La trasparenza della Pubblica Amministrazione come criterio di valutazione delle performance
Abstract
The principle of transparency has found great development in commercial law and in financial market law: companies operating in the banking, securities and insurance products sector are required to comply with an obligation of transparency in favor of savers, investors and policyholders who find in the existence of this obligation a necessary guarantee to compensate for the information asymmetry that places them in a position of tendential weakness.
Recently, transparency has become a principle that also operates for the activity of Public Administrations since the law and the most recent case laws on the matter refer to this legal principle different events (such as, for example, the obligation to motivate the administrative measures, the right of access to the documents, the publicity of some phases of competition procedures or the adjudication of public contracts).
The evolutionary steps of the recent years, however, have determined the transition from a form of “proactive” transparency, achieved through the mandatory publication of certain data, to a “reactive” transparency, which, in response to the requests for knowledge advanced by the interested parties, have represented a sort of Copernican revolution for our system, from a “need to know” to a “right to know” in the US definition of FOIA.
The aim of this paper then is to analyze the evolution of the principle of administrative transparency as the cornerstone of a reform system aimed at improving public standards and performances given the close link between transparency and quality for the continuous improvement of the services offered by Public Administrations to citizens, with particular attention to the Clinical Governance System introduced in the last decade in the Italian National Health Service as synonymous of quality of medical care and of excellence of public welfare, also in light of the emergency due to the spread of the new Covid-19.
Indice:
1. La trasparenza come principio generale dell’attività della Pubblica Amministrazione.
2. Il sistema di valutazione delle performance e la valorizzazione del merito
3. Un esempio concreto: il modello di Clinical Governance nel Sistema Sanitario Nazionale
1. La trasparenza come principio generale dell’attività della Pubblica Amministrazione
Negli ultimi anni, il principio di trasparenza è diventato un canone di diritto comune applicabile sia all’attività pubblicistica che a quella privatistica delle Amministrazioni Pubbliche con la conseguenza che, oggi, esso rappresenta ormai un criterio cogente in grado di conformare la relazione tra soggetti pubblici e privati, attribuendo a quest’ultimi un potere di valutazione della legalità dell’azione amministrativa.
Prima dell’emanazione della Legge 7 agosto 1990, n. 241 nel nostro ordinamento mancava una disciplina organica sul procedimento amministrativo: l’introduzione di una accezione formale del procedimento ha innovato l’ordinamento individuando una serie di principi e criteri direttivi che, ricollegandosi alle previsioni espresse nella Carta Costituzionale, devono, oggi, improntare l’azione della Pubblica Amministrazione ai canoni della buona amministrazione e del giusto procedimento.
A suddetti principi sono informati in particolare i criteri fondamentali della Legge n. 241/1990 tra cui quello della trasparenza inteso come immediata e facile controllabilità di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l’attività amministrativa al fine di garantirne un esercizio imparziale ed equidistante dagli interessi pubblici e privati.
Tra l’altro, con l’emanazione della Legge n. 241/1990 (e le sue successive modifiche) si è gradualmente consolidata una concezione garantistica del procedimento amministrativo che può definirsi come quella sede privilegiata (rispetto al provvedimento amministrativo) in cui ai privati destinatari della sua azione è assicurata la rappresentazione e la tutela dei propri interessi, incisi dai pubblici poteri - il procedimento amministrativo è inteso come forma della funzione amministrativa quale sede deputata ad una corretta ponderazione degli interessi pubblici e privati, compresenti e confliggenti, così come il processo è la forma della funzione giurisdizionale e il procedimento è la forma della funzione legislativa.
La necessaria conoscibilità dell’azione pubblica – ovvero, l’idea di una Amministrazione Pubblica intesa sempre più come “casa di vetro” – e i successivi tentativi di riforma, hanno accompagnato il dibattito politico degli ultimi anni realizzando un mutamento delle prospettive, dei modelli e il necessario rispetto degli strumenti chiamati di volta in volta ad assicurarla.
Alla Legge n. 241/1990 è riconducibile un obbligo della Pubblica Amministrazione di pubblicazione di determinate informazioni relative ad atti di natura pubblica e privatistica, incidenti sulla spesa pubblica, riconoscendo a “chiunque” un diritto di accesso civile alle informazioni.
Con lo strumento dell’accesso civico, introdotto dal Decreto Legislativo n. 33/2013, “chiunque ha il poter di controllare democraticamente la conformità dell’attività dell’Amministrazione” (cfr. Circolare Funzione Pubblica n. 3/2013).
La trasparenza, in sostanza, costituisce uno strumento visto dal legislatore sempre più come un “nuovo paradigma” che impone all’Amministrazione Pubblica non soltanto di rendere visibile e controllabile all’esterno il proprio operato, così da assicurare il controllo democratico della sua azione, ma anche un suo complessivo modus essendi che rende possibile l’azione di perseguimento dell’interesse pubblico. Si consideri, peraltro, che l’obbligo di trasparenza dell’azione amministrativa, sebbene pacificamente riconosciuto da tempo nel nostro ordinamento, è stato espressamente codificato soltanto con l’introduzione della Legge n. 15 del 2005, che ha modificato la Legge n. 241 del 1990, il cui articolo 1, comma 1, prevede ora che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di pubblicità e trasparenza”.
In particolare, l’articolo 1, comma 1 della Legge n. 241/1990, così come modificato dalla Legge n. 15/2005, ha introdotto espressamente il principio di trasparenza quale regola di condotta della Pubblica Amministrazione.
Nella legislazione è, dunque, maturato il passaggio da un modello in cui la Pubblica Amministrazione assumeva la decisione in maniera unilaterale, senza alcuna possibilità del destinatario di replicare, ad un modello caratterizzato da una “massima apertura” che consente un apporto collaborativo ed integrativo da parte degli interessati al procedimento amministrativo. A riguardo, l’articolo 9 della Legge n. 241/1990 riconosce la facoltà di intervenire nel procedimento a qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati nonché ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati con la conseguenza che la Amministrazione Pubblica procedente dovrà aprire un sub-procedimento al fine di valutare i vari apporti e destinato a concludersi con l’emanazione di un parere.
Tale principio impone alla Amministrazione il dovere di rendere visibile, controllabile ed accessibile dall’esterno il proprio operato e si concretizza nell’attribuzione ai singoli cittadini del potere di esercitare un vero e proprio controllo democratico sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sulla conformità della stessa agli interessi sociali e ai principi costituzionali che reggono l’agire pubblico.
In una prima fase, dunque, la trasparenza – intesa come principio volto ad imporre all’Amministrazione Pubblica la conoscibilità all’esterno del suo operato – è stata introdotta dal legislatore come primario obiettivo per consentire un controllo sulla coerenza e logicità dell’azione amministrativa in rapporto ai principi di legalità ed imparzialità, soprattutto nei confronti di quei soggetti che, per una qualche ragione, ne subivano la sua azione.
A tale originaria concezione normativa della trasparenza è tradizionalmente legato il sistema dell’accesso classico, come disciplinato dall’articolo 22, comma 2, che riconosce l’accesso ai documenti amministrativi come principio generale dell’attività amministrativa, chiarendone la strumentalità rispetto all’esigenza “di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”. La legittimazione attiva della pretesa ostensiva, peraltro, lungi dall’essere riconosciuta in capo a chiunque, presuppone i requisiti legittimanti del possesso di “un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2017, n. 4043).
Strettamente connesso al principio di imparzialità e, in generale, di buona amministrazione è il principio di ragionevolezza che impone alla Pubblica Amministrazione di osservare un canone di razionalità operativa nello svolgimento dei propri compiti al fine che l’azione amministrativa sia coerente con i presupposti di fatto della decisione finale. Si tratta di un c.d. principe sans texte, formato nel tempo dall’opera della giurisprudenza, in paesi di common law e di civil law che impone a censurare tutti quegli atti delle Pubbliche Amministrazioni contraddittori, illogici, incoerenti ed incongrui.
Il vero rivoluzionario passaggio evolutivo, tuttavia, si ha con il Decreto Legislativo n. 97/2016 che, nel ribadire che la trasparenza va intesa come accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, la riconosce al fine di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (cfr. comma 1).
La trasparenza, quindi, si atteggia sempre più a principio funzionale volto a garantire un controllo generalizzato e quale strumento di partecipazione democratica alle scelte amministrative.
Essa, infatti, è stata elevata a rango di Livello Essenziale delle Prestazioni che deve essere ricondotto alla competenza legislativa dello Stato e, allo stesso tempo, diviene sia condizione di status della Pubblica Amministrazione, sia garanzia ottimale del risultato finale dell’azione dei pubblici poteri.
La trasparenza è, dunque, un criterio che assicura la qualità dei servizi nei confronti del cittadino/utente che si affianca (e rafforza) le c.d. “carte dei servizi” che rappresentano il principale strumento di conoscibilità delle qualità delle prestazioni assicurate dai soggetti pubblici.
In breve, la trasparenza rappresenta una sorta di filo conduttore dell’imponente intervento normativo con il quale il legislatore ha inteso rendere ancora più visibile l’organizzazione e l’attività dell’Amministrazione Pubblica all’esterno, salvo le ipotesi tassative previste all’articolo 13 della Legge n. 241/1990.
Sulla base di queste premesse, si è progressivamente fatta strada la volontà del legislatore di prevenire e di reprimere il fenomeno della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione, scopo che ha trovato il suo culmine nell’approvazione della Legge n. 190/2012 (detta anche “Legge Severino”).
Lo scopo della Legge n. 190 /2012, infatti, è stato quello di introdurre nell’ordinamento italiano un sistema organico di disposizioni volte alla prevenzione del fenomeno corruttivo in un quadro di prevenzione generale piuttosto che di repressione che si articola essenzialmente su due livelli principali.
A livello nazionale, attraverso l’operato dell’ANAC (l’Autorità Nazionale Anticorruzione) a cui spetta il compito di approvare e pubblicare il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) con validità triennale; a livello della singola amministrazione, che deve individuare tra i soggetti che esercitano funzioni dirigenziali un apposito Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (RPCT) al quale spetta la redazione del piano specifico.
La mission dell’intervento legislativo è stata quella di prevenire e contrastare la corruzione nella Pubblica Amministrazione mediante un controllo sul rispetto della legislazione al fine di assicurare una maggiore trasparenza (si pensi, ad esempio, all’attività dell’ANAC che nel corso degli anni ha visto moltiplicarsi i propri compiti così che accanto ad una “vigilanza successiva” si è aggiunta una “vigilanza preventiva” e di collaborazione con gli operatori del settore al fine di stipulare protocolli di azione con le Stazioni Appaltanti, fino a ricomprendere compiti di regolamentazione del settore).
In attuazione delle disposizioni della Legge n. 190/2012, negli anni successivi, sono stati approvati ulteriori provvedimenti volti a contrastare il fenomeno della corruzione nella Pubblica Amministrazione e a garantire la massima trasparenza delle sue attività.
Si pensi, a titolo esemplicativo, al Decreto Legislativo n. 33/2013 (c.d. “decreto trasparenza”) che impone alle Amministrazioni Pubbliche di fornire, anche attraverso pubblicazione sul profilo istituzionale dell’ente, una serie di informazioni in grado di garantire un controllo diffuso del suo operato da parte della collettività; al Decreto Legislativo n. 39/2013 che ha introdotto un disciplina specifica in materia di incarichi negli organi politici e nelle strutture amministrative, con una puntuale individuazione delle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità; al D.P.R. n. 62/2013 con il quale è stato approvato il nuovo Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici (che ha sostituito il precedente del 2001) che riporta misure specifiche volte a prevenire l’eventualità del verificarsi di attività corruttive.
Le situazioni rilevanti si presentano, quindi, sempre più ampie rispetto alle diverse fattispecie penalistiche di cui agli articoli 318 e ss. previste dal Codice Penale e sono tali da comprendere, in tal modo, non soltanto l’intera gamma dei delitti commessi contro la Pubblica Amministrazione, ma anche le situazioni in cui, indipendentemente dalla rilevanza penale, vengano in rilievo disservizi o patologie dell’amministrazione a causa di un abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato dalla norma di azione al fine di ottenere vantaggi privati generalmente intesi come violazione degli obblighi di comportamento e di compimento dei doveri di ufficio (cfr. articolo 16, comma 2 del D.P.R. n. 62/2013).
L’articolo 97 Cost. individua nei principi di imparzialità e buon andamento i fondamentali canoni ispiratori non soltanto dell’azione, ma anche dell’assetto organizzativo della Pubblica Amministrazione. Una azione amministrativa potrà essere considerata efficace ed efficiente soltanto se è frutto di una organizzazione sorretta dagli stessi criteri direttivi.
Ne consegue che la legge in materia di prevenzione e repressione della corruzione ha consolidato il canone della trasparenza amministrativa che appare, ormai, come una prescrizione generale su cui poggia la stessa organizzazione e la stessa attività della Pubblica Amministrazione, anche nei suoi rapporti con i cittadini.
Essa diventa la condizione di garanzia per l’esplicazione delle libertà individuali e collettive nonché dei diritti civili, politici e sociali, integrando, in tal modo, i canoni tipici della buona amministrazione.
2. Il sistema di valutazione delle performance e la valorizzazione del merito
La partecipazione del cittadino/utente alla attività della Pubblica Amministrazione nel suo insieme ha permesso una maggiore consapevolezza dei propri diritti e il ricorso a nuovi strumenti che consentono un controllo effettivo sui servizi pubblici nonché la possibilità di attivarsi – da solo o in associazioni – al fine di cambiare una situazione di disservizio, esercitando una vera e propria pressione dall’esterno ed essere così parte di un cambiamento che può toccare anche il livello organizzativo (un esempio di espressione della partecipazione dei cittadini nel processo di valutazione della Pubblica Amministrazione è rappresentato, dall’Audit Civico, introdotto nel 2001, che permette ai cittadini di raccogliere i dati e i segni del disservizio al fine di proporre azioni correttive e di risoluzione).
Occorre considerare, inoltre, che la Legge n. 241/1990 ha voluto coniugare il principio di trasparenza, attraverso una maggiore partecipazione dei privati interessati, a quello dell’efficienza, improntando l’azione amministrativa a caratteri manageriali di responsabilizzazione della dirigenza e della gestione delle risorse al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
A riguardo, a livello legislativo, tra gli interventi di maggiore rilievo va annoverata la Legge n. 15/2009 e il successivo Decreto Legislativo n. 150/2009 di attuazione (la c.d. “Riforma Brunetta”) che hanno posto come obiettivo principale quello di avviare una azione di riordino della disciplina del pubblico impiego, introducendo sistemi e meccanismi tipici del settore privato quali la valutazione e la misurazione delle performance, anche attraverso la predisposizione di meccanismi premiali.
Sulla stessa linea si è mossa, successivamente, la successiva “Riforma Madia” di cui alla Legge 124/2015 – di riordino della dirigenza sanitaria e socio-sanitaria (In attuazione della delega, per quanto riguarda le procedure di accesso, il Decreto Legislativo n. 171/2016 ha previsto l’istituzione presso il Ministero della Salute di un elenco nazionale, aggiornato ogni due anni, dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), delle Aziende Ospedaliere e degli altri enti del Servizio Sanitario Nazionale) – che ha previsto un completo riassetto della materia per quanto concerne i meccanismi di reclutamento del personale e i criteri della responsabilità disciplinare nonché il riordino del sistema di valutazione delle performance secondo canoni di trasparenza, imparzialità e valorizzazione del merito.
Con l’emanazione del Decreto Legislativo n. 150/2009, al centro del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche è stato valorizzato lo strumento della performance individuale ed organizzativa, concretizzandola con l’adozione di metodi e strumenti finalizzati a misurare, valutare e premiare le prestazioni del dipendente e delle unità organizzative.
In virtù di quanto previsto dall’articolo 7 della Riforma Brunetta, le Pubbliche Amministrazioni, annualmente, devono adottare ed aggiornare il Sistema di misurazione e valutazione delle performance, previo rilascio di un parere vincolante dell’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV) la cui validazione costituisce condizione inderogabile per l’accesso agli strumenti di premiazione del merito.
L’OIV nell’esercizio delle proprie funzioni ha accesso a tutti gli atti e ai documenti in possesso delle altre Pubbliche Amministrazioni, utili e necessari all’espletamento delle sue funzioni, ai sistemi informatici dell’Amministrazione (incluso il sistema di controllo e gestione) e può agire anche in collaborazione con gli organismi di controllo della regolarità contabile e amministrativa dell’Amministrazione, effettuando ogni opportuna segnalazione agli organi competenti in caso di riscontro di gravi irregolarità.
La ratio del sistema è quella di individuare le fasi, i tempi, le modalità e i soggetti (nonché le rispettive responsabilità) del processo di misurazione e di valutazione degli obiettivi programmati e dei risultati ottenuti che, peraltro, costituisce il fondamento oggettivo per le eventuali procedure di conciliazione, di integrazione con i sistemi di controllo esistenti e i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio dell’ente.
Il rispetto delle diposizioni contenute nella detta normativa costituisce, dunque, la necessaria condizione ai fini dell’erogazione dei premi e del trattamento retributivo legato alla performance e incide ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche e dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali (cfr. articolo 3, comma 5 del Decreto Legislativo n. 150/2009).
L’eventuale valutazione negativa rileva ai fini dell’accertamento della responsabilità dirigenziale e all’irrogazione del licenziamento disciplinare (cfr. articolo 55 quater del Decreto Legislativo n. 165/2001).
Proprio al fine di assicurare standard di qualità, comprensibilità ed attendibilità dei documenti concernenti le performance conseguite, le Pubbliche Amministrazioni provvedono a redigere ogni anno (entro il 31 gennaio) il Piano delle performance che definisce gli indicatori di misurazione e di valutazione degli obiettivi e dei risultati assegnati al personale dirigenziale e non dirigenziale nonché una Relazione sulla performance, da adottare entro il 30 aprile, che evidenzia, con riferimento all’anno precedente, i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi specifici programmati ed alle risorse assegnate alla struttura, con rivelazione degli eventuali scostamenti conformemente ad un generale principio di accountability.
Di certo, la Legge n. 15/2009 ha avuto il merito di porre come obiettivi primari la trasparenza, il rendimento e l’efficienza dell’azione amministrativa, riducendo gli sprechi attraverso un apposito ciclo di gestione destinato ad attuare obiettivi specifici tra cui il miglioramento dello standard dei servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione e la crescita delle competenze professionali dei lavoratori pubblici – ciò anche attraverso la valorizzazione del merito individuale a la predisposizione di premi per il raggiungimento dei risultati stabiliti, accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al ciclo di gestione delle performance.
L’attività di misurazione si collega ad un vero e proprio riconoscimento a favore del cittadino di un diritto a ricevere prestazioni pubbliche di qualità che trova il suo fondamentale punto di riferimento nell’enunciazione del principio generale di buon andamento dell’Amministrazione Pubblica (cfr. articolo 97 Cost.) inteso nella sua più ampia accezione, ovvero come “giusta dimensione” delle strutture amministrative tali da assicurare il rispetto dei principi di efficienza, tempestività, economicità della gestione e contenimento dei costi.
L’obiettivo è quello di orientare il sistema affinché la gestione dei servizi, realizzata in condizioni di efficienza, sia accompagnata dal perseguimento della qualità, dell’efficacia, della sicurezza e della appropriatezza delle prestazioni erogate attraverso l’adozione di soluzioni e di strumenti orientata ad un continuo miglioramento delle prestazioni, anche tramite una attività di monitoraggio e di valutazione ciclica della loro qualità.
La misurazione delle attività amministrative è, pertanto, frutto di un preciso disegno politico del legislatore e va realizzata tramite l’integrazione di vari strumenti operativi che necessitano di essere tra loro interconnessi e complementari – l’adozione di un modello organizzativo in tal senso favorirebbe il coordinamento e il corretto utilizzo dei metodi e degli strumenti in modo da rispondere in maniera più incisiva alle prescrizioni normative e alle esigenze gestionali della Pubblica Amministrazione in sé considerata. Detti strumenti non devono essere utilizzati in maniera sporadica né devono essere confinati esclusivamente a settori specifici, ma devono essere integrati in tutti i processi di governance della Pubblica Amministrazione, dai processi strutturali-organizzativi a quelli di carattere economico-finanziario.
Senza dubbio, la materia necessità di una ulteriore attività di riordino da parte del legislatore secondo i nuovi canoni di semplificazione e di razionalizzazione delle risorse ed in base agli obiettivi che di volta in volta si vogliono aggiungere al fine di contribuire alla realizzazione di un modello organizzativo che sia in grado non soltanto di definire, mantenere e verificare la qualità dei servizi erogati, ma anche di responsabilizzare i funzionari pubblici a ciò preposti e gestire i processi in maniera ottimale secondo canoni di efficacia, efficienza, appropriatezza organizzativa ed equità di accesso a tutti i cittadini.
3. Un esempio concreto: il modello di Clinical Governance nel Sistema Sanitario Nazionale
L’esigenza di disincentivare l’atteggiamento aggressivo verificatosi negli ultimi anni a carico delle strutture e del personale sanitario, per mezzo della promozione di innumerevoli cause giudiziarie, ha spinto il legislatore nazionale verso una ormai inevitabile presa di coscienza della dimensione della questione che permea il Sistema Sanitario Nazionale (SSN).
Volendo in questa sede prescindere da una analisi della responsabilità degli operatori sanitari sulla scorta delle nuove disposizioni introdotte dalla Legge n. 24/2017 (c.d. “Legge Galli”), si ritiene necessario affrontare la questione della gestione del c.d. “rischio clinico” nel contesto di un sistema di gestione della qualità dei servizi in ambito ospedaliero – la legge del 2017, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, ha innovato sensibilmente la disciplina della responsabilità degli operatori sanitari, sia sul piano civile che su quello penale.
La disciplina della partecipazione dei cittadini al Sistema Sanitario Nazionale, nel senso di una maggiore compartecipazione del cittadino/paziente nei confronti della sanità del suo insieme, rappresenta, infatti, un esempio concreto di partecipazione democratica alle scelte di politica sanitaria e di controllo della qualità dei servizi erogati da strutture e professionisti pubblici o privati accreditati con il SSN.
La politica per la qualità è sempre stata una parte integrante della programmazione sanitaria nazionale per quanto concerne l’elaborazione di indicatori di personalizzazione delle cure, di umanizzazione, di comfort, di diritto all’informazione del paziente e di prevenzione delle malattie.
Già dal Decreto Legislativo n. 502/1992 – che ha introdotto fondamentali cambiamenti organizzativi alla Legge n. 833/1978 istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale – il legislatore ha previsto lo sviluppo di forme integrate di attività per il miglioramento della qualità dei servizi erogati ai cittadini (cfr. articolo 14).
Tuttavia, nel definire il concetto di “qualità”, si deve tenere conto che le Aziende Sanitarie, così come ogni altro moderno sistema complesso, svolgono le loro attività in condizioni caratterizzate da una ampia variabilità dovuta a diversi fattori (di natura individuale, ambientale e socio-economica) con la inevitabile conseguenza che diviene irrinunciabile approfondire l’analisi di tutti quegli strumenti e dei programmi che, attraverso modalità differenti, realizzano un impatto negativo sulla qualità della prestazione e che possono influenzare positivamente o negativamente il grado di soddisfazione del cittadino/paziente, degli operatori di settore e, in genere, di tutti coloro che siano interessati al buon funzionamento del servizio sanitario.
Da questo punto di vista il c.d. “risk management” – che si basa sul concetto di errore come difetto del sistema nel suo complesso e non del singolo professionista – è nato con lo scopo primario di ridurre e prevenire gli eventi avversi (e di conseguenza i contenziosi) ed assume anche una forte valenza etica in quanto destinato ad influire sugli obiettivi aziendali di qualità, sicurezza, efficienza, immagine e trasparenza. Esso diviene, pertanto, parte integrante del Sistema per la gestione della qualità.
Tra l’altro le politiche di ammodernamento del sistema richiedono una strategia per la qualità condivisa tra tutti i soggetti coinvolti e la conseguente progettazione e sperimentazione di modelli clinici, organizzativi e gestionali innovativi che assicurino risposte efficaci ai bisogni di salute.
Possiamo individuare rischi per il paziente, sicché il rispetto della normativa di settore può aiutare a diminuire il rischio per il paziente; rischi per l’operatore, con l’effetto che il rischio diminuisce assicurando all’operatore di lavorare in un ambiente sicuro che sia parte del sistema qualità; rischi per l’organizzazione, l’organizzazione, al fine di ridurre il rischio per il paziente e l’operatore, deve aumentare il livello di qualità dell’impiego, un ambiente sicuro e politiche ben definite di coinvolgimento pubblico (si pensi, ad esempio, alle politiche finalizzate a favorire la presenza e l’attività delle organizzazioni degli utenti all’interno delle strutture sanitarie).
Le tradizionali strategie sanzionatorie, che miravano ad individuare e punire il “colpevole” dell’errore, appaiono oggi inefficaci e superate: esse, soprattutto, non risultano idonee a creare quei livelli di sicurezza del trattamento sanitario quale fondamentale presupposto della qualità del servizio.
Si pone, dunque, la necessità di affrontare il problema degli eventi avversi da una nuova prospettiva, attraverso l’introduzione di un programma che favorisca la conoscenza e la valorizzazione dell’errore, inteso come “mancato raggiungimento del risultato che si prospetta in conseguenza di una determinata azione, più o meno complessa” (corrispondente all’insuccesso di una azione pianificata e può essere attribuito a comportamenti attivi o a condizioni latenti).
In ogni caso, sia che l’errore abbia comportato un danno evidente al paziente (e una conseguente denuncia), sia che sia rimasto in qualche modo “nascosto” (e, cioè, privo di conseguenze), esso deve essere identificato e valorizzato come una opportunità per prevenire il ripetersi in futuro di un analogo accadimento e, quindi, di migliorare l’efficienza, la qualità e la sicurezza.
Il Sistema Sanitario Nazionale è chiamato, pertanto, a rilevare i propri bisogni di miglioramento, a fronte dell’esigenza prioritaria di garantire equità di accesso e cure di qualità ad ogni cittadino secondo criteri di uguaglianza, non discriminazione ed in base all’insorgenza dei nuovi bisogni della collettività.
Attraverso il contributo di tutti questi fattori, le Aziende Sanitarie (e le altre strutture pubbliche e coinvolte), sono costantemente impegnate a sviluppare una strategia ed una politica complessiva volta a garantire l’istituzionalizzazione e lo sviluppo delle azioni più appropriate per la sicurezza dei propri pazienti, assicurando la trasparenza delle informazioni e la partecipazione attiva del cittadino/paziente nei confronti della sanità nel suo insieme al fine di renderlo un protagonista consapevole e collaborativo nei rapporti con il SSN (e non un passivo fruitore del servizio).
Il nuovo ruolo che deve assumere il paziente nella gestione della propria patologia (patient engagement) è da tempo motivo di riflessione e discussione in ambito scientifico.
Si rende necessario superare il ruolo passivo ed asettico di quanti sono destinatari di decisioni diagnostiche e terapeutiche e dare più enfasi ed investire più risorse nella formazione e nella conoscenza affinché i pazienti possano essere considerati partner attivi nella gestione della salute.
La corretta informazione del paziente diventa così cruciale per permettergli di prendere una decisione informata sulla propria terapia e maggiore consapevolezza sulla propria condizione di salute: assicurare la possibilità di accesso alla conoscenza e la possibilità di confronto con medici e pazienti dovrebbe diventare la norma della pratica clinica.
Un’attiva partecipazione e responsabilizzazione dei cittadini alle decisioni che riguardano la loro salute e il sistema salute è una garanzia di sostenibilità di un Servizio Sanitario Nazionale pubblico universalistico: il punto di partenza è un modello che punti all’educazione sanitaria del cittadino attraverso la diffusione e la condivisione di una corretta informazione.
Tra l’altro, le attività che configurano il processo di gestione del rischio in ambito ospedaliero devono avere riguardo all’identificazione degli obiettivi di gestione dei rischi, alla loro identificazione, alla valutazione e alla quantificazione dei rischi, al trattamento (come scelta degli strumenti di mitigazione ed implementazione del programma di trattamento), al monitoraggio continuo, alla verifica di efficacia, al controllo e alla possibilità di ammettere feedback ed osservazioni da parte dell’utente finale.
Un Governo Clinico (o di Clinical Governance) basato su questi elementi permette così un approccio integrato per l’ammodernamento del SSN che pone al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini, valorizzando, allo stesso tempo, il ruolo e la responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità degli interventi, della efficienza del sistema e della appropriatezza delle cure al fine di minimizzare (se non eliminare) gli effetti avversi, oltre che ottimizzare le risorse, quale obiettivo primario dell’appropriatezza organizzativa.
Non a casa il concetto di Clinical Governance nasce nel National Health System (NHS) inglese nel 1998 come “strategia mediante la quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei servizi del raggiungimento/mantenimento di elevati standard assistenziali, stimolando la creazione di un ambiente che favorisca l’eccellenza professionale”.
Ne consegue che il concetto di Governo Clinico può essere riferito alla definizione, al mantenimento e alla verifica della qualità clinica nonché a tutti quei meccanismi che permettono una maggiore responsabilizzazione, gestione e governo dei processi di assistenza sanitaria.
La partecipazione del cittadino/paziente ai vari livelli di programmazione di valutazione al SSN provvede, dunque, ad attivare un efficace sistema di informazione sulle prestazioni erogate, sulle tariffe, sulle modalità di accesso ai servizi ed un maggiore controllo sulla propria situazione di salute nonché sui trattamenti ai quali si è sottoposti. Costruire un modello di Governo Clinico capace di favorire l’empowerment del paziente significa considerarlo come un valore aggiunto per sé stesso e la comunità scientifica con l’obiettivo che la voce del paziente sia ascoltata, riconosciuta e presa come punto di riferimento nei processi decisionali.
Sul punto, un ruolo fondamentale nel Governo Clinico, ad esempio, riveste la c.d. “Carta dei servizi sanitari” – introdotta con la Direttiva del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994 e resa vincolante per enti erogatori di servizi sanitari con la Legge n. 273/1995 – che costituisce “uno strumento efficace nel riconoscimento del ruolo del cittadino quale soggetto attivo sia in termini di partecipazione democratica alle scelte di politica sanitaria che di controllo di qualità”23.
La Carta è essenzialmente volta alla tutela dei diritti degli utenti a cui viene riconosciuto un vero e proprio potere di controllo diretto sulla qualità dei servizi erogati al fine di orientare l’attività dei servizi pubblici verso la loro mission, ossia quella di fornire un servizio di qualità ai cittadini/pazienti.
Certamente, l’adozione di un modello di Governo Clinico capace di assicurare e di garantire standard di qualità dei servizi a favore dei cittadini (anche attraverso un maggiore coinvolgimento di questi ultimi nelle scelte di pianificazione e programmazione), permetterebbe un miglioramento delle condizioni di salute e del livello di soddisfazione del paziente nel rispetto dei caratteri normativi ed economici perseguiti dalle strutture sanitarie.
Ciò con maggiore vigore proprio nella realtà sanitaria dove il prodotto finale è l’ottenimento del “bene salute” a cui sono strettamente connesse le aspettative dei pazienti, dei professionisti e dei dirigenti che vi operano.
Note:
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