I biosimilari e il prezzo dei diritti

I biosimilari e il prezzo dei diritti
I biosimilari e il prezzo dei diritti

Di Giacomo Lev Mannheimer

 

Indice

1. Introduzione

2. I farmaci biosimilari

3. I biosimilari e il Servizio Sanitario Nazionale

4. I criteri di confronto tra biosimilari e originator

5. Le politiche regionali fra tutela della salute e obiettivi di finanza pubblica

5.1. Il riconoscimento dell’equivalenza terapeutica

5.2. Le raccomandazioni e i vincoli prescrittivi

6. Il secondo position paper dell’AIFA

7. Conclusioni 

 

1. Introduzione

Quello alla salute è un diritto fondamentale tra i diritti riconosciuti a chiunque sia in Italia. Anzi, nella lettera della Costituzione, è l’unico ad essere espressamente qualificato come tale, benché, ovviamente, non sia il solo ad essere poi così interpretato. Ciò dipende, fra l’altro, dalla percezione pubblica del bene-medicina: da questo punto di vista, infatti, i farmaci non sono equiparabili agli altri beni, e la loro funzione curativa alimenta la tendenza a escluderli dalle normali dinamiche di mercato. L’accesso ai farmaci, di conseguenza, è formalmente garantito a chiunque, indipendentemente dalle proprie condizioni economiche, e la loro erogazione è fortemente intermediata da parte dello Stato. 

Il riconoscimento costituzionale come diritto “fondamentale” non rende tuttavia quello alla salute un diritto incondizionato, a maggior ragione dal punto di vista economico. Se infatti la salute universale sembra ‘gratuita’, non lo è affatto: la pagano i contribuenti, attraverso la spesa pubblica, e la stessa economia che ruota intorno alla salute, attraverso gli investimenti necessari allo sviluppo di servizi e prodotti. La salute, quindi, ha un costo, composto di componenti fisse e di altre più variabili. Tra queste ultime, la spesa farmaceutica, proprio perché tra le più regolamentate e monitorate su tutta la filiera, è quella che più si presta a tagli per ottenere risparmi. 

Uno sguardo più approfondito sulle modalità di allocazione della spesa farmaceutica pone però qualche ombra: sia sul concetto di diritto universale e fondamentale alla salute, sia sulle politiche sanitarie che dovrebbero garantirlo. È il caso, ad esempio, della prescrizione per principio attivo[1], o dei ‘conflitti di interesse’ tra obiettivi di risparmio e obiettivi di cura[2]. Da ultimo, è il caso dei farmaci biosimilari rispetto agli originator

I farmaci biologici sono medicinali innovativi utilizzati per la cura di numerose patologie, derivanti dallo sviluppo di molecole appartenenti a organismi viventi. Le cure biologiche e biotecnologiche sono il frutto di investimenti cospicui, prolungati e dall’esito spesso incerto, non solo in ricerca e sviluppo ma anche nel processo produttivo – che come detto richiede accorgimenti specifici e rigorosi – e nella loro dispensazione. 

Il brevetto di un medicinale biologico e la conseguente esclusiva per la sua commercializzazione durano vent’anni[3]. Come noto, se tale periodo di tempo può sembrare sufficiente per ammortizzare gli ingenti investimenti effettuati per la ricerca, i termini di fatto si riducono considerevolmente a causa del tempo necessario tra il deposito della domanda, da cui iniziano a decorrere, e l’immissione in commercio. Da questo punto di vista, dunque, l’introduzione a livello europeo del Certificato Protettivo Supplementare (SPC, Supplementary Protection Certificate), consentendo un periodo di sfruttamento del brevetto per 5 anni dalla fine della durata legale[4], permette alle imprese farmaceutiche che investono in ricerca e sviluppo il recupero di una parte degli anni necessari all’individuazione del farmaco. Scaduta la facoltà esclusiva di sfruttamento, altre aziende possono iniziare a produrre farmaci biologici ‘simili’ a quello in questione, e chiamati per questa ragione ‘biosimilari’. Tali farmaci non possono replicare perfettamente quelli ‘originali’ a causa del particolare metodo di produzione, e proprio tale differenza ha determinato l’emersione di diversi problemi legati alla loro qualificazione e, soprattutto, al loro utilizzo da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). A tali problemi è dedicata la presente analisi, suddivisa in sei parti. 

Il primo capitolo introduce e definisce il concetto di “farmaci biosimilari”. Il secondo capitolo riassume la normativa in vigore per l’acquisto di farmaci biosimilari da parte del SSN. Il terzo capitolo approfondisce alcuni concetti di carattere scientifico, relativi al grado di comparabilità fra medicinali diversi, indispensabili per comprendere il prosieguo dello studio. Il quarto capitolo analizza la giurisprudenza fondamentale in materia, ed è ulteriormente suddiviso in due parti, le quali, a loro volta, classificano le principali aree problematiche nella regolazione dei biosimilari. Il quinto capitolo delinea il quadro emerso dalla position paper dell’AIFA del marzo 2018. Il sesto e ultimo capitolo, infine, conclude il lavoro tracciando le principali questioni tutt’ora in sospeso e le prospettive per il futuro.

 

2. I farmaci biosimilari

Come suggerisce il termine stesso, i farmaci “biosimilari” rientrano in una particolare categoria di farmaci biologici, ‘simili’ a quelli originali, precedentemente brevettati e autorizzati all’immissione sul mercato. 

A loro volta, i medicinali biologici sono quelli contenenti una o più sostanze attive derivanti da una fonte biologica o ottenute attraverso un processo biologico, e che – proprio per questa loro caratteristica – necessitano di una standardizzazione delle fasi di produzione e di controllo chimico-fisico ancora più rigorosa di quella dei farmaci tradizionali[5]. Ciò è dovuto, appunto, al fatto che soltanto gli organismi viventi sono in grado di riprodurre molecole di tale grandezza e complessità. Esempi di sostanze attive presenti nei medicinali biologici sono proteine già presenti nell’organismo umano come l’insulina, l’ormone della crescita o l’eritropoietina.

Il concetto di “farmaco biosimilare” è stato introdotto dalla Direttiva 2001/83/EC dell’Unione europea, recepita in Italia dal decreto legislativo n. 219/2006, secondo cui “quando un medicinale biologico simile a un medicinale biologico di riferimento non soddisfa le condizioni della definizione di medicinale generico a causa, in particolare, di differenze attinenti alle materie prime o di differenze nei processi di produzione del medicinale biologico e del medicinale biologico di riferimento, il richiedente è tenuto a fornire i risultati delle appropriate prove precliniche o delle sperimentazioni cliniche relative a dette condizioni”[6]. 

Nel 2012, l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) ha definito i farmaci biosimilari come quei medicinali sviluppati “in modo da risultare simili a un medicinale biologico già autorizzato”[7].

L’enfasi posta in capo al concetto di ‘similitudine’ è dovuta al fatto che, mentre i farmaci cosiddetti generici hanno normalmente strutture chimiche più semplici e sono dunque considerati ‘identici’ ai loro medicinali di riferimento, il principio attivo di un biosimilare e quello del suo medicinale di riferimento sono costituiti dalla stessa sostanza biologica, e tuttavia “possono essere presenti differenze minori dovute alla loro natura complessa e alle tecniche di produzione”, in quanto entrambi presentano “un certo grado di variabilità naturale”. Ciò rende un biosimilare e il suo prodotto di riferimento, secondo l’EMA, “non identici, ma essenzialmente simili in termini di qualità, sicurezza ed efficacia”[8]. 

Come si apprende dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, la stragrande maggioranza dei farmaci ‘tradizionali’ è costituita da molecole di dimensioni relativamente ridotte, ottenute tramite un processo di sintesi chimica. I farmaci biologici, al contrario, sono costituiti da molecole aventi generalmente dimensioni maggiori, una struttura più complessa e un livello più elevato di instabilità chimica; caratteristiche, queste, dovute proprio all’origine biologica di tali molecole. La corretta lavorazione delle cellule necessaria a ottenere i medicinali biologici, infatti, dipende spesso da fattori esogeni e talvolta imprevedibili, poiché ogni cellula possiede caratteristiche di crescita, fermentazione e purificazione differenti[9]. Di conseguenza, l’elaborazione dei medicinali biologici non è immediatamente e facilmente trasferibile da un laboratorio all’altro, a differenza dei farmaci tradizionali, conducendo la comunità scientifica a concludere che il processo di produzione di tali farmaci sia talmente caratterizzante da costituire esso stesso, in un certo senso, il prodotto finito[10]. 

La produzione dei farmaci biosimilari risponde alla medesima esigenza per cui sono nati i farmaci generici: fornire un’alternativa ai pazienti, nel momento in cui i brevetti dei medicinali originator scadono. Tuttavia, mentre i generici sono considerati sostanzialmente identici ai corrispondenti medicinali originator, la complessità della struttura e del metodo di produzione dei farmaci biologici può determinare differenze lievi, ma sostanziali, con i biosimilari corrispondenti, anche in termini di efficacia, immunogenicità, sicurezza e indicazioni d’uso. Emerge da queste differenze la necessità di prevedere un diverso e più complesso percorso autorizzativo per i biosimilari rispetto ai farmaci generici[11]. 

Dal 2006 – anno in cui è stato approvato il primo farmaco biosimilare in Europa – il mercato di tale categoria di farmaci è cresciuto costantemente. Nel 2017, i consumi delle otto molecole biosimilari in commercio in Italia sono cresciuti del 74% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il 19% dei consumi totali (originator e biosimilari)[12]. La dimensione del mercato dei biosimilari – potenzialmente ancor più rilevante di quanto già sia – è in costante espansione. Tale crescita, tuttavia, incontra notevoli differenze da Paese a Paese in funzione non solo dei tassi di utilizzo dei biosimilari, ma soprattutto delle diverse politiche di fissazione e regolazione dei prezzi, essendo il settore pubblico il maggior acquirente in tutti gli Stati membri, e così anche in Italia.

 

3. I biosimilari e il Servizio Sanitario Nazionale

Mentre molti farmaci biologici e biotecnologici sono in fase di sviluppo clinico, la ‘prima generazione’ di questa categoria di farmaci ha già superato, o è in procinto di superare, la scadenza brevettuale (compreso il SPC). Una volta scaduto il relativo brevetto, un farmaco biologico può essere affiancato sul mercato dai biosimilari. 

Normalmente, i farmaci biosimilari sono meno costosi degli originatori di riferimento; e ciò sia per la necessità di far fronte alla concorrenza generatasi dalla scadenza brevettuale, sia – e soprattutto – per la possibilità delle aziende produttrici di negoziare il prezzo senza tenere conto degli sforzi di ricerca e sviluppo affrontati durante la genesi del farmaco originatore. Secondo l’AIFA, i medicinali biosimilari costituiscono perciò anche “un’opzione terapeutica a costo inferiore per il Servizio Sanitario Nazionale, producendo importanti risvolti sulla possibilità di trattamento di un numero maggiore di pazienti e sull’accesso a terapie ad alto impatto economico”[13]. Come si è già evidenziato, ciò è rilevante in termini qualitativi ma, soprattutto, quantitativi, essendo il SSN di gran lunga il maggiore acquirente di farmaci del Paese, a maggior ragione di quelli di origine biologica, i quali, per la loro complessità, sono utilizzati prevalentemente da ospedali e centri medici specializzati. 

Di conseguenza, i biosimilari costituiscono, per il SSN, una notevole opportunità. Il loro utilizzo, infatti, consente di garantire un più vasto accesso alle cure e riduce, nel contempo, gli oneri finanziari a carico del sistema. I risparmi generati dall’utilizzo dei biosimilari, infatti, possono in teoria contribuire a finanziare la spesa per l’accesso a nuovi farmaci ancora coperti da tutela brevettuale – compresi quelli biotecnologici – rendendo sempre più accessibili anche le terapie più innovative. 

Come detto, tuttavia, la sostituzione di biologici originator con biosimilari segue a una fase di valutazione scientifica molto delicata. Per questo, è assolutamente necessario che vi sia chiarezza ed esatta definizione delle responsabilità di ciascuna delle istituzioni coinvolte nella tutela della salute, per evitare che gli già precari equilibri in gioco tra esigenze di risparmio, diritto alla salute e necessità di ritorno degli investimenti in ricerca e sviluppo non compromettano ora l’una ora l’altra di tali esigenze. 

Al fine di comprendere con chiarezza le principali criticità all’incrocio di queste esigenze e delle funzioni e dei ruoli che le istituzioni competenti hanno per garantirle, è necessario chiarire alcuni concetti che risulteranno fondamentali nel prosieguo, e che riguardano la natura del rapporto intercorrente fra diversi medicinali.

4. I criteri di confronto tra biosimilari e originator

All’interno dell’Unione europea, la procedura di autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci biologici – inclusi i biosimilari – è gestita a livello centrale dall’EMA e valida, in caso di esito positivo, in tutti gli Stati membri, senza bisogno di ulteriori ratifiche. Tale procedura può in ogni caso essere sostituita da procedure nazionali e di mutuo riconoscimento, purché basate sui medesimi requisiti richiesti dall’EMA[14]. 

La procedura di autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci biosimilari, prevista all’interno delle linee guida pubblicate periodicamente dall’EMA, è diversa da quella prevista per i farmaci generici. Mentre per questi ultimi è sufficiente presentare i risultati degli studi di bioequivalenza[15], i biosimilari – contenendo un principio attivo simile, ma non identico a quello del medicinale biologico di riferimento – richiedono la dimostrazione della sua comparabilità con il prodotto originator. Tale dimostrazione determina, in caso positivo, il riconoscimento della biosimilarità. La quale, si badi bene, non è tuttavia assimilabile alla bioequivalenza, richiedendo studi di qualità, clinici e non clinici, così da verificare se esistano differenze rilevanti in termini di sicurezza ed efficacia clinica tra i due medicinali considerati. 

L’EMA ha delegato alle singole Autorità nazionali la decisione di considerare o meno intercambiabili da parte dei medici prescrittori i farmaci biosimilari rispetto ai rispettivi originator, precisando tuttavia che la decisione circa la scelta prescrittiva del medicinale specifico da impiegare, di riferimento piuttosto che biosimilare, debba in ogni caso essere affidata a personale sanitario qualificato[16]. 

In Italia, dunque, la legislazione è diversa per i farmaci biosimilari rispetto a quella per i farmaci generici. Infatti, per quanto riguarda i medicinali di origine chimica, il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, è tenuto a indicare nella ricetta la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco; se invece indica la denominazione di uno specifico medicinale, tale indicazione è vincolante per il farmacista solo laddove sia corredata da una clausola di non sostituibilità, oppure laddove il farmaco selezionato abbia un prezzo pari a quello di rimborso, fatta comunque salva la diversa richiesta del cliente[4]. Inoltre, nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi, le regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’AIFA[17]. 

Per ciò che invece concerne specificamente i farmaci di origine biotecnologica, la legislazione italiana stabilisce che soltanto l’EMA e l’AIFA possono accertare l’esistenza di un rapporto di biosimilarità tra due prodotti, che non è in ogni caso consentita la “sostituibilità automatica” tra farmaco biologico di riferimento e biosimilare o tra biosimilari[18], e che di conseguenza l’AIFA non può inserire nelle liste di trasparenza i farmaci biosimilari[19].

 

5. Le politiche regionali fra tutela della salute e obiettivi di finanza pubblica

Per quanto riguarda le procedure pubbliche di acquisto per i farmaci biosimilari, al fine di razionalizzare la spesa per l’acquisto di farmaci biologici a brevetto scaduto e per i quali siano presenti sul mercato i relativi farmaci biosimilari, le regioni sono tenute: 

a utilizzare accordi-quadro con tutti gli operatori economici coinvolti nella procedura, quando i medicinali a base del medesimo principio attivo sono più di tre;

a garantire ai pazienti il trattamento con uno dei primi tre farmaci nella graduatoria dell’accordo-quadro, classificati secondo il criterio del minor prezzo o dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ferma restando la libertà del medico di prescrivere il farmaco ritenuto idoneo a garantire la continuità terapeutica ai pazienti, tra quelli inclusi nella procedura di cui al punto precedente;

in caso di scadenza del brevetto di un farmaco biologico durante il periodo di validità del contratto di fornitura, ad aprire il confronto concorrenziale tra il farmaco originator di riferimento e suoi corrispondenti biosimilari entro sessanta giorni dal momento dell’immissione in commercio di uno o più di questi ultimi;

a non porre eventuali oneri economici aggiuntivi, derivanti dal mancato rispetto di tali disposizioni, a carico del SSN[20].

Il quadro normativo appena delineato, come spesso accade, è stato integrato in modo decisivo dalla giurisprudenza, la quale ha dovuto affrontare diversi quesiti relativi alla sua concreta applicazione. Fra i dubbi esegetici affrontati dai tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato, i più importanti riguardano da una parte il riconoscimento della sostituibilità, dall’altra le raccomandazioni e i vincoli prescrittivi da parte delle regioni.

 

5.1. Il riconoscimento dell’equivalenza terapeutica

La giurisprudenza è unanime nel ritenere che non vi siano eccezioni all’attribuzione in capo all’AIFA della competenza esclusiva a determinare l’equivalenza terapeutica fra farmaci biologici e biosimilari con principio attivo diverso. Ciò, tuttavia, non significa che non siano sorti problemi esegetici in questo senso. In una delibera del 2016, ad esempio, la Regione Piemonte ha suddiviso gli obiettivi di consumo farmaceutico relativi alla necrosi tumorale alfa tra due farmaci biotecnologici contenenti principi attivi di diversa natura. L’azienda che commercializza uno dei due farmaci ha impugnato la delibera di fronte al TAR Piemonte, che l’ha annullata.[21] Secondo il giudice amministrativo, infatti, l’AIFA non ha mai stabilito l’equivalenza terapeutica fra i due medicinali, né avrebbe potuto farlo la Regione medesima; come si è chiarito in precedenza, infatti, tale decisione, in caso di farmaci con diversi principi attivi, spetta in via esclusiva all’AIFA. 

La Regione Piemonte ha appellato la pronuncia di primo grado, affermando che diversi articoli scientifici sosterrebbero l’equivalenza terapeutica fra i due principi attivi per la categoria dei farmaci inibitori del fattore di necrosi tumorale alfa, le cui conseguenze in termini di risparmio di denaro pubblico sarebbero notevoli.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha confermato la sentenza appellata[22], ribadendo il principio secondo cui le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche, ai criteri delle pertinenti prestazioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità e al monitoraggio del loro consumo spettano esclusivamente all’AIFA[23]. Secondo il massimo giudice amministrativo, infatti, il fatto che la valutazione terapeutica tra medicinali basati su diversi principi attivi non possa essere effettuata dalle Regioni, ma che essa debba risultare da motivate e documentate valutazioni espresse dall’AIFA, costituisce “vero e proprio ius receptum”[24]. È di tutta evidenza, peraltro, come l’assenza di una valutazione di equivalenza fra i due medicinali per tale categoria terapeutica da parte di AIFA non possa certo essere sopperita da articoli scientifici o diverse valutazioni esterne al perimetro dell’AIFA e dell’EMA.

 

5.2. Le raccomandazioni e i vincoli prescrittivi

Il tema più controverso che emerge dalla giurisprudenza in materia di biosimilari è certamente quello relativo alle condizioni e ai limiti entro cui le Regioni possano incentivare la prescrizione di determinati farmaci, a scapito di altri, da parte di ASL e medici, specialmente laddove tale necessità sia motivata non da ragioni cliniche, ma di finanza pubblica. 

Nel maggio del 2016, ad esempio, la Regione Piemonte ha emanato la deliberazione n. 30-3307, con cui ha assegnato gli obiettivi economico-gestionali, di salute e di funzionamento dei servizi ai direttori generali e ai commissari delle aziende sanitarie regionali, da cui sarebbero dipesi i bonus economici erogati dalla Regione per l’anno in corso.

Fra questi obiettivi, la Regione Piemonte ha stabilito che, per la categoria terapeutica degli inibitori del fattore di necrosi tumorale alfa, almeno il 65% delle prescrizioni fosse costituito da medicinali contenenti il principio attivo infliximab, contenuto da un farmaco biosimilare denominato Remsima. Di conseguenza, solo il 35% delle prescrizioni avrebbero potuto indicare l’utilizzo di Humira, un farmaco biologico contenente il principio attivo adalimumab e autorizzato dall’AIFA al trattamento di tale patologia. La delibera ha inoltre previsto che il mancato conseguimento di tale obiettivo sarebbe stato qualificato alla stregua di un “grave inadempimento contrattuale” e avrebbe comportato la decadenza automatica dei direttori generali; viceversa, il suo raggiungimento avrebbe dato luogo a un premio di risultato. 

L’azienda che commercializza Humira ha impugnato la delibera di fronte al TAR Piemonte, che l’ha annullata[25]. Secondo il giudice amministrativo, infatti, la delibera impugnata implicherebbe in effetti un vincolo di cui i direttori generali delle ASL – e per loro tramite i medici – devono necessariamente tenere conto, limitandone di fatto la piena libertà prescrittiva attraverso meccanismi sanzionatori o premiali, in grado di conformare le prescrizioni dei farmaci all’obiettivo prioritario del risparmio[26]. 

Al contrario, il TAR Piemonte chiarisce come la riconosciuta facoltà delle Regioni di enunciare direttive tese ad ottenere il risparmio di spesa non possa incidere in alcun modo sulla libera prescrivibilità e sulla piena rimborsabilità di farmaci essenziali, in assenza del necessario passaggio tecnico di riconosciuta equipollenza da parte dell’AIFA. Secondo la corte, un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi interessi avrebbe potuto essere individuato temperando la rigidità dei meccanismi sanzionatori e premiali, e al contrario fornendo semplici indicazioni di massima che inducano a privilegiare l’uso del farmaco meno costoso, senza con ciò rendere vincolanti tali indicazioni o limitare la libertà prescrittiva del medico curante, né direttamente né indirettamente.

La Regione Piemonte ha appellato la pronuncia di primo grado, affermando che non fosse presente, all’interno della delibera, una correlazione fra il mancato raggiungimento dell’obiettivo e la valutazione di grave inadempimento a carico di direttori generali e commissari delle ASL. Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha confermato la sentenza appellata, ritenendo che la funzione di orientamento nei confronti dei medici attribuita alle regioni non possa essere inibita, ma debba semplicemente compiersi entro due limiti invalicabili: l’esigenza di conservare uniformità su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali di assistenza, e l’autonomia decisionale del medico nella prescrizione di un farmaco sotto il profilo dell’appropriatezza terapeutica[27]. 

L’orientamento appena esaminato, almeno nella sua “pars destruens”, può contare su una giurisprudenza sostanzialmente unanime. Ogniqualvolta abbia ravvisato – all’interno degli atti regionali di indirizzo che incentivassero la prescrivibilità di determinati farmaci, contenenti principi attivi differenti rispetto a quelli ‘disincentivati’ – un carattere limitativo e condizionante dell’autonomia gestionale dei vertici delle ASL e di quella prescrittiva del medico, il Consiglio di Stato ha ravvisato l’imprescindibile necessità del riconoscimento di equivalenza terapeutica da parte dell’AIFA, e la conseguente illegittimità dei provvedimenti regionali adottati in carenza di tale previa valutazione[28]. Il Consiglio di Stato, infatti, ha indicato un punto di equilibrio tra le differenti esigenze di salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza sull’intero nazionale e di contenimento della spesa farmaceutica nella previsione che – qualora non ritenga di poter utilizzare il farmaco biosimilare o biologico al costo di terapia più basso rispetto al costo di terapia di altro farmaco biosimilare o biologico – il medico sia tenuto a motivare la scelta terapeutica, con specifica relazione indirizzata alla direzione sanitaria di appartenenza e di competenza territoriale dell’assistito[29]. Tale soluzione, secondo i giudici di Palazzo Spada, fa salva tutta l’autonomia del medico e, con essa, il diritto alla salute del paziente nelle ipotesi in cui il farmaco originator di minor costo, a parità, in astratto, di riconosciuta efficacia terapeutica, non possa garantire eguale o analogo risultato, in concreto, per il singolo paziente. 

Tuttavia, prosegue la sentenza, l’onere motivazionale rinforzato che si raccomanda al medico, in questa seconda ipotesi, non ne mortifica l’autonomia decisionale e la libertà prescrittiva, ma anzi ne esalta il ruolo e ne rende evidenti, alla stregua di un principio di trasparenza della decisione medica che è oggetto di un fondamentale diritto dell’individuo ma anche di un interesse collettivo, le ragioni tecnico-scientifiche della propria scelta in un panorama di risorse pubbliche ormai razionate, per via della crisi finanziaria, anche in un fondamentale settore dello Stato sociale di diritto come quello sanitario[30].

In altre parole, secondo il Consiglio di Stato la sintesi fra i molteplici equilibri in gioco è il rispetto dell’autonomia prescrittiva del medico. Le regioni, pertanto, possono certamente raccomandare l’utilizzo di determinati farmaci, anche tenendo conto di un possibile risparmio atteso da tale scelta da parte dei medici, mentre non possono vincolare a risultati economici precisi i medici curanti e i dirigenti delle strutture sanitarie, né a maggior ragione monitorare il grado di raggiungimento di tali risultati. La previsione di obiettivi definiti e il loro monitoraggio, infatti, condizionano inevitabilmente il medico curante, non garantendo invece la necessaria autonomia del medico nella valutazione dei singoli casi e delle singole eccezioni alle raccomandazioni delle regioni[31].

Una seconda e più problematica questione concerne la facoltà per le Regioni di permettere (e in alcuni casi di raccomandare) l’utilizzo di biosimilari anche in caso di “switch terapeutico”, cioè laddove il paziente sia già in cura e utilizzi un prodotto diverso da quello in questione. 

Sul punto è intervenuto, nel 2015, il Consiglio di Stato, sottolineando come i vari prodotti basati sul medesimo principio attivo, benché in qualche misura differenti tra loro, possano essere usati come se fossero equivalenti nella generalità dei casi, “osservando semplicemente – e anche in questo caso salvo eccezioni – la cautela di proseguire un trattamento già iniziato con lo stesso prodotto”[32]. 

Dalla pronuncia dei giudici di Palazzo Spada può trarsi un principio generale secondo cui, salvo eccezioni, lo “switch terapeutico” deve essere sottratto ai pazienti già in cura. Un orientamento peraltro cristallizzato anche dalla legislazione, con l’intervento della legge di bilancio per il 2017 già richiamata. Ciononostante, una recente sentenza del TAR Piemonte sembrerebbe al contrario adottare un orientamento radicalmente diverso. 

La pronuncia del TAR Piemonte riguarda le “Linee di indirizzo sull’utilizzo dei farmaci biosimilari nelle patologie dermatologiche” emanate nel maggio 2017 dalla Regione Piemonte. Nell’atto in questione, la Regione ha stabilito che la sostituzione del farmaco originator con il corrispondente biosimilare, se aggiudicatario della procedura pubblica di acquisto, debba essere il più possibile favorita dai medici prescrittori, anche per i pazienti già in terapia con il farmaco originator

L’azienda che produce il farmaco Enbrel (un farmaco biotecnologico utilizzato per la cura dell’artrite reumatoide, dell’artrite psoriasica e di altre patologie, di cui le ASL della Regione Piemonte si sono storicamente sempre rifornite) ha presentato un ricorso per l’annullamento di tale atto, dopo che l’ultimo bando effettuato per l’acquisto di farmaci per la cura di tali patologie era stato aggiudicato a Benepali, un farmaco biosimilare di Enbrel, contestando il fatto che, nel caso di pazienti già in cura, le autorità pubbliche indirizzassero i medici prescrittori verso la scelta del medicinale biosimilare per ragioni di minor costo.

Investito della questione, il TAR Piemonte ha tuttavia respinto il ricorso, ritenendo che la gara indetta dalla Regione fosse fondata – correttamente – sull’esistenza di un’equivalenza terapeutica fra i due medicinali riconosciuta dall’EMA, e che non vi sia alcuna evidenza scientifica che vieti in modo categorico di somministrare a pazienti già in cura farmaci biotecnologici differenti rispetto a quelli già utilizzati, specie laddove si riscontri una “buona risposta clinica”, come richiesto dalle linee di indirizzo emanate dalla Regione Piemonte[33]. 

La pronuncia del TAR Piemonte sembra contraddire una giurisprudenza ormai consolidata, e fatta propria da ultimo anche dal legislatore e dall’AIFA, sul divieto di sostituibilità automatica tra farmaci biologici e biosimilari, sul riconoscimento della libertà prescrittiva dei medici e sulla tutela della continuità terapeutica. Ciò non toglie, tuttavia, che essa meriti attenzione come possibile segnale di un tentativo periferico di ridimensionare tali principi, per obiettivi di risparmio. Tali tentativi, per quanto frenati dalla maggiore giurisprudenza e dall’AIFA stessa, sono utili a comprendere la natura fallace delle petizioni di principio che confondono l’universalità del diritto alla salute con la sua gratuità, e quindi a manifestare la necessità di individuare apertamente e senza retorica le vie più efficaci per garantire il reale accesso alle cure[34].

 

6. Il secondo position paper dell’AIFA

Nel marzo 2018 l’AIFA ha pubblicato un position paper per chiarire la propria posizione in merito ad alcune delle questioni sollevate nel capitolo precedente, alla luce delle norme e della giurisprudenza già analizzate, oltre che di evidenze scientifiche emerse di recente[36]. Il documento, infatti, costituisce un aggiornamento di un primo position paper riguardante i biosimilari, pubblicato dall’AIFA nel maggio 2013[35]. 

Nel position paper del 2013, l’AIFA aveva innanzitutto stabilito che i medicinali biologici e biosimilari non potessero essere considerati sic et simpliciter alla stregua dei prodotti equivalenti, escludendone quindi la vicendevole sostituibilità. Proprio perché i medicinali biologici di riferimento e i biosimilari sono medicinali simili, ma non identici, l’AIFA aveva inoltre deciso di non includere i medicinali biosimilari nelle liste di trasparenza che consentono la sostituibilità automatica tra prodotti equivalenti[37]. Di conseguenza, la scelta di trattamento con un farmaco biologico di riferimento o con un biosimilare sarebbe rimasta una decisione clinica affidata al medico specialista prescrittore.

Nel position paper del 2013 si legge inoltre che, secondo l’AIFA, i biosimilari non solo costituiscono un’opzione terapeutica a disposizione dei curanti, ma sono da preferire, qualora costituiscano un vantaggio economico, in particolare per il trattamento dei soggetti naive, cioè coloro i quali non abbiano avuto precedenti esposizioni terapeutiche o per i quali le precedenti esposizioni in base al giudizio del clinico siano sufficientemente distanti nel tempo. Inoltre, in considerazione del fatto che il processo di valutazione per la designazione della biosimilarità è condotta dall’EMA al massimo livello di conoscenze scientifiche e sulla base di tutte le evidenze disponibili, l’AIFA aveva chiarito che ulteriori valutazioni comparative effettuate a livello regionale o locale non sono necessarie. In ogni caso, l’AIFA si era riservata la facoltà di valutare caso per caso l’applicabilità dei principi generali enunciati in questo Position Paper, nonché quella di modificare le proprie posizioni sui singoli prodotti e/o sulle singole categorie terapeutiche in relazione al tempo di commercializzazione dei prodotti interessati, alle evidenze scientifiche acquisite, al numero di pazienti trattati nella pratica clinica, agli PSUR presentati all’EMA, agli studi PAES e PASS, e alle informazioni estrapolabili da eventuali registri[38]. 

Cinque anni dopo, come accennato, l’AIFA ha ritenuto di dover aggiornare la propria posizione in merito all’utilizzo dei biosimilari, alla luce delle modifiche normative, delle pronunce giurisprudenziali intervenute, e di nuove evidenze scientifiche. Confrontando i due documenti, tuttavia, emerge un ulteriore elemento che, sia pure implicitamente, sembrerebbe avere influenzato in modo decisivo l’AIFA nella scelta di emanare un nuovo position paper: quello economico. Fra il 2013 e il 2018, in effetti, sono scaduti numerosi brevetti relativi a farmaci biologici, e si è pertanto fatta via via più pressante l’esigenza di fornire indicazioni alle regioni sull’utilizzo dei biosimilari, data una varietà di indirizzi delle politiche sanitarie accomunati dal tentativo di raggiungere un obiettivo di risparmio, non sempre rispettoso e delle competenze delle regioni e, soprattutto, dell’autonomia e della responsabilità medica. 

Nel documento del marzo 2018, l’AIFA ha aggiunto al quadro individuato poc’anzi la considerazione che – per quanto la scelta di trattamento rimanga una decisione clinica affidata al medico prescrittore – a quest’ultimo sia anche affidato il compito di “contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario”. Per tale ragione – considerato che “il rapporto rischio-beneficio dei biosimilari è il medesimo di quello degli originatori di riferimento” – l’AIFA “considera i biosimilari come prodotti intercambiabili con i corrispondenti originatori di riferimento”. Inoltre, tale considerazione vale “tanto per i pazienti naive quanto per i pazienti già in cura”[39]. 

Come evidenziato in precedenza, i farmaci sono fra loro intercambiabili quando si prevede abbiano lo stesso effetto clinico e possano pertanto essere sostituiti fra loro nella pratica clinica, su iniziativa o con l’accordo del medico prescrittore, in virtù di tale previsione. Pur escludendo la sostituibilità automatica – prevista invece per i farmaci generici – e richiedendo che sia il medico a stabilire caso per caso se e quando farlo – la decisione dell’AIFA stabilisce per la prima volta l’intercambiabilità dei farmaci biosimilari con i corrispettivi originator, sia per i pazienti già in cura che per quelli mai trattati. Non si vuole né si potrebbe in questa sede commentare il merito della scelta dal punto di vista scientifico, ma la decisione dell’AIFA segna una svolta importante per il mercato farmaceutico e la sua regolazione. 

Emerge, da questo punto di vista, l’esigenza di chiarire come il position paper dell’AIFA non possa che essere interpretato conformemente a quanto già previsto dalla legge e dalla giurisprudenza amministrativa, che ha più volte limitato l’utilizzo di biosimilari e altri farmaci ai ‘nuovi’ pazienti. L’estensione dell’intercambiabilità ai pazienti già in cura, di conseguenza, va interpretata nel quadro del principio della libertà prescrittiva e della responsabilità del medico curante. 

Inoltre, permangono diversi dubbi relativamente alle condizioni e ai limiti entro i quali le regioni possano incentivare – o disincentivare – determinati prodotti o categorie di prodotti. Come detto, la giurisprudenza ha indicato un punto di equilibrio tra le differenti esigenze di salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza sull’intero territorio nazionale e di contenimento della spesa farmaceutica nella previsione che – qualora non ritenga di poter utilizzare il farmaco biosimilare o biologico al costo di terapia più basso rispetto al costo di terapia di altro farmaco biosimilare o biologico – il medico sia tenuto a motivare la scelta terapeutica, con specifica relazione indirizzata alla direzione sanitaria di appartenenza e di competenza territoriale dell’assistito. I limiti invalicabili da rispettare, pertanto, sarebbero per le regioni l’esigenza di conservare uniformità su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali di assistenza e l’autonomia decisionale del medico nella prescrizione di un farmaco sotto il profilo dell’appropriatezza terapeutica. Il rischio, tuttavia, è che la situazione possa presto modificarsi come accaduto, per quanto riguarda i farmaci equivalenti, tramite il decreto Balduzzi[40], che ha introdotto l’obbligo, e non più soltanto la facoltà, per medici e farmacisti di indicare il generico, laddove presente, invece del prodotto branded.

 

7. Conclusioni

Le ipotesi esaminate poc’anzi sono unite, almeno apparentemente, da un filo conduttore: l’esigenza di contemperare la libertà e responsabilità dei medici, funzionale a garantire caso per caso il diritto alla salute delle persone, con il contenimento della spesa farmaceutica. In un sistema sanitario che proclama di garantire universalmente il diritto alla salute, il rischio è che da tale filo conduttore si generi un’illusione di accesso alle cure che nasconda, invece, una realtà ben più complessa e critica. 

Com’è ovvio, i biosimilari costituiscono, per il SSN, una notevole opportunità. Il loro utilizzo, infatti, consente di garantire l’accesso ai farmaci biologici per tutti i pazienti che ne necessitano e riduce, nel contempo, gli oneri finanziari a carico del sistema. La garanzia di universalità del diritto alla salute, nella sua concreta applicazione, deve necessariamente tenere in considerazione il costo che la collettività, beneficiaria di tale garanzia, è chiamata a sostenere.

Al tempo stesso, e trascurando la questione dell’effetto sistematico sugli investimenti dettato da una domanda monopolistica concentrata su mercati che non investono, il costo non può certo rappresentare un criterio prioritario di scelta per il regolatore, se non altro rispetto ad altri criteri quali la sicurezza sanitaria e la salute delle persone, in un modello che voglia realmente dirsi universale. Come può dirsi infatti realmente universalistico un sistema in cui la spesa farmaceutica deve essere “commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie”[41], e in cui al medico prescrittore è affidato il compito non solo di curare i pazienti, ma “di contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario”?[42]

Il rischio che si profila è che, complici le sempre più incombenti necessità di contenimento della spesa pubblica, le valutazioni di ordine tecnico/scientifico che dovrebbero orientare l’azione del legislatore, dell’AIFA e delle regioni finiscano per prediligere le esigenze finanziarie a quelle cliniche, pregiudicando così l’autonomia e la libertà dei medici, con effetti discutibili sia dal punto di vista degli obiettivi di contenimento della spesa sia, a maggior ragione, dal punto di vista della tutela della salute collettiva. Direttori generali e medici, in alcuni casi, potrebbero trovarsi a dovere dirimere un vero e proprio conflitto di interessi: da una parte, il loro dovere di operatori sanitari, il cui obiettivo è la tutela della salute dei loro pazienti; dall’altra, l’esigenza di assumere decisioni di carattere medico non sulla base delle esigenze di natura clinica, ma bensì secondo criteri economici, la mancata aderenza ai quali possa rischiare di compromettere perfino il loro stipendio o la loro carriera.

Come già accennato, al diritto alla salute è espressamente, e non a caso, riservato in Costituzione l’attributo di “fondamentale”. A tale qualificazione, del resto, risponde la tradizionale funzione della sanità pubblica nei moderni welfare states, la quale, restando al riparo da pressioni e influenze esterne, dovrebbe mirare esclusivamente al perseguimento della salute dei cittadini. Alla luce di quanto esaminato, tuttavia, è opportuno chiedersi se le recenti politiche farmaceutiche nazionali e regionali con cui comprensibilmente si cerca di limitare i costi della sanità pubblica non rischino di compromettere l’adeguata attuazione del principio universalistico del diritto alle cure. Indubbiamente il bilanciamento tra i suddetti interessi non è di facile realizzazione. Bisogna tenere in considerazione, in questo senso, che maggiori risorse risparmiate dalle regioni sul costo sanitario non corrispondono necessariamente a maggiori risorse in capo ai cittadini, ma rischiano invece di concretarsi in somme di denaro pubblico riutilizzato dalle regioni per scopi la cui opportunità andrebbe perlomeno valutata previamente, in un’ottica di costi-benefici, rispetto alla spesa farmaceutica. 

In questo senso, la già esaminata normativa introdotta dalla L. 232/2016 per regolamentare le procedure di acquisto da parte delle regioni costituisce un primo punto di equilibrio, fissando alcuni punti fermi: il divieto di sostituibilità automatica tra farmaci biosimilari e originator, il riconoscimento della libertà prescrittiva dei medici, e la tutela della continuità terapeutica. Il secondo position paper dell’AIFA ribadisce che il punto terminale dell’equilibrio dei valori e diritti in gioco è la responsabilità e la libertà del medico, e non può dunque che essere interpretato alla stregua di una conferma della valenza e dell’importanza dei principi menzionati poc’anzi. 

In linea generale, pertanto, l’utilizzo di farmaci biosimilari o originator dovrebbe corrispondere alle diverse e specifiche casistiche, valutate secondo criteri medico-scientifici dai medici curanti, in autonomia e potendo godere di responsabilità e di libertà prescrittiva. Una prospettiva, quest’ultima, confermata anche dall’AIFA, che ha recentemente ritenuto la discrezionalità riconosciuta al medico alla stregua di “una garanzia per i pazienti, che vedono così riconosciuta tutta la loro specificità” attraverso “il confronto diretto e costante con il paziente”, che a sua volta non solo “consente di definire la terapia più appropriata al caso concreto”, ma allo stesso tempo “accresce la responsabilità dei medici, i quali possono favorire la diffusione dei biosimilari e contribuire attivamente alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale attraverso il risparmio di risorse che questi medicinali assicurano[44]. 

Un diverso indirizzo, volto a selezionare cure e terapie sulla base di ragioni di contabilità, potrebbe compromettere il diritto alla salute come concepito nel nostro ordinamento. Ma non solo: intervenire a valle sul problema del costo della sanità pubblica è, per l’ennesima volta, un tentativo di negare agli stessi cittadini che quel problema esista, di fatto acuendolo col passare del tempo. Se, al contrario, si volesse correttamente affrontare il problema fin dalla radice, si dovrebbe dichiarare in modo trasparente che il sistema sanitario nazionale, per com’è costruito, carica su di sé una serie di costi che non solo esistono, ma che risultano, allo stato attuale, sempre meno sostenibili di fronte all’obiettivo universalistico che quello stesso sistema si propone di perseguire. Sarebbe, questo, il modo per iniziare a dare credito a modelli sanitari che, senza venir meno al dovere di garantire la salute, non lo sovrappongono a un modello esclusivamente pubblico e prestazionale.

1. G.L. Mannheimer, Farmaci e spesa regionale: il conto della salute, IBL Briefing Paper, 3 maggio 2015.

2. Boccalatte, Risparmiando a ogni costo? Brevi riflessioni sui conflitti di interesse nel SSN alla luce di una recente sentenza del TAR, IBL Focus, 30 giugno 2017.

3. Decreto Legislativo n. 30/2005 e successive modifiche e integrazioni.

4. Regolamento CE 469/2009.

5. Cfr. EMA, European Medicines Agency’s scientific guidelines on biological drug substances.

6. Art. 10, punto 7.

7. EMA, Questions and Answers on biosimilar medicines, A/837805/2011, 27 Settembre 2012.

8. Id.

9. Organizzazione Mondiale della Sanità, Guidelines on evaluation of similar biotherapeutic products, 2010.

10. K.L. Carson, Flexibility: the guiding principle for antibody manufacturing, Nature Biotechnology, 23(9), 2005, p. 1054-8.

11. Organizzazione Mondiale della Sanità, Op. ult. cit.

12. Elaborazione del Centro Studi Italian Biosimilars Group IBG su dati IQVIA, 2018.

13. AIFA, Secondo Position Paper AIFA sui Farmaci Biosimilari, 27 marzo 2018, p. 6.

14. I requisiti necessari all’autorizzazione sono contenuti nelle linee guida pubblicate periodicamente dall’EMA, conformemente a quanto previsto dall’articolo 8 della Direttiva 2001/83/EC.

15. Come previsto dalla Direttiva 2003/63/EC, Ann. I, P. II.

16. EMA, EMEA/74562/2006 Rev. 1; EMA/837805/2011.

17. D.l. 95/2012, art. 15, comma 11-bis, come modificato dal D.l. 179/2012 e dall’art. 1 comma 407 della L. 232/2016.

18. Id., comma 11-ter.

19. Per “sostituibilità automatica” si intende la facoltà del farmacista di dispensare al paziente indifferentemente uno dei farmaci ritenuti equivalenti da parte dell’AIFA, anche in contraddizione con quanto previsto dal medico prescrittore.

20. D.l. 95/2012, art. 15, comma 11-quater, come modificato dalla L. 232/2016. Le liste di trasparenza, pubblicate periodicamente dall’AIFA, elencano i farmaci cui è scaduto il brevetto, l’eventuale esistenza di prodotti equivalenti, e il loro prezzo.

21. Id.

22. TAR Piemonte, sez. I, n. 385/2017.

23. Cons. Stato, sez. III, n. 2821/2018.

24. Cons. Stato, sez. III, n. 4546/2017.

25. Sul punto, v. Cons. Stato, sez. III, n. 5476/2015. V. anche Cons. Stato, sez. III, n. 5707/2015.

26. TAR Piemonte, sez. I, n. 385/2017.

27. Per quanto concerne la percentuale di biosimilari che una Regione può porre a base di gara, la sentenza richiama il precedente del Consiglio di Stato, sez. III, n. 5478/2015. Nel caso in questione, la ricorrente aveva infatti contestato la percentuale posta a base della gara in cui il farmaco da essa prodotto competeva con il corrispondente biosimilare, pari al 60%. Il TAR Emilia Romagna, tuttavia, aveva respinto il ricorso, evidenziando come proprio la scelta di riservare il restante 40% all’acquisto diretto per le patologie per le quali non vi fosse un’indicazione terapeutica di equivalenza fosse garanzia della tutela del diritto alla salute dei pazienti e della libertà prescrizionale dei medici. Investito della questione, anche il Consiglio di Stato ha ritenuto che essa corrisponda – come già sostenuto dal TAR Emilia Romagna – proprio alla necessità di riservare una quota di tali prodotti al soddisfacimento di un fabbisogno per il quale i tre farmaci non si equivalgano.

28. Cons. Stato, sez. III, n. 2821/2018.

29. V., per tutte, la sentenza n. 4546/2017, secondo cui “il complesso delle disposizioni legislative dedicate a regolare la materia […] affida esclusivamente all’AIFA le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche, ai criteri delle pertinenti prestazioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità e al monitoraggio del loro consumo […] restando preclusa alle Regioni la previsione, sia in via legislativa che amministrativa, di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante e incompatibile con quello stabilito, in via generale e sulla base dei pareri emessi […] dall’AIFA a livello nazionale”. Cfr. anche Corte Cost., sentenze n. 8/2011 e n. 151/2014.

30. Cons. Stato, n. 3621/2017.

31. Id., capi 8.5 e 8.6.

32. Cons. Stato, sez. III, n. 4546/2017. V. anche TAR Lazio, sez. III, n. 2671/2018, e TAR Lazio, sez. III, n. 2650/2018.

33. Consiglio di Stato, sez. III, n. 5478/2015.

34. TAR Piemonte, Sez. I, n. 217/2018.

35. Rispetto alla medesima vicenda, occorre segnalare come il Tribunale civile di Torino, respingendo un ricorso presentato dalla stessa azienda farmaceutica nei confronti della società di committenza della Regione Piemonte, abbia confermato la possibilità per la sanità pubblica di abbassare il prezzo di fornitura di un medicinale, adeguandolo al costo dei nuovi farmaci messi in commercio – compresi i medicinali generici e biosimilari – anche in un periodo successivo all’aggiudicazione della gara di appalto e prima di effettuare un nuovo bando di fornitura. In questo senso v. Trib. Torino, sentenza n. 2794/2018.

36. AIFA, Secondo Position Paper AIFA sui Farmaci Biosimilari, 27 marzo 2018.

37. AIFA, I farmaci biosimilari. Position Paper, 13 maggio 2013.

38. Id., p. 13.

39. Id., p. 14.

40. AIFA, Secondo Position Paper AIFA sui Farmaci Biosimilari, 27 marzo 2018, p. 22.

41. D.l. n. 95/2012, convertito in legge n. 135/2012.

42. Corte Cost., n. 356/1992.

43. AIFA, Secondo Position Paper AIFA sui Farmaci Biosimilari, 27 marzo 2018, p. 22.

44. AIFA, Biosimilari e Ponzio Pilato. La risposta di Aifa, disponibile su quotidianosanita.it, 24 maggio 2018