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Strategic patenting nel settore farmaceutico

Possibili implicazioni per la concorrenza
Il sole nascente
Il sole nascente

Abstract

Almeno in Italia, si è passati da una totale assenza di protezione in ambito farmaceutico ad un utilizzo del brevetto a scopi strategici e anticoncorrenziali, provocando contenziosi tra le imprese concorrenti operanti sul mercato farmaceutico: imprese originator e imprese produttrici di farmaci generici.

Especially in the pharmaceutical sector, the intersection between two fundamental disciplines, such as intellectual property and antitrust, has always been discussed. In Italy, there has been a shift from a total absence of protection in the pharmaceutical field to a use of the patent for strategic and anti-competitive purposes, causing disputes between competing companies operating on the pharmaceutical market: originator companies and companies producing generic or equivalent drugs.

 

Indice:

1. Intellectual Property e Antitrust: due discipline a confronto

2. Il mercato del farmaco tra imprese originator e imprese c.d. genericiste

3. Segue. Le pratiche di brevettazione strategica come forme di abuso?

4. Osservazioni conclusive. Uno scenario in divenire.

 

1. Intellectual Property e Antitrust: due discipline a confronto

La disciplina della proprietà intellettuale, specie dei brevetti, e la disciplina della concorrenza sono tra loro strettamente correlate al punto che la prima si ritiene, oggi, predisposta in ragione della seconda, quale incentivo all’innovazione tecnologica ed al progresso tecnico – scientifico.

La problematica intersection tra le due ha portato negli anni i più a chiedersi se esse siano effettivamente in contrasto tra di loro o se sia, invece, più corretto parlare di convergenza finalistica  Non, infatti, non tenersi conto del fatto che mentre il brevetto attribuisce una sorta di “monopolio artificiale”, seppur temporaneo, su di una determinata invenzione, riflettendosi ciò inevitabilmente sul piano della concorrenza in ragione della limitazione cui si dà luogo e dell’innalzamento di barriere all’ingresso sul mercato, la funzione primaria cui tenta di assolvere la disciplina antitrust è proprio quella di garantire il corretto funzionamento del mercato ed evitare che possano sussistere ostacoli tali da compromettere agli operatori di agire in un regime di libera concorrenza.

La concorrenza costituisce un profilo indispensabile per un corretto funzionamento del mercato, specie quello farmaceutico, ed è per questo che l’ordinamento predispone dei meccanismi di tutela funzionali a fronteggiare pratiche capaci di incidere negativamente su di essa, avvalendosi della normativa antitrust. (per un’analisi approfondita si veda PITRUZZELLA G., Proprietà intellettuale e concorrenza, Napoli, 2016, pag. 8.)

In caso di conflitto, la concorrenza può subire delle limitazioni ma non anche essere sacrificata del tutto, ovvero nulla può essere tale da giustificare una situazione di monopolio assoluto sul mercato, nemmeno l’esser titolare di un diritto di privativa (sul punto di notevole interesse GHIDINI G., Brevi note metodiche sulla ‘intersezione’ fra disciplina della proprietà intellettuale e normativa della concorrenza, in AA. VV., Studi in memoria di Paola A. E. Frassi, Milano, 2010; AREZZO E., Strategic patenting e diritto della concorrenza: riflessioni a margine della vicenda Ratiopharm – Pfizer, in Giur. comm., 2014).

 

2. Il mercato del farmaco tra imprese originator e imprese c.d. genericiste

Come tutti i settori economici, anche quello farmaceutico vede operarvi vari soggetti, di natura diversa, spinti dall’esigenza di perseguire obiettivi diversi.

Dal lato dell’offerta, così come rilevato attentamente dalla Commissione europea nella sua indagine conoscitiva del 2009, operano due tipologie di imprese cui fanno capo, inevitabilmente, interessi diversi: imprese produttrici di farmaci innovativi (c.d. originator) ed imprese produttrici di farmaci generici (c.d. genericiste). Se le prime primeggiano per i significativi sforzi inventivi ed economici messi in atto per arrivare ad un sviluppare un nuovo farmaco, le seconde sono viste di buon occhio proprio per la tipologia di farmaco che intendono portare sul mercato, vale a dire un farmaco c.d. generico.

Tralasciando l’aspetto farmacologico e medico, dal punto di vista economico i farmaci generici (introdotti nel panorama italiano in virtù dell’art. 130, c. 3, legge 28 dicembre 1995, n. 549), dopo una prima accoglienza diffidente da parte di medici e pazienti, hanno avuto un impatto significativo sulle dinamiche di mercato e sulla concorrenza configurandosi quale incentivo alla stessa, riscontrando altresì il favor legislativo per le loro caratteristiche. Difatti, la versione generica di un farmaco costituisce l’esatta copia di uno per il quale sia scaduta la copertura brevettuale, presentando quindi la medesima “composizione qualitativo-quantitativa di sostanze attive e forma farmaceutica” (ARNAUDO L., PITRUZZELLA G., La cura della concorrenza. L'industria farmaceutica tra diritti e profitti, Roma, 2019), ma venduto al pubblico ad un prezzo inferiore a vantaggio sia dei consumatori sia del Servizio sanitario nazionale (SSN) in ragione del notevole risparmio. Quanto detto risulterebbe confermato dalla stessa Commissione europea, secondo la quale “la concorrenza, in particolare quella dei medicinali generici, è essenziale per mantenere i bilanci pubblici sotto controllo e garantire un ampio accesso ai medicinali a vantaggio dei consumatori / pazienti”.

Introdurre un nuovo farmaco sul mercato richiede l’impiego di ingenti somme di denaro a causa delle varie fasi, necessarie e successive alla brevettazione, che devono essere espletate per far sì che il medesimo possa essere messo in commercio. Questo può avvenire anche a distanza di molti anni, addirittura un decennio, rispetto al momento in cui l’impresa ha depositato la domanda di brevetto; una tale dilatazione temporale danneggia, tuttavia, solo un tipo di impresa, l’originator.

Se, infatti, da un lato le imprese produttrici di farmaci innovativi sono gravate dell’obbligo di espletare una fase pre – clinica ed una fase clinica, distinta a sua volta in tre sottofasi, per poi dover presentare i risultati alle autorità competente al fine di ottenere un’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), dall’altro ciò non viene richiesto alle imprese produttrici di generici. Trattasi, queste ultime, di imprese che sotto tale aspetto risultano avvantaggiate, potendosi infatti avvalere di una procedura autorizzatoria semplificata che richiede la mera presentazione dei risultati conseguiti dalle originator con notevole risparmio di tempo e denaro.

 

3. Segue. Le pratiche di brevettazione strategica come forme di abuso?

Sulla base di tali premesse è evidente che l’interesse facente capo alle imprese originator non può che figurare diversamente rispetto a quello vantato dalle imprese genericiste. Per quale ragione? Le prime, avendo interesse a recuperare sforzi inventivi ed investimenti e consapevoli della possibilità per le imprese genericiste concorrenti di avvalersi della procedura semplificata, tentano di mantenere quanto più possibile in vita il brevetto sul farmaco ricorrendo ad una serie di pratiche; le seconde, invece, hanno interesse ad entrare sul mercato nel momento immediatamente successivo alla scadenza della protezione brevettuale del farmaco, così da occupare anch’esse una porzione di mercato.

Fin qui nulla di problematico, se non fosse per la modalità per mezzo della quale le imprese originator tentano di perseguire il loro obiettivo, ovvero ricorrendo alle c.d. pratiche di “brevettazione strategica o strategic patenting, rispetto cui il settore farmaceutico ben si presta, in quanto volte a ritardare o impedire alle concorrenti di affacciarsi sul mercato.

Si ricordano così, per brevità di illustrazione, i “patent clusters” o “thickets” ed il fenomeno del c.d. “evergreening”. Nel primo caso l’originator tenta di ostacolare le concorrenti genericiste depositando più domande di brevetto relative allo stesso farmaco, realizzando così un “fascio” ed un patent portfolios; nel secondo caso ci troviamo difronte a quella pratica tramite la quale l’originator intende prolungare in modo artificioso la vita del brevetto di farmaco, andando semplicemente a modificare o perfezionare in minima parte il prodotto, dando vita così ad un brevetto dipendente, prima ancora che scada quello principale.

L’interesse soggiacente tale tool – box altro non è che quello di conservare la posizione di dominio rivestita sul mercato, nell’intento quindi di continuare a trarre profitto dai propri prodotti.

Le pratiche di cui si è poc’anzi accennato non trovano alcun riscontro normativo, ma non per questo devono considerarsi meno degne di note. Negli anni l’attenzione che vi è stata riservata da parte delle istituzioni e autorità di regolazione si è vista incrementare sempre di più, specie a seguito dell’Indagine della Commissione del 2009, in cui le suddette sono state dettagliatamente analizzate e criticate, perché tacciate di costituire uno strumento capace di dar luogo ad un abuso. Sebbene nell’Indagine venga evidenziata la natura totalmente legittima di tali pratiche alla luce della normativa di settore, si precisa, tuttavia, come le stesse siano suscettibili di tradursi in un abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE quando il titolare della privativa non si limiti al mero esercizio della stessa, mirando piuttosto a fini escludenti a danno dei consumatori.

Ciò che rileva ai fini antitrust non è tanto la messa in atto di tali pratiche, quanto l’uso strategico che delle medesime viene effettuato. A tal fine si richiamano, quali vicende protagoniste in materia, i casi AstraZeneca e Pfizer, all’esito dei quali tanto la Corte di Giustizia dell’UE (C.G.U.E., Sez. I, sent., 6 dicembre 2012, caso C-457/2010) quanto il Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, sent., 12 febbraio 2014, n. 693) sono giunti alla conclusione che a prescindere dalla legittimità di tali pratiche rispetto ad altre branche del diritto, il fatto che esse vengano attuate da imprese in posizione dominante per il perseguimento di scopi diversi ed anticoncorrenziali rispetto a quelli prefissati dall’ordinamento è sufficiente ad integrare un abuso di posizione dominante ed, in particolare, un abuso del diritto.

 

4. Osservazioni conclusive. Uno scenario in divenire

Il mercato farmaceutico si presenta, ad oggi, governato in misura significativa dalle case farmaceutiche facenti parte del colosso Big Pharma. Una presenza così importante sul mercato ha posto di fatto tali aziende in una posizione di vantaggio non indifferente, potendo influenzare vari fattori e rendendole capaci di elaborare nuove strategie di mercato, strumentalizzando diritti e facoltà concessi legittimamente dall’ordinamento.

Questo è ciò che ha reso ancor più complesso individuare il confine tra lecito ed illecito o, meglio, tra abuso e tutela. In ragione di ciò, sebbene le vicende precedentemente richiamate siano state, da una parte, illuminanti, dall’altra molteplici sono ancora i dubbi e le incertezze giuridiche che ivi residuano.

In un settore come quello farmaceutico in cui, ormai, l’uso strumentale dei diritti esclusivi sembra aver preso piede al punto da costituire una prassi comportamentale strategica delle imprese dominanti, per mezzo della quale le stesse intendono ovviare alle limitazioni imposte dall’ordinamento in ottica concorrenziale, il grado di attenzione e vigilanza da parte delle istituzioni ed autorità di regolazione dev’essere maggiore.

Il rischio è quello di incorrere in ingerenze eccessive e non necessarie di dette autorità sul piano brevettuale, si rende quindi impellente agire nell’ambito di un quadro giuridico ben delineato dal quale, quindi, poter trarre ex ante la natura abusiva o meno di una determinata condotta.

Tale conclusione sembra essere ancora più avvalorata dal fatto che poco più di un anno fa, nel luglio del 2020, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. VI, ord., 20 luglio 2020, n. 4646) è tornato nuovamente ad interrogarsi sugli stessi quesiti cui sembrava apparentemente essersi data una risposta, investendo la Corte di Giustizia dell’arduo compito di fare chiarezza e di fornire una definitiva ed univoca interpretazione circa l’abuso di posizione dominante ed i criteri cui fare affidamento.