare i Ssr di fronte a possibili razionamenti e cadute di qualità?

Adesso, nel testo del Patto, da un lato la visione Paese sembra indebolita (non c’è un esplicito cenno a uno schema di compartecipazione nazionale); dall’altro lato, il comma 2 dell’articolo 8 fa riferimento a una invarianza che deve esser garantita, Regione per Regione, tra il gettito del nuovo schema di compartecipazione e il gettito già raccolto grazie allo schema nazionale vigente. Questa invarianza è criticabile per due motivi: perché pone un limite alla dimensione aggregata del copay a livello regionale, impedendo anche il nuovo disegno possa funzionare come meccanismo di coesione territoriale (gettito maggiore nelle Regioni dove i redditi sono mediamente più elevati); e perché fa riferimento allo schema nazionale vigente, quando in realtà un sistema completo e coerente di compartecipazione valido su tutto il territorio nazionale non c’è, se non come sommatoria di interventi cumulatisi nel tempo, sovrapposti a quelli regionali e locali e senza una visione di insieme.

La seconda differenza riguarda gli strumenti disponibili per realizzare l’universalismo selettivo. Contrariamente alla Legge n. 11/2011, adesso l’articolo 8 del Patto della Salute lo afferma chiarezza: se non è possibile costruire lo schema con le proprietà e le garanzie ideali, si avvii comunque l’universalismo selettivo facendo riferimento al reddito e alla composizione familiare. Poi, di pari passo che altre informazioni diverranno disponibili e misurabili in maniera affidabile, la selettività potrà considerare anche altre dimensioni (in primo luogo il patrimonio). Insomma, è il vecchio adagio “il meglio può esser nemico del bene” o, per dirla più nobilmente con Churchill, “è sbagliato non far niente con la scusa che non si può far tutto”.

Le conclusioni di questa breve nota possono derivare proprio dal confronto tra la Legge n. 11/2011 e il Patto della Salute. Sono tre le conclusioni di seguito sintetizzabili.

Il Patto dovrebbe muoversi nel solco tracciato della Legge e puntare a costruire uno schema di compartecipazione omogeneo su tutto il territorio nazionale, a garanzia che la selettività risponda dappertutto, in ogni area del Paese, agli stessi principi equitativi. Non ci si può permettere, soprattutto in questo momento, frammentazioni, incoerenze o addirittura dissidi e contenziosi tra Stato e Regioni. In questo senso va recuperata appieno l’indicazione della Legge di una applicazione sistematica del copay su scala nazionale.

Il contenuto della Legge n. 11/2011 andrebbe rispettato anche in un altro passaggio: non compariva allora la parità di gettito tra le nuove e le vecchie compartecipazioni. Questa parità, applicata Regione per Regione, può essere un vincolo distorsivo nel disegno dello schema di compartecipazione nazionale, a cui andrebbe chiesto di rispettare i principi di equità orizzontale e verticale tra cittadini nazionali, indipendentemente dai confini geografici. Se i Lea devono esser assicurati in maniera il più possibile omogena sul territorio nazionale, e se il copay è parte della definizione e del contenuto dei Lea, allora la selettività deve trovare applicazione su tutti i cittadini nazionali, creando un ordinamento unico che cozza con vincoli sull’andamento storico dei gettiti regionali, tra l’altro derivanti da un assetto regolatorio sinora mai sistematizzato. Il comma 2 dell’articolo 8 contiene una contraddizione: va garantita l’unitarietà del sistema, ma contemporaneamente l’invarianza di gettito e lo status quo regionale. Se si fa questo passo, lo si deve con più coraggio.

C’è, infine, una terza conclusione. Il Patto completa in maniera operativa la Legge n. 11/2011 nella parte che riguarda le grandezze da prendere a riferimento per graduare il copay. La scelta è di pieno buon senso. In attesa di avere banche dati affidabili su un numero maggiore di grandezze economico-patrimoniali, la compartecipazione può essere definita in base al reddito (l’ultima o una media delle due-tre ultime dichiarazioni presentate) e alla composizione del nucleo familiare. In attesa di disporre di una soluzione ottimale, è insano rinunciare a qualunque tipo di soluzione anche di second o third best. Tra l’altro, se l’obiettivo è quello di sostenere l’accesso alle cure Ssn per le fasce meno abbienti subito, nell’immediato di questa stagione di crisi e di incertezze sulle risorse, allora il riferimento ai redditi disponibili e al nucleo familiare bastano a suddividere i cittadini nelle macrocategorie più rilevanti. Il punto essenziale è dare risalto alle fasce più bisognose da esentare totalmente o alle quali richiedere copay contenuti. Se per adesso non si riesce a creare un ordinamento dettagliato e completo per le fasce più elevate, per qualche anno, ad esempio sull’orizzonte del Patto per la Salute o sino a quando non si vedranno segnali concreti di ripresa del Pil, l’errore può essere accettato ed esser visto come una scelta politica di gestione del welfare system durante la crisi.

I suggerimenti che si lanciano al gruppo di lavoro incaricato di definire le nuove compartecipazioni sono:

  1. un unico schema nazionale,
  2. non vincolato alla parità di gettito col sistema vigente,
  3. capace di graduare il copay tenendo conto dei redditi disponibili e della composizione del nucleo familiare,
  4. dove i redditi disponibili sono quelli ricavabili dall’ultima o da una media delle ultime dichiarazioni dei redditi,
  5. dove la composizione del nucleo familiare dà evidenza della presenza di casi di cronicità.

Si deve cercare una formulazione trasparente ed efficace, che possa essere attivata subito e che, in attesa di miglioramenti, possa anche svolgere una funzione di sensibilizzazione e di “educazione” dei cittadini e dell’opinione pubblica su uno strumento - il copay o il ticket che dir si voglia - spesso frainteso nelle sue caratteristiche tecniche e nelle sue finalità politiche.